SI e FATTA tante volte la critica della Società delle Nazioni, che pare un fuor d'opera ripetere oggi delle cose che tutti 1anno. Contrariamente a quanto pensano i più, l'idea prima non (u nemmeno di Wilson, ma di una as$0Ciaz.ione inglese mai identificata, che ne redasse un disegno alquanto semplicistico. Presentato a Wil.son, questi lo esaminò senza mettervi troppo impegno e lo passò al generale boero Smuu, che lo elaborò con intendimenti apertamente britannici. Ciò nonostante Lloyd George non lo prese molto sul serio, per tarcrc di Clemenceau, che al Congresso <. Ila pace pensava al modo di continuare la guerra sotto altra fomu .. Wil.son .si convertì all'idea della Società delle Nazioni sotto l'influen:ta della sua segretaria e del .suo medico pcl"$0nale, che trovava un'alleata sicura e indefettibile in sua moglie. Poi vennero i giuristi che diedero forma t' struttura e .scientifica> al disegno primitn,o della società londinese. Può sembrare non degno della e gravità > dell'argomento riferirsi ad altre cause che influirono in modo decisivo sui posteriori atteggiamenti w:l.soniani, ma la verità, ampiamente documentata del re.sto, ha i suoi diritti. Wilson a\'cva una vanità imperdonabile: quella \Cien1ifica. Prc.s.so le università americane e~li non era mai uato preso molto sul serio come professore di diritto internazionale. Passava per una oscura mediocrità. La sua produzione era semplicemente risi• IJile, nessuno dei suoi opuscoli aveva mai ,wuto l'onore di una citazione, il .suo corso t-ra dei meno frequentati. Ora l'idea di :iffidare il proprio nome .1d una istituzione universale, che avrebbe deciso delle sorti dell'umanità, lo esaltò. F.ra la rivincita del docente misconosciuto ~ugli scienziati veri. e un dato psicologico <"ht' non va trascurato, perché inRuJ più di quanto .si potrebbe credere nelle drds:oni del grande e associato •• che al Congresso della pace incuteva timore e rispctco agli uomini politici più consumati. Lloyd George 1· Poincaré, Clemenceau e Keynes ridevano alle sue spalle, ma nelle riunioni ufficiali ministri e capi di governo tremavano da• 1,:antial pazzo lucido che usciva con le pro• po~irioni più insensate. Solo Sonnino non <"Clavauna impreuione di disgusto per una incntalità che pareva comunicare asli altri una specie di imbecillità Avvenne quel che dovrva accadere. Cli uomini in buona fede, quali il Sonnino e l'Orlando, riuscirono a Wilson sempliceniente odiosi, mentre i furbi, fra i quali vanno posti in primissima linea Lloyd Ceor- ~c, Clemcnct::au e Venizelos, lo eonqui.s1arono e l'adoperarono come una catapulta LITURGIA DI GINEVRA • RIOORDO DI UN OONORE880 :FEMMINILE PER I DIRITTI DELLA DONNA per ottene«.: tutto quanto essi desideravano. Ne usd il trattato di Versailles, negazione totale delle idealità giuridiche e puritane del Presidente americano. E si volle perfezionare l'opera legando in5Cindibilmcn. te il 1ratta10 di pace al Patto costitutivo della Società delle Naz..ioni. Era difficile immaginare una peggiore mostruosità. Ciò nonostante la Franc:a, che era uscita dalla guerra con la tipica paura dei vincitori che hanno vinto con l'aiuto altrui, non si fidò mai del Patto della Società delle Nazioni. ~-lcntre .si elaborava il Patto, domandò la garanzia inglese per la d:fesa permanente della propria e sicurezza>. Llo)d George acconsenti, ma a condiz.ione che accanto alla garanzia inglese figurasse anche la garanzia americana. E qui si ebbe la prima sorpresa. Ritornato il Presidente in America, il Congresso negò l'adesione degli Stati Uniti all'istituzione ginevrina. Tremenda delusione per la Francia, che vide immediatamente .sfuggirle la garanzia britannica, subordinata come era alla garanzia amer-icana. Fu un gran dolore per Clcmenceau, che si penll di essere stato troppo e geoeroso > nei confronti c:lellaGermania, di non avere dato ascol•o ai militari che volevano impadronirsi di tulle le teste di pon1e del Reno, di non avere .seguito i e saggi • .suggerimenti di quanti vagheggiavano lo smembramento della nazione vinta. e Fra vent'anni la Germani;,, coglierà la Francia come io raccolgo queua rosa >, esclamò un giorno passeggiando nel suo giardino in Vandea col suo segretario Martet, cui offri una rosa rossa recisa allora. Buona o cattiva che fosse, la Società delle N37joni esisteva. Si doveva quindi trarne il massimo vantaggio possibile ai fini della conservazione dello statu quo. L'.dca della giustizia si identificò con la difesa dello stato di fatto. Ma poich~ la Società delle Nuioni non ave"a una sua propria forza e l'Inghilterra non volle mai che l'av<'.sse(esJa mandò a monte il famoso Protocollo del 1924, che mirava a fare della Società delle ·azioni una specie di supers<ato). la Francia si ir:golfò in un sistema di alleanze sul tipo di quelle dell'anteguerra JI Patto le vietava, ma la diplomazia dd Quai d'Onay, inesauribile negli espedienti, superò le difficoltà inserendo queste alleanze nel quadro del Covenant. Dal canto suo, l'Inghilterra lasciava fare. Se ne comprende perfettamente il perché. Queste alleanze le offrivano un buon pretesto per resiuere alle ripetule richieste di e assistenza > che le venivano da Parigi e per esimersi da precisi impegni continentali Lo si vide poco dopo la conclusione del trattato di Locarno. L'in1erpretaz.ione che ne diede il governo di Londra fu cosl e societaria•• fv talmente e inquadrata > nel Patto, che a Parigi ci si domandò se non foss~ il caso di parlare di e equivoco > di Locarno, anziché di e tr3ttato > di Locarno. Per l'lcighilterra a parie l'idealismo nel quale non credevano ne1nmeno i 've5COvianglicani - la Società delle Nazioni era un modo per istituire un nuovo vincolo coi Domini oltre quello cosi fragile della Corona, specie dopo la riforma del Commonwealth, ed era soprattutto un modo di consolidare i visto.si acquisti coloniali del dopoguerra. Gli antichi possedimenti tedeschi - que.s1a la tesi - sono stati distri. buiti dalla Società delle Nazioni, che ne resta l'unica arbitra ; sono passati dallo staio di colonie a quello di «mandati•, e questi mandati sono, in notevole parte, affidati a dei Domini. La fedeltà dell'Inghilterra alla Società delle Naz.ioni non ha altro motivo. C'è da .stupirsi .se, date queste origini e dati questi metodi, la Società delle Nazioni si è riSOlta in un sindacato di pochi po. tenti serviti da numerosi va.s.salli? Se nessuno dei tanti problemi sorti negli ultimi diciassette anni ottenne mai una soluzione da parte di Ginevra? Se le poche vertenze composte lo furono con metodi dìversi da quelli di Ginevra e fuori di Ginevra? e .storia di ieri. Negli ultimi tt'mpi la menzogna della Società delle Nazioni venne eretta a sistema. La e sicurezza collettiva• e la e pace indj. visibile > si rivelarono dei metodi che minacciavano suiamente 1a pace. Tale pericolo assunse degli aspetti imprusionanti dopo l'ingre.sso a Ginevra della Russia SO· vie1ica in cosi aperto contra.sto con lo stesso statuto della Lega. Si vuol far credere, a Ginevra e altrove, che l'uscita dcll'llalia dalla Società dt-lle Na7ioni sia stata motivala dal mancato riconoscimento dell'Impero e dal ricordo delle sanzioni. Non è vero. L'Italia non si è mai curata del riconoscimento dell'Impero da parte della Lega, e l'ha dichiarato. E quanto alle sanzioni, esse indubbiamente inRuirono nella decisione del Gran Consiglio. Ma la ragione determinante dell'uscita dell'Italia da Ginevra è quella proclamata dal Duce nel potente di.scorso dal balcone di Palazz.o Vl"nezia: 12 Ginevra si lavora per la tturra. Si lavora per la guerra perché i sistemi ginevrini, specie dopo l'intervento della Russia, non possono non condurre alla ituerra, non possono non affretta ria. Essi rendono impossibile, in seno alla Lega, qualsiasi azione moderatrice, qualsiasi efficace tutela della pace. Qualsiasi tentativo in tal senso non fa che esasperare i dissensi. La diversità dc( fini comporta neces.sariamt-nte una diversità di metodi. Per que.s10, l'lta.l=a fasci.sta ha abbandonato l'istituzione .itincvrina. La sua libertà di ai.ione. correlativa a quella della Germania e del Giappone. è una preine~•a di pace, una garan. tia di pace. Sotto ~ reagente dell'asse Roma-Berlino e del patto anticomunista 1ripartito, Ginevra stessa dovrà addivenire a qualche rcvi.sione se. .sarà ancora capace di un qualsia.si sussulto vitale. La dt"cadenza della Società delle Nazioni è un pre.suppo. sto di Quella trasformazione in semo fa. sciua dt"ll'Europa, che fu annunziata da Mussolini nel memorabile discorso di Berlino. Preuo o tardi, la verità trionfa di tutte le menwgne. cl ERANO già quaranta giorni che non mi tagliavo i capelli e cominciavo a sembrare uno dei tanti violinisti disoccupati. t un aspetto Che conoscete. Noi barbari dell'Asia Minore siamo gc: ,te con molti capelli; quando abbiamo bisogno di tagliarli, abbiamo bisogno di tagliarli. Era un brutto affare; il mio unico cappello non mi stava più in testa. Così andai lungo la Terza Strada (San Francisco) fino al Barber College, in cerca di un taglio di capelli da quindici unt.J. La Terza Strada, sotto Howard, è un quartiere: qualche cosa come Bowery a New York, Main Strcet a Los Angeles. Bisogna immaginarsi i vecchi e i ragazzi disoccupati, sfaccendati, là attorno, a fumar-e le B,ill Durham, a parlare del governo, ad aspettare che qualche cosa cambi o ad aspettare, semplicemente. Era un lunedì mattina, di agosto, e una quantità di sfaccendati era andata dal barbiere per svagarsi un po'. Il ragazzo giapponese che stava lavorando alla seggiola gratuita aveva una lista di undici persone che aspettavano; tutte le altre sedie erano occupate. l\Ji sedetti e mi misi ad aspettare. Avevo venti unts e un mezzo pacchetto di Bull Durham. Accesi una sigaretta, porsi il pacchetto a uno dei miei vicini che aveva l'aria d'aver bisogno di nicotina, e aspirai il fumo secco, pensando ali' America, a come andava II politicamente, economicamente, spiritualmente•· II mio vicino era un ragazzo di sedici anni. Doveva essere giudeo: un solido americano, ma giù, molto giù:"poco dor-mire, niente cambiarsi per parecchi giorni, un po' di timore, ecc .. Avevo una gran voglia di conoscere il suo nome. Uno scrittore desidera sempre di afferrare la realtà dei volti e delle apparenze. Il giudeo disse: • Sono appena arrivato da Salinas; non c'è lavoro nei campi di lattuga. Adesso voglio andare al nord. a Portland; ceriJierò d'imbarcarmi•. Avevo voglia di dirgli come andavano le cose mie: lo Scribner m1 aveva respinto una novella, la Yale l?eview m'aveva respinto un saggio, non avevo denaro per sigarette decenti; le scarpe logore, la camicia vecchia; ma temevo di annoiarlo. ( guai di uno scrittore sono sempre seccanti, i un po' campati in aria. La gente può sempre rispondervi: • E chi vi ha chiesto di fare lo scrittore?•. Dissi: 11 Buona fortuna per il nord•. Giuda scuotè il capo: 1 Non ci credo. A ogni modo tenterò; tanto, non ho niente da perdere•· Bravo ragazzo, spero che non sia morto, spero che non sia gelato - tanto freddi quei giorni (dicembre 1933), - spero che non sia finito irt basso: meritava di vivere. Giuda, spero che avrai trovato lavoro a Port• land, spero che tu stir. guadagnando denaro, spero che tu abbia affittato una stanza con un buon letto caldo; spero che la notte tu possa dormire, che tu possa mangiare regolarmente, che tu vada avanti come un essere umano, che tu sia felice . Giuda, i miei buoni auguri ti seguono. Ho anche detto una quantità di preghiere per te. (Intanto, però, credo che sia già morto. C'era in lui, il giorno che lo vidi, la bassa faccia triste della bestia. E in quel tempo, in tutti i teatri d'America, stavano proiettando senza fine un cartone animato dal titolo: t1 Chi ha paura del lupo cattivo?•. Questo è quel che importa: la gente coi denari ride della morte che sfiora i corpi come quello del giovane Giuda, pretendendo che non c'è, e ride, nei teatri caldi. lo ho pregato per Giuda, e mi consider-o un vile. A quest'ora dev'essere morto e io sto seduto in una stanzetta parlando di lui e fabbricando un racconto). Cominciai a osservare il ragazzo giapponese che stava imparando a fare il barbiere. Stava insaponando un vecchio vagabondo con una faccia terribile, una di quelle facce che emergono da anni e anni di vita incer-ta, anni di disoccupazione, di non appartenere a nessun posto, di non posseder niente, e il ragazzo giapponese teneva scostato il naso, il suo proprio naso, in maniera da non sentire l'odore del vec• chio vagabondo. Un'osservazione inutile in un racconto, un particolare senza posto in un'opera d'arte; però la metto lo stesso. Un giovane scrittore ha sempre paura che qualche fatto insigmficantc gli possa sfuggire. Ila sempre la smania di metter giù tutto quel che vede. lo desideravo di conoscere il nome del ragazzo giapponc~c. I nomi m'interessano profondamente. I (o trovato che i nomi sconosciuti sono i più genuini. Guardavo il ragazzo giapponese molto attentamente; cercavo di capire, dalla maniera con cui teneva Jontano il suo naso dalla bocca e dalle narici del vecchio, quel che stava· pensando, quel che senti\·a. Anni fa, quando avevo diciassette anni, mondai le viti ne1la vigna di mio zio, a nord d1 Sanger, nella valle di San Joaquin. e c'ernno alcuni giapponesi che lavoravano con mc: Yoshio Enomoto, llideo Suzuki, Katsumi Sujmoto, e altri due o tre. Quei giapponesi m'avevano insegnato poche semplici frasi: 11 cìao, come state, bellu giornata, addio•, e qualche altra. (o dissi in giapponese all'allievo barbiere: • Come state?•. Egli rispose in giapponese:• Bene, grazie•. Poi, in un inglese impeccabile: t1 Parlate giapponese? Avete vissuto in Giappone?•· • Sventuratamente no. So dire una o due parole. I lo lavorato con Yoshio Enomoto, Hideo Suz.uki, Katsumi Sujmoto; li conoscete?•. Egli proseguì il suo lavoro pensando ai nomi. Scmbrnva che sussurrasse: • Enomoto, Suzuki, Sujmoto •. Rispose: t1 Suzuki era piccolino? •· •Sì•. Lo conosco. Il primo nome è I Iideo. Adesso vn·c a San José, è sposato•. Brani di com·ersazionc, inconcludenti, ma in qualche modo necessari. Voglio farvi sapere che m'importa m11lto di conoscere quel che la gente rico1da. Un giovane scrittore se ne va in •:11, e parla con la gente. E cerca di sapere quel che pensa. Certo, non sto adoperando un materiale straordinario per questo racconto. In questo racconto non succederà niente. Non sto a fabbricare un intreccio fantastico. Non sto creando dei personaggi memorabili; non sto creando un'atmosfera malinconica. Non cerco nemmeno di competere coi grandi !-.Crittori di no\ elle, gente come Sinclaìr Lewis, e Joseph I lergesheimer, e Zane Grey, j.'tcnte che sa davvero come si scri\C:, gente che sa come s1 fabbricano 1 racconti vendibili. Non ho in mente di vincere il premio Pulitzer o il premio Xohcl o qualche altro premio. Sono qui, nel lontano ovest, a San Francisco, ìn una Manzctta in Cari Street; scrivo per la gente solita, raccontando, in un linguaggio solito, cose che già sanno. Sto semplicemente facendo una relazione; e quindi se divago un po' è perché non ho fretta e perché non so come si faccia. Adesso comincio a sentirmi sciocco e incapace. 1Jo adoprato tutte queste parole e comincio a sentire di non aver detto nien-
te. Ecco quel che fa perdere la testa a un giovane scrittor<>: l'idea che non abbia detto niente. Sto girando attorno al mio soKgetto, all'impressioni!' che voglio fart! e la sto osservando da tutte le parti, in maniera da averne un quadro intero, una visione completa. "È il cuore dell'uomo che st<_?cercando di implicare in questo racconto. Proviamo ancora: non mi ero tagliati i capelli da lungo tempo e cominciavo ad aver l'aria male in arnese, cosi me ne andai giù al Barber College nella Terza Strada, e mi sedetti su di una seggiola. Dissi: • Dietro lasciateli come sono; ho una testa stretta, e se dietro non li lasciate come sono uscirò da questo negozio con una tt:sta da cavallo. In cima, levatene quanti ne volete. Niente lozione, niente acqua, pettinateli soltanto». Lèggere fa l'uomo completo, scrivere lo fa preciso, come vedete. Ecco quel che accadde. Non cc n'è molto per un racconto: la ragione è che avevo dimenticato il barbiere, il giovane che mi tagliò i capelli. Era alto, aveva un \"Ìso serio e bruno, labbra grosse, cmne cur\"e al sorriso, ma tristemente, ciglia lunghe, occhi tristi e il naso lar~o. Lessi il suo nome sul biglietto incollato allo specchio: 'I'hcodore Badal. Un buon nome, un nome genuino; un giovane buono e genuino. Theodorc Bada\ cominciò a lavorart: alla mia ttsta. Un buon barbiere non parla mai se non è interrogato. • Siete armeno?• domandai. Noi siamo un piccolo popolo e quando uno di noi incontr.t un connazionale C un avvenimento. Cerchiamo sempre qualcuno con cui parlare la nostra lingua. li nostro più ambizioso partito politico valuta che siamo due milioni di anneni sulla terra; ma la maggior parte di noi non lo crede. La maggior parte di noi si mette a sedere, prende un lapis e un pezzo di carta, prende una parte dt:I mondo per volta e immagina quanti armeni possano tro• vani a vivere in quella parte del mondo: scriviamo il numero massimo sul pezzo di carta e poi cominciamo con un'altra parte del mondo: India, Egitto, Italia, Germania, Francia e cosl via. E dopo aver addizionato le cifre più ottimistiche, troviamo che il totale non arriva al milione. Allora cominciamo a pensare che le nostre famiglie sono grandi, che le nascite sono molte e le morti poche, e cominciamo a figurarci con quanta rapidità cresceremmo se fossimo lasciati soli per un quarto di secolo. E ci sentiamo quasi felici. I terremoti, le guerre, i massacri, le carestie non li contiamo; ed è un errore. Domandai a Thcodore Badai se era armeno. Lui disse: • Sono assiro•. Be', è qualche cosa. Gli assiri sonodell• nostra stessa parte del mondo, hanno nasi come i nostri, occhi come i nostri, cuori come i nostri cuori. La lingua è diversa. Quando parlano, noi non possiamo capirli, ma hanno molte cose in coml!ne con noi. Non era ~Ilo come se Bada! fosse -stato •rmeno, ma era già qualche cosa. • Io sono armeno,, dissi.• Conoscevo alcuni ragazzi assiri. Joseph Sargis, Nito l•:lia, Tony Saleh. Ne conoscete qualcuno?"· • Joaeph Sargis lo conosco,, disse Badai. • Gli altri no. Abbiamo vissuto a New York fino a cinque anni fa, poi prendemmo la strada dell'ovest, prima a Turlosk, poi qui a San Francisco•· Cominciammo a parlare della lingua assira e di quella armena, del vecchio mondo, delle noatre condizioni e così via. Mi stavo facendo fare un taglio di capelli da quindici cents e stavo facendo del mio meglio per imparare intanto qualche cosa, per sapere qualche vèrità, qualche nuovo apprezzamento della meraviglia della vita, della dignità dell'uomo. Badai disse:• Non posso leggere l'assiro. Sono nato in Assiria, ma non ne voglio più sapere•. • Aveva l'aria stanca, non fisicamente, ma spiritualmente. • Perché •, domandai io, • perché non ne volete più sapere?,. «Mah», rise lui,• semplicemente perché laggiù tutto è andato· alla malora•. Sto ripetendo fedelmente le sue parole. Non ci metto niente di mio. • Noi eravamo un grande popolo, una volta•, prosegui egli. « Ma una volta. Adesso siamo un argomento della storia antica. Avevamo W'la grande civiltà. Una civiltà che viene ancora ammirata. Adesso io sono qui in America a imparare a tagliare i capelli. Come razza siamo stati cancellati, siamo finiti. Perché dovrei imparare a leggere l'assiro? Non abbiamo scrittori, non arrivano notizie. No, qualche notizia arriva: ogni tanto ~:)'inglesi incoraggiano gli arabi a massacrarci. Questo e tutto. ~ una storia vecchia e risaputa. A ogni modo le notizie ci arrivano con l'Associaud Prtss •· Queste osservazioni erano molto penose per mc, armeno. M'ero sempre addolorato al pensiero che un popolo veniva distrutto. Non avevo mai sentito un assiro parlare in inglese di cose simili. Sentii un grande amore per quel giovane. E adesso mi pare Al!IIO I, •. 38, 18 DIOEM:RE 1937-IV1lll MNIBUS SETTIMANALEDI ATTUALITÀ 11 .:;~:::A:~::;=NE ~ 1 :1 ABBONAMENTI il Italia, Ooloulea1nnoL, 42, Hmtttrt L. 33 1 1 Eu~ro, &11110 L. ?01 1emntr9 L, 36 I '!i 00•1 •VMJ:RO VIU LJR& !•::: 0~!~l 1 u!!!f,'!~n' ~jt 0fuJ~1,•:~~~ /I' Dirnlont: Boma • Via del Sudario, 38 I Ttlefono N, 561.635 ] 11,,.,. ~p~~.:"t~.::·k,b,, 6 11 ( Il I Talefoo.oN,H 808 I ' b ,.._ Anoa. .. """ "OMlfllDI" • llllm 11-_-c.._ ~- - ~ I CAPPELLI DELLA DEKOCRAZU I EMILIO VABDEBVELDE CAPO DEI 800UL18TI BELOI d'aver affetto per tutti i popoli, perfino per i nemici dell'Armenia, che con tanto tatto non ho nominato. Ognuno sa chi sono. •Già•, dissi, • è pressappoco lo stesso con noi. Anche noi siamo antichi. Abbiamo ancora la nostra Chiesa. Abbiamo ancora qualche scrittore: Aharonian, lsahakian e quzlche altro. Ma in complesso è la stessa cosa •. •Sì•, diHe il bar0iere, • lo so. Volevamo le cose sbagliate. Volevamo la pace e la tranquillità e la famiglia. Non le macchine. fnsomma è inutile aver l'aria disingannata. Il nostro tempo è passato •. • Noi speriamo ancora •• dissi io. " Non c'è armeno al mondo che non sogni ancora un'Armenia indipendente•· •Sogni?• disse Badai.• Bene, è già qualche cosa. Gli aHiri non possono più nemmeno sognare. Già, lo sapete quanti siamo sulla terra?». « Due o tre milioni•, dissi io. • Settantamila,, disse Badal. • Ecco tut• to. Settantamila assiri nel mondo, e gli arabi seguitano a ucciderci. Il mese pas• sato ne hanno ammazzato settanta in una ribellione. C'era la notizia nel giornale. Altri settanta di meno. Non passerà molto che saremo completamente cancellati. Mio frau:lio si è sposato con un'americana e ha un figlio. Non c'è speranza. Cerchiamo di dimenticare l'Assiria. Mio padre legge ancora un giornale che viene da New York: ma mio padre è vecchio e presto morirà•. Poi la sua voce cambiò, smise di parlare da assiro e parlò da barbiere. • Ne ho levati abbastanza?• domandb. li resto del racconto non ha importanza. Non dissi altro al giovane assiro e lasciai la bottega. Me ne andai a piedi fino alla mia stanza in Cari Street, cinque mìglia attraverto la città. Ripensavo a rutta la storia: l'Assiria e gli assiri: a Theodore Badai che impara a fare il barbiere, la tristezza della sua voce, la disperazione del suo atteggiamento. Questo è successo mesi fa, in agosto, ma da allora ho pensato molto all'Assiria e ho desiderato di dire qualche cosa su Thcodore BadaJ, figlio di una antica razza, giovane e svelto, ma senza più speranza. Settantamila assiri, soltanto settantamila rimasti di quel gran popolo, e tutti gli altri quieti nella morte, e rutta la grandezza crollata e ignorata, e un giova.ne in America che impara a fare il barbiere, un giovane che geme amaramente sul cono della storia. Perché non fabbrico intrecci di storie amorose che possano esser ridotte per il cinematografo? Perché non lascio andare al diavolo queste storie .,,enza importanza? Perché non cerco di piacere al pubblico americano? Bene, io sono armeno. Anche Michael Arlen ~ armeno. Lui piace al pubblico. lo lo ammiro moltissimo e penso che ha perfezionato un ~llissimo stile narrativo e tutto il resto: ma a me non piace parlare della gente di cui parla lui. Gente morta prima di cominciare. Prendete Giuda e il giovane giapponese e Theodore Badai, l'assiro: bene, questi possono finire fisicamente come Giuda, morire; o finire spi• ritualmente come Badai, morire; ma almeno sono fatti della materia eterna nell'uomo, ed è questa materia che m'interessa. Non li trovate in luoghi eleganti, a fare intelligenti osservazioni sul sesso e osservazioni stupide sull'arte. Li trovate dove li ho trovati io, e là staranno sempre, la razza dell'uomo, la parte dell'uomo, parte dell'Assiria quanto dell'Inghilterra, parte che non pub essere distrutta, parte che i massacri non possono distruggere, parte che i terremoti e la guerra I la ca~ restia e la pazzia e tutto il resto non possono distrugg•re. / Questo racconto è un tributo a Giuda. al Giappone, all'Assiria, all'Armenia, a tutta la razza dell'uomo, dovunque, alla dignità di questa razza, alla fraternità delle cose viventi. Non mi aspetto che la Paramount ' 1'-.li,,;;;;..;;J.. .7 Piclure metta in film questo racconto. Penso ai settantamila assiri, uno alla volta, vivi: una grande razza. Penso a Theodore Badai, egli stesso settantamila assiri e settanta milioni di assiri, egli !'Assiria stessa, e uomo, in una bottega da barbiere, in San Francisco, nel 1933, e che è, lui stesso, tutta la razza. WILLIAM SAROYAN UNA LETTERA Roma, 7 diceiubre 1937-XVI l'articolo apparJo nella uconda patina del n1unero 36 di Omnibus d.t 4 dicembre, JoUo il titolo: Le Turche, 6 indtbitamtnlt firmato da me. E vero eh, t,i mi ha t:hit• sto e io ho cons,gnaltJ un1 articolo sulle donne turdi,, ma J altrttlanto vero che la metà dtl ttJto ori1inale 1 Jlala tagliata, t dei 6 t periodi che eJattament, coJtituiuono la parte Jtampata, non uno (dico uno) J quale io l'ho J"iuo, ma tutti (dico tutta) Jono t:Orrttti, rifatti t Jtrauolli. Il, J riJultato, alla fine, un articolo Jul quale io deuo e,primt.re un 1iuditio auolutamente sfauoreuolt e di cui ,ifiuto nella maniera più /erma e precisa la pale,nità. La sconveniente giornali,tica, che Ji potrebbe addirittura chiamare diJoneJtd tior• nalùtica ·puclal acrtJmpa,tnata da un'inqua. lificabil, prtJuntione, J tanto più ,,ave in quanto l'articolo trattava, in t:t.rto unso, un ar1om,nto ancht d'inttreJlt politico. Dtbbo inoltre avu,rtirla che, non riconoscendomi autlJre ddl'orticolo che porta purtroppo la mia finn.a t dovrebb, invee. po,. ta,, la sua, rinuncio Jin d'ora al compenJ() che mi Jarebbt dovuto. r.rn:i,EPPE LOMBKA,s., La sconvenienza, la disoneuà e la presunzione elencate nella leuera non ci r:guar• d7:tnO. Il dottòr Lombraw. fu avvutito per telefono delle varianti che avremmo appOrtate al suo articolo. Forse le varianti fu. rono eccessive, ma ciò risponde a un criterio generale di Omnibus che intende dare agli scriu: un tono il più possibile unitario. I BITI DELLA DEKOOB.AZIA1 JL VOLO BETTOBJOO DEL lUNJBTBO SARB.AUT AL "DESSERT" fl NTERROM PIAMO, per oggi, le medilj tazioni sull'avvenire della civihà occi• den1ale, sulla prossima guerra mondiale e su altri gravi argomenti del genere. Mettiamo da pane ~li ariicoli di Garvin e di Pertinax, di Lord Lothian e del VOlklJcher Beobachtu, che si \'anno ammucchiando in poco fraterna confusione ; e, con essi, la• iciamo anche dormire il libro del Coman• dante Jshirnaru, che, con la sua fiammeggiante copertina, invano tenta di imporsi prepotentemente alla nostra attenzione chiedendo a grand: e vistosi caratteri: e Quan• do scoppierà la prouir"la guerra mondiale? Dove erutterà il vulcano? >. li vulc;.no non ha eruttato finora e non erutterA in questa $Cltimana. Distogliamo, dunque, per un istante, la mente da queste cupe prospettive. I.a dolccua di questa mite mattinata di dicembre e il sole, che splende oggi su Roma, invi. tano a p:ù ridenti pensieri. "IL IIOSTBOSOLE" (n\ UALE singolare associazione di idee ~ fa sl che, per aver nominato il sole, risorga, in noi, l'immagine di un uomo che, a prima · ista, non ha niente, in sé, di solare? Quale maligno dèmone ci suggerisce, accanto all"as1ro, che gli Eileni simboleggiarono nel bdlinimo fra tutti gli dèi, Apollo figlio di Zeus, dispensatore di vita, l'immagine tanto poco apoll:nea del compagno Stalin, dispensatore di mprte? Ahimè! il merito di un siffatto volo di fantasia non è nostro, ma dei giornali so,, vietici. Eu: hanno a lungo cercato una frase o un epiteto, che valesse a dire tutte le virtù del e: Capo geniale >; e dopo molte ricerche, dopo lunga e nobile gara, hanno trovato. Lo hanno chiamato e il nostro Sole>. Come Luigi XIV: lr Roi Soltil. Non è il caso di is1itu:re paragoni fra e soli • cosi di\·en.i. Ci sia solo permesso di fare una constatazione. Sotto il Re Sole, La Bruyère potè scri- \ere e pubblic . ire una sentenza come que1ta: e: La politica che consiste nt"llo spar. gere il sangue, è molto angusta di mente (boniét) e non ha alcuna finezza. Essa ci suggerisce di uccidere coloro la cui vita sia un ostacolo alla nos1ra ambizione. Un uomo nato crudele fa tutto questo senza diffi~ colti. t. la maniera più orribile e più gros• solana di mantenersi al potere o di divt'n• tare grandi >. Oggi, se un redivivo La Bruyère pubbli• ca»c una simile musima in Russia, tutti liconosccrebbero ncll'c uomo nato crudele> < il nuuro Sole > Su.lin e e nella maniera orribile e grossolana di mantenersi al po• 1ere > la maniera del e nostro Sole ,. Dopo di che, il redivivo La Bruyère non scr:verebbe altre massime. La poesia, che, come ,crine alcuni anni fa un pubblicista russo chiamato Fadeef, deve essere e la serva della politica prole1aria >, non poteva disinteressarsi del e nuovo Sole •· E un, poeta della repubblica del Kazakistan lo ha cantato nella seguente eulogia, d: cui non è chi non veda la somma spontaneità e la schietteua di ispirazione. Traduciamo fedelmente da una rivista americana. e Io volevo paragonarti a un profeta; ma i profeti mentiscono. e Volevo para~onarti all'oceano; ma nel• l'oceano le navi possono incagliarsi su scogli invisibili. e Volevo paragonarti alla montagna; m;i di ogni montagna si può vedere la cima. e: Volevo paragonarti alla luna; ma la luna splende solo di notte. e Volevo paragonarti al sole; ma il sole splende solo nelle giornate chiare>. Cosi il giovane poeta della repubblica del Kazakistan. E l'unico commt'nto ragionevole che si possa fare ~ che ogni popolo ha il sole che si meri1a. POESl.l E POLITIU ~ ANCHE i p«ti che si meri1a <- la L!) p~sia che si merita. Alcuni anni or sono - preci~amt"nte il 13 maggio 193 1 - Massimo Gorki scrisse nelle hue11ia le seguenti aciocchcz.ze: e Gli scrittori protestano eon1ro il diritto che la Rivolutionc si arroga di disporre della loro encr• gia creatr!ce ... Ma la letteratura non è stata ma. 1th> che un affare di classe... Quelli che mettono in dubbio queste verità sono imbecilli e ignoranti >. Al caldo raggio di una siffatta. cs1e1ica, qual meraviglia che si schiudano Mori di pOCJ.iacome quelli di cW il giovane poeta del Kaiakistan ci offre cosi ricco serto? E, pres.s'a poco, in quello stesso tempo tn cui Gorki scriveva quel che abbiamo riferito, il pubblicista Fadeef, poc'anzi ricordato, rincaltava contro coloro che concepiscono la poesia come fonte di piaceri disinteressati: e Una simile concezione si riduce a fare della letteratura uno stru• mento di sfruttamento a profitto della borghesia: la letteratura artistica de\·e essere 1;1 se1va ddla politica proletaria, se pur dispiaccia agli intellettuali, cioè a dire ai borghesi >. E qui borghese - commentava il Croce - diventa titolo di onore, se bor• ghese e è colui al quale di,piace di vedere la Pm·1ia trattata da serva •· Sottoscriviamo umilmente. Ma i russi se la son creata la poesia cht sognavano, la poesia di cui erano del(ni. < Io volevo paragonarti alla luna >, canta il giovane alunno delle Muse della re• pubblica del Kaiakistan ; e ma la luna splende solo di notte. e Io volevo paragonarti al sole; ma il sole splende solo nelle giornate chiare >. t questa, se non incorriamo iQ errore, la e poesia serva> ann\lnzia1a dal pubblicista Fadeef. Vera inceuu potuil dea, cantò il poeta latino. Sarà, ma anche le serve si riconoscono dal passo. CROCEE FARINELLI f.\ BBIAMO nominato Croce; e ciò ci lpJ induce a fare una digressione, del tutto fuori del campo proprio di . questa rubrica. Abbiamo detto che la bella giornata invita a pensieri ridr:nti. Che le circostanze meteorologi, he \'algano, dunque, a scusarci. Nell'ultimo numero della Critit:a, il Croce pubblica un dotto e accuratissimo Studio sull'ex-monaco puglies.e Domenico Giovi• naui, che invgnò l'italiano al Goethe fanciullo, e del quale finora nulla si sapeva; e premcue allo studio una nota •polemica dedicata all'accademico Farinelli. Egli, dun• quc, racconta che, quando vide annum.ia• ta la pubblicazione del Via1gio in Italia del padre del Goethe a cura e con introdu• z:one e note del prof. Farinelli, sperò di poter sapere qualche cosa circa il suddetto Giovinazzi. e Senonché, a\uto fr" le mani il volume, invece della prl"gu1ta1a wddi)fa• zlone, 1rovai intorno al Ciovinaui la dichiarazione dell'editore: "Non ne sappiamo nulla; non ci sorreggono testimoniante e documenti". E poi, con quel gruire fra drammatico e disperato, che il Farinelli non abbandona neppure nelle placide faccende dell'erudizione: "Come a\·er luce sicura su queno italian0 espatriato e per tanti anni precettore assiduo della famiglia Coe,he? ". Come? Col comp:ere ricerche storiche, c.1ro il mio Farinelli, sorta di lavoro che tu non hai mai praticata per man. co di amorosa pazienza, pago di accumulare l'una sull'altra, frenetica.mente, aride citazioni di libri e condirle di frasi enfatiche fuori di ogni opportunità>. E sta bene. Ma uarcbbe anche meglio se lo ue.iSO Croce, circa una ventina d"anni fa, non aveue, in segno di stima, dedicato un suo libro al suddeuo professore Far:nelli. I DISCORSI DEL GEIIEBALE SMUTS 'f11. GENERALE Smuts, che combattè val.!. loros.amente a capo dei boeri contro gli inglesi e che è, oggi, una persorialità eminente cd autorevolinima dcll'Im• ptro britannico, fece, tre anni fa, al Royal lnititut o/ /nttrnational Affairs in Londra, un discorso sulla situazione p0litica, che tbbe la p:l1 larga risonanza nella stampa di tuuo il mondo, specialiuente in qurlla inglese e in quella francese. Il T,mri lo riportò integralmente e lo approvò con gravi1à. I fomali francesi di destra, invece, insorlt"ro come un sol uomo, anzi come un >0!0 g!orna\e, Il T,mpJ attaccò il vecchio generale con gravità non minore di quella con cui il Times lo aveva confortato della sua approvazione. Gli altri gioroali francesi usa1ono anche meno riguardi e dedicarono al discorso del generale commenti acerbissimi. Che cosa aveva mai detto il vecch:o generale boero per suscitare tanto rumore? Due cose, La prima, che il credere alla possibilità di una guerra in un prossimo avvenire era e una K.iocchcua, come ben sapevano tutti coloro che conoscevano come stcuero le cose >. Evidentemente la e s .ocche:zz.a > la diceva il generale. Neppure un bambino, ogg:, ripeterebbe quel che egli dis• .e allora con cosl bella sicumera. La seconda affermazione sensazionale che fece il generale Smu1s fu la seguente: tutto il male, secondo lui, derivava dal fatto che i vincitori della grande guerra erano ossessionali d:'l quello che egli, con terminologia freudiana, chiamò e: un comples.so di paura >, e che i vinti, invece, e.rano o"e1- ~;o~~1~eJi:, cp~;cit, 0 ':::e::m:i~c;~r~~~t\~::-~ rire l'inferiorità. A quel tempo, l'azione politica della Germania si concentrava tutta sulla questione degli armamenti. Pertanto la terminologia freudiana del generale Smu1s significava semplicemente questo: che la Germania pretendeva la parità in materia di armamenti (e complesso di inferiorità>) e che la Francia si opponeva a questa richiesta, temendo per la propria sicurez:r.a (e comples.so di paura>). Sopprimere l'inferiorità, pertanto, nel linguaggio e nel pensiero del generale, significava: permeuere alla Cennan;a di armarsi fino a raggiungere la parità con la Francia. 11 generale ometteva di spiegare perché mai, se si fosse cli. minala l'infcriorit.à della Germania, sarebbe scomparso l'altro e complesso >: la paura della Francia. Sembra che questo sarebbe, anz.i, dovuto aumentare. Chi ha paura di un a\ versario in enne, lo temerà ancora più quando sarà armato. Il che, del resto, è quello che è accaduto: ché, :n questi ultimi anni, la Germania si è arma1a, e la Francia ha, oggi, più paura di prima. E quclìtO basterebbe a dimostrare quam parva sapienlia parlasse, nel 1934, il valoroso generale. Senonché una cosa era certa: e cioè che dì quella soluzione sarebbe tocquo al• la Francia pagare le spese con l'abbandono di alcune posizioni politiche tiadizìonali. E questo basta\a perché il generale Smuts prop0nesse di e: soppr:merc l'inferiorità > ; e perché il T,mes, gravemente, ap• provasse. Dal settembre del 1934 ad oggi. sono accadute molte cose. E la Germania, ora, non reclama più la parità negli armamenti, che ha conseguita da un pe-ao, ma le colonit-. iutte le grandi pou·nze hanno delle colonie; solo la Germania, che ne avrebbe par• , tic.olarincnte bisogno, non ne ha affatto. E quelle che un tempo aveva, le furono col• te con i più mendaci e sfrontati pretesti: incapacità della Gem1ania a coloniu.are, sua responsabilità della guerra, ccc. In una parola, un nuovo e complesso di inferiorità > ossessiona, oggi, il gcrmancsimo, Quale sarebbe il rimedio? e Sopprimere l'inCe• riorità >, diceva il generale Smuts nel 1 934. Sopprimere l'inferiori,à, ripetiamo noi in quest'anno di grazia 1937: e cioè restituire alla Germania. le colonie che furono sue. Ma il generale Smuts, oggi, non ! più dell'opinione di una volta. Il 2 dicembre ha pronunziato un discorso a Bloemfontcin e ha detto che, quando era ministro, concluse un accordo con la Germania e, con questo accordo, il Governo del Rtieh ricono,ceva che e l'avvenire dcli' Africa sudorientale è con l'Unione sud-africana >. E il TimeJ ha definito questo discorso un e contributo> alla questione df'lle rivendicazioni coloniali tedesche. Quale sia il valore di questo e contributo • è stato subito chiarito dal VOlkiuhu Beobochter: è vero che fu concluso l'accordo di cui ha parlato Smutl; ma non è affatto vero che con esso il Governo del Reich abbia riconosciuto che e l'avvenire dell'Africa sudorientale sia con l'Un'.onc sud-africana>. Tutto considerato, sarebbe desiderabile che i generali boeri studiassero meglio Freud prima di parlare della situazione europea. Fon.: scoprirebbero in se stessi o, per dir megl.o, nella loro patria, qualcuno di quei e complessi > che Smuts scorgeva nell'anima di alcuni paesi europei: un e cOmpleuo di preda>, per esempio; e anche un e complesso di paura > che, del resto, t sempre il fatale compagno del primo.
• ~- I VOGLIA o no, il patto franco- ', ,o, ictico è l'origine di tutti i \) ~uai di cui soffre oggi tutta l' Europa, compresa la !ltc,,a Francia. Che cos'è stato il viag1!,IO del ministro Delbo5.oa Van.avia, a Bucarest, a Praga, :'l Belgrado, -,e non un cstremo tentativ() di rafforzare posi1ioni che non tengono pilt? Lo Mcs~ \ iaggio l'aveva percorso a suo tempo ,1ncht:' Barthou, bruciando le t:.1ppc diplomatiche, ~cnza nc~!luna di quelle caute preparazioni che fino a Poincaré t·rano una delle caratteristiche del Quai d'Orsay. Perché tanta fretta. tanta an- ~u,tia, tanta precipitazione? Il perché ce l'ha svelato di recente un pubblicista eminente, antico diplomatico, che fu intimissimo del Barthou e ne ebbe le confiden1e: Vladimiro d'Ormcsson. Pare una favola ed è ,toria. A,k·uni precedenti, che ci riportano .,Ila Confcrt·nza del disanno. Si sa che, od 1932, i governi d; Tardieu e di llcrriot avevano rifiutato alla Germania di \\'eimar i 200.000 uomini di cui ,i sarebbe accontentata; che1 nel 1911, Sarraut aveva risposto negativamente alla prima rivendicazione di Hitler: 300.000 uomini j che, nel 1934, allorquando Inghiltcrra 1 Italia e America proponevano una convenzione per la limitazione degli armamenti (convenLione accettata dal Reìch), il governo di Doumcrgue respinse l'offerta. e Il Patto, tutto il Patto, niente altro che il Patto!>. Come ,\I -.olito, la Francia i.ofisticava ,ullc clausole riguardanti la e sicurez- /i.t > e il e controllo :.1 quasi che la Ger11unia non fosse già pervenuta ad un cospicuo rianno nonostante il Trattato dì Versaille~ ! e La questione capitale r pratica », aveva notato pochi mesi prima un memorandum italiano, e non è di impedire il riarmo tedesco, ma d1 evitare che esso avvenga ali' infuori di ogni regola e di ogni controllo. La Francia trova una contropartita immediata ed efficace nel mantenimento dl~ll'in:;ieme dei suoi· armamenti, che , algono a garantirle un'indiscutibllt' ,upe'èiorìtà 1 da un punto di vista tee• nico e militare, per tutta la durata della convenzione>. Era la voce stessa del buon senso, era l'unica forma pos- ,ibile di mediazione. Per un momento parve che l'accordo fosse sul punto di concludersi 1 quando ,i ebbe la violenta nota del governo f r~ ;1cese del 1 7 aprile 1934, clie mandava all'aria ogni cosa. L'aumento dei crediti militari nel bilancio del Reich avC'va irrigidito la re~istenza francese. Dal momento - così si ragionava in Francia - che la Germania vìola gli impegni consacrati dal Trattato di Ver- ,.tillcs, quali garanzie si presentano che .inche i nuovi accordi non saranno violati? E in tal caso, perché legarsi le mani? L'n sistema di garanzie non può c%C're organizzato che a Ginevra, ma l.1 Germania, come. è stato ripetuto al ministro Eden durante il suo viaggio a Berlino, non ha nessuna intenzione di ritornarci. Inutile continuare la discus- ,ionc. Que:ito il senw della famo~ nota di Barthou, che ~cgnò virtualmente la fine della Conferenza del disarmo. Tutto \·iò .mda\'a ricordato; ma era noto. Xon cr.i affatto noto, invece, < hr Barthou era recisamente contrario .tlla rcdazionC' di quel documento cosi mtr,,nsigcnte, che rngli..iva ogni ponte 1• metteva la Gcnnania nel suo pieno diritto di procedere ad un riarmo tot.de. Ave\'.t perfino minacciato le dirni,~ioni qualora i colleghi del gabi1wtto avessero pt•r<i'ttito in quell'ordine <li idt:c. E fu M>lo <,otto la pressione t·onvcrgentt' di Dournergue, Hcrriot e rardicu che 8,1rthou finì per cedere. Uomo intclligcnti~imo, ma non ser- \ Ilo da altrettanta forza di volontà. non tardò a rendersi pienamente conto della gra\'ità del gesto compiuto. Tem1.x:rnmcnto d1 una ~traordinaria duttilità, si riprt'~ immcdiatamc•nte e stu- <liò il modo di riparare a quello che . rl·putava un funesto errore. Fu in quelle circ~tanzc e in uno stato d'animo agìt.tti~i.imo che immaginò di trovare la ,oluzionc nella <;;tipulazionedi un vasto piano di sicurezza orientale. Il suo 1agio11amento, secondo le rive• l,1zioni del d'Om1cs~on, si può riassumere così : e Prima di tutto, una buon.i p.irtt.· dcJJ'opinionc pubblica francese è-contraria <1ll'idca di una convenzione militare ..inglo-franco-tedesca. Si teme, in Francia, eh(• una convenzione di que• ,10 genere. mentre Jegherehbe sul serio i francc ..i1 non sarebbe rispettata dai t,·deschi, di cui è fin troppo evidente la dcri'l.a volontà di riarmare. In simili condizioni una convl'nzionc 1>er la sin1rc7.za occidt'ntale c.arebbc irrisoria; meglio, pericolosa 1 perché essa non impt:dircbbe ,~ffatto alla Gtnnania di mcttrrc in e~scrc poderosi disegni di l!Ul'rra vcr..,o l'est. Se, invece, si pot<·,<,cro ottenere dalla Germania a,-.icurazioni e~plicitc, chiare e nette, anche relativamente all'est, as-.icurazioni che dovrebbero e~re integrate da un si. 'ìtema di garanzie ancora più generali, la pacificazione si propagherebbe au• tornaticamentc su tutta l'Europa, la qual cosa consentirebbe di riprendere con successo lo scopo mai perduto di \ ista: la ridU.2.ione degli armamenti, logica con!cgucnza della sicurezza comune». QueMa l'idea direttrice di Barthou, esposta e riassunta con la maggiore pos- ,ibilc fedeltà. Non è da escludersi che altre considerazioni venissero ad aggiungersi a queste vedute iniziali. E non è nemmeno da escludersi che il gusto delle combinazioni giuridiche del Barthou. - della pOtisserie, - le tenha ~egnato un abisso incolmabile fra la Francia e il Reith. 1 difensori del patto fr.mco-soviet.ico amano riportanii alla situazione dell'antcguc1Ta e ricordare che, nelle relazioni internazionali, non si deve guardare al regime interno dei vari Stati. li ragionamento poteva correre bc11issirnoal tempo della Russia degli zar, che non cercava certo di ingerirsi nella politica interna degli altri Stati; ma non trova nessuna rispondenza nelle circostanze e nelle situazioni di oggigiorno. C'è qualcosa di am• biguo, di equivoco, di falso nelle relazioni internazionali della Russia sovietica, cd è l'accavallamento della sua politica rivoluzionaria e della sua po· litica estera. Tradizionale e classica al pericolo comunista e si compiacevano di scandalizzare i filistei. t di ieri un volumetto di E. Ber): Le fameux rouleau compresseur, rivelatore di uno stato d'animo insospettato. Vantaggi e svantaggi del patto franco-sovietico, così dal punto di vista diplomatico come dal punto di vista militare 1 sono soppesati con estrema obiettività. li Seri parte dal presupposto che la Francia persegua un unico scopo: il mantenimento della pace e l'integrità del territorio contro eventuali inizia• tivc germaniche. Ciò posto - egli osserva - una alleanza è tanto più desiderabile per la Francia quanto più aumenta le sue ri!torse militari nel caso che la Gennania scenda ad attaccarla. ~a. d'altra parte, un'alleanza offre per -.O\·ieti,o ~ono ancora più sconcertanti. Innegabilmentc - ricorda il Bcrl - l'Europa ha paura dei russi. Ne ha' -.cmpre avuto paura, molto prima della propaganda nazista, Si direbbe che l'Europa ha istintivamente paura di c.idere tanto più in condizioni miserabili, quanto più la Ru:osia innalzi ed c,tcnda il suo potere. Quc~to in via pregiudiziale. Sul terreno strettamente diplomatico, è difficile sostenere che l'intesa con la Russia abbia aumen• tato la capacità di attrazione della Francia nel mondo. Se è difficile fare un calcolo anche approssimativo delle pa!isività diplomatiche rhc il patto sovietico comporta, è impossibile negare dw que~te passività siano cospicue e ~iano destinate ad aggravarsi sempre più. Quando una nazione non desidera ,lltro che il mantenimento della pace e l'inviolabilità delle sue frontiere, per giudicare di un'alleanza non basta più con~idcrare esclusivamente quelli che sono i suoi possibili vantaggi in tc1npo di guerra. Bisogna anche considerare i rischi concreti che l'alleanza in que- ~tionc può far correre alla pace. In linf:.a generale -:- pensa il Ber! - ogni .tmirizia della Francia con un'altra nazione aumenta la possibilità di un riavvicinamento franco-tedesco; ma, nella fattispecie, una qualsiasi solidarietà della Francia con la Russia è cosa che porta automaticamente la Gennania a quello stato di psicosT che condusse al conflitto del 1914. Nell'ipotesi di una guerra in cui la Francia fosse l'alleata della Russia, è difficile immaginare che l'Europa. nel '>UO complesso, si troverebbe in uno <1tatod'animo da desiderare il trionfo / delle anni franco-russe. !:.. difficile immaginare che un progresso della Rus- ,ia in Europa non susciti le inquietudini di tutte le nazioni, dalla Polonia all'Inghilterra. dalla Svezia agli Stati Uniti. Sarebbe stolto non pren• der atto del fatto che l'accordo franco-sovietico, al quale avrebbero dovuto aderire tutte le nazioni dell'est europeo, è stato respinto all'unanimità. Con questi risultati : le azioni del colonnello Bcck sono salite in Polonia1 i vincoli di Roma con Berlino si sono rafforzati, la Jugoslavia si è riavvicinata come non mai all'Italia e alla Gennania, la Rumenia ha mutato indirizzo, il Belgio è ritornato alla neutralità. Non è ancora tutto. Non è un mistero per ne~'luno che la stessa Inghilterra St' n'è preoccupata al punto da domandare alla Francia di non aggiungere al patto con la Russia convenzioni militari. Mosca attende invano la visita dello Stato Maggiore france-se, Tutto ciò è nella logica della storia e delle cose. L'Inghilterra non è forse minacciata dalla Russia in Persia, nelle I_ndie e, dopo Montreux, perfino nel Mediterraneo? Potrebbe la Polonia, che ricorda l'invasione del 19(20 1 non temere la pressione bolscevica? Può la Rumenia esser sicura che una Russia (·onsolidata non le tolga la Bessarabia? E i Paesi scandinavi non han da te• mere che la Russia riassorba l'Estonia, la Lettonia, la Finlandia? La Turchia ,tessa può non paventare al profilarsi di rinati appetiti slavi su Costantinopoli e gli Stretti? Può, infine, la stessa Francia chiudere gli occhi alle ripercussioni del patto franco-russo nella \ua politica interna? PIÙ CBELAMORTE ,\ LENINGRADO 11i11e11aun CLrtO P. J. Siiajev, uomo rozzo e 1gart-uo A1 principio della NEP, aprl un negozio da barbiere. Ma, oltre a tagliar capelli e rader barbe, commerciava anche con le val te estere, e trattava affari d'ogni genere, con particolare predile:r.ione per quelli intricati. Naturalmente, finl col farsi coglier!' in fallo. Per qu..,Jchc tempo fu rinchiuso in prigione; poi fu spedito in un certo luogo piuttosto distante da Uningrado, come 1pcculatore. Ed egli, di buona o catti11a voglia, partl. L'irrc.sto, però, non gli era giunto im• preveduto. Il cuore di Si1ajcv lo prcscnti11a.Già una settimana prima aveva detto ai suoi compagni: « Purché non metta il piede in fallo!>. E, per ogni e11cnienza, pn.~sa la vecchia pelliccia, ne scucl la fodera, e vi nucose dentro dicci iccchini imperiali e un qua. dratino d'oro. Bisogna ricordare che lo Stato, nel 1924, emi,e di que1ti quadratini per neccuità tecniche. Dunque, Sisajev ricucl il suo tesoro nella pelliccia, e non 1e la levò più di dosso. In un ri1volto dei pantaloni, rkucl alcune banconote. Poi aspettò. Ma non attese a lungo. Già al principìo dell'autunno fu mandato, imietne alla 1ua pelliccia, nel luogo dcll'c1piazione. Non 10 come vi11eue nella sua nuo11a residenza, ma penso che non avrà. vinuto molto male, con una cosi grande riserva di denaro. Di tanto in tanto estrae11a fur• tivamcnte dai pantaloni qualche banconota. L'oro, però, era sempre al suo peso. Era tratcorso appena un anno, quando, improvvisamente, Sisajev si ammalò. La malattia cominciò con un semplice raffreddore, poi seguirono la rau<'cdine, gli starnuti e la febbre. Infine, l'uomo scntl avvicinarsi la morte. Ed allora, di notte, si le11ò di dosso la pelliccia e scucl di nuovo la fodera. Poi, ad uno p.d uno, mise gli iecchini iulla lin• gua e cominciò a inghiottirli. Ne aveva inghiottiti cinque o sei, quando uno dei suoi compagni ,i acconc della strana operazione. Si mise a protestare e a gridare, e, mal• grado le suppliche e gli scongiud di Si• sajev, non gli permise d'inghiottire il dc• naro rimanente. Quando Sisajev ,i fu calmato. il com• pagno gli dine: e lo non de1idcro il tuo denaro Non vo• glio prenderlo per me. Ma non POSIOpermettere che tu lo inghiottisca. 1·anto pià che l'infiammazione polmonare se ne po• trebbe andare, Ed allora tu non avresti pii) il denaro, e saresti malato di stomaco >. In breve: l'ammalato s'aliò dopo un po' di tempo. Il suo petto si era alleggerito e la rctpirazione era diventata reaolare. Ma sentiva un grave puo allo stomaco che non gli permette11a di mangiare. Per fortuna, gli zecchini inghiottiti erano appena cinque o sci ; altrimenti chi1al qu&Ji complicazioni nrebbero avvenute. Naturalmente, si sarebbe potuto ottenere che l'ammalato andasae a Tom1k a (ani operare. Ma Sisajev non voleva andarci. Non glielo permetteva la sa.Iute. O, fone, temeva che a.otto il cloroformio non p. rcbbc più 1tato in grado di sorvesliare i movimenti di coloro che l'operavano, e quindi qualcunc. avrebbe potuto lcvarali i suoi zecchini. Si sottomise soltanto a qualche maua1• gio e bevve alcune medicine, Alla fine, egli riuscl a cacciar fuori il peso dello stomaco; ma, contati i pcui, s'accorse che non erano· tutti. La !accenda si complicava: o qualche peuo era stato rubato, o gli era rimasto nello stomaco. Preso dal dubbio, Sinjc11 non permise che continuauero i massaggi, e prcferl pensare LOGLIO 1914 • lfASOITA DEL BULLO OOMPRESSOBE CPOIHOARt VISITA A PIETROBURGO LO ZAR} Patto franco-russo o patto franco-comunista? Qua l'analisi del Bcrl assume un tono spiccatamente drammadco. Ve-diamo. Se il partito comunista francese continua 1 nei confronti del Comintern, 1wll'attuale stato di subordinazione, la Russia può disporre sul governo della Repubblica di un potentissimo Mrumento di pressione e di intimidazione. In questo caso, l'alleanza ~i trasforma in vassallaggio. ;~~tt~s~:n:~e r:~se:a~~m~••~1t~L' tuo 11entre, MICHELE ZOSCENKO denze filosovietichc di molti, le <1tesse manovre "<lei Soviet non lavorassero nella stessa direzione. « Quello che posso dire, e lo affemio con tutta certezza >, scrive il d'Ormesson, « è que~ \tO: il fine al quale tendeva il Barthou non era affatto quello di trascinare la Francia in un téte-à-tile con la Russia; era, invece, quello di permettere alla politica francese di ritrovare il filo dei negoziati d'insieme con Berlino >. Vedeva giusto, vedeva falso Barthou? :'\on è il caso qui di rispondere. Dal punto di vista della storia diplomatica recente, occorre prendere atto del si• ~nificato genuino <lell'orientamento di Barthou. all'indomani della nota del 1 7 aprile 1934 e del suo viaggio di ricognizione a levante. Le difficoltà M>rscro ben presto -;ul cammino del ministro degli Esteri francese. Quc5tioni di prestigio vennero a rendere ancora più complessa la situazione. Impegnatasi a fondo e in quel modo, la Francia si trovò presto nell'impossibilità di retrocedere sen7,a aver l'aria di subire uno scacco diplomatico clamoroso. Il dic;egno di un vasto patto regionale si attenuò rapidamente per via e perdette ogni consistenza fino a ridursi ad un semplice protocollo franco-sovietico. Successivamente, Lavai e i isuoi collaboratori si studiarono di contenere il patto franco-sovietico nel quadro del Covena,1t ginevrino, nell'intento preciso di togliergli il carattere e il valore di una e alleanza automatica>. Si può ammettere senza difficoltà che gli uomini più prudenti della Francia c-bbcro sempre acuto il senso del pericolo insito nel patto f ranco-sovictico ; ma si deve egualmente ammettere che quCI patto finì per eserrìtarc, in Francia e fuori, un'influenza che esorbitava dagli stessi limiti nei quali avevano voluto contenerlo i suoi negoziatori. Per Barthou - si illudesse o no - la via di .MO<;Cdaoveva riportarlo a Berlino; per i 1o11oi \ucce,-.ori questa stessa \'ia sul piano storico, la politica russa è e rimane rivoluzionaria su quello sociale. Stalin ha calzato gli stivaloni degli zar medievali e sopprime, in terra patria 1 le ultime vestigia del comunismo negli uomini e nelle cose ; ma Dimitroff continua a insidiare tutto il mondo in nome della Terza Internazionale. L'azione spiegata all'estero da Oimitroff è un alibi per l'azione spiegata all'interno da Stalin, cd è in funzione dell'imperialismo russo che ha tutto da avvantaggiarsi dalla corro- ~ione degli altri Stati 1 riguardati- come e sezioni locali > del grande partito comunista mondiale con sede centrale a ~losca. Questa duplicità di atteggiamenti e di modi ha intorbidato come non mai l'atmosfera europea, ha avvelenato tutte le relazioni diplomatiche della Francia, tutti i suoi rapporti interni di classe e di partito. Il cinismo di Mosca è semplicemente inaudito tutte le volte che il governo francese fa presente agli uomini del Cremlino le difficoltà fra le quali si dibatte la diplomazia del Quai d'Orsay per colpa dei comunisti. e Metteteli a posto. La cosa non ci riguarda. Quando mai condizioniamo la nostra politica estera alla politica in• tema degli altri Stati? Ataturk non ha liquidato in casa sua qualsiasi velleità bolscevica? Forse che questo ci ha impedito di essere i migliori amici dei turchi? Alla Francia noi domandiamo una cosa sola: di essere forte>. Questo il ragionamento di Mosca, che, contemporaneamente, sussidia con ogni mezzo i comunisti francesi e li inquadra col metodo delle cellule, coc.a che si guarda lJi·ne dal fare in Turchia. Contro questa insanabìlc contraddi1.ione, contro le illusioni di una poli• tica estera, che in luogo di consolidare la sicurezza r.c minaccia le basi e sembra concludere all'isolamento continen• tale, incominciano a reagire c1ucgli stes- ,i ambienti intellettuali che fino a poco tempo fa ostentavano di non credere la Francia tanto maggiori inconvenienti quanto più sensibilmente aumenta i rischi di un conflitto franco• tedesco. E allora? La Francia deve cercare solamente. quelle alleanze che po!oSOnoeffettivamente aiutarla a vincere una guerra possibile o che possono collaborare con lei a non farle perdere la pace. L'ideale. Diversa si presenta la realtà. Ammessa una minaccia germanica, quale può essere, effettivamente, il concorso della Russia? L'esperienza della guerra mondiale sta a dimostrare che il famoso rullo compressore operò con efficienza di gran lunga inferiore alle previsioni. Parve aver ragione quello spiritoso diplomatico dell'epoca bismarckiana, che definì la Russia « il paese delle illimitate impos.sibilità >. C'è, adunque, un'incognita niente affatto rassicurante. Si aggiunga che l'assenza di qualsiasi frontiera comune fra il Reich e la Repubblica sovietica ostacola, più d~ quanto comunemente non pensino gli ot~imisti per partito preso, qualsiasi azione della Russia in favore della Francia in caso di guerra. A persuadersene, basta uno sguardo alla carta d'Europa. In nessuno modo la Russia potrebbe soltanto molestare la Genna• nia senza prima levar di mezzo, sia attraverso negoziati, sia attraverso le ar• mi, l'ipoteca che la Polonia detiene sulle sue vie di comunicazione. A negoziati è difficile pensare. [ polacchi hanno imparato troppo duramente, nei secoli, a temere i russi, perché pos::.ano essere comunque di~ sposti ad abbandonar loro il proprio territorio. C'è il ricorso alle armi. Ma annientare la Polonia non è agevole. Si è già tentato di farlo. Si è visto con quali risultati. Qualora anche si riusci~sc nell'impresa, ci vorrebbe del tempo e il tempo apparirebbe ben lungo ai francesi, se dovesse intercorrere fra una nuova Charleroi e una nuova Marna. Questo da un puro punto di vista militare. Se, poi, dalle considerazioni militari c;i pa~ a quelle diplomatiche, le conclu::.ioni relative al patto franco• Si può anche fonnul.irc l'ipotesi in• versa : che un giorno o l'altro il partito comunista francese f.nisca per ribellarsi alle htruzioni del Comintern. Questo potrebbe accadere il giorno in nti Stalin, prima rusm e poi comunista, si mo<,tra!<o~troppo ligio alla borghesia francese, in considerazione degli interessi nazionali della Rus~ia. ln questo caso il governo francese, se non vuol tradire i patti stipulati con Mosca, deve prendere posizione per la Terza Inter• nazionale contro la sezione francese di questa !.tessa Internazionale! C'è un'altra ipotesi, anche più tra• gica. Nulla vieta di immaginare che il governo della Repubblica possa, un giorno, concludere accordi di carattere militare con qualche grande Potenza invisa alla Russia, ma alla quale vadano nella !otessa Francia le simpatie di un partito fortemente organizz.'\to. E si immagini un e veto > di Mosca. Si profilano due prospettive egualmente catastrofiche, sia che il governo france,c voglia rc~i~tcre alla Russia contro la volontà del proletariato, sia che voglia cedere alla Russia in opposizione a questa stessa volontà, Nel primo caso, si avrebbe l'alleanza mostruosa del proletariato francese con una potenza straniera contro il proprio governo e contro gli interessi della propria patria. Nel secondo caso, l'alleanza altrettanto mostruo!oa del governo rrancesc con una potenza straniera contro il proletariato riluttante o ribelle. « Questo rischio è troppo grave perché, nonostante tante pressioni e tante minacce, non si levi la nostra voce ad ammonire severamente i nostri uomini di governo : macchina indietro, e pre- ~to ! Il sangue degli operai di Francia non deve saldare il conto dì questi si• nistri mercati >. MARIO MISSIROLI .. IL MARESCIALLO Lefebvre diceva moli~ ingenuamente a Giuseppe Bonaparte, re d1 Spagna: e Sapete cosa dovete fare per auicurarc la pace e la tranquillità del 110stro regno? Mandate a tutti i diavoli gli Spagnolj e sostituiteli con dei buoni Alsaziani. Questi miei compae1ani sono di ottima pasta, non ricchi: voi farete la loro fortuna, ed cui vi 1aranno riconoscenti. Allora 11arrà la pena di essere re di Spagna >. TROVANDOSI a Saint•Ouen, Lui. gi XVJJl leggeva al signor di Talleyrand, capo del governo pro1111isorio,la carta costituzionale che si proponc11a di concedere alla Francia: e Sire, noto una lacuna >. e Quale?•· e Lo stipend:o ai membri della Camera dei Deputati>. e Ma voglio che le lo~o funzioni t.iano gratuite per essere più onorate>. e Oh! Sire, si, ma ... gratuite ... sarà trop• po caro! >. t RISAPUTO che l'ammiraglio inglese 8yng fu condannato alla !uciluìone pcl' non aver avvicinato dì più il vucello-am• miraglio di Francia. e t vero >, come dice · !I Candido di Voltaii;c, e che l'ammiraglio inglese era lontano nella stessa misura del • l'ammiraglio francese; ma, in lnghiherra, è utile mandare a morte ogni u.nto un ammiraglio per incoraggiare gli altri >. UNA VOLTA Piron fece un viaggio a Bruxelles per visitare il poeta Rousseau. I due si tro11arono1 un giorno, sol: in mezzo alla campagna. Suona mezzogiorno, e Rou1scau s'inginocchia per dire l'An11luJ. e: Signor Rouueau >, gli dice Piron; e quel che fate è inutile: non d vede che Dio >. . . UN VECCHIO FRATE 1i presentò u~a ..o. lta all'udienza del papa Benedetto XIV, sciogliendosi in lamenti, in lagrimc, in singhioui su una disgruia, la più grande disgruia possibile. e Di che si tratta? > chiese il Santo Padl't', e: Mi è stato rivelato >, rispose il frate, raddoppiando i pianti, e che è nato l'Anticristo >. e E che età si dice che abbia? > chiese il pont-cfice. e Tre o quattro anni >. e Bene, bene>, replicò il papa, e se ne incaricherà il mio successore >.
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