I I. ( PALCHETRTOIMAN) I ..;:::..,> ill& ~il~~ ~Q~~ IL < TEATRO DELLE ARTI> ha messo in .scena la Nina boba di Lope dc Vega, anzi la Nina bona, come, con squisito senso di romanità, stampò un nostro grande quotidiano. Per quanto giustificato in parte dalla miseria del presente, l'estetismo erudito che detcnnina queste pie riesumazioni è un sen1imcnto che noi non condividiamo affatto. Presto questo scntìmcnto degenera in civetteria, in mania, in vi2.io. Abbiamo degli amici cariuimi ma musicopari, per i quali, dopo Bach, la musica non è più se non orrendo liquido di cloaca, li loro affetto è pruiosissimo, ma le loro s.t:ratc musicali sono un<, .strazio. E non staremo a dire le nostre pene qu,ando, seduti con gli occhi ciondoloni e il mento sul tappeto davanti al radiogrammofono sul quale im• placabilmente girano i Francesco Cavalli, i Giulio Caccini e gli Schutz, ci sforziamo di :~:::e :c~r~:~d~ueJ/i :t~!~:in:~i:i 0 t: dc~~ un nonnulla basta a ridestare. Commedie come la Niria boba presup• pongono un umore sereno, un fegato nou ingorgato, una coscienza. leggera come un palloncino da bambini, una situazione fi. nanziaria al riparo dai crac di Wall Street. Che possono su di noi, affamati di drammi, assetati di miracoli?... Ci rimangono fra dente e dente come semini di zibibbo e, più che dileuarci, c'irritano. Schopenhauer, il suo musico prediletto r,.1 Rossini: musico d'avorio, ,nandarino dei suoni, s.atrapo delle biscrome, giocolie• re del pettegolezzo pentagrammato e deUc futilità, Ma Schopenhauer praticava l'atarauia per igiene, non rispondeva ai discepoli « per risparmiare il fiato> e la musica più che altro gli &ervivada digestivo. A noi, nati e cresciuti nel sentimento « cristiano, della vita, è difficile conce• pire mondo che di questo sentimento sia privo. Come sopportare però lo sguardo corto di un Lope dc Vega, l'inanimismo di un teatro puramente di costumi, 1,a paganità di quei c: brevi giochi > che prCi:edono l'c altro> cristianesimo, il romanticismo che gonfia il cuore di Achim von Arnim, di Carlo Baudel3.ire, di Rimbaud? Non siamo CO)} sazi.i da ridurre l'arte alh funzione di sruzzicadenti. La nostra è f.:ime da barbari. Abbiamo biso8no di cuori che ~ttano, di panioni che ci arrotolano come salami e ci scaraventano a tcrr~ come strace1... Abbiamo bisogno di patria. Lope de Vega, anche più di Aristofane, anche più di Molière, anche più di Goldoni, è un cibo da fe;tiual. Un uccello meccanico dentro una gabbia d'oro. Per go• dcre dei suoi gorgheggi, dei suoi trilli in• nocenti e spassionati, bisogna scaricarci la testa di ogni idealismo caldo; mungerci il cuore di ogni desiderio d'amore e purgarci il giorno prima. Comrnedie come la Jliria boba non vivono in altro clima se non in quello della pafezione. Fuori di questo, si avvizziscono e si piegano sul gambo. A un giocoliere, che altra speranza non ha di catturarci l'animo se non tenendocelo sospeso al giro futile e miracoloso di quauro sfere di cristallo, errori e strappi non sono tollerati. Nonostante il nobile e tenace sforzo di Anton Giulio Bragaglia, nonostante le ge• nerose fatiche delle 10rellc M urioz che rr• citano, cantano e si travestono da uomo, nonostante le scene di Domenico Bologna e i costumi di Maria Signorelli I questi e quelli troppo poco e trasposti :t a gusto nostro), l'orchcs1rationc della Niir.a boba non mancava di strappi: per colpa di Nikj Leonetti (puché e Nikj > ?) che cammina sulle .riinocchia, pasteggia con giulebbe e camomilla, e ha i movimenti lenti e molli del pc.sce nell'acquario; per colpa della signorina Margara Murtaner, che nasçon• dc nel fondo della gola un 1cgamino nel quale le parole sbattono come uova non ancora rapprese; per colpa dei signori Cubillic, VaJentin, Fuentcs, c.he entrano cd escono di scena come se entrassero e u$Cisscro per sbaglio, e mancano di quel ritmo che nell'arte del tealro è neceuario sempre, ma più che mai in quelle equazioni di contrappunto che sono le commedie di costumi. Per il lato e positivo > dello spettacolo, esso si acccn1rava quasi per intero nella persona della signorina Pilarin M..urioz, prima attrice del teatro Lara di Madrid. Pilarin ha una testina da cavalluccio marino, è leggera in alto e piombata in basso come i misirizzi, oscilla ma non cade. La sua recitazione C un'« inchione » perfetta di 'àrguz.ia e di vivacità. Di aurici come Pilarin Muiioz, i francesi dicono qu'elle1 brQlent le, plancl&es. Ma il palcoscenico del c: Teatro delle Arti :t è fatto di materiale refrattario. A Pilarin Mufioz auguriamo di reintegrare prc.sto il suo teatro Lara di Madrid: a noi ch'ena rimanga in flalia e reciti in italiano. Di attrici • che fanno acqua > ne abbiamo in quantità, italiane e non ila• liane: pochissime che, al pari di lei, sic. no asciutte, spiritose e c: ritmate> come le cicale. Quanto alla convenienza di recitare la Nina boba in castigliano, una tesi molto accreditata vuole che chi conosce J'i1aliano capisca anche lo spignolo. Ma è una tesi sostenuta per lo più ,!elle pensioni di famiglia, al finire dei p35ti. Noi, per colpa probabihncntc della nostra intelligenza inferiore alla media, del testo cauigliano di Lope dc Vega non abbiamo rapito un'acca Al RE!lTO SAVJNfO &1 ULL'APPl:..~N INO tosco-emiliano si incontrano, per sentieri' adatti alle capre, i militi della Forestale a cavallo. Portano il cappello alpino, e, appena la stagione diventa rigida, lunghi cappotti grigio-verdi: a tracolla hanno il moschetto. Dalla mattina alla sera questi militi, che vanno per la montagna a coppie, percorrono la zona assegnata alla loro sorveglianza. Sono giovani venuti dalla Romagna o dal Veneto: e hanno fatto presto ad abituarsi alla solitudine di questi monti. La loro caserma è in paesi di poche centinaia di abitami, vicini ai mille metri e ai valichi che un tempo servivano alle corriere fra i ducati di Modena, Parma, Lucca, Massa e Carnlra. La loro caserma non t che la casa per la loro famiglia; il corpo di guardia invece p~ò dirsi esteso a tutta la montagna. La casa del milite e allegra con donne e bambini: le loro mogli e i loro figli. A noi che domandiamo notizie dei loro mariti, queste spose indicano i monti dicendo che non ne torneranno çhe a sera. :'via il milite forestale ha ore che trascorre in cas.a, e non soltanto per riposarsi. Non manca mai, quando il milite è a riposo, qualche montanaro che viene a chiedere consigli. Pastori allarmati perché i loro pascoli mostrano da crepe improvvise la minaccia della frana: boscaioli che devono tagliare un bosco. I militi interrogano, prendono appunti: promettono il loro intervento. Andranno a sondare le crepe dei prati per vedere se davvero vi sia pericolo di frane; entreranno nei boschi per segnare quali piante possono essere abbattute e quali invece conservate. Non si tratta di imposizione: questi montanari sanno benissimo quanto giovi rivolgersi alla esperienza dei militi della Forestale. Seguendo i loro consigli, i paesi mostrano di essere solidi e i beni sicuri. Dove prima erano terre infruttuose e aride, ora nasce l'erba e pascolano le mucche. Il milite è il medico non solo dei faggi, degli abeti, dei larici, dei salici; ma di tutta la vecchia montagna appenninica. Un bosco da tagliare non è operazione da lasciarsi all'arbitrio dei boscaioli. Le conseguenze di un taglio mal fatto, seguente solo un utile immediato, tutti ormai sanno quanto sono imprevedibili. Coste tranquille, piene di pascoli verdi, si sono viste franare improvvisamente in seguito a un taglio incau~o. I montanari ormai non sono sorpresi dalla sorveglianza dcli? Milizia forestale: i militi dalle fiamme verdi e dal cappello all'alpina finiscono per essere in questi paesi indispensabili al pari del medico, del farmacista, del veterinario. L'opera di questa Miltzia avrà conseguenze di grande portata. Paesi poveri, dove l'emigrazione, sia verso l'interno sia verso l'estero, è continua a -causa della sterilità dei terreni, avranno intorno a sé quel tanto di campi sicuri e sufficienti alla vita dei loro abitanti. Questi montanari, ora costretti a andare a far da muratori in Francia, si daranno ai lavori agricoli. Muteranno i loro cosrumi. Intanto, è il paesaggio italiano che cambia: e non per improvvisi cataclismi, ma anzi per le cure quasi non apparenti della Milizia forestale. Luoghi aridi, senza vegetazione, appariranno verdi e fiorenti. Si tratta, infine, di rimediare anche ai danni fatti da speculatori disonesti durante la guerra europea, quando i grandi boschi di abeti e di faggi che coprivano le coste dell'Appennino furono abbattuti furiosamente. Fu una strage di alberi. L'Italia aveva necessità di legname e non di quello delle colline, cipressi e magrissimi olivi; ma il legno forte di questi monti. Gli abeti furono abbattuti e tagliati; i prigionieri austro-ungheresi vennero per questi lavori. C'è tanta gente ancora, nei paesi dell'Appennino, che rammenta i croati e i bosniaci, vestiti di giallo sporco, colore delle ·terre brulle. Il legno se ne andava lontano soe? le funicolari, oppure a dorso di mulo, per raggiungere le strade dove attendevano per la carica i piccoli camion di quei tempi. L'Italia era ed è un paese povero d'alberi che ha grande bisogno degli alberi. Le alte e ripide coste dell'Appennino franerebbero qualora l'intrico vivo e tenace delle piante venisse a mancare. t ciò che è accaduto in seguito ai tJgli del tempo di guerra. Cosi il compito dei Forestali è ben definito: sorvegliare che non avvengano dannose speculazioni: provvedere al rimboschimento nei luoghi dove il terreno per povertà di vegetazioni minaccia una frana. Si tratta di un vero e proprio lavoro di bonifica. Insieme a due militi, abbiamo percorso molti chilometri dell'Appennino toscoemiliano. Le nostre guide ci hanno mostrato i germogli appena piantati, cht:' domani diventeranno alte piante piene di fronde. Non si tratta d'altra parte di semplici militi. Questi giovanotti della pianura hanno imparato ormai a conoscere una pianta come il medico conosce un paziente. A chi giunge di fuori e resta sorpreso alla scoperta di una terapia forestale, i militi dànno spiegazioni con entusiasmo. Indicano l'età degli abeti: parlano dei vari malanni che possono capitare a un bosco, e ai vari rimedi che devono intervenire. Due militi a cavallo che vanno dalla mattina alla sera per i boschi e i pascoli bastano a tutto questo. Quando si incontrano ufficiali e sottufficiali della Forestale, vuol dire che siamo vicini a lavori più in grande e a cure più radicali. Gli ufficiali della Forestale sono tutti laureati in scienze agri- ' cole e natural.i; tanto che non di rado i montanari preferiscono chiamarli e doh tore • invece che • tenente• o •capitano•· Anche i .sottufficiali hanno compiuto studi non lievi riguardo alle piante e alle colture necessarie alla solidità del suolo. In più, tutti vantano singolari esperienze. Ti fanno nomi di paesi come a rammentare battaglie vinte. Paesi dell'Alto Veneto bruciati dalla guerra. Ora è la volta dell'Appcnninoj del vecchio Appennino che ringiovanirà pezzo per pc.zzo seguendo una cura efficace quanto elementare. Appena i militi d'una zona hanno segnalato a un comando i pericoli di frana, qualche ufficiale e qualche sottufficiale arrivano e subito si stabilisce un ordine di lavoro. Non occorrerà per salvare i monti l'intervento di nessuna macchina. Quella del rimboschimento è faccenda cui occorre • '!.(pra,t(.nto puic:nza e avvedutcz:ta. Le pianticine tenere vengono da vivai; viste a mazzi, sembrano erbe da coltivarsi in un orto, per p~i fame una insalata. t forse perciò che alla loro piantagione sono adatte specialmente le donne. Gli uomini, sempre assunti sul posto, si addossano, secondo gli ordini dei sotrufficiali, i lavori più pesi come quelli dello spianare il terreno e del rimuovere l'impaccio di rocce o di sassi. ln seguito, si praticano sul terreno tanti piccoli fori, e alla fine interverranno le donne. Montanare che fino a ieri non sapevano che andare al servizio a Genova o a Bologna, diventano improvvisamente giardiniere, Ma sull'Appennino la Forestale non ha soltanto il compito del piantare germogli nei luoghi diboscati. Occorre, inoltre, ar- "Rleordo ad Omnibusdi Oiuuppt D'A.Dgelo, 1 ,ta LarJ,:aN. 6 1 B'llmou 11 restare le grandi frane già in corso da secoli. Le frane erano fino a ieri un fenomeno consueto dell'Appennino. Coste, dove magari erano paesi e pascoli, franavano improvvisamente, e non v'era nessun modo per arrestare una simile rovina. I paesi ogni tanto si traslocavano: cambiavano località ogni cinquant'anni; e non mancano a proposito alcune stran'e feggende. Si parla di contadini che, vangando un proprio campo, hanno trovato la cima d'un campanile. Si racconta di cimiteri che improvvisamente precipitarono spargendo per lunghi declivi ossa bianche e calcinate. Fantasie popolari, certo; ma pos~ono essere anche gli echi di antichi cataclismi. Il fenomeno delle lavine è continuo. Grandi terreni, distesi sulla costa d'un monte, franano lentamente da secoli. Si tratta di terre umide e friabili: che vanno a finire nei torrenti o nei fiumi in fondo alla valle. Una lavina per molti paesi vuole dire la povertà dei pascoli e delle colture ag(icole. La Forestale intanto sta provvedendo, fra lo stupore dei montanari che fino a oggi hanno creduto le lavine un male irrimediabile. Non si tratta, questa volta, di piantare piccoli abeti o faggi, Occorre una cura più forte. I lavori tutta• via vanno avantì alla svelta. Arrjvano dalla pianura, insieme agli ufficiali e ai sottufficiali, terrazzani, specialmente nativi del Veneto, che scaveranno nel terreno malato tanti pkcoli canali, i quali, raccolte le acque, le porteranno in un canale del centro. Proprio come quando in pianura si bonifica una palude. In fondo, non si tratta che di regolare il regime delle acque appenniniche prevedendo le piene della primavera e dell'autunno. I militi della Forestale, questi giovanottoni che nei loro chiusi cappotti sono un po' i cavalieri dell'Appennino, presto non avranno che da cavalcare di paese in paese. li loro occhio sicuro sarà attento alla vita dei nuovi boschi che essi videro come orti di erbe per le massaie. Cosl comincia la storia moderna di questi paesi. L'altra storia serve ormai ai racconti serali, e non è una storia antica, che anzi basta per essa la memoria dei vecchi. Più indietro c'è una grande ombra, né ad alcuno viene in mente di forzarla. Tutto al più si lascia fare all'immaginazione. Dove a cavallo correvano i briganti ora passano a piccolo trotto i militi dalle fiamme verdi. Sono gli amici di tutti, e tutti li salutano cordialmente da lontano. GIULIO OAZZI ~~4->a DEL VANTAGGIO LE DUE grandi quinte t:he 1i ah:.:1no su quella cht fu Piau,a Rustit:ut:t:i, mostrano ant:ora una volta t:ht non si s.:1 trova,, una ;olu{ione dopo l'avutntato abbattimento delfo « Spina :t. e f.:1cilt immaginMt:i l'impauio e la indecisione che 1ove111a i pot:hi responsabili di qut1to uuoto int:olmabilt. Più il tempo paua, essi mt· glio d'ogni altro devono eJJtre cc1tretti a eomprendere come sia impo;1ibile trovar qualcosa di diverso e di mtglio delle vec• chie a,chitetture che isofovano San Pietro. In fondo, qua11.do1i dtt:i,e di abbattùe la <Spina> non si /at:tva altro che perseguire un'idta rettorit:a. Non t:'è niente di meno cont:iliabilt alle regole severe dell'architettura qullnlo i piani regolatori da applicare a quartieri dai caratttti e dalle nue,sità be11 definiti. Del resto, nemmeno quando 1i costruiu, una t:ittd nuova del tutto, il piano regofotore potrà euere t:onctpito ambiliosamente libtto da quelle t:ht 1ono le condilioni dell'ambiente. Il terreno, i coui d'acqua, il clima saranno sem• Prt /allori di cui si dovrà tenere t:onto. Riguardo poi a Piaaa San Pietro, abbat• tere la e Spina :t ha signifit:ato /llrt un esperimento, t:he ora dimostra la vanitd dell'impre;a. Co;l si stanno irinah,ando quini~ di l,gno e di tela; si ragiona di , nobili i,.turompimenti >; che è t:ome confessare apertamente di uolere rimediare alfo mt• glio al danno t:ompiuto. • O RA, finalmente, si vedono tli avanà dell'Au1usteo, ualt a dire del Mausoleo di Augusto: pochi sassi sen;:ll alcun fascino, nemmtno per il forestiero più disposto alla t:ommoàont davanti alle vesti• gia dell'antit:hità. Ci si avvede finalmentt che, Jt rton altro, prima detli in.hinti t n,n ancorn compiuti lavori di e isolamento :t, l'Augusteo avevn una fimòone, mtn• tre d'ora in poi altro non potrà e1ure che un freddo rudere nel cen1ro modtn10 di Roma. D'altra parte, cht t:'era di meglio per un antieo monumento drll'avtre una funtione fino nei tempi moderni? L'ete,nìtd di Roma sta nel modo con t:ui ha setr.• pre evit.:110 di diventare una t:ittò morta, un.:1 città-muuo. Fin dal Setlecento, nell'anfiteatro si davano pubblici spettacoli·; quando crollt} la volta del Mau1oleo, il luo10 anii divenne adaltiJJimo alle fiere e ai fuochi artÌfit:iali. Cosa si put} domandare di meglio a una archiltttura se non di render;i utile? Co1a t:'è di meglio di un'art:htolotia t:he non vuole custodi e pro/t1· s'?ril Quello che verrà fu.ori darl'Autu.• 1teo, ora così terremotato, non lo Jappiamo verllmente immaginare. Resterà un ru• dtre con intorno un vuoto squallido, I!. ben manifuto, infine, che è ormai impossibile ritornort a uno qualsiasi unità architettonit:.:1. Si p1n1a forse ai giardinetti umbertini? Ma soprattutto t:i mtraviglia cht, ntl 1938, si crnfn ant:o,a che touhi a1li archeologi di siJlemart le t:illà. Eui non 1ono che i corvi dell'.:1rtt. Tn1omma, dopo i restauri, avverrà questo: l' Auiusteo avrà il disintereue di tutti. l'occhio lo 1/uttirà t:ome qu.:1lcosa di insitn.ificante, Non si vorrà cutamtnte pretendere che i cittadini pensino alle grandei• lt di Roma, po1ando tli oulii sullt estrcita<,ioni di giardinaggio degli archeoloti. MASSIMINO ( ILSORCNIOELVIOLINO) ~J1lfil'Ja!&~ MllllTllfll DAL PUBBLICO folto e nereggiante su ogni ordine e posto, un gran carico d'attesa si scioglieva adagio come neve, nel rigido silen2.io della grand'aula sinfonica, quando il violinista Milstcin usci lieve sfiorando l'orchestra, e venne a porsi modestamente a finnco del maestro direttore. Milstein si presenta alla ribalta in giacca da passeggio e pantaloni poco stirati. Ha il colletto basso, e due occhietti da topo, da topo furbo e domestico. Però i suoi capelli neri, pettinati all'inglese, lampeggiano di pomata. I polsini glì spuntano correttamente di un centimetro fuor dalle maniche. Sulle quali, mentre suona, tre bottoncini in fila luccicano alla loro \'Olta come gli occhi di tre topolini. ' L'apparizione furtiva e la naturalezza di quest'uomo, che sembra in casn sua, e il suo modo di suonare tranquillo t m• curante hanno del portentoso. Potreste dirmi: • Adesso, cosa c'e1itra questa lista di connotati?•· Ecco qui: nel!a sala faceva freddo a'-t-ai, grazie alla funzionale lentezza del termo• sifone. Sedendo in prima fila, proprio lì nelle poltrone sotto il podio, le orecchie dentro il bavero rialzato del mio pastrano, la musica l'udivo appena, attraverso I I stoffa debole e rarefatta. E mi contentavo di guardare con qualche ammirazione questo russo senza pelliccia,"' che nelle brevi e gelide pa'use del suo concerto cavava foori dal taschino un faz.zoletto bianco e s'asciugava la punta delle dita madide di sudore.. Sudava poco, ma sudava scn;,;a sforzo, mentre gli altri tremila tremavano in quel reparto polare. L'arco facile e sapientissimo, la dolcezza della cavata, l'agilità incredibile_ dtlla sua mano sinistra sono i mezzi di questo artista. Senza dar nulla a vedere, Nathan Milstein sa valersene per inalzarsi • poco a poco, con un giuoco leggero e continuo, nelle alte atmotfere dove ha princir,il') il vibrare .felice dei paradisi. Questo va detto a proposito del Con• cn-to fo Rt maggiore di Beethoven. Questo concerto così misterioso,. coal metafisico. Questo concerto fatto di te• rafiche rivelazioni, di presenze invisibili, di passi attutiti, d'agguati e di calcolati rapimenti, lo si dovrebbe suonare in una sala nuda, rettangolare, semivuota, e immersa in una luce latente. L'ampiezza affollata e la domeniC'alc illuminazione del teatro Adriano, non rispondono a questa sorta occulta, lampante e gelosa di musica da camera. Infatti, son tanti segreti successivi e trascendentali che il concertista SC'oprc,via via, di misura in misura, con una prudenza e un'abilità sorprendenti. Con questo concerto Beethoven• esce pigramente, tutto sonno e polvere d'anni, da un vecc))jo violino d'autore, e scuote nell'aria il mazzetto appas..'i.ito dei suoi campanelli d'argento. Indi, con ghirigori variati e inotivi fitti di note che si spargono echeggiando, Beethoven vie11e pian piano accerchian• do l'ascoltatore, e senza scampo. Milstein spiegò dapprima 11 suo stile senza passione in una scalu di suoni luminosi, tiepidi e trasparenti. La linea canora esce sens1hilissima dol suo arco umido e cupo, come da una bocca malata. Poi, un impeto di larga melodia, una calda afflizione musicale trnhocca a fiotti dai suo meraviglioso istrumento. Al pubblico piace quel suo ordine delicato. 11 sobrio e solitario violinista non aggiunge una smorfia né un ,:ommento alla bontà dei suoni che il suo riscaldato istrumento diffonde nella luce.· Così, con molta fortuna e 1nolti applausi, passò la prima parte del programma, che s'apriva con la sinfonia dd Maestro d1' Cappella di Paer, scrupolosamente diretta dal Maestro Calusio. Dopo un brano di M,turice Rave!, e~cguito con molta fin1.:;;;zadall'orchestra, venne a chiudere il programma il Concerto in Sol mù,ort di :vtax Bruck, per violino e orchestra. ' E questa volta il pubblico, pn applaudire Milstein, s'è mo:-i-o come un sol uomo, dalle cantine ai trtti dell'Adriano. È doveroso aggiungwe che l'orchestra accompagnò quasi ali;\ perfezione il perfetto concertista. BRUNO BARILLI LEO L0NCANESI - Direttore responsabile S. A. EOlrRILE .. Q~ISIUU!),.. \111.A\'O Prol)fict;\ t1fli~1,u e 1,11.-,11ri11 ri1H,·111n. RIZZOI.I & L • °'" ,~, I Ari.- dtll:-. Man,p"' • \lil;on,, Rll'KOl.>LZJo:-.1 lc',U,UIIE t.1)\' \l,\lt-:RIAl.t-'. t'OTO(,RAt'ICO • FF''{Jt.\SI \ "·
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