Omnibus - anno II - n.4 - 22 gennaio 1938

~ - I.I STOJUC! ripetono volentieri che la guerra mondiale era inevitabile ; che, se non fosse scoppiata sul terreno balcanico, sarebbe ~ppiata per la rivalità anglotedesca o per l'Alsazia-Lorena o per l'Asia Minore o magari per l'Estremo Oriente; che, negli stessi Balcani, più precisamente rigur.rdo all'inimicizia .nastro-serba, anche senza l'assassinio di Francesco Ferdinando, l'urto era inevitabile, e non poteva essere localiztato. Tutto bene; ma e l'uomo della i.tra.da>, col suo modci.to buon senso, continuerà a pensare che, se molte guerre europee erano possibili, quella che è successa davvero, che è incominciata nell'agosto J914 e finita nel novembre 19181 ha avuto pur sempre per occ;.hione J'assasl>iniodi Francesco Ferdinando. Se c1ucsto non fosse successo, è per lo meno probabile che, proprio allora, nell'agosto 19141 la guerra non sarebbe scoppiata. Que~to per dire che, se la gente continua ad intcre~sarsi a Francesco Ferdinando, non ha poi tutti i torti. L'intere$Sc, per verità, riguarda la sua fine, piuttosto che la sua 'vita, la sua opcr,, e la. sua personalità. Ma è impo~sibile narrare quella senza rifarsi in una certa misura a queste. Tanto più che Cabrinovic e Princip non tirarono su Francesco Ferdinando semplicemente perché era un arciduca austriaco, o sia pure il principe ereditario. La « Mano nera »1 l'orjil;anizzazione irredentistica e terroristica serpa che organizzò il complotto, volle eliminare proprio lui, Francesco Ferdinando, perché ritenuto particolarmente pericoloso alla causa della Jugoslavia, o piuttosto della Grande Serbia. Era vagamente noto che l'arciduca ereditario meditava dei piani « triali- :,tici ». Si riteneva, cioè, ch'e~li volesse sostituire all'organizzazione dell'impero in due parti, una austriaca e l'altra ungherese, quale esisteva dal 1867, una orji(aniazazionc a tre membri : il terzo membro sarebbe stato una specie di Grande Croazia - cattolica e absburgica - invece della Grande Serbia. Si trattava di riunire tutti i territori abitati dagli Sloveni, i Croati e i Serbi della monarchia in un solo regno. Si rimpiccioliva l'Austria - o, per parlare esattamente, la Cisleitania - che ci avrebbe rimesso i suoi territori meridionali a cominciare almeno dall . Camiola, e compresa la Dalmazia1 su cui l'Ungheria vantava anche essa diritti storici. Ci avrebbe rimesso ancor più gravemente l'Ungheria medesima; oltre i presunti diritti sulla Dalmazia, le sarebbero state tolte Croazia, Slavonia, Voivodina. E c'erano poi Bosnia cd Erzegovina, i paesi comuni, che anche loro erano oggetto di ;.t,pirazioni ungheresi. Tutti Questi territori avrebbero dovuto costituire la terza corona per il capo di France- :.co Ferdinando. Sarebbe stato il completamento della rovina delle aspirazioni panscrbc o, comunque 1 di una Jugoslavia indipendente daji!;liAbsburKO, dopo il colpo gravissimo dell'annessione della Bosnia-Erzegovina nel 1 go8. Era, invece! la Serbia medesima che avrebbe:· rischiato di e~crc as- ,;orbita in questa Jugoslavia absbureica. Ma è poi sicuro che France~co Ferdinando vagheggiasse una simile rea- .tionc? Anche l'ultimo biografo di lui, ~1auricc Murct, non è. riuscito a determinare precisamente i piani dell'erede di Francesco Giuseppe, che a• vrebbe 3-3,unto il nome di Francesco H. Si può, anzi, star sicuri che questi piani hanno cambiato coJ,?li anni. Nel mar.to 1901 l'arc!duC'a scriveva in 1111:t lcttrra « che il trialismo rovinerebbe la monarchia già tanto compromess.t ». Allora. e più tardi, le idee dell'a!-.pirantc-riformatorc si avvicinavano piuttosto al « piano Popovici ». JI Po1xwici era un romeno di Transilvania, che nel I go6 scrisse un libro per pro-- pu'{narc « gli Stati Uniti della Grande Amtria ». Si trattava di ripartire l'impero in quindici Stati. che avrebbero trovato nell'idea imperiale pan-au- ,triaca e nel governo superiore comune di Vienna il loro vincolo. Che un simile piano corri:,1>0ndes,c ,ti ~entìmcnti più profondi e tenaci di Francesco Ferdinando, austriaco-ab- ,hurgico nelle midolla, non è dubbio. Ma l'ag-itazionc jugoslava, dice il Muret, lo fece volgere alla soluzione triali-.tica, che serviva anche estremamente bene la sua avver,ionc ai magiari e il wo desiderio di creare un contrappeso alla loro, da lui detestata, egemonia. Però1 nel programma di governo elaborato nella sua se~reteria e pubblicato nel 1923; che risale agli anni 1910-11, è detto che il trialh,mo non porterebbe veri vantaggi alla diru~tia o ali' Au~tria. Bisognerà concludcrc che, ancora al momento in cui evli cadde ucciso, un piano detenni• nato di riorganizuzionc radicale dell'impero gli mancava. Non è, forse, una conclusione molto lusinghiera per la capacità politica di Francesco Ferdinando. Da tutto quanto si sa di lui, c'è da domandarsi se non fosse un impuisivo più che un ve• ro uomo di azione. Desiderio di comandare, questo sl, ne aveva molto. E la !iua posizione era effettivamente andata crescendo. La riluttanza dello zio Francesco Giuseppe a lasciare il poco amato e amabile crede ingerirsi nelle faccende di governo si era andata attenuando. Specialmente nelle cose militari, gli era stata affidata l'alta diO ■ NIBUS contraddizione formavano in lui un impasto punto gradevole. Si abbando- :1ava a sfuriate violente, quasi isteriche, che fecero correr voce di una malattia annidata nel suo sangue e parlare perfino di una minaccia di clemenza 1>endente su lui (il suo dottore ha smentito nettamente). Ma era poi anche noto, e detestato 1 nelle località ove soggiornava, per le misure moleste contro gli automobilisti, i curiosi di ogni sorta e perfino gl'innocui passanti. La mancanza di tatto si manifestava in lui anche quando voleva riusci• re amabile. Era diffidente, sprezzante dell'umanità: disse al generale Conrad che in ogni persona con cui entrava in rapporti cominciava per veto anche sulla sua politica estera, nei limiti in cui si può parlare di una sua azione in quel campo. Quando egli scomparve così tragicamente, in più di un paese d'Europa (e anche entro l'imµcro) si emise un sospiro di soddisfazione: soddisfazione frettolosa 1 in verità. Egli godeva fama di uomo bellicoso: gli si attribuivano volentieri disegni violenti contro la Serbia, l' Italia, la Russia. Per quest'ultima 1 la verità era esattamente il contrario: l'arciduca avrebbe de.~ider,uo un'alleanza con la Rmsia, una risurrezione della e lega dei tre imperatori». Austria-Russia-Germania dovevano sostituirsi a GcrmaniaAustria-Italia. Entravano senza dubbio in questo piano (che intorno al pungente, anche :,ulla bocca di un Gue-liclmo Il; ma la sostanza del fatto non ne viene toccata. Si esagera, però, quando, con alcune autorità austriache alla mano, si pretende che Francesco Ferdinando fosse contrario, o almeno renitente, all'annes3ione della Bosnia nel 19o8. ~ ~trano che si ignorino i documenti che dovrebbero essere più noti. Da anni, nella collezione documentaria. tedesca Die grotse Politik è pubblicato il dispaccio di Guglielmo II a Bi.ilow sul convegno di Eckarbav nel novembre 1908 con Francesco Ferdinando, in cui il Kaiser riferisce esplicitamente come l'arciduc.l gli abbia detto di essere stato uno dei propugnatori dell'annessione. Rimane il famoso convegno di Konopischt, sempre fra il Kaiser e l'arciduca1 il 12-14 giugno 1914 1 proprio alla vigilia di Sarajevo. Quante se ne sonO dette su quel convegno! La storiella ufficiosa che il Kai:-.er si recasse a vedere i bei roseti coltivati dall'arciducale amico .nel castello boemo - non v'erano rose in fiore a Konopischt nel giugno '14, secondo testimoni fedcdegni, - contribuì, imieme con l'accompagnamento del grand'arnmiraglio Tirpitz sceltosi da Guglielmo, a far fiorire i sospetti. Si è preteso che venisse discusso tutto un piano di rimaneggiamento dcli' Europa centro- ,t~;tj1f5• ·.}-. ~: tl~~~f~A ~ '- ~ tl.' .... t:t> - ➔ .~, , l . ~"' :_jj[iip,>r~'t . '- ~ ., ..;" • ·• • ~ -._;:..,. H1'.f -. .. •.. ~ i·· ~ ·• • -~&~- I • r,, ,,,,_ <:~!IIIJli~ii.:. . _ '~ . _, •••. ,. ,,...,,_.,i-- • • ~~ - ◄ • r- ~ • ' ~ -;. • · "l.• .'1-:I ... ,. • -· - • • 1· - · i • -§\.~;.i"" .. ~ .. :J-.:. ~1 !i\.r • ,.,,.,..-1 ~~'T, -~ ~ ,..._.. ' ·.i~ , .... • • . ••• --.,....__ 7 . ···-r-J~~) -: - •• . :.i.-:.-,.:::.. .; ' ••. ::::.,_..,,., • >-~ ~ ' ' .. ~ .... _,ai:~c. ' -'. . 1'.. ~ . ~••rr ~- ._ ~. • _.._. • "' ~- . .., r ~- ft~'?C• :.~ I • ""' ~~ .... , ....... ,...,: ....... ~ .· ....... .;-.. · .. ~ .. , • '· , ; .... :f " ~ ' . ....~··.· ,1:~"\\<: .'. • ' "':i-.. . .' : j l • -~ ~ _,.. . - -:"· _.-::.-· ~ -: : . . rczione. Francesco Ferdinando, però, avrebbe voluto ben altro: che lo zio, dal momento che non si decideva a morire, almeno abdicasse a suo favore. « Se avessi un figlio che m'ispirasse fiducia». queste sono le parole attribuite al vecchio imperatore, « abdicherei volcntic, 1 1 perché mi sento stanco, ma in favore di questo pazzo pericoloso, mai! >. « Pazzo pericoloso» è dir molto, troppo. Il dissidio sostanziale era fra due temperamenti dispotici in ugual misura, anche se in forma differente; e fra il rassegnato quieta 110,i mouere, che rappresentava tutto il programma, tutte le aspirazioni del vecchio im• pcr:itore, e l'irrequieto «attivismo> dell'erede i litigi erano frequenti. « [o conto meno qui clc.:ll'uhimo dei lacchè! > gridava talora, quando montava in collera, Francesco Ferdinando. E Francesco Giuseppe, con la sua solennità ghiacciata, rispondeva: e Finché son vivo1 governo io e nes'iun altro». « E a me un giorno »1 replicava l'erede, « toccherà pagare i cocci ». Invccc pagò anticipatamente, colla sua stc~sa vita. Francesco Ferdinando era un cattivo carattere. Questo è forse ciò che di più sicuro si può affermare di lui. Da ragazzo era indolente, noncurante di tutto, diffidente e cupo. Intelligenza non gli mancava, ma il desiderio di apprendere, una propensione a coltivare lo spirito non gli venne nep• pure pili tardi, quando la morte di Rodolfo (gennaio 1889: egli aveva allor..i venticinque anni) gli aperse la via del trono. Difetti diversi fin quasi alla • I - • ' •• • I ., , - - - _.\..,_ ..... ..,.,.t',, ~ "'' OOOUPAZI01iE OUPPONEBE DI lUNORTNO dere un bruto, salvo poi a ricredersi gradatamente. La sua passione per la caccia e il tiro a segno sembrava talora assumere l'aspetto di una mania feroce: in una partita di caccia in Inghilterra indignò i suoi ospiti. E se di Domiziano si racconta che infilzasse le mosche col suo st.iletto, Francesco Ferdinando si sarebbe divertito talora ad ucciderle a colpi di revolver. Infine, egli si acquistò una riputazione di avarizia veramente universale. Su questo carattere così poco felice dell'drciduca può a~re influito la minaccia di una fine precoce, per etisià, sotto cui egli visse per parecchi anni. intorno alla trentina (la madre ne era morta, e pare che anche il padre.- non ne fosse immune). L'arciduca 1 già allora, era poco amato e da più parti sembra che se ne attendesse fin troppo visibilmente la sparizione a favore di quell'amabile viveur ch'era il fratello Ottone (il padre di Carlo, l'ultimo degli Absburgo). Francesco Fc·rdinando M! ne accorse, e si può immaginare se ciò l'inasprisse; la rabbia per questa gioiosa aspettativa così poco lusinghiera per lui lo spinse a curarsi sul serio, a metter.;i a regime, e contribuì alla sua guarigione. Vennero poi le lotte aspre, le umiliazioni cocenti per il matrimonio morganatico, che lo costrinse a rinuncit,rc solennemente per la moglie cd i figli a qualsiasi diritto arciducale, cd a vedere la sua Sofia - che amò veramente - in coda dopo tutti i membri della famiglia imperiale. Ci ~i può domandare se la diffidenza e la collera, qualità precipue di Francesco Ferdinando, abbiano influi191 o era già chimerico) la simpatia dell'arciduca per i regimi assolutistici e l'avversione all'Italia. Questa, a sua volta, era fatta di tradizione absburghese e di clericalismo. Una guerra all'Italia, al momento opportuno, non sarebbe dispiaciuta a Francesco Ferdinando. ln caso di vittoria pare ch'egli vagheggiasse - lo dice il Sosnosky, che pure è un biografo amico - l'annessione almeno del Veneto, il ristabilimento del potere temporale e del regno delle Due Sicilie. Se questo è vero1 cc n'è più che a sufficienza per giudicare il romanticismo reazionario di Francesco Ferdi• nando. Rendiamogli tuttavia quc~ta giustizia : che una guerra « preventiva > contro l'ltalia, egli non la volle, Quando pure la propugnava Conrad. ç)ui culi ,;j trovò d'accordo con Francesco Giuseppe e con Aehrcnthal i e ciò sebbene l'impresa di Tripoli lo mettesse in collera contro di noi. . . E neppure contro la Serbia - quc- )tO è più notevole - pare che I'arciduca abbia mai propugnato decisamente una guerra preventiva : risulta che più di una volta, anzi, egli prc,;c posizione contro le tendenze bcllico,e dello Stato Maggiore. Forse pensò seriamente alla guerra contro la Serbia alla fine del 1912 (durante la prima guerra balc.1nica); ma Guglielmo IJ, nell'incontro di caccia a Sprin~c, nell'Hannover, gliene fece passare la vo- ~lia. Sarebbe stato allora, che il Kaiser avrebbe detto all'arciduca: « Tu fai troppo rumore colla mia sciabola ». La frase è inverosimile, perché troppo orientale: l'entrata dell'Austria nell'impero tedesco, uno dei figli di Francesco Ferdinando alla testa di un regno o, piuttosto, d.i un impero bocmounghercsc-croato-serbo, l'altro sul tro• no di una Polonia restaurata stendentesi dal Baltico al Mar Nero, cui l'impero tedesco avrebbe ceduto un ·pezzo di Po,.nania. Fantasie a cui altre hanno fatto seguito: la corte di Vienna che, saputo questo piano di smembramento dell'Austria, incita, o almeno lascia agire Princip; Sar>'ljcvo, insomma, come contraccolpo terribile di Konopischt. Risulta, invece, che l'attentato era già in preparazione sul territorio bosniaco da due settimane quando avvenne l'intervista di Konopischt. Era già stabilito che colui il quale si preparava a recarsi alle grandi manovre, il cui tema era una campagna contro la Serbia, e a celebrarne la chiusura con una festa proprio il 28 giugno, il ~iomo del Vidovdan, sacro ai ricordi d('ll'antico impero sr.rbo, dovc5.sccadere sotto i colpi della « Mano nera >. Cahrinovic falll il primo colpo. Princiµ riuscì col secondo; ma, avesse fallito anche lui1 altri quattro congiurati, di'ìµosti a scaglione, attendevano la vittima designata e non protetta che da un apparato poliziesco appena suffi. ciente. V'erano meno poliziotti che cospiratori e la folla pullulava di complici. Così era destino che, nonostante gli avvertimenti moheplici 1 cadesse Francesco Ferdinando e con la sua morte scatenasse qucJla guerra che in vita non si era mai risolto a 1>rovoca.rc. GUIDO ZORZI ION NE POTEVA~·IO più della guerra, malgrado non fossi.mo soldati in trincea o invalidi usciti dal1'01~eda_lc, L· neppure quel ragazzetto che era nuSCJ.to a 1cap..,arc. Per quanto un poco denutriti, non potevamo nemmeno dire d'enere affamati come la maggioranza della popolazione. Ma era una domenica piena di 10le. Non lontano da Carabanchcl tuonavano i cannoni e quel minaccio10 frastuono non ci dava tregua. Volevamo svagarci, far qualcosa. Nulla di strano, ma semplicemente qualcosa. che ci distraene. E decidemmo cod di visìtare il parco. Scendemmo per il Prado, risalimmo gi• rande in1orno al ~iuseo, e arrivammo a una cancellata che chiude El Po,q,u d, Madrid. Là, di fron1e al cancello, un uomo vendeva stringhe per scarpe, quattro bambini si arrampica\ ano sulle sbarre di ferro: ma il Po,qut era chiuso Chiuro fin òal principio dell11 guerra, ci diuero. Dietro il cancello si vedevano gli alberi spO• gli e le aiuole senia erba e senza fiori. Camminammo sino alla prouima cancellata e parlammo con la sentinella. < Siamo giornali11i degli Stati Uniti, stanchi di camminare Jull'asfalto. Abbiamo visitato il fronte cd ora vorremmo vedere ciò che la Spagna ha di bello >. Egli capl quanto questo nos1ro desiderio fosse giusto. Chiamò un suo amico, un piccolo uomo con la faccia color caffè, tutta raggrinzi1a, e con una voce acuta. La prima sentinella gli ripctè la nostra richie11a e l'omelto si granò la testa, dicendo con voce sommessa che c'erano degli ordini. < SI •, ammettemmo noi quauro, a1pet1ando nel sole; < ma è un belliuimo parco •• aggiungemmo in tono incoraggiante . Questa osscrvu.ionc vinse ogni rcsistenr:a. Seguimmo l'ometto color caffè, lungo i sentieri sparsi di ghiaia, contemplammo dall'alto un vecchio giardino chiuso da arbusti selvaggiamente intrecciati ; salu1ammo antiche, strane s1atue di eroi in corazza dal. l'attitudine altera, e ammirammo parecchie fontane. Una era devauata da una bomba I nostri passi sulla ghiaia producevano un rumore lieto. I cannoni tacevano. Ci dovevano essere degli uccellini nascos1i fra i rami. Il guardiano ci disse che l'alto albero dalla linea slanciata era chiamato l'albero dell'amore. Poi, ci guidò verso il laghetto. Vedemmo un monumento, Alfonso Xll a <..avallo.Torno torno, il semicerchio di colonne in granito era in ca1tivo stato. li laghe110 era stato prosciugato quasi completamente, poiché nelle notti di luna lo scintilllo dell'acqua guidava il nemico sul centro di Madrid. Rimanemmo così a goderci il lago, la brezza, gli alberi. Il piccolo guardiano sembrava felice e fiero che fouimo vcnutì dall'America del Nord per apprezzare quel bellissimo parco spagnuolo . Strada facendo, dovendoci recare agli uffici del sopraintendente al parco, ci trovammo vicini al giardino z.oologìco. Alcuni uomini, che avevano lavorato nella Casa del Campo, dove infieri1ee la batta• glia, e nel Porque del Otst•, che si rial• laccia alle trincee, stavano tagliando qualche albero. Mancava il combustibile. Andammo verso un boschetto di camelie. 2. proprio vero che c'è la guerra? Che miracolo è quesio? Sl, la su erra è là, ,u quelle colline brulle che cominciano in fondo a quella strada. Ammirammo tutto, poi scambiammo parecchie Slreue ai mano, molti < salud :t e complimenti, finché l'ometto color caffè ci rkondune all'uscita, Ci incamminammo lentamente e continuammo a ripc1erci l'un l'altro le stesse cose ; le cose che ormai ,apevamo a memoria: che non avevamo mai visto gente più stramba di qucua, pil:.I assurda e più scombinata. Questo era ciò che più ci aveva colpito cd era la cosa, naturalmen1e, che maggiormente contava per noi. Quiodi si pauò a considerare que1l'incttdibile situazione fom1ata da un insieme di fatti e cose diverse: il giardino z.oologico e il cannone nucosto tra le nin• !ce, e il nuovo caffè wrto ,ulle rovine di un vecchio palaz.z.o. Al primo piano di questo palauo c'~ il caos; una sedia sfa&ciata appesa ad un candelabro di bronz.o; una stufa di ferro scaraventata dall 1ultimo piano giù nel sottosuolo, dove una volta ferveva la vita brillante di un t:abar,1 notturno; enormi specchi incrinati a metà, sepolti sotto l'inevitabile ammasso di cartaccia e di stracci. Una parete fabbricata in fretta, leggera e traballante, ha nascosto queste rovine e il nuovo caffè si è aperto e fa affari d'oro. Si parlò dei ragaz.zi che vengono mandati in trincea dopo 10hanto dodici ore d'i,truz.ione militare. Raccont:ij della mia esperienza falla dal parrucchiere, dove quattro donne slavano sedute ptr farsi fare :a pt"rmanente. Non si mossero quando una bomba colpi il caseggiato, due piani sopra alle loro teste. Ci ricordammo di uno eh<', dal quinto piano di una casa, contemplava con un canocchialc un attacco alla Casa del Campo. Una bomba cadde vicinissima a lui. L'individuo del canocchiale andò per qualche minuto altrove ·e poi ritornò impa\ido nel• l'antico posto < dove si vedeva meglio •· In qudla casa traballante vivono ancora famiglie intere. In una ,t.tnza, ch'era una volta la sala da pranzo, alla parete di faccia che è ancora. in piedi, sono appc1i i ritratti "<!4 due coniugi, impacciati e gvffi nei rigidi \C1titi nuziali. l..ina certa sete cominciò ad oueuiollarci, una sete che chicdeva un bicchiere di birra. Decidemmo per e Chicote ». Scen• demmo una via traversa che conduceva al P1ado, udimmo il fragore di un proiettile esploso venire dalla parte della Gran Via, e, a 1cntirlo da dove cravamo, pare\'a lo icoppio di una cava. di pietra. Udimmo una seconda. csplosionr. Le strade erano affollate da gente che correva a destra e a sinistra AITrettammo il passo, curiosi di vedere che cosa era accaduto. Proprio a qualche metro di distanza dn e Chicote », nella Gra11 Via, vedemmo una foua enorme, con anunauatc intorno pietre e calcinacci ; di là parth a una striscia d_i sangue che giungeva sino alla porta ·del rttrovo. Il caffè « Chico1e > era affollato da uno1 quantità di miliz.iani, di ciuadini, di ra• gazze 1pagnole dai capelli ossigena, I.a Lirra era 011ima. Qualcuno buttò dei ~c<.- chi d'acqua contro la porta per togliere h· macchie di sangue. MARTHA GELLHORN

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==