ANNO Il , N. 4 • ROMA 11 GENNAIO 1938-XVI ISIBBETI W§l!ib':i~C§lillU&'.l)J ~ 11E COSA s1gn1fica la soluzione del li, ~ crisi francese, il nuovo ministero Chautemps, coi socialisti in equivoca attesa e I comunisti in dichiarata opposizione? Una cosa sola: un timido tentativo di liberazione dalla pressione comunista, il fallimento virtuale del Frnmc popolare. Che questa compagine continui a sussistere, è un'illusione alla quale non credono più nemmeno I giornali di estrema sinistra. Nono:uantc la maggioranza di cui dispone nel Parlamento, il Fronte popolare non riesce a governare e non riesce a resistere alla violenza dell'opinione pubblica, che non pub assistere con indifferenza alla metodica dissipa.zione della Ticchezia e del lavoro nazionali. Che questa opinione pubblica non riesca, a sua volta, a formare un governo, a vincere nelle elezioni, è un'altra cosa, è un aspetto della cns1 francese, che offre un esempio risolutivo dell'incapacità del sistema parlamentare a rappresentare le forze vive ~ operanu d1 un paese. L.1 ,·agedia francese è tutta qua: la na- .-.1one resta immutabilmente fedele ai prmc1pl dell'ordine e della conservazione sociale, mentre la sua rappresentanza poluica organizza sistematicamente l'anarchia. Il paese legale si è sovrapposto al paese reale; non c'è nessuna coincidenza fra la nazione, che e! sempre un'unità, e 1I Parlamento, che è sempre l'espressione ultima di una somma di egoismi individuali. La for.-.a mor... c è nella nazione, ma la forza politica è nell'oliguchia parlamentare, in una minoranza che s'impone alla maggioranza con la polizia, con l'esercito, con la banca, con l'ammmistrazione della giustizia. 12 PAGINE UNA l/RA SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE I ' I L'opinione pubblica francese, se non dà gran peso alle parole, è sempre sensibile alle cifre. A conti fatti, si è spaventata del costo Jell'es~riment◊ affidato • Léon Blum Pubblicazioni di ogni genere la richiamano al senso deUa realtà. Ecco J. Rouvier che nella Revue de Pan't dimostra come un possessore di 100.000 franchi nel 1914 oggi si trovi ad averne 218.000. Ma si tratta di franchi Bonnet, 11che significa che ha perduto il 76 per cento del suo capitale. Se dall'individuale si ,assa al collettivo, E. Miche) prova, nel Journal de la Socil1é de 11atis1iqU1, che la ricchezza immobiliare della Francia è passata da r.-i4 miliardi oro del 1914 a 465 miliardi di franchi Auriol, equivalenti a 65 dell'anteguerra. C'è anche il N1colle del Camiti de Salut économique, che non sa darsi pace della pressione fiscale. 11 bilancio del 1936 ha domandato ai contribuenti 120 miliardi dt franchi su un reddito globale d1 t65. • 011 lew- prmd donc 75 p. roo de leurs revenus!•. Sono \'OCI del cuore. UNA :FAKIOLU OllJESE B.ITOBlfA ALLA PBOP&IA OASA DOPO CHE LE TRUPPE DI CIANO IAI 80EX: PER OSTACOLARE I GIAPPONESI HANNO DISTRUTTO IL PAESE E con questo? Si pub parlare, come da noi, di una rid1stnbuz10ne d1 ricchezza? ='lessuno osa sostenerlo. Nel 1934 gli operai occupati nelle costruziom edilizie uano 55.000; oggi sono discesi a 10.000. Altro esempio riferito dalla Fra11u milllaire. • Al 1° ottobr~ del 1937, l'Inghilterra aveva m cantiere 283 piroscafi per l'importo di 1.184.635 tonnellate. La Francia, 10 per 70.284 tonnellate. Oramai siamo al nono po1ro, dopo la Germania (118 piroscafi per 383.468 tonnellate), l'Olanda, la Danimarca, ecc... La maggior parte della nostra manna mercantile si costruisce all'estero. Perch~? Perché le costruziom navali tn Inghilterra costano la metà che da noi e impiegano un•tempo che è esattamente la metà di quello richiesw dai nostri cantieri?•. Tutto cib comporta, nawn1lmente, un cospicuo disavanzo nella bilancia commerciale e un corrispondente consumo di oro. In soli due anni la riserva aurea della Francia, espressa in franchi Poincaré, è discesa da 8:2 miliardi a 37, ossia del 55 per cento. C'è da stupirsi se la nazione francese tenta di ribellarsi? Ma che cosa ha ottenuto? Un governo? Appena un ministero. Il suo maggior successo è la permanenza di Delbos. Perché proprio Delbos? Per la sicurezza collettiva? No, perché !'on. Delbos, nonostante la lournit: nelle varie capitali, non crede, come tutte le persone di buon senso, alla sicurezza collettiva. La permanenza di Delbos significa la speranza del punto fermo nelle relazioni con la Russia, che non si addivenga a quegli , scambi di idee• fra i due Stati Maggiari, che sono contemplati dal patto franco-sovietico e che significherebbero la guerra. • ( A POLITICA non ha memoria; e chi non sa dimenticare, dif~ lfl ficilmcnte riesce buon politico. ~ M:.1 chi vuol capire le vicende politiche (ossia capirle storicamente) e dare il valore che meritano a certe pose teatrali d'indignazione dei politici nel momento in cui operano, deve ricordare o, per lo meno, deve avere l'accortezza di dare ogni tanto una ,;cor:-;aai documenti del passato. Non sempre è neces:,;ario, per questo, risalire molto indietro negli anni. Oggi (e lo stesso avvenne nel 1933) noi vediamo gli Stati Uniti d'America fieramente scandalizzati della condotta del Giappone in E.stremo Oriente. Eb· bene, quanti ricordano che, dal tempo della guerra russo-giapponese fino al 19'27, è stata proprio l'America a con• sigliare sistematicamente il Giappone ad assumere la direzione del mondo giallo, ossia a diventare il padrone dell'Asia? Riportiamoci al 1905. Il visconte Kcntaro Kaneko, tuttora vivo e ve• gcto, era in quel tempo dgli Stati Uniti nella veste di inviato straordinario e segreto del Giappone. S'era al principio dell'estate, e Teodoro Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti, se ne stava nella sua casa di campagna, a Oyster Bay. La campagna era beJla, ma la ca.sa prcsiden• zialc era modesta, forse troppo cam• pagnola. Mancava di gas e di luce elettrica. Alla sera, il presidente e i suoi amici s'intrattenevano a lume di can• dela. All'ora di andare· a letto, il padrone di ca~, con una candeliere in mano, accompagnava gli ospiti alle loro camere. Sotto la veranda di <1uella casa, il capo della repubblica stellata conver• ,ava amabilmente col visconte Ken· taro Kaneko, il quale era consigliere privato del Mikado. Riferiamo uno dei loro più interessanti dialoghi. e Mi avete più volte parlato, signor presidente, di una dottrina giapponese di Monro<: da applicare in Asia. Come l'intendete? >. e 8 semplicissimo>, risponde Roosevelt. e Voi siete la sola nazione d'Estremo Oriente che comprenda i principi e i metodi della civiltà occidemale. Tutti gli altri popoli asiatici devono salire al livello della civiltà attuale. Perché il Giappone non dovrebbe essere il loro leadu e il loro protettore du• rante il periodo di transizione, allo stes• so modo che gli Stati Uniti, con la dottrina di ~1onroe, sono stati il protettore e il leader del continente americano? Una dottrina di Monroe giapponese, applicata all'Asia, impedirebbe ogni tentativo d'introm.is.sione europea. E il Giappone <:arcbbc quindi riconosciuto come il leadM delle nazioni asiatiche •· e Entro quali confini, secondo voi, dovrebbe esercitarsi la dottrina di Monroe giapponese? ». • Dall'est del canale di Suez all'ovest del Camciatca. Vale a dire che dovrebbe includere tutto il continente asiatico, salvo l'India, l'Annam, le Filippine e i possedimenti europei in Asia. Beninteso, dovrete rispettare la politica americana della "porta aperta" in Cina ». E con la ,;ua voce metallica, il pre- ~idente concluse: « Se, all'indomani della pace, il Giap• pone volesse proclamare una dottrina di Monroe di questo genere, io l'appoggerei con tutte le mie forLC,sia durante il tempo della mia. presidenza, sia dopo aver abbandonato il potere>. Questa dichiarazione, di un'importan• .-.a veramente storica, fu trasmessa in linguaggio cifrato a Tokio l' 1 1 luglio 1905. Essa si trova negli archivi del Ministero degli Affari Esteri del Giappone. Due mesi dopo, il 10 settembre 1905, fu firmato il trattato di pace di Port- ,mouth. t Il visconte Kaneko ritorna a Oystcr Hay, dove passa un altro pomeriggio in conversazione col presidente. Nuovo dialogo. e Vi ricordate, ~ignor presidente, quanto mi avete detto riguardo a una dottrina di Monroe giapponese? Mi autorizzate a parlarne confidenzialmente, appena sarò tornato a T okio, all'iniperatore e ai suoi'ministri? [1 nostro governo può prepararsi a regolare ormai la sua politica asiatica in conformità delle vostre vedute? Il Vostro avviso, a CJUeStCri'g>uardo, è della massima importan~ per il Giappone>. e Non ho da fare la minima obiezione. Parlatene pure con l'imperatore e coi ,uoi mini.stri; vi prego però di non rendere pubbliche le mie dichiarazioni fintanto che sarò presidente degli Stati Uniti. ;\[i riservo di farle conoscere io stesso al mondo, alla prima occasione>. Roosevelt mantenne la parola. Pochi giorni prima di morire, nel gennaio 1919, mentre s'apriva la conferenza della pace a Parigi, pubblicava nel K!Jnsas City Star le sègucnti righe: « li popolo americano non ha l'in~ tcnzione di abbandonare la dottrina di ~onroc. Facciano altrettanto l'Europa e l'Asia civilizzate, adottando un analogo genere di polizia nei paesi deboli e disordinati che si trovano alle loro '°glie>. Non si dica che il presidente Teodoro Roosevelt parlasse impegnando la sua sola persona. No; egli esprimeva opinioni e concetti familiari alla politica e alla diplom.izia americane. In• fatti, in due occasioni :-;toricheJ le vedute espresse da Teodoro Roosevelt riemergono negli atti e nelle parole di altri personaggi ufficiali d'oltre Atlantico. Nel 1917, durante la presidenza di Wilson, il viscor.te lshii finna col signor Robert Laming un accordo nel quale si legge la seguente clausola : e li Governo degli Stati Uniti riconosce che il Giappone ha interessi speciali in Cina, ::ipccialmcnte nella parte della Cina con• tigua ai ~uoi possedimenti ». Dicci J.nni dopo, il signor William R. Castle, divenuto più tardi segretario generale del dipartimento di Stato e braccio destro di Stimson, sbarca a Tokio come ambasciatore degli Stati Uniti. E le sue prime parole, del suo primo discorso ufficiale, suonano così : « Allo stesso modo che l'influenza degli Stati Uniti nel continente americano è una garanzia di pace, così noi cr.!diamo che la potenza del Giappone in Oriente, potenza dovuta all'energia e alla prevegge07..a del suo governo e del suo popolo, conduce all'ordine, al progrcs.so e alla pace nel Pacifico... >. Per ben ventidue anni almeno, tutti i partiti e tutti i governi degli Stati Uniti hanno dunque incitato il Giap• pone a prendere nelle sue mani il destino dei popoli asiatici. E il Giappone, con un po' di ritardo, ha eseguito e va eseguendo il còmpito suggeritogli dal- !' America: nel 193'2, conquista della Manciuria; nel gennaio 19341 proclamazione della dottrina di Monroc asiatica; dal luglio di quest'anno conquista della Cina del nord e del centro. Anzi, non è il caso di parlare di conquista, perché Tokio non ha alcuna intenzione di annettersi dei territori cinesi. li Giappone mira semplicemente a creare in Cina dei 1.;overni autonomi, simili a quello istituito nel Manciukuò, nei quali, sotto la sua diretta sorveglianza, regni l'ordine, la sicurezza del lavoro e degli scambi, la civiltà. Tutto ciò con vantaggio evidente degli indigeni e degli stranieri; ai quali ultimi non vengono afTltto ostacolati i traffici col mondo cinese, né vengono insidiate le posizioni prettamente finanziarie cd economiche, ma inibite soltanto q.uclle intromissioni politiche, alle quali accennava Teodoro Roosevelt conversando col visconte Kaneko nel 1905, benché a quel tempo il presidente americano non poteva prevedere l'invasione sovietica della Mongolia esterna e del Sin.kiang {Turchestan cinese). Donde nasce l'odiema emozione americana (così somigliante a quella del 1933) per l'esecuzione graduale in Estremo Oriente di quel famoso piano Ta• naka, figlio diretto dei suggerimenti di Washington? Perché l'America ha cambiato così radicalmente di parere in una questione che, per essa, non poteva essere di secondo ordine? Si può supporre che l'America del primo Roosevelt non fosse troppo entusiasta dell'alleanza anglo-giapponese' e che, sospingendo il Giappone sulle vie dell'imperialismo asiatico, tendesse a spezzare quel connubio; ma è nondimeno un fatto che l'abitudine di considerare il Giappone come il leader na• turale dei popoli asiatici perdurò negli ambienti della Casa Bianca anche dopo che quella alleanza fu rotta (19'2'2), per iniziativa dell'Inghilterra e proprio per compiacere l'America. Si può supporre egualmente che quella primitiva nippofilia americana fosse il riflesso della supremazia navale britannica, la quale non si accordava troppo con la dottrina americana della libertà dei mari. Supposizione plausibile, dato che la parità navale anglo-americana fu stabilita molto più tardi, e cioè col trattato di Londra del 1930 ; ma semplice supposizione. Quello che non si può supporre è, invece, che la recente ostilità americana all'imperialismo asiatico del Giappone sia la conseguenza della sopraggiunta nascita della Lega delle Nazioni col suo mistico rispetto per tutte le nazionalità, anche per quelle barbare o inesistenti. L'America ha creato e ripudiato la Lega delle Nazioni, con un solo atto. D'altra parte, nel 1927, essa, come abbiamo ricordato, permaneva ancora nel suo atteggiamento benevolo e incoraggiante verso il Giappone, Non è da c:-;cludcrc che, a capovoJ. gcre il punto di vista dcli' America abbia contribuito, come in tutta la de~ • mocrazia di questo mondo, l'opinione del grande pubblico, profondamente lavorata dalla propaganda sfrenata e allucinante di una turba di predic.itori battisti, presbiteriani, metodisti.
congregazioni5ti e di altre infinite ~tte e religioni, banditori del mito della « Nuova Cina ». Chi ha appena qualche sentore della potcma oceanica di certi movimenti di propaganda, che si scatenano senza alcuna ragione apparente in un paese come l'America, dove regna la più grande ignoranza delle faccende del mondo, e dove l'influenza deHe donne sempre pronte a farsi paladine frenetiche di cause che non conoscono 1 e che non intendono, è incredibile, non può trascurare quest'ultima ipotesi. Ma può darsi anche che le supposizioni e spiegazioni cli cui abbiamo fatto cenno, cd altre che potrebbero essere facilmente avanzate, non abbiano alcuna ragione di essere, perché, nei riguardi del Giappone, l'America di oggi la pensa press'a poco come l'America del periodo 1905-1927. Sbalordite? Avete torto. Se gli americani non sono in genere (•dotti delle faccende del mondo, noi (e dicendo noi intendo l'Europa) non riusciamo a comprendere gli americani. Quelli peccano troppo spesso d'ignoranza nei nostri riguardi; noi abbiamo il torto di volerli comprendere con la nostra logica e la nostra e serietà » di vecchi europei. Il nmtro errore, che comincia a diventare imperdonabile dopo tante esperienze deluse, è di dare troppa importanza a certi colpi di fulmine che ci vengono tratto tratto d'oltre Atlantico 1 e che si rivelano 1 poi, vacui colpi oratori. Franklin Roosevelt è un abile oratore; non ha ereditato le virtù di Teodo• ro, ma supera indubbiamente lo zio nell'arte della parola. E poiché chi ha un pregio ne fa volentieri bella mostra, l'attuale presidente americano parla assai spesso. Avendo anche c0mmesSOl'er• rore di curdre la crisi americana coi discorsi1 si vc<lecostretto sovente a fare lunghi viaggi di propaganda per lusingare o calmare, con altri bei discorsi, quei molti che non riescono ancora a godere i benefizi del New Deal. In questi suoi viaggi, il signor Roosevelt, sporgendo il capo sorridente e scintillante (per via degli occhiali) dallo sportello del treno o dell'automobile 1 ha occasione di pronunciare centinaia di discorsi : tutti belli e pieni di frasi impressionanti, non sempre coerenti. Quando, da quell'accorto psicologo che è, sente che l'uditorio non è pronto a entusiasmar$i per la solita e troppo tempestata materia economica, egli cambia immediatamente argomento e si attacca alla politica estera. Prende lo spunto da una qualsiasi notizia di giornale o dall'ultimo dispaccio consegnatogli dai suoi scgretari 1 e per riuscire e interessante > e gradito, si mette a tuonare contro gli altri paesi 1 somministrando severe lezioni e adombrando vaghe minacce. Successo sicuro: gli americani, nella profonda conviruìone di essere i campioni della saggczza1 della verità e della giustizia, sono sempre felici di udire che gli altri continenti vivono sotto il dominio deJl'errore e del male. Finita l'arringa e raccolti gli apr,>laus1i il signor Franklin Roosevelt non pensa più a queJlo che ha detto. Il famoso discorsp di Chicago, quello contro gli Stati autoritari e a favore delle famose democrazie occidentali, è stato pronunciato proprio nelle condizioni e per i fini immediati che abbiamo detto. E lo stesso valga per le successive manifestazioni or ...torie del presidente in materia di politica estera. L'ln'?hilterra punta sul concorso ame• ricano per agire in Estremo Oriente. Sogni: l'America è il vero paese isolazionista. Per esserlo in modo perfetto - e proprio in rapporto col continente asiatico - non ha forse rinunciato alle Filippine? Al signor Eden non ha evidentemente nulla insegnato la Conferenza di Bruxelles, e il facile accomodamento nippo•americano dopo ìl tra• gico incidente del Panay. t proprio un destino questa incomprensione fra cu~ini. Pensate : due se• coli or sono si separarono proprio perché non si capirono. GIULIO COLA.MARINO 11~- ANIIOlI • N, 4 • 22 GENNAIO1939-lVI IINIBU lll ll==BET=T=Ill=AN=ALE==D=I=A=TT=U=AL=IT=À=III, I POLITIOAE LETTERA.RIA ESCB Il. SABATO IN 12-16 PAGINE ABBONUIEIUI 11.&L•aCH>lonalen:110L. "21umeattt L. H Ettero1 IIIDOL, 70, aemettre L. 36 0111 ID■El,0 Dli I.lii )hno1orinl 1 dlHgnl • fo\Ogn!e, anoh• Ml DOD p11.bbllcadn, on si r.. uiu.i&oono. Dituloat: Roma - Vii del Bad&rf.0 1 28 TelefonoN, Ci61.636 A.mm.lllbtrutou: lilllano• Piana Carlo Erba, 6 TelefonoN. 24,808 PablllldU: di aluaa, bue onaoolo11oa1 'i!,!l~'t8,'T~\:,?~o B;r JiJ o• da PanboargSalnt,,Koaon ._ .. ,••w~ .... ~-==1 I. AL TIMO RA. East Biddlc Strcet, 212. Una casa come tante altre. Una casa mod~- . sta, scn7.a pretese 1 come migliaia di case di piccoli borghesi americani, in città. Tre piani. Avanti all'ingresso pochi scalini scuri e un cancelletto di ottone. Nulla sembra raccomandare all'attenzione del passante questa costruzione banale. Ma dal cancelletto di ottone pende una targa : e Casa in Baltimora di Miss Wallis Warfield ». Quaranta cents per entrare. La casa fu venduta l'anno scorso e i nuovi acquirenti ne hanno fatto un museo. Casa Warficld1 la si chiama, ora. Una guida conduce i visitatori da una camera all'altra e dà loro delle spiegazioni piuttosto sorprendenti. J n media, venticinque visitatori al giorno : un po' più la domenica 1 un po' ~ meno gli altri giorni, come in tutti i musei. A quaranta cents l'uno1 sono, in tutto, dieci dollari al giorno, pari a circa duecento lire. Un buon investi• mento. Paghiamo ed entriamo. O, meglio 1 entriamo senza pagare, lasciandoci guidare dal giornalista A. H. Young-O' Brien, che ha pubblicato una particolareggiata de5crizione del e musco >- All'incirca, le solite camere di una cas,'\ di piccoli borghesi americani. Alle pareti, quadri e affreschi 1 raffiguranti scene - immaginarie 1 s'intende - della vita di colei che oggi è la Duchessa di Windsor. Sentimentalismo e allegorie da per tutto. Il cattivo gusto dei nuovi proprietari, i loro intenti speculativi, il bisogno dì pubblicità hanno realizzato meravigliosi orrori. Al primo piano c'è un salotto mobiliato in stile vittoriano: al centro 1 una scatola di cristallo, piena di regali destinati a Edoardo Vlll per la sua incoronazione e che, ora, sono in vendi• ta. Poi c'è una piccola camera quadra• ta dove 1 secondo la guida, e Wallis si tratteneva con i suoi ammiratori> (« Wallis enttrlaincd her beaux >); una camera da pranzo, grande, e una cuci• na, sull'ingresso della quale una tabel• la proclama : « Da questa cucina venivano fuori i piatti del Maryland, cho essa ha resi famosi in tutto il mondo>. Il pezzo forte della decorazione è quello che si ammira nella camera da pranzo. Tutta una parete è occupata dai due emisferi, sormontati da una barra d'argento. Al di sopra di questa corre una larga fascia a fondo blu scuro, tempe~tata di stelle d'argento, di lune e di ogni sorta di segni astrologici. A lato dei due emisferi, da una parte il duca di \.Vindsor, in peplo greco-romano e in coturni, le gambe e le brac• eia nude, come Sant'Espcdito martire, e, dall'altra parte, in analoga tenuta, la Duchessa. Entrambi, con le braccia M:arnc protese in alto, sorreggono, non senza sforzo, la barra d'argento 1 cui si è accennato. In basso, poi, sotto i due emisferi, corre un nastro e, su di esso, è riportata una frase del discorso che il Duca di Windsor pronunziò alla radio subito dopo l'abdic..1.zione: e Io trovo che esso (il regno) è un peso impossibile senza la donna che amo :t. Tutto è simbolo, tutto è allegoria. Le stelle 1 le lune e i pianeti, - spiega la guida, - che splendono nella fascia scura in alto, significano che furono gli astri a unire i destini dei due personaggi, ai quali il musco è dedicato. La barra d'argento, al di sopra della quale è la fascia scura piena di stelle e di pianeti 1 e che il Duca e la Duchessa sor• reggono, l'uno da un capo e l'altra dall'aluo, significa che essi ebbero a sopportare il peso dell'universo, durante: la persecuzione che subirono. I due emisferi, che, come si è detto, sono fra lui e ,)ci, significano l'immensa distanza che, una volta, li separava, e che 1 og• gi, per volere degli astri soprastanti, non li separa più. Passiamo al scconèlo piano. In cima alla scala è una piccola alcova con un balaustro. Affacciandosi al balaustro, si guarda, attraverso un pozzo d'aria, nel salottino del primo piano. La guida spiega: e Qui sedeva l'accompagnatrice (the chaperonne), men• tre Wallis si tratteneva con i suoi ammiratori». Alla fine, il visitatore, e palpitante » per le emozioni, viene introdotto nei recessi intimi della casa e della vita di Wallis Warfield. La camera da letto: grande, con carta verde e bianca, con archi color rosa su tende bianche di merletto. In fondo a un corridoio, la cameretta del bagno. Tutto è comune e banale: la vasca non è di cristallo, né di marmo, ma del più comune me1allo placcato; né è rivestita di muratura, ma è tutta scoperta; persino i tubi dell'acqua calda e fredda sono e• sterni, come si fanno ormai solo per i bagni delle case per operai. Una strana cerimonia ~ stata inventata dai visitatori : molti di essi si mettono a sedere, belli e vestiti, nella vasca magica di Wallis e vi restano per qualche i.stante. Pare che questo rjto porti • fortuna. Quando, qualche mese fa, si sparse la notizia che i Duchi avrebbero fatto un viaggio in America 1 un fremito di ------ curiosità percorse il nuovo mondo, da New York a San Francisco. Ma Baltimora, la città da cui la protagonista del romanzo quasi regale aveva molti e molti anni or sono spiccato il suo volo1 fu addirittura in delirio. Dobbiamo allo stesso giornalista dianzi ricordato una descrizione estremamente vivace e pittoresca dell'ansiosa attesa di Baltimora, della febbre da cui furono invasi i suoi cittadini e le sue cittadine, dei preparativi che fecero per onorare degna• mente gli augusti ospiti. Prima di tutto, per più settimane, i giornali locali pubblicarono e ripubbli• carono biografie del Duca e della Duchessa, condite in tutte le salse1 storie del loro amore, aneddoti della loro vita, notizie particolareggiatissime di quel che facevano o dicevano. Le autorità, i proprietari di alberghi, la buona borghesia di Baltimora, tutti erano, per diverse ragioni, commossi per l'avvenimento che si riteneva prossimo, e ~i moltiplicavano nell1offrirc ai Duchi una degna ospitalità. Il sindaco di Baltimora disse: e lo farò qualche cosa, sia nella mia qualità ufficiale, sia personalmente, perché i nostri illustri ospiti siano i benvenuti ». E il governatore : e Il Maryland 1 s'intende. darà il più cordiale benvenuto ai nostri ospiti eminenti. Si dimostrerà la proverbiale ospitalità meridionale del MaMa con particolare ansietà aspetta• vano l'arrivo dei Duchi i proprietari della ca.setta in East Biddlc Street, gli organizzatori del museo Warfield. Alla fine, la signora Catherine Cartcr, che, a quanto pare 1 è la conservatrice del detto musco, non ~ più trattenere il suo entusiasmo e spedì alla Duchessa una lettera, che traduciamo quanto più fedelmente ci sia possibile: e Cara Duchu.sa, < L'annuncio che Voi intendc1e fare una visita ai nostri lidi è un'occasione (su:) che !periamo darà l'opportunità (1ic) a Sua Altezza Reale e a Vostra Grazia di visitare di nuovo alcune delle scene che pouono richiamare piacevoli auociuioni (Jic) di cui godeste in Baltimora. e 11 Board dei fiduciari, responsabile del restauro della casa di famiglia in Biddle Strcet, desidera estendere (Jic) un invito per darvi l'opportunità di rivederla, con la ,peranza che essa poua aiutarvi a ricordare la vita di famiglia e la vostra ospi• talità, che i vostri amici ricordano e sono lieti di aver ricevuta, una generazione fa. < Col trascorrere degli anni, l'incanto e la dignità della residenza aumenta nel suo appello a tutti quelli di noi che godiamo nel ricordo di Baltimora di altri tempi. e: Cordialmente vostra e: Catherine Ca,1er Conservatrice (del musco) :t. Come è noto, i Duchi non sono più andati in America; e non è a dire quanto sia stata profonda la delusione della cittadinanza di Baltimora, delle sue dame, che ormai avevano imparato a fare la riverenza alla pcrfezione 1 dei suoi gravi uomini d'affari, che avevano imparato a recitare, con grazia incomparabile, le frasi fatidiche : « Vostra Grazia, Vostra Altezza ReaIL DUO.A DI WIIDSOR DAVANTI J. Ulf NUDO DI PELIOE CARENA ryland e si farà tutto quello che si potrà per rendere felice la permanenza dei Duchi fra noi ». Si cercò dove essi potessero· sogg.iernare col massimo .conforto; si ispezionarono le ville e i parchi dei dintorni. Come accade sempre in Amcrica 1 ci fu un po' di speculazione su certi lotti di terreno. Un certo signor Summer Parker fece correr~ la voce che i Windsor stessero trattando con lui per un acquisto e occorse una smentita ufficiale per mettere fine a queste non disinteressate dicerie. Il signor Harry I. Fink, presidente o rappresentante della Società dell'HOtcl Maryland, ordinò : e Tutti gli alberghi della città devono organizzare un ballo pubblico per festeggiare il ritorno in patria della Duches!.l. Gli utili devono essere .devoluti ad opere di carità 1 intestate alla Duchessa. In tutti gli alberghi saranno sei:viti piatti speciali del Maryland, su tovaglie di lusso. Ai detti piatti saranno dati nomi che ricordino la coppia reale. Il Duca, la Duchessa, i loro amici e i dignitari. dello Stato e della città saranno ospiti d'onore»; ossia non avrebbero pagato. Le case di moda locali ebbero un gran da fare: molti acquisti fecero a Parigi, altri modelli idearono per loro conto, ma tutto in gran segreto. Il buon nome e la fortuna di ciascuna delle case di moda del Marylar\d di• pendrvano dagli acquisti che la Duchessa avrebbe fatto o non avrebbe fatto da essa. Pare che esista un blu che è detto e blu lVallis ». Ma non se ne vide molto nelle vetrine di Baltimora, in quei giorni di febbre. Si disse, invece 1 che sarebbe stato lanciato un blu più scuro, col nome di e Windsor blue ». Le giovani dame di Baltimora pro• varono e riprovarono abiti e acconciature adatti alla circostanza: vestiti rococò, cinture strette, pettinature divise nel mezzo. Le e debuttanti > facevano, di nascosto, le prove delle rivercn• zc da fare alla Duchessa. Gravi uomini d'affari andavano ìn giro con aria preoccupata recitando sotto voce frasi inconsuete, come: e Vostra Grazia Vostra Altezz.1 Reale ... :t. le» e simili, e soprattutto delle case di moda e degli alberghi. E la ragione per cui il viaggio non ha avuto più luogo è stata che il Duca, il quale si proponeva di studiare la questione operaia in America, aveva avuto la malaugurata idea di affidarsi a un suo vecchio amico, il multimilionario ingegnere Bedaux. Costui è un francese d'origine, che si trasferì molti anni fa in America 1 e studiò i problemi del· la organizzazione del lavoro e inventò quel sistema di razionaliuazione, che è noto appunto sotto il nome di sistema Bedaux e che consiste, all'incirca, in una specie di taylorismo esasperato. ~ superfluo aggiungere che il nome dell'ingegnere Bcdaux e il suo sistema sono cordialmente detestati dagli operai di tutto il mondo. Per andare fra gli operai, la scelta di una guida siffatta non era certo felice. E, infatti, i lavoratori americani diedero segni manifesti del loro malumore quando seppero che il Duca sarebbe stato pìlotato da Bcdaux. La conclusione è che il Duca non è più potuto andare in America. Senonché il mondo diventa ogni giorno più angusto per 11 Duca d1 Windsor. Egli non può mettere piede nei territori dell'Tmpcro britannico. t andato per qualche giorno in Gennania 1 e ha suscitato polemiche senza fine. Ha tentato di andare in America, e gli operai americani non glielo hanno permesso. e Non può certo andare in Abissinia o in Cina o in lspagna », osservava 1 tempo fa, il Forward di Glascow1 e senza suscitare altre polemiche... Non resta al Duca e alla Duchrssa che una soluzione: di farsi cittadini sovietici ... Finché egli sarà tenuto in esilio sarà inevitabile che sorgano situazioni delicate, una dopo l'altra>. Il giornale se la prendeva con la classe dirigente inglese che ha trattato con tanta grossolanità e con tanta viltà l'exre, dopo essersi servita di lui per quaranta anni 1 dopo aver fatto della sua vita un continuo giro di propaganda. e Ora, a quel che pare, il Principe in• cantatore deve diventare l'ebreo errante >. A. G. ELEZIONI RUSSE ft\\ UE ANNI fa il camerata Stalin dil!J ceva a un giornalista: < Voi . n~n riuscile a capire il fatto che c1 s,a un solo partito. Voi credete, perciò, che non ci 1arà lotta elettorale. E, invece, ci sarà ; e io prevedo che ci 1aranno vivaci campagne elettorali >. Le elezioni, poi, si sono fatte e le cose K>no andate in modo assai diverso da come Stalin aveva annun:r.iato. ln ogni distretto elettorale un solo candidato: quello dCJ.ignato d;I Partito. Cli :.Itri candidati si erano affrettati a ritirarsi: in tempo - vogliamo sperare - per non eucrc ammazzati. La stampa sovietica aveva proclamato a gran voce per sci mesi che il voto sarebbe stato segreto e che questo era < un grande dono di Stalin >. Gli elettori erano stati esortati a non fare il minimo segno sulla scheda o sulla busta, perché i1 voto sarebbe stato nullo. Tutt'a un trattQ, la detta stampa mutb completamente e intimò all'eleuore di scrivere nome e cognome sulla .chcda 1 in modo da dimostrare la sua fedeltà al bolscevismo e a Stalin. Disse anche che un siffatto modo di votare sarebbe stato e: un pri1i1lcgio > dei cittadini sovietici. Stalin aveva ritirato il suo grande dono: prima di farlo. Joscph dc Maistrc, che cono.sceva i ruui, scriveva, quasi un secolo fa, a un russo: < T 01,;t chanie chet. uous, tu lois comme les ,ubanJ, leJ opinions comme In tiltts, 161 s11tèmn de tout ienre comme lu modes; ,ien n'est constant com• me l'incoJtance >. E cambia anche Sta\;,... I candidati hanno fatto del loro meglio per recitare la faraa elettorale. A Mosca, un candidato, certo Ivan Gu• dov, nel corso della campagna elettorale proclamb che ora faceva al tornio un lavoro maggiore di quello che faceva una volta, nella proporzione del 4.852 per cento. Solo smaccati sabotatori del regime avrebbero potuto resistere a 1iffatti argomenti e negare il loro voto al camerata Ivan Cudov. Eppure, un dubbio ci assale: chi sa quanto poco lavorava, in pasuto, il camerata Ivan Cudov ! Dubbio da sabotatori. PROCESSI BUSSI flil N OPERAIO, che è incaricato di te- ~ nere in ordine la sala di lettura del suo stabilimento, va a comprare de• gli affiui. Gli offrono ritratti di Stalin e di Kalinin. Li rifiuta ridendo: e: Di codeste teste, ne ho abba,tanza. Datemi qualche altra cosa >. Subito è arrestato, sotto l'accusa di getLare discredito sui capi del partito (agi tazionc controrivoluzionaria). Condotto davanti a un tribunale spec.iale, è condannato a sei anni di internamento. Nel refettorio di una fabbrica, viene .ervito salame per parecchi giorni di seguito. Un operaio, scherundo, domanda se gli toccherà e: mangiare tutta la cavalleria di Budenny >. t accusato di agitazione antisovietica e mandato a un campo di concentrazione. A Orcnburg sono dcporu.ti comunisti che ebbero, in panato, opinioni dissidenti o ai quali furono attribuite siffatte opinioni, ma che, nella mauima parte, hanno fatto com• pleta abiura. 11 7 novembre 1935 costoro si riuniscono per celebrare tutti insieme l'an• nivcrsario della rivoluz.ione di ottobre. L'operaio metallurgico Alexis Santalov di Leningrado è uno dei pochi che non hanno abiurato. Grave circost-anza ! Costui prende la parola e, nella foga del discorso, si lucia andare a parlare di e: bricconi burocraùci >. Denunziato da un e: confidente >, è condannato a cinque anni di internamento ed è spedito .al campo di concentrazione di Ka. ragnada. Ma non basta. L'operaio tipografo lvanov di Leningrado e sua moglie hanno udito il discorso di Santalov e non lo hanno denunziato. Tre anni di internamento. Questi cd altri simili casi sono raccontati da Vietar Serge nel volume Ruuio ,o years aft6r, recentemente pubblicato in America (Hillman-Curl, dollari 2,50). EUOENELYONS 'iXl A IL LIBRO del giorno ,ulla Rus• L\J..1 sia è ÀJJitnmenl i" Utopia di Euctene Lyons {Harrap, 15 1.). li L)- ,,s era un ardente ,impatiu.ante per il comunismo. Si era battuto, un tempo, in diresa di Sacco e Vanzetti. Era viuuto in ambienti rivoluzionari, aveva letto tutto quel che aveva potuto leggere sulla Russia, aveva visto i film ruui, aveva frequentato gli cminari bolscevichi. Come giornalista, aveva lavorato rolo per l'Agenzia Tau, che, come è noto, è l'agenzia ufficiale dei Sovicti, Quando l'Uniled Pren gli offrl il posto di corrispondente da Mosca, acccuò con entusiasmo. E partl per la Russia, so• gnando di descrivere cavalieri del Caucaso manovranti sulla Piana Rossa, con bandiere al vento, e umili contadini e lavoratori abbagliati dallo 1plendore della rivo. luzione. e lo sentivo che il problema, per mc, sarebbe 11ato quello di abbassare il tono della mia rapsodia perché non stonasse troppo con l'umile livello del giornalismo amc• ricano >. Giuruc a Mosca, capi che il problema era un altro. Come nascondere al mondo gli orrori che. andava scoprendo~ Questo era il problema. Egli lo risolse per sei anni. Lo risolse fa. cendo come fanno tutti gli altri corrispondenti da Mosca di giornali occidenta!i o americani: e cioè mentendo, e tenendo sem. prc presente che ogni parola - scritta o telegrafata o telefonata da Mosca - è 101toposta al pià severo controllo della più vigilante e sospettosa censura. Alla fine, il Lyons si ammalò, fu sostituito nel suo posto, e tornò dalla Russia. E tutto quello che non aveva. potuto dire per sci anni, ora ha detto in questo volume di 642 pagine. Cose spaventose. PRIMO PROCESSOlii MASSA 'f1 A LUCE completa si fece nello spiL!l rito del simpatiuante comunista Lyons nel maggio 19281 quando 1i celebrò m Mosca ìl primo grande processo per sa• botaggio. La G. P. U. aveva fatto arresti in massa a destra e a sinistra. Mattina e sera, giornali e radio avevano l~vorato intorno alla storia di un gigantesco complotto contro il regime, ordito c~n la connive~:r.a di Qemici interni cd esterni allo scopo d1 4lrreuarc la produzione e di far mancare i viveri. Per mesi, prima del dibatti~cnto! i . gi~rnah avevano assicurato che e invcstigaz1om preliminari , avevano provato la verità delle accuse e che i traditori sarebbero 1tati smuchcrati nel prossimo pubblico giudit.io. Il 18 maggio una folla ecciu.la di operai, di studenti e di contadini si pigiava nella casa dei sindacati, che fu un tempo il Club dei nobili, in Mosca. Gli imputati erano 53 tc<:nici dell'industria del carh?ne, ~ra i quali ire tedeschi. La ,ala era 1llununata in modo accecante. Militi della C. P. U., con la baionetta in canna, facevano la guardia alla gabbia degli imputati. Nikolai Krilcnko, l'accusatore, si agitava, pingue e paffuto, in calzoni corti e in giacca da cacciatore, e faceva la faccia arcigna ai fotografi, ai giornalisti, ai diplomatici e alla folla. Presiedeva il biondo e occhialuto Andrei Viscinslc, seduto die1ro a un microfono, su una pedana elevata, con ai lati gli altri due giudici. Cli imputati furono introdotti nella gabbia e sedettero, mentre i difenrori ,fogliavano, nervosamente, le loro carie. Si lessero i nomi degli impulati. Una sorpresa: l'imputato Nekrasoff non rispose. 11 difensore spiegò che, di1graziatamente, Nekrasoff 10fl'riva di allucinazioni e c.hc era staio messo in una cella con pareti rivestite di cuscini, do11e urlava perché vedeva fucili puntati contro il suo petto cd era in preda a pa• rossismo. Il processo cominci6 e durb ci2que set• tirnane. L'atto di accusa era co1truito sulla paurosa storia di una congiura internazionale a icopo di sabotaggio. Gli imputati, uno per 11olta, erano condoui s~II~ pedan~. Krilenko, con grugniti e sogghigni, sottolineava le confessioni di delitti 1pesso volgari, che essi avevano firmato,. e li cost~ngeva a fare orribili ritratti d1 se stessi e a dire che avevano St:mpre < od.iato la rivo• lu:t.ione > e che e avevano peccato per denaro e per vantaggi materiali :t. Degli imputati, dieci avevano fatto confusioni piene ; sci avevano fatto importanti ammissioni; gli altri affermavano di .cucrc innocenti. Secondo la legge russa, chi pn:- tcndc di c1sere innocente deve dimostrare di esserlo. Coloro che si dichiaravano in• nocenti venivano mcui a confronto con gli ahri che avevano testimoniato contro di loro. A volte quattro o cinque di es.si dispu• tavano e litigavano l'uno con l'altro da vanti al microfono, 111cntrc Krilenko li aizzava abilmente. La folla si eccitava, si ubriacava dello spettacolo di uomini che lottavano disperatamente e sì agitavano convulsi, per salvare la vita. COLPIDI SCBH m 01 ABBIAMO vislo il pallon: scolo• l)J rare i volti degli uomini, abbiamo visto l'orribile sguardo fi5SO, senza :r:ts!f1~· i!~u~:~ ~~~o m;~:~cti~~~r~:: tamente calmi, li costringevano a fare clamorose confusioni>. Un giorno la tensione giunse allo ,pa• ,imo. Fu quando Andrei Kolodod fu messo :avc:nit~: f:;; c~~r~:: s~;::~~• sic~~m;~ nava per dimostrare che egli era un traditore. Ma il giorno succcuivo ci fu di meglio. La P,avda pubblici, una lettera del figlio di Andrei, un ragazzo di dodici anni, che accusava suo padre e domandava per lui le < pene più severe>. Una trovata teatrale,\ che poi è diventata di ordinaria procedura nei giudizi più recenti. CONPBSSIONI h\ VOLTE l'udit:nza gct1ava un sinistro ~ barlume su quello che doveva accadere dietro le quinte. Un imputato insistette sulla ma innocenza. L'indomani si sentt e troppo male > per venire alla corte. Il giorno dopo riapparvt:, terreo in volto e tremante ; e con!essb umilmente di euere colpevole. Un ahro imputato, certo Bebenko, ammise di aver firmato una < confeuione >, ma ora la rinnegava e la definiva un c.umulo di mcntogne. e: Io quasi non capivo c.he cosa firmassi... Fui distratto da minacce, minacce ... Tentai di ritirarla prima del giudizio, ma .. ma ... >. Guardò Krilcnko e non potè finirt:. Krilcnko fissò gli oçchi in volto all'impu1a10. La sua parola di. vent6 e pericolosamente dolce e concisa>. e Intendete dire che sie1e nato intimidito, minacciato? >, Bcbcnko c1itò, chinò gli occhi e mormorò: «No>. "NOii MENTIRE" f1i1 N ALTRO imputato, certo Skorùt10, ~ aveva sempre protestato di essere innocente. Egli era all'estero, quando aveva saputo dell'arttsto dei suoi camerati, cd era tornato subito in Russia per tcnimoniare la loro innocenza. Un giorno venne alla corte barcollante e annun2.iò che aveva scritto e firmato una dichiarazione, in cui aveva coofcssato i de• litti suoi e quelli degli altri. Dal fondo della sala un grido acuto, laceran1e, di donna: e: Kolia ! Kolia mio, non mentire! Tu lo sai, c.he sei innocente! >. Skorutto si abbattè su una sedia, pian. gendo e battendosi il petto. Vishìn1kì SO· spese l'udienza per dicci minuti. Quando si riapr1 l'udienza, Skorutto tornò sulla pedana e Krilcnko, ancora una volta insinuante e persuasivo, gli chiese se la confessione gli fosse stata estorta. Skorutto si torceva le mani e si agitava sulla pedana. No, neuuno lo aveva costretto. Improvvisamente si mise a gridare avanti al microfono: e Mai ho fatto quelle cose di cui mi accusano. Mai. Sebbene 1appia eh, cosa mi aJpttta ... >. Il giorno dopo, Skorutto fu ricondotto all'udienza completamente domato, il volto ~:~r~b:ial~:::e c:;c::~~e \ c~u~~rs1 d':i~::{ si Queua è la giustizia s.ovictica. E a qucuo punto è giunta l'umanità. E dire che c'è chi crede che vi sia ancora una civiltà da salvare! RICCIARDETTO
~ - I.I STOJUC! ripetono volentieri che la guerra mondiale era inevitabile ; che, se non fosse scoppiata sul terreno balcanico, sarebbe ~ppiata per la rivalità anglotedesca o per l'Alsazia-Lorena o per l'Asia Minore o magari per l'Estremo Oriente; che, negli stessi Balcani, più precisamente rigur.rdo all'inimicizia .nastro-serba, anche senza l'assassinio di Francesco Ferdinando, l'urto era inevitabile, e non poteva essere localiztato. Tutto bene; ma e l'uomo della i.tra.da>, col suo modci.to buon senso, continuerà a pensare che, se molte guerre europee erano possibili, quella che è successa davvero, che è incominciata nell'agosto J914 e finita nel novembre 19181 ha avuto pur sempre per occ;.hione J'assasl>iniodi Francesco Ferdinando. Se c1ucsto non fosse successo, è per lo meno probabile che, proprio allora, nell'agosto 19141 la guerra non sarebbe scoppiata. Que~to per dire che, se la gente continua ad intcre~sarsi a Francesco Ferdinando, non ha poi tutti i torti. L'intere$Sc, per verità, riguarda la sua fine, piuttosto che la sua 'vita, la sua opcr,, e la. sua personalità. Ma è impo~sibile narrare quella senza rifarsi in una certa misura a queste. Tanto più che Cabrinovic e Princip non tirarono su Francesco Ferdinando semplicemente perché era un arciduca austriaco, o sia pure il principe ereditario. La « Mano nera »1 l'orjil;anizzazione irredentistica e terroristica serpa che organizzò il complotto, volle eliminare proprio lui, Francesco Ferdinando, perché ritenuto particolarmente pericoloso alla causa della Jugoslavia, o piuttosto della Grande Serbia. Era vagamente noto che l'arciduca ereditario meditava dei piani « triali- :,tici ». Si riteneva, cioè, ch'e~li volesse sostituire all'organizzazione dell'impero in due parti, una austriaca e l'altra ungherese, quale esisteva dal 1867, una orji(aniazazionc a tre membri : il terzo membro sarebbe stato una specie di Grande Croazia - cattolica e absburgica - invece della Grande Serbia. Si trattava di riunire tutti i territori abitati dagli Sloveni, i Croati e i Serbi della monarchia in un solo regno. Si rimpiccioliva l'Austria - o, per parlare esattamente, la Cisleitania - che ci avrebbe rimesso i suoi territori meridionali a cominciare almeno dall . Camiola, e compresa la Dalmazia1 su cui l'Ungheria vantava anche essa diritti storici. Ci avrebbe rimesso ancor più gravemente l'Ungheria medesima; oltre i presunti diritti sulla Dalmazia, le sarebbero state tolte Croazia, Slavonia, Voivodina. E c'erano poi Bosnia cd Erzegovina, i paesi comuni, che anche loro erano oggetto di ;.t,pirazioni ungheresi. Tutti Questi territori avrebbero dovuto costituire la terza corona per il capo di France- :.co Ferdinando. Sarebbe stato il completamento della rovina delle aspirazioni panscrbc o, comunque 1 di una Jugoslavia indipendente daji!;liAbsburKO, dopo il colpo gravissimo dell'annessione della Bosnia-Erzegovina nel 1 go8. Era, invece! la Serbia medesima che avrebbe:· rischiato di e~crc as- ,;orbita in questa Jugoslavia absbureica. Ma è poi sicuro che France~co Ferdinando vagheggiasse una simile rea- .tionc? Anche l'ultimo biografo di lui, ~1auricc Murct, non è. riuscito a determinare precisamente i piani dell'erede di Francesco Giuseppe, che a• vrebbe 3-3,unto il nome di Francesco H. Si può, anzi, star sicuri che questi piani hanno cambiato coJ,?li anni. Nel mar.to 1901 l'arc!duC'a scriveva in 1111:t lcttrra « che il trialismo rovinerebbe la monarchia già tanto compromess.t ». Allora. e più tardi, le idee dell'a!-.pirantc-riformatorc si avvicinavano piuttosto al « piano Popovici ». JI Po1xwici era un romeno di Transilvania, che nel I go6 scrisse un libro per pro-- pu'{narc « gli Stati Uniti della Grande Amtria ». Si trattava di ripartire l'impero in quindici Stati. che avrebbero trovato nell'idea imperiale pan-au- ,triaca e nel governo superiore comune di Vienna il loro vincolo. Che un simile piano corri:,1>0ndes,c ,ti ~entìmcnti più profondi e tenaci di Francesco Ferdinando, austriaco-ab- ,hurgico nelle midolla, non è dubbio. Ma l'ag-itazionc jugoslava, dice il Muret, lo fece volgere alla soluzione triali-.tica, che serviva anche estremamente bene la sua avver,ionc ai magiari e il wo desiderio di creare un contrappeso alla loro, da lui detestata, egemonia. Però1 nel programma di governo elaborato nella sua se~reteria e pubblicato nel 1923; che risale agli anni 1910-11, è detto che il trialh,mo non porterebbe veri vantaggi alla diru~tia o ali' Au~tria. Bisognerà concludcrc che, ancora al momento in cui evli cadde ucciso, un piano detenni• nato di riorganizuzionc radicale dell'impero gli mancava. Non è, forse, una conclusione molto lusinghiera per la capacità politica di Francesco Ferdinando. Da tutto quanto si sa di lui, c'è da domandarsi se non fosse un impuisivo più che un ve• ro uomo di azione. Desiderio di comandare, questo sl, ne aveva molto. E la !iua posizione era effettivamente andata crescendo. La riluttanza dello zio Francesco Giuseppe a lasciare il poco amato e amabile crede ingerirsi nelle faccende di governo si era andata attenuando. Specialmente nelle cose militari, gli era stata affidata l'alta diO ■ NIBUS contraddizione formavano in lui un impasto punto gradevole. Si abbando- :1ava a sfuriate violente, quasi isteriche, che fecero correr voce di una malattia annidata nel suo sangue e parlare perfino di una minaccia di clemenza 1>endente su lui (il suo dottore ha smentito nettamente). Ma era poi anche noto, e detestato 1 nelle località ove soggiornava, per le misure moleste contro gli automobilisti, i curiosi di ogni sorta e perfino gl'innocui passanti. La mancanza di tatto si manifestava in lui anche quando voleva riusci• re amabile. Era diffidente, sprezzante dell'umanità: disse al generale Conrad che in ogni persona con cui entrava in rapporti cominciava per veto anche sulla sua politica estera, nei limiti in cui si può parlare di una sua azione in quel campo. Quando egli scomparve così tragicamente, in più di un paese d'Europa (e anche entro l'imµcro) si emise un sospiro di soddisfazione: soddisfazione frettolosa 1 in verità. Egli godeva fama di uomo bellicoso: gli si attribuivano volentieri disegni violenti contro la Serbia, l' Italia, la Russia. Per quest'ultima 1 la verità era esattamente il contrario: l'arciduca avrebbe de.~ider,uo un'alleanza con la Rmsia, una risurrezione della e lega dei tre imperatori». Austria-Russia-Germania dovevano sostituirsi a GcrmaniaAustria-Italia. Entravano senza dubbio in questo piano (che intorno al pungente, anche :,ulla bocca di un Gue-liclmo Il; ma la sostanza del fatto non ne viene toccata. Si esagera, però, quando, con alcune autorità austriache alla mano, si pretende che Francesco Ferdinando fosse contrario, o almeno renitente, all'annes3ione della Bosnia nel 19o8. ~ ~trano che si ignorino i documenti che dovrebbero essere più noti. Da anni, nella collezione documentaria. tedesca Die grotse Politik è pubblicato il dispaccio di Guglielmo II a Bi.ilow sul convegno di Eckarbav nel novembre 1908 con Francesco Ferdinando, in cui il Kaiser riferisce esplicitamente come l'arciduc.l gli abbia detto di essere stato uno dei propugnatori dell'annessione. Rimane il famoso convegno di Konopischt, sempre fra il Kaiser e l'arciduca1 il 12-14 giugno 1914 1 proprio alla vigilia di Sarajevo. Quante se ne sonO dette su quel convegno! La storiella ufficiosa che il Kai:-.er si recasse a vedere i bei roseti coltivati dall'arciducale amico .nel castello boemo - non v'erano rose in fiore a Konopischt nel giugno '14, secondo testimoni fedcdegni, - contribuì, imieme con l'accompagnamento del grand'arnmiraglio Tirpitz sceltosi da Guglielmo, a far fiorire i sospetti. Si è preteso che venisse discusso tutto un piano di rimaneggiamento dcli' Europa centro- ,t~;tj1f5• ·.}-. ~: tl~~~f~A ~ '- ~ tl.' .... t:t> - ➔ .~, , l . ~"' :_jj[iip,>r~'t . '- ~ ., ..;" • ·• • ~ -._;:..,. H1'.f -. .. •.. ~ i·· ~ ·• • -~&~- I • r,, ,,,,_ <:~!IIIJli~ii.:. . _ '~ . _, •••. ,. ,,...,,_.,i-- • • ~~ - ◄ • r- ~ • ' ~ -;. • · "l.• .'1-:I ... ,. • -· - • • 1· - · i • -§\.~;.i"" .. ~ .. :J-.:. ~1 !i\.r • ,.,,.,..-1 ~~'T, -~ ~ ,..._.. ' ·.i~ , .... • • . ••• --.,....__ 7 . ···-r-J~~) -: - •• . :.i.-:.-,.:::.. .; ' ••. ::::.,_..,,., • >-~ ~ ' ' .. ~ .... _,ai:~c. ' -'. . 1'.. ~ . ~••rr ~- ._ ~. • _.._. • "' ~- . .., r ~- ft~'?C• :.~ I • ""' ~~ .... , ....... ,...,: ....... ~ .· ....... .;-.. · .. ~ .. , • '· , ; .... :f " ~ ' . ....~··.· ,1:~"\\<: .'. • ' "':i-.. . .' : j l • -~ ~ _,.. . - -:"· _.-::.-· ~ -: : . . rczione. Francesco Ferdinando, però, avrebbe voluto ben altro: che lo zio, dal momento che non si decideva a morire, almeno abdicasse a suo favore. « Se avessi un figlio che m'ispirasse fiducia». queste sono le parole attribuite al vecchio imperatore, « abdicherei volcntic, 1 1 perché mi sento stanco, ma in favore di questo pazzo pericoloso, mai! >. « Pazzo pericoloso» è dir molto, troppo. Il dissidio sostanziale era fra due temperamenti dispotici in ugual misura, anche se in forma differente; e fra il rassegnato quieta 110,i mouere, che rappresentava tutto il programma, tutte le aspirazioni del vecchio im• pcr:itore, e l'irrequieto «attivismo> dell'erede i litigi erano frequenti. « [o conto meno qui clc.:ll'uhimo dei lacchè! > gridava talora, quando montava in collera, Francesco Ferdinando. E Francesco Giuseppe, con la sua solennità ghiacciata, rispondeva: e Finché son vivo1 governo io e nes'iun altro». « E a me un giorno »1 replicava l'erede, « toccherà pagare i cocci ». Invccc pagò anticipatamente, colla sua stc~sa vita. Francesco Ferdinando era un cattivo carattere. Questo è forse ciò che di più sicuro si può affermare di lui. Da ragazzo era indolente, noncurante di tutto, diffidente e cupo. Intelligenza non gli mancava, ma il desiderio di apprendere, una propensione a coltivare lo spirito non gli venne nep• pure pili tardi, quando la morte di Rodolfo (gennaio 1889: egli aveva allor..i venticinque anni) gli aperse la via del trono. Difetti diversi fin quasi alla • I - • ' •• • I ., , - - - _.\..,_ ..... ..,.,.t',, ~ "'' OOOUPAZI01iE OUPPONEBE DI lUNORTNO dere un bruto, salvo poi a ricredersi gradatamente. La sua passione per la caccia e il tiro a segno sembrava talora assumere l'aspetto di una mania feroce: in una partita di caccia in Inghilterra indignò i suoi ospiti. E se di Domiziano si racconta che infilzasse le mosche col suo st.iletto, Francesco Ferdinando si sarebbe divertito talora ad ucciderle a colpi di revolver. Infine, egli si acquistò una riputazione di avarizia veramente universale. Su questo carattere così poco felice dell'drciduca può a~re influito la minaccia di una fine precoce, per etisià, sotto cui egli visse per parecchi anni. intorno alla trentina (la madre ne era morta, e pare che anche il padre.- non ne fosse immune). L'arciduca 1 già allora, era poco amato e da più parti sembra che se ne attendesse fin troppo visibilmente la sparizione a favore di quell'amabile viveur ch'era il fratello Ottone (il padre di Carlo, l'ultimo degli Absburgo). Francesco Fc·rdinando M! ne accorse, e si può immaginare se ciò l'inasprisse; la rabbia per questa gioiosa aspettativa così poco lusinghiera per lui lo spinse a curarsi sul serio, a metter.;i a regime, e contribuì alla sua guarigione. Vennero poi le lotte aspre, le umiliazioni cocenti per il matrimonio morganatico, che lo costrinse a rinuncit,rc solennemente per la moglie cd i figli a qualsiasi diritto arciducale, cd a vedere la sua Sofia - che amò veramente - in coda dopo tutti i membri della famiglia imperiale. Ci ~i può domandare se la diffidenza e la collera, qualità precipue di Francesco Ferdinando, abbiano influi191 o era già chimerico) la simpatia dell'arciduca per i regimi assolutistici e l'avversione all'Italia. Questa, a sua volta, era fatta di tradizione absburghese e di clericalismo. Una guerra all'Italia, al momento opportuno, non sarebbe dispiaciuta a Francesco Ferdinando. ln caso di vittoria pare ch'egli vagheggiasse - lo dice il Sosnosky, che pure è un biografo amico - l'annessione almeno del Veneto, il ristabilimento del potere temporale e del regno delle Due Sicilie. Se questo è vero1 cc n'è più che a sufficienza per giudicare il romanticismo reazionario di Francesco Ferdi• nando. Rendiamogli tuttavia quc~ta giustizia : che una guerra « preventiva > contro l'ltalia, egli non la volle, Quando pure la propugnava Conrad. ç)ui culi ,;j trovò d'accordo con Francesco Giuseppe e con Aehrcnthal i e ciò sebbene l'impresa di Tripoli lo mettesse in collera contro di noi. . . E neppure contro la Serbia - quc- )tO è più notevole - pare che I'arciduca abbia mai propugnato decisamente una guerra preventiva : risulta che più di una volta, anzi, egli prc,;c posizione contro le tendenze bcllico,e dello Stato Maggiore. Forse pensò seriamente alla guerra contro la Serbia alla fine del 1912 (durante la prima guerra balc.1nica); ma Guglielmo IJ, nell'incontro di caccia a Sprin~c, nell'Hannover, gliene fece passare la vo- ~lia. Sarebbe stato allora, che il Kaiser avrebbe detto all'arciduca: « Tu fai troppo rumore colla mia sciabola ». La frase è inverosimile, perché troppo orientale: l'entrata dell'Austria nell'impero tedesco, uno dei figli di Francesco Ferdinando alla testa di un regno o, piuttosto, d.i un impero bocmounghercsc-croato-serbo, l'altro sul tro• no di una Polonia restaurata stendentesi dal Baltico al Mar Nero, cui l'impero tedesco avrebbe ceduto un ·pezzo di Po,.nania. Fantasie a cui altre hanno fatto seguito: la corte di Vienna che, saputo questo piano di smembramento dell'Austria, incita, o almeno lascia agire Princip; Sar>'ljcvo, insomma, come contraccolpo terribile di Konopischt. Risulta, invece, che l'attentato era già in preparazione sul territorio bosniaco da due settimane quando avvenne l'intervista di Konopischt. Era già stabilito che colui il quale si preparava a recarsi alle grandi manovre, il cui tema era una campagna contro la Serbia, e a celebrarne la chiusura con una festa proprio il 28 giugno, il ~iomo del Vidovdan, sacro ai ricordi d('ll'antico impero sr.rbo, dovc5.sccadere sotto i colpi della « Mano nera >. Cahrinovic falll il primo colpo. Princiµ riuscì col secondo; ma, avesse fallito anche lui1 altri quattro congiurati, di'ìµosti a scaglione, attendevano la vittima designata e non protetta che da un apparato poliziesco appena suffi. ciente. V'erano meno poliziotti che cospiratori e la folla pullulava di complici. Così era destino che, nonostante gli avvertimenti moheplici 1 cadesse Francesco Ferdinando e con la sua morte scatenasse qucJla guerra che in vita non si era mai risolto a 1>rovoca.rc. GUIDO ZORZI ION NE POTEVA~·IO più della guerra, malgrado non fossi.mo soldati in trincea o invalidi usciti dal1'01~eda_lc, L· neppure quel ragazzetto che era nuSCJ.to a 1cap..,arc. Per quanto un poco denutriti, non potevamo nemmeno dire d'enere affamati come la maggioranza della popolazione. Ma era una domenica piena di 10le. Non lontano da Carabanchcl tuonavano i cannoni e quel minaccio10 frastuono non ci dava tregua. Volevamo svagarci, far qualcosa. Nulla di strano, ma semplicemente qualcosa. che ci distraene. E decidemmo cod di visìtare il parco. Scendemmo per il Prado, risalimmo gi• rande in1orno al ~iuseo, e arrivammo a una cancellata che chiude El Po,q,u d, Madrid. Là, di fron1e al cancello, un uomo vendeva stringhe per scarpe, quattro bambini si arrampica\ ano sulle sbarre di ferro: ma il Po,qut era chiuso Chiuro fin òal principio dell11 guerra, ci diuero. Dietro il cancello si vedevano gli alberi spO• gli e le aiuole senia erba e senza fiori. Camminammo sino alla prouima cancellata e parlammo con la sentinella. < Siamo giornali11i degli Stati Uniti, stanchi di camminare Jull'asfalto. Abbiamo visitato il fronte cd ora vorremmo vedere ciò che la Spagna ha di bello >. Egli capl quanto questo nos1ro desiderio fosse giusto. Chiamò un suo amico, un piccolo uomo con la faccia color caffè, tutta raggrinzi1a, e con una voce acuta. La prima sentinella gli ripctè la nostra richie11a e l'omelto si granò la testa, dicendo con voce sommessa che c'erano degli ordini. < SI •, ammettemmo noi quauro, a1pet1ando nel sole; < ma è un belliuimo parco •• aggiungemmo in tono incoraggiante . Questa osscrvu.ionc vinse ogni rcsistenr:a. Seguimmo l'ometto color caffè, lungo i sentieri sparsi di ghiaia, contemplammo dall'alto un vecchio giardino chiuso da arbusti selvaggiamente intrecciati ; salu1ammo antiche, strane s1atue di eroi in corazza dal. l'attitudine altera, e ammirammo parecchie fontane. Una era devauata da una bomba I nostri passi sulla ghiaia producevano un rumore lieto. I cannoni tacevano. Ci dovevano essere degli uccellini nascos1i fra i rami. Il guardiano ci disse che l'alto albero dalla linea slanciata era chiamato l'albero dell'amore. Poi, ci guidò verso il laghetto. Vedemmo un monumento, Alfonso Xll a <..avallo.Torno torno, il semicerchio di colonne in granito era in ca1tivo stato. li laghe110 era stato prosciugato quasi completamente, poiché nelle notti di luna lo scintilllo dell'acqua guidava il nemico sul centro di Madrid. Rimanemmo così a goderci il lago, la brezza, gli alberi. Il piccolo guardiano sembrava felice e fiero che fouimo vcnutì dall'America del Nord per apprezzare quel bellissimo parco spagnuolo . Strada facendo, dovendoci recare agli uffici del sopraintendente al parco, ci trovammo vicini al giardino z.oologìco. Alcuni uomini, che avevano lavorato nella Casa del Campo, dove infieri1ee la batta• glia, e nel Porque del Otst•, che si rial• laccia alle trincee, stavano tagliando qualche albero. Mancava il combustibile. Andammo verso un boschetto di camelie. 2. proprio vero che c'è la guerra? Che miracolo è quesio? Sl, la su erra è là, ,u quelle colline brulle che cominciano in fondo a quella strada. Ammirammo tutto, poi scambiammo parecchie Slreue ai mano, molti < salud :t e complimenti, finché l'ometto color caffè ci rkondune all'uscita, Ci incamminammo lentamente e continuammo a ripc1erci l'un l'altro le stesse cose ; le cose che ormai ,apevamo a memoria: che non avevamo mai visto gente più stramba di qucua, pil:.I assurda e più scombinata. Questo era ciò che più ci aveva colpito cd era la cosa, naturalmen1e, che maggiormente contava per noi. Quiodi si pauò a considerare que1l'incttdibile situazione fom1ata da un insieme di fatti e cose diverse: il giardino z.oologico e il cannone nucosto tra le nin• !ce, e il nuovo caffè wrto ,ulle rovine di un vecchio palaz.z.o. Al primo piano di questo palauo c'~ il caos; una sedia sfa&ciata appesa ad un candelabro di bronz.o; una stufa di ferro scaraventata dall 1ultimo piano giù nel sottosuolo, dove una volta ferveva la vita brillante di un t:abar,1 notturno; enormi specchi incrinati a metà, sepolti sotto l'inevitabile ammasso di cartaccia e di stracci. Una parete fabbricata in fretta, leggera e traballante, ha nascosto queste rovine e il nuovo caffè si è aperto e fa affari d'oro. Si parlò dei ragaz.zi che vengono mandati in trincea dopo 10hanto dodici ore d'i,truz.ione militare. Raccont:ij della mia esperienza falla dal parrucchiere, dove quattro donne slavano sedute ptr farsi fare :a pt"rmanente. Non si mossero quando una bomba colpi il caseggiato, due piani sopra alle loro teste. Ci ricordammo di uno eh<', dal quinto piano di una casa, contemplava con un canocchialc un attacco alla Casa del Campo. Una bomba cadde vicinissima a lui. L'individuo del canocchiale andò per qualche minuto altrove ·e poi ritornò impa\ido nel• l'antico posto < dove si vedeva meglio •· In qudla casa traballante vivono ancora famiglie intere. In una ,t.tnza, ch'era una volta la sala da pranzo, alla parete di faccia che è ancora. in piedi, sono appc1i i ritratti "<!4 due coniugi, impacciati e gvffi nei rigidi \C1titi nuziali. l..ina certa sete cominciò ad oueuiollarci, una sete che chicdeva un bicchiere di birra. Decidemmo per e Chicote ». Scen• demmo una via traversa che conduceva al P1ado, udimmo il fragore di un proiettile esploso venire dalla parte della Gran Via, e, a 1cntirlo da dove cravamo, pare\'a lo icoppio di una cava. di pietra. Udimmo una seconda. csplosionr. Le strade erano affollate da gente che correva a destra e a sinistra AITrettammo il passo, curiosi di vedere che cosa era accaduto. Proprio a qualche metro di distanza dn e Chicote », nella Gra11 Via, vedemmo una foua enorme, con anunauatc intorno pietre e calcinacci ; di là parth a una striscia d_i sangue che giungeva sino alla porta ·del rttrovo. Il caffè « Chico1e > era affollato da uno1 quantità di miliz.iani, di ciuadini, di ra• gazze 1pagnole dai capelli ossigena, I.a Lirra era 011ima. Qualcuno buttò dei ~c<.- chi d'acqua contro la porta per togliere h· macchie di sangue. MARTHA GELLHORN
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