M!llllOKII ~USATI VITTORIO IMBRIANI fu di ,1ucgli scrittori a proposilo dei quali, se ci si limita!<ISCa fare 1111 c-logio alla coerenza, si ri- '< h1l'1L'hht• di ~iudicarc supcrficial1n1._·nk.\·iuorio ImbrÌ;_i_ni ,lpparc Oj:tgi, .i un 11ttt-11to kttore, c<x•rente dalla prim.1 .,11' ultun., pagina chr ,cri'ISl'1 vili che per convinzioni, per la vivacità aspra del , llUO temperamento. Con i suoi romanzi, con i suoi saggi, con i suoi articoli, e non meno con l'cpi3tolario, ci ha lasciato la storia cruda dei suoi risentimenti e dei suoi variabili umori. L'opera di Irnbriani è 1,mdocumentario autobiografico, ipcsso nella m,\nicra più grezza. I rnbriani è scrittore che porta dappertutto il segno dl'l suo carattere. D'altra parte, le ire e gli ~roghi in lmbriani erano una cosa scris:-;ima: si trattò di reazioni a persone a lui vicine o ad avvenimenti del suo tern.po i t.l.nto, che dai suoi romanzi e da tutte le l<UCprose l<i può cavare un quadro non soltanto aneddotico e pittore<K:o dell'Italia di allora. Di Imbriani, l'edit&-e Latcrta stampò mc!>i fa una raccolta di cronache d'.lftc e di prose narrative a cura di Gino Doria, e vi si svelava un non superficiale intenditore di pittu1a, <1uasi un precursore drlla nostra critica contemporanea: quel che accadde, del rc5.to, a molti di quei cronhti d'arte che come il Netti (di cui, a cura di A. Dc Rinaldi,, Latcr-ta ha edito una raccolta di scritti). furono vicini ai pittori dell'impressionismo napoletano. Ora siamo a un'altra raccolta di }ci-itti: Sette milioni rubati o .,: La Croce Sabauda > (a cura di N, Coppola, Later-ta, Bari). Coppola si confessa ricercatore delle carte di Imbriani. A proposito, interessante la nota che egli fa seguire alla prefazione della sua raccolta. Nella prefazione. Nunzio Coppola vuol es.sere lo studioso dello scrittore del quale ha cercato le carte : nella nota è, al contnirio, più che il critico il bibliotecario di esse. Del re,to Nunzio Coppola, sia come critico sia come ricercatore, mostra verso l'oggetto dei suoi studi e delJc sue ricerche un uguale impegno. Coppola, per primo, scarta che di Imbriani po~a ragion,m,i oggi per qualche attualità, lntcrc~,a ormai la. storia della letteratura· poco riguarda la cronaca di quella contemporanea. Imhriani fu un episodio nel suo tempo, e un epi~dio resta ancora : « Resta sempre un isolato anche ri~pNto agli uomini della vecrhia Destra, che <.-gli amava e esaltava. quali p. es. un Silvio Spaventa, ma forniti di un più acuto '>COM> realistico della vita nazionale, e pi·· ciò più veramente uomini poliùci >. Jmbriani non era .,crittore politico: era forse un buon patriota. o almèno uno che sembra amare il proprio paeM! facendo il moralista del tempo in cui ~li accadde di vivere. L'imma~inazione non gliel.i accendevano che i fatti dell'Italia di allora. I suoi racconti son tutti come parabole. Jn I mbriani ci fu, come si sa, una polemica antimanwniana ; ma, in fondo, oggi i tcm1ini di quella sua disputa col Manzoni si confondono. Appare chiaro quale diversità di attitudini li divide~se: di\'Crl<ità che impedivano a Jmbriani di comprendere, pur da lontano. la posizione del romanziere lombardo. La po.,izionc di lmbriani prosatore resta oratoria; egli è lo scrittore napoletano che se la prende con i piemontesi. A propo!)ito, veramente interessantì le lettere giovanili che Coppola ha aggiunto alla raccolta come saggio d'un pro55.imo cpi.::,tolario. Non esiste una polemica fra Manzoni e Imbria.ni. Ormai non si \'edc che una ribellione letteraria :.carsamente importante. lmbri:."l.ni volta le )palle a Manzoni come avrebbe voltato le spalle a qualsiasi altro poeta del suo tempo. Gli resta un rispetto verso Oc Sanctis, di scolaro più che di scrittore. Così stando le coc;c, la lcttl'tatura di Jmbriani può oggi inten.!~.arci o, come si è detto avanti, perché: !<pccchio di certi fatti e idee del suo tempo; o p,'rché storia di un animo inquieto fino all'cs:tspc1a1ione. Stile milioni rubati o « La Croce Sahauda » è lo scritto di maggior valore oclla raçcolttt odierna. St.tte milioni rubflti fo oggi venire in mente il ro• manzo « giJllo >; ma lmbriani non è lll'lllln<'IIO un precur~r(• del «giallo>. Coppola giu\tamcntc mette in rilievo certa di"ìtanza fra la prima e la bC· conda p.trtc del racconto. \'eramentc }i deve tenere conto che la prima parte ru dall·autorc scritt..i t· rhcritta. men• tr(' della seconda non ~i ha che l'abbouo. troncato dalla morte. Eppure d pare che, se anche della prima ab· biamo una \Cf~ione più claborat.1, è ndla 5-econda che "ìi uova lj coerenza ,cntimentalc di lmbriani. Nt·lb prima. !>i rrnrr..1.come il prota- ~oni~1,1. Giann,1tta'>io riccH'.\M' la imp1ovvi:-..t visita d'un amico che, partt-ndn p<'r Palermo. ~li affid.1 una valig:ia in dl·po,ito. Partito l'amico. i giornali pubblicano la notizia di un ~u.~as- ,inio ~ulla frrrovia Roma-~apoli: due impiegati di banca sono stati uccisi e derubati di una valigetta contenente ~llc milioni di lire. Al Giannatt:uio viene un dubbio ... Intanto, la polizia afferma che il ladro è morto. Giannattasio n0n ha più dubbi : apre la valigia e vi trova i milioni. Sciolto un nodo morale, decide di tenerseli (l'amico partendo lo aveva istituito crede qualora non tornasse più), impiegandoli a grandi opere. Questa la prima parte; poi Giannattru.io fa grandi cose; diviene il ministro salvatore della nazione. Giannattasio. fatta la sua Città'del Sole, è tormentato dal dubbio se deve lasciare ai figli il denaro guadagnato con i sene milioni infami. Va a consigliarsi coh Papa, che lo spinge a confessare pubblicamente. Co.,ì, finché si desta, t~ stato un sogno; l'amico torna; nella valigia aveva cose di poco conto. La favola moralistica di Imbriani sta, come si vede, chiusa in termini bonariamente narrativi, Imbriani era di quei narratori che, il raccontare premendo loro come mezzo felice per l'esposizione di alcune idee, finiscono col ricorrere ai modi romanzeschi più usati. E."ìiste una retorica narrativa, e questi S<" ne impadroniscono ingenuamente. Cosi la prima parte di Sette milioni rubati è un racconto scritto con arte all'apparenza consumata. Un lettore at• tento, tuttavia, come non si avvedrà che si tratta solo di uno sforzo? Il narratore par che freni i suoi impeti nella calma del racconto. Par che si finga un umile narratore, mentre ben altro gli urge dentro; per lui n:1rrare è una finzione, mentre per i romanzieri fu ~mpre un atto di fede. I due amici, Giann:-ittasio e Bignami, si incontrano. « Oh che gioia per entrambi! riabbracci:usi ! riparlare di que' be' tempi! 1 icordare gli antichi scappucci e le antiche speranze! Che festa che fecero! che solenni ripatriate ! (per avvalermi d'un vocabolo napoletano, che non ha riscontro esatto nella lingua aulica!) >. Modi narrativi da bonario raccomo; ma è chiaro come la scelta. dei vocaboli non la si debba ad antimanzonianismo. C'è »occhio preciso, non del narratore, ma piutto.!>todell'oratore, che conosce a menadito quali sono i vezzi cui gli giova ricorrere. Oppure, il suo impeto oratorio ha ragione della finLione narrativa: « Già, in Italia no• stra cara, la feccia emerge sempre e trionfa>. Non mancano gli insulti contro qualcuno. magari contro Villari, che era di Imbriani quasi un bcr~aglio preferito. In fondo, Imbriani era pili che abile nel notare gli umani sviluppi psicologici, nel mostrarsi sensibile ver)O CO.!>tumil' avvenimenti. Seltt' milioni rubuti re.!>ta un rom:rn1.o incompiuto; ma ceno, anche dall'ultima cl,1borazionc, non potcYa venire fuori che una parola d'una moralità aspra e risentita, chima dentro termini bonari. I tcrmjni bonari vcnivano pre!<i dalla trnnquilla narrativa del :-iecolo; i risentimenti aspri useivano, di volta in volta, dall'animo dell'autore. ARRIGO BENEDETTI 11 LEOTURA DAHTIB" AL "LUNA PARK" 1jy ESSUNA meraviglia che l'Irlanda del! moc.ratica, nazionalista, familiare abbia Kmpre nutrito tante simpatie per G. K. Chcsterton, simpatie ricambiate del resto come poche, Ma ora che l'isola ha proclamato la propria indipendenza costituendosi in repubblica, l'affetto per l'opera e la memoria dello scrittore inglese segna il suo punto più alto, e l'occasione per commemorarlo è doppiamente buona: perché nella pagina di lui è facile trovare la difesa e l'incitamento all'irredentismo irlandese, i quali oggi fanno più comodo che mai. Sicché saggi, confercnU; e frequentissimi articoli portano come <occhiello > corrente: < Ch-sterton, friend o/ lrdand >- G.K.C. è auiduamcnte citato, gode il fa. vorc dei riferimenti; come l'unica voce favorevole all'irredentismo irlandc-sc proveni<Cntcdall'Inghilterra. Tanto più che il vincolo di questa amicizia non è improvvisato, la sua fedeltà è sta.ta provata, com'cgli scrisse, durante il dramma. < Ho costante• mente sentito come il primo dovere di ogni ,;ero patriotta inglese>, lasciò detto nell'Autobiografia, <di simpatizzare col patriottismo dell'Irlanda: ho espresso questo sentimento nei tempi più difficili della sua tragedia, e il suo 1rionfo non mc l'ha fatto perdere>. Allo scrittore che poi teneva e praticava una specie di politica/ philosoph:, non era difficile, per gli irlandesi, ricondurre i suoi precetti politici a un programma di aspirazione nazionalistica nel campo della cultura, della lingua e dell'arte. « Fin dai primi giorni della vertenza per l'Home Rule ho pensato che l'Irlanda dovesse essere governata con idee irlandesi. E questo ho continuato a credere anche quando i miei compagni liberali hanno fatto la ribultante scoperta che le idee irlandesi sono idee ordinarie». Con questa voce s'accorda quella, naturalmente più veemente, del maggior poeta irlandese, W. B. Yeau, cui il < favore britannico > e la < Laurea in Poesia > non hanno impedito di pronunciani per il divorzio fra le due culture. In una recente intervista, egli esprc55e in un'immagine la condizione pressoché inevi1abile della vita artistica dell'isola minore rispetto a quella maggiore. e Avete maj veduto quegli alberi sc.onvohi e piegati dal vento che crescono sulle coste, come certi curvi vegliardi che sembrano portare un invisibile peso e che non riescono più a rialzarsi? Ecco come siamo, noialtri irlandesi, ptuinati all'incontrario da un vento che soffia da secoli nella medesima direUone... >, E sotto il quale molte creazioni originali, e certo più antiche, sono rimasce eccliuatc. e Per lo meno>, aggiunge l'autore dei Cigni selvalici, < non più paccottiglia inglese. Basta coi sottoprodotti della capitale, Non sopporteremo più di es~re trattati ,come paese satellite, da colonia ben felice di vestirsi con gli abiti smessi di Londra e di nutrirsi coi suoi a.van,j. Vogliamo fare un taglio e restare padroni della nos1ra se.cita. La grande poesia inglese, alla grazia t Abbiamo diritto di fare gli .schizzinosi.Basta con le volgarità, le operette, i romanzi "gialli", i music-halls. YEBEILI ESTIT Caltanissetta, dicembre. lf;J,\RO•DIRETIORE, i ricordi dico- • ~ loro che ebbero la ventura d'interrogare Giovanni Verga su question! letterarie, si somigliano come gocce d1 acqua. L'avvocato B. M. conserva nella memoria queste parole : « Pemi ad altro, amico mio! ». !I medico P. R. que- )te: e Lei è un bravo dottore. Guadagna molto?>. li professore N. V. queste: « Non ho nulla da dire! ». Il ca· valicrc B. S. queste : « Ci ticnt: proprio a farmi dispiacere? >. E non mancano quelli che, in luogo di una risposta di parole, comervano nella memoria una silenziosa smorfia del Verga. Insomma, l'autore dei },tfalauoglia lasciava che la letteratura parlasse di sé dalla bocca di Gabriele d'Annunzio : sommati, in questo campo, il silenzio del Verga e la loquacità del d'Annunzio, si ottiene un rilevante numero di parole, tale da potersi attribuire a due persone che abbiano parlato abbastanza. In qucsii prodotti da esportazione non c'è nessun elemento di cultura. Ci rifiutiamo di lasciarci sommergere da un mare di mediocrità>. Vuol e1scre un ritorno alla lira, una lira esscniialmcnte trovadorica. Un estraneo ci vede subito l'anacronismo; l'irlandese ao. Erinni, con un impegno cieco o puerile, vuol ripristinare l'antica se stessa; a costo di 1offes col gusto e il costume, Valga per tutte quella di risuscitare il vecchio idioma dei Celti, una lingua che non serve più a nessuno. La fobia dell'Inghilterra, il culto dell'autonomia, conducono a questi candidi estremi. Infatti, il governo repubblicano ha restituito al gaelico la priorità sull'inglese, ricollocandolo nelle scuole e parzialmente nei giornali e neì discorsi ufficiali: una campagna difficile e piuttosto infruttuosa. Al movimento separatista la produ:tione letteraria, entro un certo limite, aderisce; e comunque se ne colora. Il suo contributo evidente consiste intanto nell'evocare le più originali figure degli uomini caduti nelle rivoluzioni del '2,, del '16 e delle numerose precedenti, alla maggior parte dei quali era riconosciuto un certo credito Jet• terario. Si allineano cosl un ]ames Clarence Mantan, poeta delle barricate, in una vita (di John D. Sheridan) che ricorda quella di Shellcy, specie se scritta da Maurois per il suo A,iel; e un Owen Roe O'Ntill di Elizabeth O'Neill, il condottiero ulstcriano fi. nito tra Munro, Cromwcll e Guglielmo d'Q. range. Su queste biografie primeggiano The big Jello1u; À /ife o/ Michael Collins di Frank o·connor (il Collins è stato uno dei firmatari del Trattalo, difensore e organiz.. zatorc dello Stato Libero: big /tllow davvero, ma mordente e gustosi55ìmolibellista del misticismo poetico di George Russcll, il noto /E) e un ultimo Parnel/ di L, O'Brion. L'adesione si completa con certe grade- \'Oli miscele di autobiografia, di storia e di ~ction sul geniu., loci dell'isola. Più che James Devanc, il quale delinea nella Js/e of Destiny un domani sicuro, per non dire fatale, del paese, auai meglio Lord Dunsany affina i motivi reagenti della e sua> M:, lrtland. Qualcuno accusa. il Dunsany di aver l'ipreso una troppo <sua>, una troppo personale Irlanda: ma si vede bene che il preteso suo torto fu di non infiammarsi, - pur su un argomento cosi facilmente fonden1e, - fu di ricusare la tempestosa eloquenza irlandese. Ora, poiché si è tanto ossequienti alle eredità degli avi, anche in lui, a esser rigorosi, occorre: riconoscere il bardo ouianico, se è vero che sormontando l'epica della guerra quei cantì giungevano pure agli indugi dell'amore e all'elegia della natura. In questo senso, benché Pari d'Inghilterra, Dunsany è rima.sto feniano o addirittura cclto. E certo anch'egli po1rebbc ripetere, a55iemce in egual misura al Yeats: < 11 mio sforzo, in queno tempo specialissimo, è di cercare e di 5egnalare la vec• chia, originale, dure\o)e Irlanda· nelle cui strade e nei laghi e nelle montagne resta calato il suo vero spirito >. GILBERTO ALTICHIERI Questo silenzio, naturalmente, e la stessa natura della sua arte, che par fatta di parole pronunciate a bassa voce, hanno compromesso il Verga agli occhi dei catanesi. Rapisardi, tanto più minuto di Verga nella figura, riemp'va la vita di Catania. Egli era come un tuono cittadino, conservato nella casa patrizia di una via centrale: bastava che un gruppo di studenti l<iraccogliesse sotto il balcone di quella casa, perché il tuono rumoreggiasse. E quando egli andava per la strada, tutti si accorgevano che passava un poeta. Nelle giornate di sole, i ragazzi, domandando perché « quel signore > portasse un enorme parapioggia rero, apprendevano che queste cose )I fanno quando si è poeti. Non è dunque da meravigliarsi se, da queste parti, l'immagine della poesia si presenta con un parapioggia aperto sotto un roseo, tiepido e calmo sole d'aprile. Ma a parte gli scherzi, Verga ha fatto di tutto per scivolare fuori dall'attenzione, e riempire il meno possibile di parole proprie la memoria degli altri. Tutto questo si ripercuote in quel mondo, figlio della. memoria, che è la statuaria. Non vedremo mai la statua di Giovanni Verga, nel giardino pubblico di Catania, in quel viale degli Uomini lllustri, ove il busto del Rapisardi ha un posto eminente e si erge, coi capelli e la cravatta di poeta, sopra una colonna in cui Vittor Hugo e Giuseppe Garibaldi hanno lasciato le loro umili parole: « Vous iles u11 précurseur » e « Alla vanguardia del progresso, noi vi seguiremo! ». Non vedremo mai, in marmo bianco, fra gli alberi di pepe e le palme, quell'alto magro signore siciliano, che tutto aveva in meno nei riguardi dei conterranei della sua età, perfino la « pancetta ». Così si paga il non portare un grosso parapioggia nero nelle giornate luminose di aprile, e il non parlare troppo di sé. Un solo catane~c ricorda di lui alcune parole che io mi permetto di pubblicare. Questo catanese è Francesco Guglielmino, attualmente professore di letteratura greca nella R. Università di Catania, e poeta dialettale di rara forza. Il mio caro professore mi ha raccontato che, un giorno, avendo letto in un giornale la notizia che l'autoro dei Malavoglia aveva tenninato La duchessa di Leyra, disse al Verga la sua contentezza. Questi si fece scuro in faccia, Gugliclmino domandò allora se la notizia per caso fosse una bugia. « Parru a Guglielmi,iu amicu o a Guglieminu giurnalista.' » domandò Verga, con la faccia aggrottata. « A Guglielminu amicu >. « Allorà vi dirò», aggiu ~ Verga, ~mprc in siciliano, « che io non scriverò mai La duchessa di leyra. La gcntuccia, sapevo farla parlare; ma q_uesta gente del gran mondo, no. Quando essi parlano, mentiscono due volte : se hanno debiti, dicono di aver l'emicrania ... ». Eccetera. l I resto non lo ricordo. Ma già queste poche parole sono im1>0rtanti. I I piano stesso della sua opera, esposto nella prefazione dei A,falavoglia, aveva spinto Verga, come la mano di un amico che voglia far violenza ai nostri gusti, dentro una società, dentro un salone in cui Verga non voleva assolutamente entrare. La sua poesia consisteva. in quei sentimenti immediati che si esprimono nel linguaggio immediato dei siciliani incolti. Potevano parlare, i suoi nuovi personaggi, deputati, duchi, dame, come i pescatori di Acitrczza? No, di certo. Ma poteva, d'altra parte, il sentire immediato del Verga esprimersi nei discorsi distesi. letterari, convenzionali dei suoi nuovi personaggi? Nemmeno. Avrebbe potuto, a questo punto, soccorrerlo l'ironia, della quale egli, nel Mastro-dori Gesualdo, aveva dato bellissime prove. Ma lavorando sempre nel comico, gli sarebbe rimasta, inusata e turbante, entro l'animo una gran doM: di pietà cristiana; durante la scrittura, egli a• vrebbc avuto continua l'imp,wsionc di adoperare mezzo se stesso, ~I ternlinc del suo lavoro, quella di aver scritta mezza opera. Prima di chiudere questa lettera, voglio anche dirle c~c . i person~~gi del Verga, i pescatori, ~ cont?dm1, no~ sono affatto popolan tra 1 pcscaton e i contadini, nemmeno fra quelli di Acitrezza e della Piana di Catania. t solo la borghesia che ama ve?ersi. d~- !1>Crittae messa in scena dagh arusu : il popolo no. Gli c!o_i del popolo_ non sono mai né contadini né pcscaton, ma re, aviatori, pugilisti, maghi, e, tutta gente ricca e fortu11ata. La pocs~a della miseria, il popolo non la capisce. Ma non essendo cari al popolo, questi pt:rsonaggi vcrghiani saranno cari alla borghesia? Nemmeno, e per quello che si è detto : la borghesia ama trovare se stessa nei romanzi e le commedie. E allora di chi sar.lnno gli eroi questi padron 'Ntoni e Mena e compare Alfio? Degl'intclletttiali ! Proprio così: gli i1rtellettuali, nel senso uman<;>e alt? che può avere questa parola, d1 uomini intelligenti e versati in buone letture filosofiche e letterarie, gl'intdlcttuali sono gli unici beati lettori di Giovanni Verga. Essi soli, stanchi dei cavilli, delle chiacchiere, delle grida presuntuose e del falso tono epico, troveranno nel lamento di compare Alfio la più gradita poesia di questo mondo i e chiusi i libri di d'Annunzio e Oscar Wilde, vedranno in sogno, come il greco di un tempo vedeva Achille, e l'italiano di un tempo Orlando, il loro eroe: 'Ntoni di padron 'Ntoni. La medesima pacificante bellezza, di cui splendevano Achille e Orlando, splende, agli ,ocd1i di questi ottimi lettori, nella figura dtl marinaio d'Acitrez.z."l.. I libri del Ver~.\ si venderanno poco, ma essi sono acl1t11• stati dall'unico 'pubblico rispettabile che esista in Europa, da quando la bmghesia è diventata così rozza e priv;.l d'ideali, e il popolo così distratto: il pubblico dei cosiddetti intellettuali. I quali d'altronde, per il loro numero cresciuto già a qualche migliai~, e_il loro comune gusto, possono cosutu1re assai bene la categoria del lettore medio : lasciando al lettore medio del tempo antiCo l'appellativo, che onn~i gli si conviene, di infimo. Cordialmente. VITALIANO BRANGATI ta~~@}~[!)(!) )11C)1ll!IIIBRIB8V i :\J' OCCASIONE del quindicesimo an1!, niversario della morte, il gruppo cdi• toriale di Mosca • Lo Scrittore Sovietico• ha pubblicato un'interessante raccolta di liriche scelte di Velemir Chlebnikov, accompagnate da un'introduzione biografica e da note, il tutto curato da N, Stcpanov. Il criterio selettivo di questo libro, e il commento a piè di pagina, che prende spesso la forma di un vero glossario, pennetteranno al lettore comune e sprovveduto di farsi un'idea abbastanza giusta su un'opera altrettanto geniale che erme- . tica e su un artista la cui figura crescer-.. indubbiamente di proporzioni nella prospettiva del tempo. Grosso modo, si può dire che Chlebnikov occupa nella scuola letteraria del futurismo russo una posizione di teorico e d'animatore analoga a quella tenuta da Umberto Boccioni nella storia generale del nostro movimento: ma, fonlc anche perché gli fu concesso di esprimersi più a lungo, egli vi appare come un creatore ancora più rivoluzionario cd autentico. Come inventore formale, prima di Joyce e dell'Opera in corso, egli ci ha dato qualche esempio di poesia del linguaggio simile al saggio offertone dal grande irlandese in Anna Livia Pforabtlla; come suscitatore di miti, egli pure ha cercato, in verso e in prosa, di costruire una nuova epopea spirituale, i cui campi di battaglia sono lo spazio e il tempo, e gli eroi che vi combattono le forze oscure del subcosciente, le fantasie cerebrali e quotidiane dell'uomo comune. li filo d'Arianna con cui egli conduce il lettore in questo mondo di labirinti e d'abissi, è la Parola, spogliata dalle sovrastrutture della convenzione e dell'uso, redenta nella verginità delle antiche radici. La sua arte poetica confina spesso con la filologia e con la glottologia, e il suo simbolismo sincopato e potente non è fatto di corrispondenze e d'allusioni, di musica verbale e di magia evocativa, ma si realizza mediante una specie di catarsi lirica degli ètimi. Il campo di prova delle sue esperienze è lo slavo ecclesiastico, ma talora cerca anche i suoi succhi poetici distillando i frutti maturi dell'erudizione e della cultura. La sua ansia di trasmutare anche il caratteristico in universale è per esempio visibilissima in questa strofa curiosa dove assistiamo a una metamorfosi in nomi comun~ di una serie di nomi propri appartenenti al vocabolario della storia: • villa notte gengis-khana frusciate betulle azzurre alba notturna zaratliustra cielo viola mozarto ... • R. P.
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