IL SOFM DELLE musE , FRAMMENTO presentato qui solto fa parte dei Ricordi di Letteratura e di Vita, pubblicati da Ivan Turghenieu n.el 1867. -=- L'eroe principale del rac- - - co,1to, il pittore Alessarl· dro lvauov, visse a lungo a Firen7.e e a Roma, ma fu in/lue117.ato soprattutto dalla pittura tedesca del primo Ottocento. D'i.spira(..ione mistica ed accademica, dedicò gran parte della sua vita a un unico quad,o, di cui qui vien parlalo a lungo, L'apparizione di Cristo al popolo. Alcuni anni del suo soggiorno romano coincidono con quello di Gogol, che, com'è noto, scrisse a Roma gran parte delle Anime morte. Ma ,ulla vita a Roma di Gogol Omnibus si ,i.serva di presentar presto ai suoi lettori i11teressanti curiosità e documenti. IL compagna d'lvanov e di T11rgheniev·i11 questa gita ad Albano e a Frascati, Va.sili Botkin, fu uno degli idealisti rn,ssi, e fece parte del movimento che si svolse negli an,1i dopo il '40. Pigro ed epic:ireo, figlio d'un ricco mer• cante, egli agì ,iel g111ppo di Star1Jcievic, Granovski e Bielinski, più che per le opere, col fa.scino della sua persona. L'nltro pittore Carlo Briulloµ, a cui viene .spesso acunnato, è ,wto soprattutto per esser l'autore di u11 quadro mediocre e famoso, L'ultimo giorno di Pompei, al quale Gogol dedicò u,w dei suoi Arabeschi. A11che Briullov visse a lungo in Italia, dove lo coise la morte. La lirica di Tiutcev a cui Turgheniev allude per contrasto, quando parla di Villa d'Este, lintitola Ad una villa italiana.. Fiodor Tiutce:;, il più grande poeta russo del secolo scorso dopo Pusckin, fu tra l'altro diplomatico accreditato presso la corte di T ori110. Lo Strauss a cui lvanov aveva fatto visita irt Germania, è l'ex-teologo David Strauss, passato poi all'hegelìsmo ed autore della famosa Vita di Cri.sto criticamente rielaborata. IL TRADUTTORE IN UNA splendida giornata ottobrina del 1857, una. botticella. malandata procedeva adagio adagio, con un gran fracasso di vetri, lungo la strada che porta da Roma ad Albano. A cassetta. era un vetturale dal viso bruno, con due enormi basette, e che nel c-omplesso aveva l'aria indolente d'un satiro. Nella vettura stavano sedi.rii tre « forestieri > russi: il com• pianto pittore lvanov, Botkin ed io. L'attributo di forestiero andava applicato realmente soltanto a Botkin e a me, perché lvanov, o meglio il' signor Alessandro, come lo chiamavano alla trattoria del Falcone o al caffè Greco, così per la maniera di vestire come per il modo di fare, era ormai divenuto un vero romano. La giornata era magnifica : e nessuno avrebbe saputo, con la penna o col p<;nncllo, renderne il raro splendore. t. risaputo che non e'~ pittore cli r 1esaggio che sia riuscito, dopo Claudio Lorenese, a far rivivere in un quadro l'agro romano; e non v'è un solo scrittore che si sia dimostrato all'altezza del medC5imo compito (basti citare Roma di Gogol). Mi contenterò dunque di dirvi che l'aria era diafana e dolce, il sole fulgido e radiante ma non ardente, un tenero venticello si insinuava dal finestrino della carrozza accarezzando i nostri voi ti non più giovani, e noi avanzavamo in mezzo alla serèna fcStosità dell'autunno, con un senso di tiepida e matura stagione anche nell'animo. Il giorno avanti avevamo visitato il Vaticano in compagnia d'Ivanov; egli era di buon umore, non come al solito malinconico e taciturno: anzi aveva parlato a lungo, con vena fresca e fluente. Ci aveva parlato delle varie scuole della pittura italiana, da lui studiata con zelante e amorosa minuzia : tutti i suoi giudizi eran pieni di assennatezza, e rivelavano una grande ammirazione per i e vecchi maestri >. Ma la sua adorazione era Raffaello da Urbino. 8. cosa nota come in altri tempi Overbcck avesse profondamente influito su Ivanov, e che fosse stato lui a fargf comprendere Raff::t.cllo; ma quandt'\ Overbeck risalì al Perugino e ai suoi predecessori, Ivanov non volle seguirlo : il suo buon senso russo gli impedì di varcare la so~lia di quel mondo allegorico e asceuco in cui si era sprofondato l'artista tedesco. In tal modo, agli occhi di Overbcck l'idealista 1 vanov doveva restare come un mediocre e banale realista. lvanov deplorava con tutta l'anima le tendenze e le pose degli artisti dei nostri giorni (uno di loro, l'avevo sentito io stesso , definir Raffaello come e un uomo privo d'ingegno>); e talora ci parlava di Briullov e di Gogol, ch'egli chiamava sempre col nome e col patronimico : Nicola Vasilicvic. Dalle sue parole di stima verso il nostro grande scrittore, parole in cui l'entusiasmo si fondeva con la cautela, i.i vedeva che Gogol era stato da parte sua l'oggetto di uno studio particolare. Gogol invece, malgrado ne avesse esaltato l' Apparidone, non era giunto a comprendere lvanov; infatti aveva celebrato anche L'ullimo giorno di Pompei, cd ammirare conten'lporaneamcntc questi due quadri vuol dire non intendere la pittura. lvanov rievocava con speciale interesse la tremenda impressione prodotta su Gogol dalla generale condanna della. sua Corrisponde11i.a: questo era uno dei temi (un altro erano gli eventi del '48) di cui Ivanov non poteva parlare senza un fremito. Quando ripensava alla rivoluzione del '48, gli veniva l'idea che anche il suo quadro avrebbe potuto andare distrutto: e nei principi che furon sul punto di trionfare in quel fatidico anno, egli identificava una. specie di catastrofe dell'arte. Il discorso finì col cadere anche sul suo quadro. Noi non l'avevamo veduto, ed egli promise di farci visitare il suo studio tre giorni dopo : il che non fu fatto che qualche settimana più tardi. Egli sosteneva che l'opera sua era ancora ben lontana dal compimento, e ci raccontò alcuni curiosi episodi del suo viaggio i.n Germania, fatto pçr visitare un illustre scienziato, le cui concezioni corrispondevano al pensiero che lvanov aveva voluto rappresentare nella sua tela. Egli aveva l'intenzione di invitare a Roma l'erudito tedesco, per sentire da lui se il quadro fosse veramente in accordo con quelle idee. Alle parole del pittore, Strauss deve forse aver preso lvanov per un pazzo, tanto più che il colloquio si era svolto in latino da parte di Strauss e in italiano da \parte d'lvanov, che non sapeva il tedesco; come se non bastasse, I vanov ca.piva poco il latino e Strauss ancora meno l'italiano. Ricordo ancora l'ingenuo e turbato stupore di Ivanov allorquando Botkin ed io gJi dichiarammo che anche ammettendo che Strauss si decidesse a venire a Roma o, meglio, anche se potesse ottenere l'autorizzazio,e d'entrare negli Stati Pontifici, egli non sarebbe stato in grado d'affermare se lvanov fosse riuscito ad esprimere fino in fondo il suo fantasma. interiore, poichè a tale scopo occorreva una certa competenza pittorica, dote di cui Strauss era fornito in minimo grado. Egli avrebbe potuto non ravvisare l'incarnazione della propria idea proprio là dove essa era pienamente raggiunta, e pretendere viceversa di ritrovarla dove non c'era. e Già, già», ripeteva lvanov, strizzando l'occhio con un sorriso bonario. e La cosa è curiosa, to' ! (era questo il suo intercalare prediletto). To' !, e dire che io non ci avevo pensato! ». La lunga separazione dagli uomini, l'ascetico eremitaggio della sua vita, trascorsa in un unico pensiero, fisso cd immutabile, avevan lasciato in (vanov una specie d'impronta; in lui c'era qualcosa di mistico e di puerile, di saggio e di ridicolo a un tempo: un non so che di puro e semplice, ma anche un'ombra di recondita mal.izia. A primo aspetto, la sua indole pareva pregna di diffidenza e d'una timidezza tra naturale e voluta : ma quando egli s'era abituato ad una persona, il che avveniva abbastanza rapida~ mente, allora il suo cuore, mite e generoso, s'apriva. Egli esplodeva in risate on1criche per una minuna arguiia, si meravigliava fino alla stupefazione delle cose più correnti e comuni, si atterriva alla prima parola un po' aspra (mi ricordo che una volta saltò sulla sedia, allo sgomento di sentir dire da uno di noi che una certa e nota scrittrice russa era un'oca); infine, quando nessuno se l'aspettava, usciva in discorsi non solo assennati, ma addirittura penetrati di un'autentica e veridica. profondità, che rivelavano il nascosto lavorlo d'un'intelligenza fuor del comune. Di.sgraziatamente l'educazione e la cultura erano in lui troppo scarse, come la consuetudine vuole che sia per la maggioranza dei nostri artisti. Egli aveva cercato di colmare a gran fatica questa lacuna: conosceva abbastanza bene il mondo antico, cd aveva studiato perfino antichità assire (di cui s'era poi valso nei suoi quadri); in quanto a Vecchio e Nuovo Testamento, li sapeva quasi a memoria. Più che parlare ascoltava volentieri 1 ma nondimeno discorrere era per lui un godimento vero e proprio, tanto sentiva ardere in sé un desiderio puro ed inesausto di verità. Era il primo a giungere alle nostre serate, e appena s'accendeva una discussione, seguiva con attento, intenso e appassionato fervore il corso del ragionamento in ciascuno degli interlocutori. Fra i russi che stavano a Roma in quel tempo, c'era un povero diavolo1 non proprio stupido, ma un po' pigro d'intendimento e senza scilinguagnolo sciolto: lvanov sapeva sopportarlo meglio di ognuno di noi. Non lo interessavano hé la letteratura, né la. politica, e s'occupava dei problemi relativi all'arte, all'etica e alla filosofia. Una volta, un tale gli presentò un taccuino di caricature ben riuscite. Ivanov lo sfogliò con attenzione, ma d'improvviso alzò gli occhi per esclamare : e Cristo non ha mai riso! >. Egli era accolto dovunque con piacere: la sola vista del suo volto, con l'ampia e candida fronte, gli occhi buoni e stanchi, le guance cosi tenere da parere infantìli, il naso acuto e la bocca buffa ma non sgradevole, svegliava involontariamente nel cuore di tutti un senso di simpatia. Non era alto di statura, an-zi piccolo e tozzo1 e tutta la su::i persona, dalla barbetta a pizzo fino alle mani R"ra.sse minuscole, fino alle gambe sottili ma dai grossi polpacci, era autenticamente russa; russa era perfino la sua andatura. Senza essere né un presuntuoso né un egoista, aveva un elevato concetto della sua opera : non per nulla le consacrava tutto il suo vigore e ogni ..s.ua aspirazione. t • Il vetturino si fermò davanti ad una brutta osteria per riposare i cavalli e per bere una e foglietta ». Entrammo anche noi, e ordinammo pane e formaggio. II formaggio era pessimo e il pane mal lievitato; ma noi consumammo felicemente quella magra merenda, invasi com·eravan10 dall'aureola di serenità e d'allegrezza irra~giata in ogni stagione dall'aria di Roma, in particolar modo nelle dorate giornate d'autunno. La figlia dell'oste, una ragazz..1b. runa, dagli occhi nerissimj, scalza e vestita solo di stracci sgargianti, ci guardava con tranquilla indifferenza, anzi con una certa alterigia, dalla soglia di pietra della sua casa; e suo padre, un bcll'uomo sulla quarantina 1 con la giubba di velluto consunto messa di traverso sopra la spalla, rideva di quando in quando, maestosamente, con gli occhi fulgenti, mentre seduto a un tavolino traballante, nella penombra dell'osteria, ascoltava con compiacenza le lamentele del nostro vetturino contro la scarsezza dei forestieri e la mi. seria dei tempi. Ma Ivanov, còlto d.\, un' impazienza improvvisa, interruppe quei conversari e riprendemmo il viaggio. Il discorso ricadde ancora sul Va~ ticano. e Bisognerà tornarci domani>, osservò Botkin, e e dopo, come ieri, verrete a pranzo con noi ». (Noi pranzavamo all'HOtel d'Anglettrre, alla tavola comune). e A pranzo?!> proruppe lvanov. impallidendo all'improvviso. e A pranzo? ! > ripe tè : e Mille grazie, ma no davvero: ieri son rimasto in vita per miracolo>. Noi credevamo che scherzasse, ritenendo che alludesse alla· scorpacciata del giorno prima (egli soleva mangiare moltissimo ed avidamente), e volevamo ribattere, quand'egli soggiunse più pallido e sconvolto di prima : « Non verrò: ieri m'hanno avvelenato!». e Volete dire intossicato? >. « Macché intossicato, mi hanno dato proprio il veleno! ». E ciò dicendo il volto d' I vanov assunse una strana espressione, con le pupille vagolanti e smarrite. Botkin ed io ci guardammo percossi dal brivido d'un vago sgomento. « Ma com'è possibile, caro Alessandro Andreievic? Come possono avervi avvelenato alla tavola comune? Avreb• bero dovuto avvelenare le portate di tutti. E poi, c.hi dovrebbe volere la vostra morte? :t. « Si vede che c'è qualcuno che ha bisogno della mia vita. E in quanto alle portate ... si capisce che il veleno l'hanno messo nel mio piatto! >. «Ma chi?». e Oh bella, il garzone, il cameriere!». cli garzone?». e ~(a sicuro: l'hanno comprato. Voi non conoscete gl'italiani ! t. un popolo tremendo, e come astuto! Ha estratto il veleno di sotto le falde della mar-· sina, così come se si trattasse di una presa di tabacco ... e nessuno se n'è avvisto! Sicuro, hanno sempre tentato d'avvelenarmi, in qualunque posto sia andato a mangiare! Qui non c'è che un solo cameriere onesto, al Falcone 1 quello del pi.uuerreno... Di lui ci si può ancora fidare ... >. Io avrei voluto convincerlo, ma Botkin mi dette un colpo di gomito. e Ascoltate la mia proposta, Alessandro Andreievic >1 disse Botkin: e voi verrete domani a pranzo da noi, come se nulla fosse, e ad ogni nuova portata, noi cambieremo di piatto>. lvanov annuì: il pallore gli scomparve dal volto, le labbra placarono il loro tremito convulso, e lo sguardo si rasserenò subitamente. In seguito venimmo a sapere c.he dopo ogni pasto troppo abbondante, correva a casa, inghiottiva qualcosa di repulsivo e poi beveva del latte ... Povero e strano tipo d'asceta! I suoi vent'anni di solitudine non erano staù senza effetto. :Mezz'ora più tardi entravamo in Albano. Ivanov aveva riacquistato il suo buon umore ed era corso a noleggiare le cavalcature per la gita a Frascati. Da vari vicoli ci furon condotti tre ronzini pieni di guidal~chi e dai fornimenti malandati. Dopo un'intermi• nabile discussione coi.,padroni, nel corso della quale ebbi modo di rendermi conto .della cocciuta testardaggine di I vanov, e.i accordammo finalmente sul prezzo, salimmo in sella ai nostri ronzini, e ci dirigemmo alla volta di Frascati. La strada montava lungo la cosiddetta e galleria>, fiancheggiata da un filare di maestose querce ~empreverdi. Onnai dovevano essere delle piante secolari, se eran que11e le classiche lince che avevan colpito la fantasia di Claudio Lorenese e Poussin. V'era in esse tanto vigore e tanta bellezza fusi insieme, quali non ho mai veduto in nessun altro albero. Quelle querce, congiuntamente ai pini, agli olmi e ai cipressi, si rincorrevano in una progressione mirabile, formando insieme una parte di quell'accordo armonico che ~ uno degli incanti della campagna romana. In basso giaceva 1 vaporoso e turchino, il lago d'Albano, e all'ingiro, nelle vallate e sui clivi, vicino e lontano, magici colori s'effondevano in una serie di sfumature diafane ... Ma io non intendo di mettermi a fare delle descrizioni. Ascendendo sempre di più, attraverso l'erba smeraldo di sfolgoranti, sì, proprio di e sfolgoranti » boscaglie, giungemmo alla fine a un piccolo borgo, detto Rocca di Papa, appollaiato, come un nida d'uccelli, sul cocuzzolo d'un macigno. Smontammo di sella in una piazzetta, dirimp.ctto a una chiesa di stile lombardo, con la facciata adorna di fregi, e ci sedemmo un istante accanto a una fontana dall'ac9ut! d'argento, con lo stemma pontific.10 e un'epigrafe latina su una colonna diruta. Dalla piazzetta si diramava un dedalo di vicoli angusti, tortuosi e scoscesi come scale. Un nugolo di monelli laceri accorse a vederci, cd a chiedere il solito obolo di pochi e paoli > i qua e là apparivano teste di donne, per lo più vecchie. che proferivano suoni alti e gutturali, Lontano, come una visione, apparì dal fondo d'un andito una bellissima ra• gazza in costume d'Albano, sostò, atteggiandosi plasticamente nella. scura penombra delle muraglie di pietra, si voltò lentamente e scomparve. Un a~ino carico s'avanzò, facendo gemere i canestri della sua soma, e proseguì circospetto, con. uno scalpitìo di zoccoli sui sassi del lastricato; gli veniva dietro, col grave incesso d'un console romano, un sudicio contadino, ravvolto in uno sporco mantello turchino, dentro cui celava il mento e la bocca, e con in capo un cappellaccio a pan di zucchero, che di certo non si cavava di fronte a nessuno. lvanov tirò fuori di tasca un fagottino di pane, e si sporse a mangiarlo sul margine della fontana, tenendo con una mano le briglie dei cavalli, e immergendo di quando in quando con l'altra il suo tozzo nell'acqua fresca. L'ultima ombra d'inquietudine era dileguata dal suo volto, ormai rischiarato da un armonie.o senso di placida serenità. In quel momento non sentiva la mancanza di nulla, tutto gli pareva bello e giusto: e la sua stessa persona, in quella piazzetta d'una borgata cara ai pittori, sullo sfondo della chiesa scura, dietro a cui le montagne di cobalto spiccavano contro l'etere puro, mi sembrava de~ gno modello d'un grande quadro. Povero lvanov: avre~ti potuto vivere ancora a lung:01 ma la morte gia" ti stava in agguato! Risalimmo in sella e uscimmo fuori, in direzione dei monti. lvanov riprese a discorrere, e ci raccontò una serie di storielle romane, ridendo lui per primo, come un bambino. All'improvviso c'imbattemmo in un bel giovane, poco pili che ventenne, che camminava ccn le mani legate dietro la schiena, e che era scortato da due gendarmi a cavallo. e Che ha commesso di male? » chiese Ivanov ad uno di loro. e Ha dato una coltellata>, rispose il gendarme con voce pacata. Guardai il giovanotto, che mi fece un amichevole cenno col capo, e che sorrise mettendo in mostra la sua candida chiostra di denti. E sorrise pure con lui, rivelando dei denti altrettanto bianchi, una contadina che si 1,v- .. .,. .. 1 per caso in quel punto, sul margine d'un prato dove la sua capretta stava brucando l'erba. e Popolo felice! > esclamò lvanov. Era già sera inoltrata quando giungemmo a Frascati. L'ultimo treno partiva tre quarti d'ora più tardi. Fummo appena in tempo a dare un'occhiata fugace ad una villa con uno stupendo giardino, di cui non ricordo più il nome. Pochi giorni prima della passeggiata ad Albano, c'eravamo recati a Tivoli con lvanov, a Villa d'Este, cd avevamo visitato lungamentc 1 senza esaurire la nostra sete di contemplazione, una delle ville più grandiose, monumentali e magnifiche che esistano al mondo: non già sul tipo di quella che ispirò a Tiutcev la sua dolcissima lirica, ma del genere delle ville la cui vista ci richiama alla mente prìncipi e cardinali del .tempo dei Medici o dei Farnese, e ci risuscita nell'immaginazione il poema. ariostesco, il Decamtrone e le tele di Paolo Veronese, coi loro broccati e i loro velluti, con collane di perle al collo di bellezze che si lasciano cullare con indolenza da musiche di tiorbe e di flauti, e che spiccano su uno sfondo dorato dove si vedono mmi e pavoni, statue marmoree di dèi e di dee dell'Olimpo, satiri dai piedi di capra, alberi, grotte e fontane. A Frascati percorremmo tutta la v~lla, e poi la riguardammo dal basso, discendendo per le terraz.zc a gradinate del suo bellissimo giardino. In mc è viva tuttora la straordinaria sensazione risvegliata dallo spettacolo dc1 tramonto. Un torrente scarlatto, un accecante bagliore crepuscolare, si rovesciava nel quadrato finestrone di marmo che s'apriva in fondo alla prospettiva d'un portico sorretto da colonnine es.ili, quasi aerifonni. E mi parve che sul mio viso come su quello dei miei compagni restasse a lungo l'ardente riverbero di quell'incendio. Nel vagone s'assise insieme con noi una giovane coppia di sposi,~ e rivedemmo di nuovo quei capelli nerissimi e grevi, quegli occhi e quei denti fulgenti, quei lineamenti forse un po' rudi, ma su cui è impresso un sigi11o inconfondibile di grandezza e di semplicità, nonché di grazia selvaggia. e Bisogna che vi faccia vedere Nlarianna >, (una nota modella), sussurrò all'improvviso lvanov, e poc.o dopo doveva mantenere la sua promessa. La città eterna ci riaccolse presto nel suo seno, e ci avviammo a piedi per le strade già immerse nel buio. I vanov ci accompagnò fino a Piazza di Spagna, dove ci dividemmo, ciascuno recando scco il ricordo d'una giornata splendidamente trascorsa. IVAN TURGHENIEV (T rad. di Renato Pol(fio/1)
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