Omnibus - anno I - n. 38 - 18 dicembre 1937

te. Ecco quel che fa perdere la testa a un giovane scrittor<>: l'idea che non abbia detto niente. Sto girando attorno al mio soKgetto, all'impressioni!' che voglio fart! e la sto osservando da tutte le parti, in maniera da averne un quadro intero, una visione completa. "È il cuore dell'uomo che st<_?cercando di implicare in questo racconto. Proviamo ancora: non mi ero tagliati i capelli da lungo tempo e cominciavo ad aver l'aria male in arnese, cosi me ne andai giù al Barber College nella Terza Strada, e mi sedetti su di una seggiola. Dissi: • Dietro lasciateli come sono; ho una testa stretta, e se dietro non li lasciate come sono uscirò da questo negozio con una tt:sta da cavallo. In cima, levatene quanti ne volete. Niente lozione, niente acqua, pettinateli soltanto». Lèggere fa l'uomo completo, scrivere lo fa preciso, come vedete. Ecco quel che accadde. Non cc n'è molto per un racconto: la ragione è che avevo dimenticato il barbiere, il giovane che mi tagliò i capelli. Era alto, aveva un \"Ìso serio e bruno, labbra grosse, cmne cur\"e al sorriso, ma tristemente, ciglia lunghe, occhi tristi e il naso lar~o. Lessi il suo nome sul biglietto incollato allo specchio: 'I'hcodore Badal. Un buon nome, un nome genuino; un giovane buono e genuino. Theodorc Bada\ cominciò a lavorart: alla mia ttsta. Un buon barbiere non parla mai se non è interrogato. • Siete armeno?• domandai. Noi siamo un piccolo popolo e quando uno di noi incontr.t un connazionale C un avvenimento. Cerchiamo sempre qualcuno con cui parlare la nostra lingua. li nostro più ambizioso partito politico valuta che siamo due milioni di anneni sulla terra; ma la maggior parte di noi non lo crede. La maggior parte di noi si mette a sedere, prende un lapis e un pezzo di carta, prende una parte dt:I mondo per volta e immagina quanti armeni possano tro• vani a vivere in quella parte del mondo: scriviamo il numero massimo sul pezzo di carta e poi cominciamo con un'altra parte del mondo: India, Egitto, Italia, Germania, Francia e cosl via. E dopo aver addizionato le cifre più ottimistiche, troviamo che il totale non arriva al milione. Allora cominciamo a pensare che le nostre famiglie sono grandi, che le nascite sono molte e le morti poche, e cominciamo a figurarci con quanta rapidità cresceremmo se fossimo lasciati soli per un quarto di secolo. E ci sentiamo quasi felici. I terremoti, le guerre, i massacri, le carestie non li contiamo; ed è un errore. Domandai a Thcodore Badai se era armeno. Lui disse: • Sono assiro•. Be', è qualche cosa. Gli assiri sonodell• nostra stessa parte del mondo, hanno nasi come i nostri, occhi come i nostri, cuori come i nostri cuori. La lingua è diversa. Quando parlano, noi non possiamo capirli, ma hanno molte cose in coml!ne con noi. Non era ~Ilo come se Bada! fosse -stato •rmeno, ma era già qualche cosa. • Io sono armeno,, dissi.• Conoscevo alcuni ragazzi assiri. Joseph Sargis, Nito l•:lia, Tony Saleh. Ne conoscete qualcuno?"· • Joaeph Sargis lo conosco,, disse Badai. • Gli altri no. Abbiamo vissuto a New York fino a cinque anni fa, poi prendemmo la strada dell'ovest, prima a Turlosk, poi qui a San Francisco•· Cominciammo a parlare della lingua assira e di quella armena, del vecchio mondo, delle noatre condizioni e così via. Mi stavo facendo fare un taglio di capelli da quindici cents e stavo facendo del mio meglio per imparare intanto qualche cosa, per sapere qualche vèrità, qualche nuovo apprezzamento della meraviglia della vita, della dignità dell'uomo. Badai disse:• Non posso leggere l'assiro. Sono nato in Assiria, ma non ne voglio più sapere•. • Aveva l'aria stanca, non fisicamente, ma spiritualmente. • Perché •, domandai io, • perché non ne volete più sapere?,. «Mah», rise lui,• semplicemente perché laggiù tutto è andato· alla malora•. Sto ripetendo fedelmente le sue parole. Non ci metto niente di mio. • Noi eravamo un grande popolo, una volta•, prosegui egli. « Ma una volta. Adesso siamo un argomento della storia antica. Avevamo W'la grande civiltà. Una civiltà che viene ancora ammirata. Adesso io sono qui in America a imparare a tagliare i capelli. Come razza siamo stati cancellati, siamo finiti. Perché dovrei imparare a leggere l'assiro? Non abbiamo scrittori, non arrivano notizie. No, qualche notizia arriva: ogni tanto ~:)'inglesi incoraggiano gli arabi a massacrarci. Questo e tutto. ~ una storia vecchia e risaputa. A ogni modo le notizie ci arrivano con l'Associaud Prtss •· Queste osservazioni erano molto penose per mc, armeno. M'ero sempre addolorato al pensiero che un popolo veniva distrutto. Non avevo mai sentito un assiro parlare in inglese di cose simili. Sentii un grande amore per quel giovane. E adesso mi pare Al!IIO I, •. 38, 18 DIOEM:RE 1937-IV1lll MNIBUS SETTIMANALEDI ATTUALITÀ 11 .:;~:::A:~::;=NE ~ 1 :1 ABBONAMENTI il Italia, Ooloulea1nnoL, 42, Hmtttrt L. 33 1 1 Eu~ro, &11110 L. ?01 1emntr9 L, 36 I '!i 00•1 •VMJ:RO VIU LJR& !•::: 0~!~l 1 u!!!f,'!~n' ~jt 0fuJ~1,•:~~~ /I' Dirnlont: Boma • Via del Sudario, 38 I Ttlefono N, 561.635 ] 11,,.,. ~p~~.:"t~.::·k,b,, 6 11 ( Il I Talefoo.oN,H 808 I ' b ,.._ Anoa. .. """ "OMlfllDI" • llllm 11-_-c.._ ~- - ~ I CAPPELLI DELLA DEKOCRAZU I EMILIO VABDEBVELDE CAPO DEI 800UL18TI BELOI d'aver affetto per tutti i popoli, perfino per i nemici dell'Armenia, che con tanto tatto non ho nominato. Ognuno sa chi sono. •Già•, dissi, • è pressappoco lo stesso con noi. Anche noi siamo antichi. Abbiamo ancora la nostra Chiesa. Abbiamo ancora qualche scrittore: Aharonian, lsahakian e quzlche altro. Ma in complesso è la stessa cosa •. •Sì•, diHe il bar0iere, • lo so. Volevamo le cose sbagliate. Volevamo la pace e la tranquillità e la famiglia. Non le macchine. fnsomma è inutile aver l'aria disingannata. Il nostro tempo è passato •. • Noi speriamo ancora •• dissi io. " Non c'è armeno al mondo che non sogni ancora un'Armenia indipendente•· •Sogni?• disse Badai.• Bene, è già qualche cosa. Gli aHiri non possono più nemmeno sognare. Già, lo sapete quanti siamo sulla terra?». « Due o tre milioni•, dissi io. • Settantamila,, disse Badal. • Ecco tut• to. Settantamila assiri nel mondo, e gli arabi seguitano a ucciderci. Il mese pas• sato ne hanno ammazzato settanta in una ribellione. C'era la notizia nel giornale. Altri settanta di meno. Non passerà molto che saremo completamente cancellati. Mio frau:lio si è sposato con un'americana e ha un figlio. Non c'è speranza. Cerchiamo di dimenticare l'Assiria. Mio padre legge ancora un giornale che viene da New York: ma mio padre è vecchio e presto morirà•. Poi la sua voce cambiò, smise di parlare da assiro e parlò da barbiere. • Ne ho levati abbastanza?• domandb. li resto del racconto non ha importanza. Non dissi altro al giovane assiro e lasciai la bottega. Me ne andai a piedi fino alla mia stanza in Cari Street, cinque mìglia attraverto la città. Ripensavo a rutta la storia: l'Assiria e gli assiri: a Theodore Badai che impara a fare il barbiere, la tristezza della sua voce, la disperazione del suo atteggiamento. Questo è successo mesi fa, in agosto, ma da allora ho pensato molto all'Assiria e ho desiderato di dire qualche cosa su Thcodore BadaJ, figlio di una antica razza, giovane e svelto, ma senza più speranza. Settantamila assiri, soltanto settantamila rimasti di quel gran popolo, e tutti gli altri quieti nella morte, e rutta la grandezza crollata e ignorata, e un giova.ne in America che impara a fare il barbiere, un giovane che geme amaramente sul cono della storia. Perché non fabbrico intrecci di storie amorose che possano esser ridotte per il cinematografo? Perché non lascio andare al diavolo queste storie .,,enza importanza? Perché non cerco di piacere al pubblico americano? Bene, io sono armeno. Anche Michael Arlen ~ armeno. Lui piace al pubblico. lo lo ammiro moltissimo e penso che ha perfezionato un ~llissimo stile narrativo e tutto il resto: ma a me non piace parlare della gente di cui parla lui. Gente morta prima di cominciare. Prendete Giuda e il giovane giapponese e Theodore Badai, l'assiro: bene, questi possono finire fisicamente come Giuda, morire; o finire spi• ritualmente come Badai, morire; ma almeno sono fatti della materia eterna nell'uomo, ed è questa materia che m'interessa. Non li trovate in luoghi eleganti, a fare intelligenti osservazioni sul sesso e osservazioni stupide sull'arte. Li trovate dove li ho trovati io, e là staranno sempre, la razza dell'uomo, la parte dell'uomo, parte dell'Assiria quanto dell'Inghilterra, parte che non pub essere distrutta, parte che i massacri non possono distruggere, parte che i terremoti e la guerra I la ca~ restia e la pazzia e tutto il resto non possono distrugg•re. / Questo racconto è un tributo a Giuda. al Giappone, all'Assiria, all'Armenia, a tutta la razza dell'uomo, dovunque, alla dignità di questa razza, alla fraternità delle cose viventi. Non mi aspetto che la Paramount ' 1'-.li,,;;;;..;;J.. .7 Piclure metta in film questo racconto. Penso ai settantamila assiri, uno alla volta, vivi: una grande razza. Penso a Theodore Badai, egli stesso settantamila assiri e settanta milioni di assiri, egli !'Assiria stessa, e uomo, in una bottega da barbiere, in San Francisco, nel 1933, e che è, lui stesso, tutta la razza. WILLIAM SAROYAN UNA LETTERA Roma, 7 diceiubre 1937-XVI l'articolo apparJo nella uconda patina del n1unero 36 di Omnibus d.t 4 dicembre, JoUo il titolo: Le Turche, 6 indtbitamtnlt firmato da me. E vero eh, t,i mi ha t:hit• sto e io ho cons,gnaltJ un1 articolo sulle donne turdi,, ma J altrttlanto vero che la metà dtl ttJto ori1inale 1 Jlala tagliata, t dei 6 t periodi che eJattament, coJtituiuono la parte Jtampata, non uno (dico uno) J quale io l'ho J"iuo, ma tutti (dico tutta) Jono t:Orrttti, rifatti t Jtrauolli. Il, J riJultato, alla fine, un articolo Jul quale io deuo e,primt.re un 1iuditio auolutamente sfauoreuolt e di cui ,ifiuto nella maniera più /erma e precisa la pale,nità. La sconveniente giornali,tica, che Ji potrebbe addirittura chiamare diJoneJtd tior• nalùtica ·puclal acrtJmpa,tnata da un'inqua. lificabil, prtJuntione, J tanto più ,,ave in quanto l'articolo trattava, in t:t.rto unso, un ar1om,nto ancht d'inttreJlt politico. Dtbbo inoltre avu,rtirla che, non riconoscendomi autlJre ddl'orticolo che porta purtroppo la mia finn.a t dovrebb, invee. po,. ta,, la sua, rinuncio Jin d'ora al compenJ() che mi Jarebbt dovuto. r.rn:i,EPPE LOMBKA,s., La sconvenienza, la disoneuà e la presunzione elencate nella leuera non ci r:guar• d7:tnO. Il dottòr Lombraw. fu avvutito per telefono delle varianti che avremmo appOrtate al suo articolo. Forse le varianti fu. rono eccessive, ma ciò risponde a un criterio generale di Omnibus che intende dare agli scriu: un tono il più possibile unitario. I BITI DELLA DEKOOB.AZIA1 JL VOLO BETTOBJOO DEL lUNJBTBO SARB.AUT AL "DESSERT" fl NTERROM PIAMO, per oggi, le medilj tazioni sull'avvenire della civihà occi• den1ale, sulla prossima guerra mondiale e su altri gravi argomenti del genere. Mettiamo da pane ~li ariicoli di Garvin e di Pertinax, di Lord Lothian e del VOlklJcher Beobachtu, che si \'anno ammucchiando in poco fraterna confusione ; e, con essi, la• iciamo anche dormire il libro del Coman• dante Jshirnaru, che, con la sua fiammeggiante copertina, invano tenta di imporsi prepotentemente alla nostra attenzione chiedendo a grand: e vistosi caratteri: e Quan• do scoppierà la prouir"la guerra mondiale? Dove erutterà il vulcano? >. li vulc;.no non ha eruttato finora e non erutterA in questa $Cltimana. Distogliamo, dunque, per un istante, la mente da queste cupe prospettive. I.a dolccua di questa mite mattinata di dicembre e il sole, che splende oggi su Roma, invi. tano a p:ù ridenti pensieri. "IL IIOSTBOSOLE" (n\ UALE singolare associazione di idee ~ fa sl che, per aver nominato il sole, risorga, in noi, l'immagine di un uomo che, a prima · ista, non ha niente, in sé, di solare? Quale maligno dèmone ci suggerisce, accanto all"as1ro, che gli Eileni simboleggiarono nel bdlinimo fra tutti gli dèi, Apollo figlio di Zeus, dispensatore di vita, l'immagine tanto poco apoll:nea del compagno Stalin, dispensatore di mprte? Ahimè! il merito di un siffatto volo di fantasia non è nostro, ma dei giornali so,, vietici. Eu: hanno a lungo cercato una frase o un epiteto, che valesse a dire tutte le virtù del e: Capo geniale >; e dopo molte ricerche, dopo lunga e nobile gara, hanno trovato. Lo hanno chiamato e il nostro Sole>. Come Luigi XIV: lr Roi Soltil. Non è il caso di is1itu:re paragoni fra e soli • cosi di\·en.i. Ci sia solo permesso di fare una constatazione. Sotto il Re Sole, La Bruyère potè scri- \ere e pubblic . ire una sentenza come que1ta: e: La politica che consiste nt"llo spar. gere il sangue, è molto angusta di mente (boniét) e non ha alcuna finezza. Essa ci suggerisce di uccidere coloro la cui vita sia un ostacolo alla nos1ra ambizione. Un uomo nato crudele fa tutto questo senza diffi~ colti. t. la maniera più orribile e più gros• solana di mantenersi al potere o di divt'n• tare grandi >. Oggi, se un redivivo La Bruyère pubbli• ca»c una simile musima in Russia, tutti liconosccrebbero ncll'c uomo nato crudele> < il nuuro Sole > Su.lin e e nella maniera orribile e grossolana di mantenersi al po• 1ere > la maniera del e nostro Sole ,. Dopo di che, il redivivo La Bruyère non scr:verebbe altre massime. La poesia, che, come ,crine alcuni anni fa un pubblicista russo chiamato Fadeef, deve essere e la serva della politica prole1aria >, non poteva disinteressarsi del e nuovo Sole •· E un, poeta della repubblica del Kazakistan lo ha cantato nella seguente eulogia, d: cui non è chi non veda la somma spontaneità e la schietteua di ispirazione. Traduciamo fedelmente da una rivista americana. e Io volevo paragonarti a un profeta; ma i profeti mentiscono. e Volevo para~onarti all'oceano; ma nel• l'oceano le navi possono incagliarsi su scogli invisibili. e Volevo paragonarti alla montagna; m;i di ogni montagna si può vedere la cima. e: Volevo paragonarti alla luna; ma la luna splende solo di notte. e Volevo paragonarti al sole; ma il sole splende solo nelle giornate chiare>. Cosi il giovane poeta della repubblica del Kazakistan. E l'unico commt'nto ragionevole che si possa fare ~ che ogni popolo ha il sole che si meri1a. POESl.l E POLITIU ~ ANCHE i p«ti che si meri1a <- la L!) p~sia che si merita. Alcuni anni or sono - preci~amt"nte il 13 maggio 193 1 - Massimo Gorki scrisse nelle hue11ia le seguenti aciocchcz.ze: e Gli scrittori protestano eon1ro il diritto che la Rivolutionc si arroga di disporre della loro encr• gia creatr!ce ... Ma la letteratura non è stata ma. 1th> che un affare di classe... Quelli che mettono in dubbio queste verità sono imbecilli e ignoranti >. Al caldo raggio di una siffatta. cs1e1ica, qual meraviglia che si schiudano Mori di pOCJ.iacome quelli di cW il giovane poeta del Kaiakistan ci offre cosi ricco serto? E, pres.s'a poco, in quello stesso tempo tn cui Gorki scriveva quel che abbiamo riferito, il pubblicista Fadeef, poc'anzi ricordato, rincaltava contro coloro che concepiscono la poesia come fonte di piaceri disinteressati: e Una simile concezione si riduce a fare della letteratura uno stru• mento di sfruttamento a profitto della borghesia: la letteratura artistica de\·e essere 1;1 se1va ddla politica proletaria, se pur dispiaccia agli intellettuali, cioè a dire ai borghesi >. E qui borghese - commentava il Croce - diventa titolo di onore, se bor• ghese e è colui al quale di,piace di vedere la Pm·1ia trattata da serva •· Sottoscriviamo umilmente. Ma i russi se la son creata la poesia cht sognavano, la poesia di cui erano del(ni. < Io volevo paragonarti alla luna >, canta il giovane alunno delle Muse della re• pubblica del Kaiakistan ; e ma la luna splende solo di notte. e Io volevo paragonarti al sole; ma il sole splende solo nelle giornate chiare >. t questa, se non incorriamo iQ errore, la e poesia serva> ann\lnzia1a dal pubblicista Fadeef. Vera inceuu potuil dea, cantò il poeta latino. Sarà, ma anche le serve si riconoscono dal passo. CROCEE FARINELLI f.\ BBIAMO nominato Croce; e ciò ci lpJ induce a fare una digressione, del tutto fuori del campo proprio di . questa rubrica. Abbiamo detto che la bella giornata invita a pensieri ridr:nti. Che le circostanze meteorologi, he \'algano, dunque, a scusarci. Nell'ultimo numero della Critit:a, il Croce pubblica un dotto e accuratissimo Studio sull'ex-monaco puglies.e Domenico Giovi• naui, che invgnò l'italiano al Goethe fanciullo, e del quale finora nulla si sapeva; e premcue allo studio una nota •polemica dedicata all'accademico Farinelli. Egli, dun• quc, racconta che, quando vide annum.ia• ta la pubblicazione del Via1gio in Italia del padre del Goethe a cura e con introdu• z:one e note del prof. Farinelli, sperò di poter sapere qualche cosa circa il suddetto Giovinazzi. e Senonché, a\uto fr" le mani il volume, invece della prl"gu1ta1a wddi)fa• zlone, 1rovai intorno al Ciovinaui la dichiarazione dell'editore: "Non ne sappiamo nulla; non ci sorreggono testimoniante e documenti". E poi, con quel gruire fra drammatico e disperato, che il Farinelli non abbandona neppure nelle placide faccende dell'erudizione: "Come a\·er luce sicura su queno italian0 espatriato e per tanti anni precettore assiduo della famiglia Coe,he? ". Come? Col comp:ere ricerche storiche, c.1ro il mio Farinelli, sorta di lavoro che tu non hai mai praticata per man. co di amorosa pazienza, pago di accumulare l'una sull'altra, frenetica.mente, aride citazioni di libri e condirle di frasi enfatiche fuori di ogni opportunità>. E sta bene. Ma uarcbbe anche meglio se lo ue.iSO Croce, circa una ventina d"anni fa, non aveue, in segno di stima, dedicato un suo libro al suddeuo professore Far:nelli. I DISCORSI DEL GEIIEBALE SMUTS 'f11. GENERALE Smuts, che combattè val.!. loros.amente a capo dei boeri contro gli inglesi e che è, oggi, una persorialità eminente cd autorevolinima dcll'Im• ptro britannico, fece, tre anni fa, al Royal lnititut o/ /nttrnational Affairs in Londra, un discorso sulla situazione p0litica, che tbbe la p:l1 larga risonanza nella stampa di tuuo il mondo, specialiuente in qurlla inglese e in quella francese. Il T,mri lo riportò integralmente e lo approvò con gravi1à. I fomali francesi di destra, invece, insorlt"ro come un sol uomo, anzi come un >0!0 g!orna\e, Il T,mpJ attaccò il vecchio generale con gravità non minore di quella con cui il Times lo aveva confortato della sua approvazione. Gli altri gioroali francesi usa1ono anche meno riguardi e dedicarono al discorso del generale commenti acerbissimi. Che cosa aveva mai detto il vecch:o generale boero per suscitare tanto rumore? Due cose, La prima, che il credere alla possibilità di una guerra in un prossimo avvenire era e una K.iocchcua, come ben sapevano tutti coloro che conoscevano come stcuero le cose >. Evidentemente la e s .ocche:zz.a > la diceva il generale. Neppure un bambino, ogg:, ripeterebbe quel che egli dis• .e allora con cosl bella sicumera. La seconda affermazione sensazionale che fece il generale Smu1s fu la seguente: tutto il male, secondo lui, derivava dal fatto che i vincitori della grande guerra erano ossessionali d:'l quello che egli, con terminologia freudiana, chiamò e: un comples.so di paura >, e che i vinti, invece, e.rano o"e1- ~;o~~1~eJi:, cp~;cit, 0 ':::e::m:i~c;~r~~~t\~::-~ rire l'inferiorità. A quel tempo, l'azione politica della Germania si concentrava tutta sulla questione degli armamenti. Pertanto la terminologia freudiana del generale Smu1s significava semplicemente questo: che la Germania pretendeva la parità in materia di armamenti (e complesso di inferiorità>) e che la Francia si opponeva a questa richiesta, temendo per la propria sicurez:r.a (e comples.so di paura>). Sopprimere l'inferiorità, pertanto, nel linguaggio e nel pensiero del generale, significava: permeuere alla Cennan;a di armarsi fino a raggiungere la parità con la Francia. 11 generale ometteva di spiegare perché mai, se si fosse cli. minala l'infcriorit.à della Germania, sarebbe scomparso l'altro e complesso >: la paura della Francia. Sembra che questo sarebbe, anz.i, dovuto aumentare. Chi ha paura di un a\ versario in enne, lo temerà ancora più quando sarà armato. Il che, del resto, è quello che è accaduto: ché, :n questi ultimi anni, la Germania si è arma1a, e la Francia ha, oggi, più paura di prima. E quclìtO basterebbe a dimostrare quam parva sapienlia parlasse, nel 1934, il valoroso generale. Senonché una cosa era certa: e cioè che dì quella soluzione sarebbe tocquo al• la Francia pagare le spese con l'abbandono di alcune posizioni politiche tiadizìonali. E questo basta\a perché il generale Smuts prop0nesse di e: soppr:merc l'inferiorità > ; e perché il T,mes, gravemente, ap• provasse. Dal settembre del 1934 ad oggi. sono accadute molte cose. E la Germania, ora, non reclama più la parità negli armamenti, che ha conseguita da un pe-ao, ma le colonit-. iutte le grandi pou·nze hanno delle colonie; solo la Germania, che ne avrebbe par• , tic.olarincnte bisogno, non ne ha affatto. E quelle che un tempo aveva, le furono col• te con i più mendaci e sfrontati pretesti: incapacità della Gem1ania a coloniu.are, sua responsabilità della guerra, ccc. In una parola, un nuovo e complesso di inferiorità > ossessiona, oggi, il gcrmancsimo, Quale sarebbe il rimedio? e Sopprimere l'inCe• riorità >, diceva il generale Smuts nel 1 934. Sopprimere l'inferiori,à, ripetiamo noi in quest'anno di grazia 1937: e cioè restituire alla Germania. le colonie che furono sue. Ma il generale Smuts, oggi, non ! più dell'opinione di una volta. Il 2 dicembre ha pronunziato un discorso a Bloemfontcin e ha detto che, quando era ministro, concluse un accordo con la Germania e, con questo accordo, il Governo del Rtieh ricono,ceva che e l'avvenire dcli' Africa sudorientale è con l'Unione sud-africana >. E il TimeJ ha definito questo discorso un e contributo> alla questione df'lle rivendicazioni coloniali tedesche. Quale sia il valore di questo e contributo • è stato subito chiarito dal VOlkiuhu Beobochter: è vero che fu concluso l'accordo di cui ha parlato Smutl; ma non è affatto vero che con esso il Governo del Reich abbia riconosciuto che e l'avvenire dell'Africa sudorientale sia con l'Un'.onc sud-africana>. Tutto considerato, sarebbe desiderabile che i generali boeri studiassero meglio Freud prima di parlare della situazione europea. Fon.: scoprirebbero in se stessi o, per dir megl.o, nella loro patria, qualcuno di quei e complessi > che Smuts scorgeva nell'anima di alcuni paesi europei: un e cOmpleuo di preda>, per esempio; e anche un e complesso di paura > che, del resto, t sempre il fatale compagno del primo.

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