Omnibus - anno I - n. 38 - 18 dicembre 1937

.. ,7 DUE ROSPI più grossi per la critica U} mematografica americana, in questo momento, sono i fratelli Marx e i fratelli Rit-z. Il primo è stato già ingoiato e quasi digerito, ma dt:I secondo non vogliono saperne. Per i fratelli Marx si è invocata la commedia dell'arte, l'intellettualismo clownesco, Freud e tutta la bella compagnia, e con referenze simili non c'è critico che se la senta di rifiutare 11nuUa osta. Per i fratelli Rit'L. la cosa è pìù complicata: siamo di fronte alla nevrastenia pura e semplice, alta contraddizione, al capriccio, all'arbitrio più strampalato. In queste condiL.ioni la diffidenza e l'ostilità di chi è abituato a rilasciare diplomi di nobiltà solo in base alla tradiziom:, sia pure quella quarantennale del cmematog:rafo, ijppare giustificata. Effettivamente, la differenza fra questi due famosi terzetti di buffoni è fondamenrnle. I ~larx si fa presto a presentarli, anzi ci pensano essi stessi, con quella loro maniera così irrazionale, eppure cristallina, di porre le questioni e definirle. Un giorno fu chiesto a Groucho - il cervello del terzetto - se eui avessero qualcosa in comune con Carlo Marx. • Nulla, nulla•, rispose GÌ'oucho. • Da quel poco che so, quel tale era un borghese, con la logica, la grettezza mentale e lo scetticismo di un borghese. Se qualcuno gli a\'esse detto che, nel pal:izzo accanto, era nascosto un tesoro, egli, sapendo che accanto non esisteva alcun palazzo, avrebbe scrollato le spalle. Noi. invece, anche s1tpendo che accanto non c'è alcun palazzo, ne costruiamo uno, e finiamo per tro\'arci il tesoro, almeno nei nostri film•. Mi pare che sia chiaro, o per lo meno che sia chiaro che cosa sono i fratelli '.\•larx. Ma facciamo in modo che sia ancora pii.J chiaro: Groucho sta lavandosi le mani, e il giornaliStJ che gli sta carpcndo delle dichiarazioni sulla tecnica dei loro gogs, distrattosi per un momento, si è messo a fissare l'orolo~io da polso del comico, ch'egli ha posato sulla mensola. Groucho si accorge di quello sguardo, afferra l'orologio e lo butta nel catino: ,, ì\Jeglio arrugginito, che nelle vostre tasche •, dice al giornalista che non sa se ridere o offendersi. Ma Groucho non l'ha detto per offenderlo, né per farlo ridere: soltanto per provare la b11ffon;\ta. Se il viornalista nde - e egli ride infatti - è un 'altra risata di prova che ._, aggiunge alle tante altre risate di prova che lo scherzo ha già provocate. E ce ne vo~liono molte perché la buffonata entri in repertorio; e quando vi è entrata, biso~na che essa sia consacrata dalle risate di innumerevoli platee, in innumerevoli repliche del t•attdc,_-i/le perché essa sia poi definitivamente adottata nel film, che i fratelh Marx ricavano da quel 1:aude1 i/le. • Grandi e infiniti sono i misteri della psicologia; ma nessuno è più grande di questo: che cosa ci vuole per far ride~,: il pubblico? Da venticinque anni noi I, facciamo ridere e ancora non conosciamo la teoria del riso. Spesso proviamo d gag su Zeppo, che una volta faceva da quarto fratello, e che ora è l'amministratore della dina. Ma in lui c'è un po' di deformazione professionale, e il successo o l'insuccesso non è sempre probatorio. Ci affidiamo, il più delle volte, a una specie di sesto senso e, con l'aiuto di Dio, andiamo da\·anti al pubblico. l!: lui il nostro giudice; accettare o escludere una buffonata in base ad altri criteri è un grave errore. t il pubblico che l'accetta o la condanna per noi. Ancora oggi questo metodo empirico è il migliore•. Ma prima ancora che il gag sia sottoposto alla prova degli estranei, occorre chi: i Marx siano d'accordo su di esso. La tecnica è semplicissima. Ogni dieci ~iorni circa, c'è gran rapporto di Groucho, C hico, Harpo e Zeppo. 11 primo ad alzarsi è generalmente Groucho, che propone il lazzo o la freddur"a, e così di seS{Uito fanno gli altri. Se sono tutti d'accordo, la freddura è ammessa all'esame della platea. Se sono tutti d'accordo nel ritem:rla debole, la freddura è seppellita per sempre; se i pareri sono divisi si comincia subito l'esperimento con i dome- ~tic1 e i;t:l'intimi. Cna volta Groucho ebbe un'idea per 11 film Zuppa olandtst, che era già in lavora.tione. Egli avrebbe condito un enorme piatto d1 spagheni col bicarbonato di soda, e al cameriere esterrefatto avrebbe dc.:tto: E cosi mi procuro e mi curo l'indi;:c.;!.Ucme nello stesso tempo •· Recandosi allo studio , egli si fermò da un i;:1ornalaio e lanciò la bar.celletta. Ma il gtornalaio gli rivolse uno :!.guardo pieno d'odio, e Groucho capi ch'era meglio non 1nsisu.:re; a, fratelli non parlò nemmeno ddla cosa. Un paio d1 mesi dopo, quando il film era già finito, Groucho si fermò Ja quello stesso imrnala,o: • Se sapeste, ,,gnor '.\larx, quante \·ohe ho riso fra me e mc... ripensando alla storiella del bicarbonato e degli spaghetti Che 11 d1a- \'Olo \ i p1g:h, ma perché allora m1 guarJ.istc coi.i male? •. • Ah, quel giorno ave- \ o un terribile mal di denti e non mi nus<.:1va di pensare ad altro che al mio mal di denti •· Le cm,e eh~ 1 :Vlarx dicono e fanno, r.1sentano spc.si.o la follì.1 o l'idiozia, ma le follìe che commettono sono attenuate e quasi addolnk dalle idiozie che dicono, r- que~tc sono 11robust1te dalla rmmica e ,l.illc estr~e pantomime dei buffoni. t.:na donna, alla quale il manto ha comprato una nuO\a macchm.1 per larnrc i panni, piena <li pale e shatmo1, la rimanda mI dietro perché: • Ogni volta che c'entro dentro, le pale per poco non mi rompono le ossa , essa dice. La scemenza è però galvanizzata dalle smorfie di Chico che le conferiscono finezza e rilievo. Spesso è il caso o la fortuna che salva le loro battute. Una barzelletta basata su un gioco di parole, intraducibile e troppo sottile anche per gli americani, riguarda gli azionisti e i viaggiat,,ri clandestini. Groucho, condotto con gli altri due davanti al capitano che li aveva scoperti nella stiva, diceva: • Noi siamo degli azionisti•. • Ah, sì, azionisti•, scherniva il capitano, • voi siete dei miserabili viaggiatori clandestini•.• Be'•, replicava Groucho, • gli azionisti di oggi sono i •viaggiatori clandestini di domani •. La battuta non ebbe alcun successo fino al giorno in cui il crak di \\'ali Street non giunse in tempo a darle un maspettato sap. re. Essi hanno i loro •tabù•, come tutti i comici, e tanto più h rispettano in quanto sanno per esperienza che è assai pericoloso prenderli alla legger"a: sono i• tabù• dell'americano medio, quelli cioè che per nessuna cosa al mondo si \'Orrebbe veder prendere in giro: gli sposalizi, le associazioni di mutuo soccorso, i boy-scouts, la religione, gli eroi nazionali. Una volta Chico provò sul pubblico un.- ~ ridia: Lindbergh tentò di attraversare una seconda Volta l'Atlantico, ma a metà strada si accorse che la benzina era finita e ritornò indietro •· li pubblico non rise, e anzi qualche mormorio ostile serpeggiò nella platea. Chico non voleva rinunziare alla storiella e, alcune sere dopo, non più Lindbergh, ma Chico stesso era 11 protagonista dell'avventura, e il pubblico rise a crepapelle. J0AN 0RAWP0RD E IL SUO PRODUTTORE J. JUNKIEWIOZ DURANTE UNA SOSTA DEL FILM 11KANNEQUIN' 1 01. O, lii.) 11 grande successo dei Marx Brothers si spiega facilmente: • Ognuno di n01•, ha scritto un grande medico mondano di malattie nervose, •è, in fondo, un Marx Brother. J Marx dànno fom,a concreta ai nostri desideri repressi. Se, per esempio, qualcuno vi ruba la ragazza o il posto, voi non riuscite a immaginare dispetti o rappresaglie abbastanza raffinate per il mascalzone. Ebbene, q~1esti dispetti ci pensano i ~arx a trovarli per voi •. cosa fosse quella sera, ma eravamo terribìlmente sicuri di noi. L'inferno poteva aprirsi sotto i nostri piedi: il diavolo sarebbe salito da noi per divertirsi, tanto eravamo sicuri. Ogni smorfia, ogni passo, ogni stupidaggine di ciascuno di noi ingranava con le stnorfie, coi passi, con le stupidaggini degli altri due, a meraviglia. Fu un successo da far piangere di gioia. Marshall, la Swanson e la Lombard ci mandarono dei biglietti: "Siete grandi, fateci ridere ancora". Ci guardammo negli occhi; l'ora era stÒrica. Uscimmo a ringraziare il pubblico che s~ torceva sulle sedie e applaudiva senza stancarsi, e, improvvisamente, afferrammo le prime tre ragazze sedute ai tre tavoli più vicini e I Ritz sono di un'altra pasta. Una pa- ci mettemmo a ballare la più veloce, la sta che, lo ripetiamo, non va a genio ai più violenta, la più omicida delle danze. critici p1u difficili d'America, i quali sono La ragaua chi! <.ra capitata a mc., e:,.. in sconcertati dalla esplosiva, arruffatissima preda al più vivo termre: "Dio mio, che ne~'rastenia che è illa base dell'enorme sue- dirà mio marito quando mi vedrà tornare cesso di questo terzetto, e non riesco- in questo stato?''. ''E chi è vostro marito?''. no a classificarla. Si chiamano Al, Jimmy "lo sono la signora Zanuk, la moglie di e 1-Jarry, rispettivamente di trentatrè, tren- Darryl Zanuk": "Dio mio, del produttuno e ventinove anni. Sono ebrei, e il tore, del grande produttore?". •·Certo". loro vero nome è Joachim. ''Dio mio!", e per poco non caddi fulmiFino all'anno scorso, faticando come nato. Ora sapete come siamo entrati nel dromedari nei caffè-concerto e nei music- cinema•· halls, riuscivano a mettere insieme. si e . I llit-z sono tre bravi ragazzi, che ancora no, ottomila dollari alla fine dell'ano&. { non credono alla loro fortuna e, comun- .-\ttualmente guadagnano non meno di que, non credono che il loro talento la ottomila dollari per setrimana. Il loro m- meriti. e I buoni gags sono così difficili a contro con la fortuna è stato fulmineo e trovarsi, e, senza gags, come si va avanti?•. paradossale come i loro gags. Si esibivano, Sono religiosissimi. • Non ci vergognamo una sera, in un caffè-concerto di Los An- a dirlo, ogni sera diciamo insieme le nogeles e, fra gli spettatori, c'erano anche stre orazioni•. • E che cosa chiedete al Gloria Swanson, Herbert l\larshall, Mar- signore?•. e Signore, dacci oggi il nostro lene Dietrich e Carole Lombard. Ma la- gag quotidiano•· sciamo raccontare a J immy: • ~on so che A. D. ~\Y©~u ll1 rlllll l&Lilllll 'i'7 L PICCOLO caffè attiguo al cineL] ma era gremito di giovani avvolti in pesanti pastrani, che discorrevano e guardavano distrattamente le gambe di due o tre sperdute rakazze, coperte di pellicce di coniglio. Erano i soliti clienti del locale: attori, comparse e qualche generica di seconda o terza categoria, in cerca di amicizie e di scritture. Una piccola folla ansiosa di gloria e di applausi, destinata invece alla pigra e umiliante ~ortr !ti Quelle chiacchiere piene d'invidia. Ji quelle occhiate gelide, di quella fiera delle vamtà senza spettatori. Fuori pioveva, e dietro i vetri appannati apparivano rapide le luci delle automobili che si fermavano dinanzi all'ingresso del cinema. Un pubblico doment• cale e mansueto si spingeva intorno al botteghino: signore accompagnate da bambini, uomini anziani con l'ombrello gocciolante, giovani impiegati con l'impermeabile bagnato e il cappello piegato sulla fronte, Non avevo voglia d'entrar subito. Bcnch6 questi pomeriggì della domenica sembrino intermmabìli e uggiosi, e si pensi al cinema come all'unica salvezza, pure s'aspetta fino all'ultimo che qualcosa venga a distrarci dal muto destino di quelle d1.1eore trascorse passivamente in una sala oscura e affollata. D'altra pane, lo spettacolo di quei giovani e di quelle ragazze, seduti sulle scomode sedie senza spalliera, m'incuriosiva. In quell'ambiente piccolo come uno schermo cincmatogra• fico, tra quei mobili lucidi e arbitrari, tutti stranamente pareva che recitassero, come in una farsa di Righelli o di Malasomma, anche la cassiera, i camerieri, i garzoni r"itti dietro il banco d'alluminio. A un certo punto, un giovane che parlava più forte degli altri, e rideva e s'agitava, s'incamminò verso un tavolo nascosto dietro un pilastrino di cemento. li suo volto era roseo e felice, la sua mano reggeva una tazzina di caffè. Era appena giunto davanti al tavolo, e aveva fatto il movimento di chinarsi, quando la scomoda sedia senza spalliera gli scivolò malamente di sotto, e il giovane si trovò seduto in terra, mentre la tazzina di caffè si piegava sopra il chiaro pastrano di cammello. Intorno a lui, la piccola folla di amici si mise a ridere soddisfatta; una ragazza, che di bello a\'CVa soltanto i denti, più di ogni altro mostrò di divertirsi al comico incidente. Potei osservare lo sguardo del giovane, mentre si alza\•a, così pieno d'angoscia e di vergogna da muovere la pena. Affannosamente cercava di pulire il chiaro pastrano dalle macchie che lo imbrattavano, insieme a un cameriere che sorLDISA RAINER IN 0ASA1 TOELETTA DEL MATTINO ridendo l'aiutava. Il giovane sfortunato dovéva sentirsi ridicolo e infelice; per quei pochi attimi aveva cessato di recitare, e ogni suo gesto era naturale e vero. • Chissà come reciterebbe una scena come que• sta, se gli fosse richiesta•. mi domandavo; • riuscirebbe ad esser vero, a 'ritrovare quello sguurdo smarrito, quei gesti pieni di turbamento e d'impaccio?•. Più tardi, seduto in fondo alla sala dd cinema, mentre seguivo la vicenda del F"oce Saladino ricoriobbi ìn una scena il giovane sfortunato. Lo si vedeva appena per qualche momento, in prima fila tra gli spettatori. Doveva soltanto applaudire, come tutti gli altri. E il giovane applaudiva, ma in un modo speciale, con gesti lenti e studiati, con un sorriso ironico e allusivo sulle labbra. Un sorriso che faceva dire: • Sì, sono tra le comparse ad applaudire, ma vedete bene che non applaudo come tutti gli altri; spero che qualcuno se ne accorga ... •. Allo stesso modo del giovane, ch'era appena una comparsa, anche gli attori apparivano mossi dallo stesso sentimento. Il film, che secondo i propositi degli autori e le speranze dei produttori doveva esser comico, raramente vi riusciva. E non soltanto perché l'intreccio e le situazioni erano in gran parte povere e scialbe. m:1 anche e soprattutto perché gli attori, tran• ne molto spesso Angelo Musco, e, in qualche momento, la nuova attricetta Alida Valli, riempivano la scena dei loro gesti fatui, dei loro sorrisi pieni di richiami, della loro voglia smodata di forzar le cose, di distinguersi, di sovrastare gli altri. E avevo la strana impressione che, oltre gli attori, anche il regista, i soggettisti, gli architetti, gli scenografi seguissero un impulso simile: di far vedere cioè le loro qualità e br"avure, di cui si limitavano a dare solo qualche esempio, riservandosi di meglio mostrarle in altre occasioni e con altri mezzi. La scenografia, per esempio, era sciatta e vistosa, puerile e falsa come la recitazione e la rcgìa. A veder quegli ambienti, mi veniva fatto di ricordare quante poche volte s'era veduta, in un film italiano, una messa in scena che non fosse approssimativa, priva di carattere, miserabile e vanitosa. E non per mancanza di mezzi, o incapacità degli oper"ai, ma solo per l'ignoranza, fretta, cattivo gusto, improvvisazione degli ideatori. Apparivano in questo film un teatrino di provincia, poi una pensione frequentata da attori, poi una trattoria all'aperto, poi un • ristorante di lusso•, poi un gran teatro di città. Ma niente distingueva il teatro di provincia dal teatro cittadino, la pensione dal ristorante di lusso; ogni cosa essendo disegnata nella stessa maniera, senza ironia, senza immaginazione, senza esattezza. !\l'infastidivano quelle pareti bi~nche, su cui maggiormente spiccavano le sgraziate movenze delle attrici; quei mobili messi a caso, quei costumi pretenziosi e goffi. E senza più seguire le sciocche avventure del feroce Saladino, mi andavo ripetendo che, per far qualcosa nel nostro cinema, bisognerebbe cominciare a liberarlo dai pit. tori mancati, dagli architetti senza clienti, dai giornalisti falliti, dai commediografi fischiati, dai critici venali. Ma purtroppo riflettevo che, dopo questa improbabile liberazione, il campo rimarrebbe pressoché deserto e vuoto. E siccome niente spaventa più del vuoto, era meglio rassegnarsi a tenere il campo affollato di tutti i rifiuti delle altre arti e delle altre industrie: di h1tti gli spostati, gli inutili, gli ambiziosi,- i provinciali, gli incompetenti, i bocciati agli esami, gli aristocratici decaduti, le sartine smaniose, le mondane in cerca di gloria. Di tutti gli illusi, insomma, che vogliono, almeno una volta, bruciarsi le ali come fa,falle al fuoco bianco dei riflettori, nei misteriosi teatri di posa. MARIO PANNUNZJO J

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