,y EDO ~G TI giorno, dal tranvai \ che m1 porta a casa, il monumento-fontana dedicato ad Ernesto Dc Angeli, il grande industriale milanese dell'epoca romantica. Volendo onorare la sua memoria, i successori ebbero l'idea di erigere cotesta costruzione nella piazza d_1c guarda l'ingresso degli stabilimenti dt porta Magenta. Si tratta di una cosa difficilmente dt:scrivibile, di uno zoccolo disteso su cui si sia immaginata una grar.1de ~atiera, di quelle con il portastccch1 centrale. Zampillano senza forza, con un orgoglio borghese, le acque dalle due vasche all'estremità e nel mezzo, dalla piramide sormo~t~ta da~ una sfera armillare, alcuni mrnk~ti rubinetti ci fanno giorno e notte la loro modesta pisciatina. In mezzo .i questo apparato d'acque cerimoniali Ernesto De Angeli guarda da un m~ desto medaglione bronzeo, come da una fincstruola tonda. N<'i miei ricordi d'infanzia, anche per una didattica che chiamerò rionale, Ernesto De Angeli sta come un mito. « Ragazzi >, dicevano le maestre elementari as.'ìl1mcndo un tono ammonitorio e profetico ~hc le faceva particolarmente odiose, « guardate Dc Angeli. Era un povero ragazzo, e con la sua volontà ha saputo diventare a poco a poco, da modesto operaio, un grande industriale. Tutto si ottiene con la forza di volontà>. La fontana non c'era ancora a renderlo domestico, e il Dc Angeli appariva anche più colossale. Allora nelle scuole elementari si commentava molto il Cuore, e i libri di lettura rispecchiavano spesso, a scelta"dell'insegnante, una certa simpatia verso l'umanitarismo socialista. Mi ricordo il can-can che s'era fatto in certe case di piccoli borghesi perché una maestra nuova di quaria classe aveva detto non si _èsaputo mai bene se agli alurrni: o al b1dello, o alle colleghe, che dopo tutto Gesù era il primo socialista della terra. Questa frase, che ·era spiaciuta, nonostante il chiasso, a pochi 1 aveva commosso gli altri, la grande maggioranza di coloro che battagliavano intorno all'incidcnte 1 incominciando dall'asse:uore della pubblica istruzione, che e~a pressoché un analfaix:ta, ma appariva tren:iendo perché s1 sapeva che non temeva nessuno, era operaio, so• cialista, e lavorava a Milano. Se fino alla fine del secolo l'Italia noP ebbe un'industria, o non la ebbe pùri a quelle di altre n'azioni d'Europa, la causa prima sta nelle sue vicende politiche, per cui dovette realizzare insieme, in anni tumultuosi e forti, tutti presi da vicende ideali ed eroiche, sia la sua unità che la rivoluzione libc• raie. Carlo Marx, nel J 848, lanciava il manjfesto comunista ch'era diretto agli operai e ai contadiui, ma soprattutto agli operai che dovevano conquistare più.facilmente un'indipendenza morale e individuare nella borghesia il nemico e l'ostacolo da superare. Questa nuova classe si avanza alla ribalta della storia; l'Ottocento è il suo secolo come è quello del capitale. Il period~ delle grandi guerre e delle grandi conquiste pare finito. J grandi imperi si consolidano; la civiltà ha nome vapore, carbone, telaio; i grandi ideali si chia• mano ricchciz..'l e potenza del denaro. E l'Italia? E:. appena fatta l'unità, le guerre per l'indipendenza hanno lasciato solchi in tutte Jr categorie e le regioni, le finanze del nuovo regno non sono naturalmente floride, e c'è tutto da fare : le strade e le ferrovie da costruire, come la pellagra, la malaria e l'analfabetismo da vincere. Eravamo purtroppo arretrati con il secolo entusiasta e materialista che mostrava le meraviglie del progresso nelle grandi esposizioni universali. Quand'ecco sorgere l'industria. Fu il miracolo salvatore. Non ~he prima non ce ne fosse, ma era una piccola e limi• tata cosa in Piemonte, in Lombardia e Liguria. Intorno al decennio 1880r890 questo fervore di attività si pro• paga. E: il tempo degli uomini coraggiosi, è l'epoca eroica. Vengono allora avanti Marelli, Breda e quel Dc Angeli, che si affiancano ai Tosi e ai PirelJi; piccoli operai, capi-officina, persino venditori ambulanti, e affrontano coraggiosamente il problema di creare la ricchezza, ne fanno un semplice prodotto deJJ'iniziativa e dell'audacia. La genialità e la volontà di qualche individuo trionfano delle difficoltà crediti• zie e fiscali. Nella città e nei sobborghi, dove c'è la ferrovia, sorgono gli stabilimenti. Il mezzo di trasporto chiama l' industri11., e porterà la mano d'oper:i.. Ecco allora gli operai che diventano ceto. Vengono dall'artigianato cittadino e dalle campagne e prendono cont.ltto con la macchina. Parlano un dialetto aspro, che sa ancora di campo e di stalla. Guardano ammirati quella moltiplicazione di stru- ~enti e, ~i prod?tti, quel grandeggiare d1 uomm, che s1 sono levati sulla loro povertà e rapidamente, ispirati come tau~at~rghi e r:ctul~nti come J:.aporali, molt1phcano le mfin.te possibilità delle recenti aziende. Ecco i « padroni >. Il momento è propizio. Non c'è bisogno che di lavoro, dappertutto. La terra deve provvedcré a troppe braccia la nazione ha bisogno di moltissimi ~rodotti. Gli operai sono chiamati dai borghi vicini alle città. Talvolta è l'industria stessa che li va a ~aggiungere nel cuore della campagna. Il ceto fa massa; gli ope;rai in pochi anni sono soggetti a una moltiplicazione miracolosa. Le ore di lavoro sono molte, i salari bassi. Ma un'aria di chimera deve aleggiare su quc~to scenario tumultuoso. E, in fondo1 anche u~a promessa di prosperità. F.. un periodo burrascoso. La que• stione meridionale preme alle porte della giovane Italia. La crisi agraria è alla cancrena. Le agitazioni sociali trah<>ccano sulle polemichette parlamentari e affogano ogni tentativo di poli• tica che guardi oltre i confini. La questione « interna > J-..i. il sopravvento. La spedizione africana, a cavallo tra i moti siciliani del '93-94 e quelli milanesi del 198 1 chiude le porte di casa a ogni più ampia visione. Ma le fab- . brichc si moltiplicano, il dissidio fra il nord, che si orienta verso l'industria e abbisogna di protezioni fiscali, e il sud, che è irretito nella struttura feudale del latifondo, si approfondisce; e l'unità italiana sembra più che mai ardua. Si organizza la stampa, e le questioni sociali, più che le politiche, informano questo tumultuoso chiudersi del XIX secolo. Nel 1892 è stato fondato il Partito Socialista. A chi si rivolgerà? Naturalmente ai «proletari». P. un socialismo umanitario, predicato da .ultellettuali 1 in cui giocano molto le difficoltà economiche di una nazione che fa sforzi immensi per col• mare i dislivelli e le difficoltà di un incerto inizio unitario costruito sulla precedente disparità egoi,;tica e limitata di Regni, Principati e Granducati. ~a il proletariato era composto di due grandi categorie: i contadini e gli operai. E sono appunto questi ultimi che più rapidamente acquisteranno la coscienza di classe e faranno sentire il peso della loro potenza nella vita della nazione, in çui entrano dalla breccia del XX secolo come i figli dell'avvenir('. Nella stessa proporzione in cui l'industria prospera, in cui gli operai si moltiplicano, la questione sociale si al• la1ga. lniz.ialmentc l'operaio era un sottoposto, ma il clima della fabbrica dovt·va essere quasi di famiglia, con un padre un po' tiranno specie sulle paghe del sabato. Ora, man mano che le fabbriche sì allargano ed aumentano e la richiesta di nuovi operai e l'im~ pieg~ di nuove macchine fanno intravedere il successo di prosperità che se• gnerà. il suo culmine nel 1913, quella « coscienza di classe > che doveva esllAZURX:A OPERAIA sere la leva della rivoluzione futura è il tema di attualità per gli operai ita• liani. Il « padrone > è sempre più padrone, e sempre più lontano. Tra lui e la maestranza s'è anche frapposta una perfetta burocrazia di impiegati, di funzionari e di direttori, egualmente distanti dal cuore degli operai. Ad un certo punto, subentrano le Società Anonime, che riempiranno di un senso anche più plastico l'antagonismo fra colui che lavora e gli scoTlosciuti e aborriti capitalisti che ne raccolgono, senza apparente fatica, i frutti più pingui. Era accaduto un fatto semplice. L'operaio non è più un uomo comune con moglie e figli che deve sbarcare il lu• nario, cioè nutrire sé e le sue creature pagare l'affitto di casa e, bene o male: ve~tirsi. L'operaio diventa una forza al servizio della rivoluzione sociale, anzi la prima, la detenninantc, l'avanguardia di questo moto. t lui che s'è messo al servizio della grande ingiustizia capitalistica, Questo gli dice la voce che rimbomba sul nuovo secolo, evocando il sole dell'avvenire e l'internazionale della felicità e della giustizia umana. Allargate i polmoni! L'operaio non ha ancora dimenticato del tutto il solco natìo, la modesta sudditanza, la mediocre cd oscura vita alla periferia della cirtà, e si sente dire ch'egli è lo strumento del nuovo evangelo. Egli è un uomo, ma un uomo speciale 1 cui l'oppressione borghese conferisce le stimmate del martirio. Questa propaganda sarebbe stata difficile se avesse trovato una vita disorganizzata e dispersa. Ma la fabbrica. ha facilitato il comizio, come la scuola perrçette la scappata. Ora la periferia delle città dell'alta Italia si annuncia con una nuova scenogJafia verticale : quella dei comi• gnoli che si elevano come aste di bandiere sulla piatta e modesta architettura dei capannoni. Su un oriz7.ontc di prati che si fanno ancora colLivare senza convinzione, si alzano solitari i nuovi caseggiati popolari. pisce eh<' la cultura potrà essere alla sua portata. È l'epoca dcll:1 « scuola ser::i.le>, della « scuola festiva >, l'cpo-. Borghi modestissimi entrano in una nuova vita. In pochi anni le fabbri• che ~ trasfonneranno in città. La popolazione spostata da questo richiamo, che crea nuove e~igenze, tende a migr\rc verso i centri industriali. L'urbanes1mo1 compagno della civiltà industriale, farà di molti operai dei citta- ~in~; la condizione sociale Tluova, molt1phcando o rivelando i bisogni, accentuerà la lotta che è politica ed economica insieme, o forse non è che un aspetto generico e superficiale di una coscienza che sta per prendere forma. , G\ in cui l'aspirazione del lavoratore era il certificato di « compimcn10 » del corso elementare. Gli strumenti di questa evoluzione sono la bicicletta e la Ca.mera del Lavoro. La prima abolisce le distanze. t l'alleata di colui che si alza alle quattro del mattino per raggiungere il suo opificio magari a dicci, venti chilometri. La bicicletta rende autonomo il lavoratore. L'organizzazione di classe gli insegna a. reagire contro l'oppressione, lo fa scioperare quando occorre, gli prepara i comizif gli oratori, gli apre un nuoyo mondo in cui egli è un qualcuno soprattutto ~e potrà affermare questa sua personalità non da solo, ma fra mille, fra diecimila, fra centomila che solidariv~no; in mc~ ai quali ~compare, . ma vmce. Tra smdacato e partito, a un certo punto la confusione è completa. Uno può essere o non essere SO· cialista (una minoranza in fondo lo è con convinzione), ma sarà della Camera del Lavoro, il che, for~ 1 è lo stesso. L'operaio che abita ancora in campagna sente l'insofferenza del suo mondo limitato. La città è la vita è la libertà. I suoi compagni, ora, 1 frcquentano i primi cinema, vanno qualche volta a teatro, si ritrovano insieme, parlano e discutono. Parlare, discutere, conoscere, sapere è l'aspirazione di coloro che più si affondano della nuova morale. In complesso il socialismo non è una facile dottrina. Chi ha imparato alcuni aforismi, chi ha ritenuto qualche definizione, crede di demolire il mondo: ma gli resta sempre il SOSp<'ttO della sua « ignoranza ». li contadino sta superando ìl e segno di croce > degli analfabeti quando l'operaio abborda l'economia politica. Le scuole di istruzione professionale, come I'« Umanitaria», tendono a formare l'operaio specializzato, che è an• che un operaio cosciente; ma a un certo punto apre i battenti l'Università Po1>0lare, e l'operaio che ha avuto finora la sua sola scuola nel giornale (':"\- Ho un ricordo lontano, ma abba~ianza preci~, di quegli anni che precedono immediatamente la guerra. Se il ~iali-:mo sì idt·ntificava per l'operaio cittadino nella Camera del Lavoro, per quello che alla sera ritornava al suo borgo s'era trovato un sostituto ottimo: b Cooperativa. Questa del movimento cooperativo è una storia a sé; ma quella cooperativa, che nelle manifestazioni più comuni e diffuse era un circolo vinicolo, costituiva nello ste~o. ~cmpo _il luog\ di raduno e il fortilmo degli operai. L'oprrhio ora aveva le ~carpe, conosce\ a i nomi dei deputati, aveva forse parlato a tu per tu con qualche caporione. Ora si faccv,1 un dovere di procl:un:ir-.i mi,crcdente e di disertare e far dis<.·rtarc la chiesa. Il suo desiderio di emancipazione conosceva tutte le facce e~tcriori dc.Ila polemica: Ìn auc-.a di trature con Dio, meglio era mettersi in attrito, subito, col prete, che era un rappresentante della tradizione, dell'ordine e, in un certo scn• so. un piccolo dèspota sull'ignoranza delle plebi. Non sono molti ancora in ogni p:H'Sl', in ogni rione, coloro che ragionano e .g. uidano queste masse di compagni, alcuni titubanti, altri infidi. Gli scioperi, infatti. conoscono i crumiri, le agitazioni i defezionisti. Eppure questa vita è piena di promesse. Il numero fa pesare la ~ua forza. Lo Stato è assente, non opera in bene, dunque opera in male. Intorno agli anni 1912-1913 le paghe ~no aumentate, e sono pure aumentate le bandiere rosse. La marca sale, e non tanto tranquillamente. Ma se, in un certo senso, i centri agricoli appaiono talvolta più ribollenti, quelli operai sono i più temibili. La loro minac• eia si impernia su una convinzione più precisata, più documentata dell'altra, che resta spesso allo stato brutale. Ciò nonostante la rivoluzione tarda a venire, il sistema è ancora a base di scioperi, e si compie invece la conquista libica. Ma di rivoluzione si parla invero moltissimo; la si invoca nei canti, la si af• ferma nei comizi, la si proclama nei giornali, nei bollettini e nelle riviste, la si promette sui muri, dove prende posto accanto agli sfoghi infantili. La battaglia elettorale piace di più della battaglia di pia1.za. Infatti tutti giocano sulle elezioni del '14. I circoli cooperativi accolgono poi le sarabande di vincitori. Ma· 1a conquista del potere, la vittoria nei collegi, è soprattutto un trionfo di propaganda. Adesso anche gli operai, sulla falsariga degli avvocati, dei professori, degli autodidatti che guidano le schiere, sentono il fascino e la vanità d('I concionarc. Questi operai che parlano al pubblico ancora in dialctto 1 ma già si provano a masticare qualche grossa parola in italiano, prendono possesso dei pubblici uffici con un po' di arroganza, ma veramente con un'intima timidità. C'è da firmare pratiche a cui si .\ccostano non senza turbamento; da esaminare bilanci ; da celebrare matrimoni con la fascia tricolore annodat;1 alla vita. Eppure su temperamenti sensibili, come qudli di coloro che non avevano conosciuto una vera lotta tutto ciò factva presa. Non c'è che dire: avvieranno il loro figlio maggiore alle scuole tecniche e ne verrà fuori un perfetto impiegato d'ordine, ci«;>èsenza cla,;;s<'e intimamente infelice. Tutto questo andare su un tono troppo «politico>, cioè accomodarne e fifo1tco, esasperava naturalmente coloro che credevano veramente in una rivoluzione che provasse la capacità di sa• crificio del proletariato e, in primo luogo, della classe che• doveva essere più preparata, quella. operaia. Sindacalisti e socialisti puri 1 cioè non legati alla ma,;;soncria e al parlamentarismo, volevano l'azione. Essi capivano l'<·nort• in cui, specie le classi operaie, accarezz.itc dal benessere cittadino, sarebbero incorse: nel farsi fatalmente vcllicare dall'istinto conservatore e piccolo-borghese che è l'opposto di quello rivoluzionario. Mussolini e Corri doni sono i personaggi più alti di questo dramma, e lo faranno volgere alla sua conclusione. Il « lavacro di ,;;angue> occorrente al proletariato sarà la guerra, non la ri- ~oluzione socialis1a. Anche gli operai 1ncontrcrn.nno la Patria, la incontrcranno nelle trincee. O allora o mai. La guerra sostituì la rivoluzione. Per e.s~a, le masse operaie che s'erano, negli anni precedenti, sentite parte della nazione, avevano acquistato il diritto di governarla. Ma ancora una volta fu perduta, per poco tempo, l'occasione. Era avvenuta, con la guerra, la mobilitazione industriale. Ecco gli operai « militarizzati > tra i quali ci sono an• che molti fautori del nuovo ordine sociale, che hanno trovato modo, col loro piccolo spirito di conservazione, di :iffermarc la loro posizione di neutralisti; cd ceco legioni di donne che mettono piede nelle officine. La società sta dunqut: profondamente trasformandosi? Come in ogni altro settore, anche in questo più di un vero e indispcnsahilc > ha lasciato il posto al « r.:1cco• 111~nd,1to-.. 0pcraio dell'ultima or.i: esercenti, fottçirini. ,f'mpliccmente e inqualificati >. Anche nelle fabbriche ci sono gli e imboscati >. « Fare i proiettili > è un'occupazione oltre tutto reJditizia : si lavora assai, si guadagna bene j soprattutto le donne ~ntono quest'aura di emancipazione che si identifica benissimo con il tacco alto, le calze velate e l'acuto odor di vaniglia che si mettono addosso. ln c1uarH0 alle industrit·, anche per es~ è sopraggiunta l'èra dei grandi guadagni. Si lavora senza ripo\o, si ampliano le officine, se ne creano di nuove, spesso dal nulla. Per quello che avverrà in seguito, contano due fatti: l'ingresso delle donne nella vita industriale, e la formazione di un _particolare capitalismo: il « pe• scecan1!lmo >. La propaganda antinazionale e clas- <:i!<,tan,on interrotta dalla guerra, ma anzi diretta a c0glierc tutti gli aspetti più tristi per avvelenare le masse, ha fotto presa ~ullc donne, che prima !!rano state le naturali moderatrici dei loro uomini, quelle che al momento buono ricord.wano ai rivoluzionari che erano padri dl famiglia. Ma anche esse hanno ass,\porato la felicità materiale dei guadagni alle officine, pur e-.scndo edotte che il loro salario rap• presentava scmpticementc il residuo, la briciola, del furto continuo e legale consumato dal padrone. Hanno invaso le città, spesw vi si sono trasferite, hanno visto cos'è la moda l'eleganza, la felicità del guadagno. 1 A guerra finita l'Sile dovrebbero rientrare in parte nelle loro case; tornano i reduci che chiedono lavoro, gli imboscati si sono attaccati come piovre ai loro posti, e per di più il ritmo produt tivo d1.;ve nec.cssari.tm...n.t~ r.ill._,11.,11~ re. I nuovi ricchi, coloro che in tre anni hanno fatto fortuna, venivano an• ch'essi talvolta dallo stesso ceto ope• raio, e non di rado erano stati capi di organiz7.azioni di classe. Ora cercavano di nascondere il loro e pescccanismo » con una maggiore violenza verbale. Jn un momento di gravi e pericolose contraddizioni, glì operai continuarono come quattro anni prima a gridare al « borghe:;e >1 e non si erano accorti che un'altra figura era nata, ben più pericolosa e nemica: il plutocrate. Nel disordine e nella meschinità generale accadeva che col plutocrate ~e la inten.des:,ero i caporioni, mentre le agitazioni dal basso, mai contraddt'tte dai capi, miravano ancora a quel vecchio e logoro bersaglio. I plutocrati sapevano quando si sarebbe ~ciopcrato e che cosa ci voleva .per far ritornare le masse al lavoro; mentre il borghese, con• ~ro cui si accanivano le folle, era anche 11professore di scuola media, che guadagnava meno e più faticosamente di un operaio, e il piccolo bottegaio della periferia a cui 5j metteva a sacco il negozio. In quanto alla rivoluzione era un'altra, non quella per cui si discuteva s~nz., fine nei congressi, e che dctennmava le correnti e le scissioni né quella altisonante che si promet~cva nei comizi. • La verità era che nessuno più amava il ~avoro. Lo sciopero era una festa, cosi quando scmbra\"a produttivo - cioè a base economica - come quando si trattava ormai di un'abitudine cioè semplicemente politico. Ciò nono~ Mante quell'aria di carnevale in cui la felici~à materiale soverchiava tutto, ha onna1 preso le masse. L'immigrazione verso la città è sempre più accentuat~, i rivolu~io?ari ?1ettono le scarpe gialle e cosi s1 avviano verso le crisi economiche che si rivebno a intermit• tenzc, per rami di industria, sussulti che preludono alla grande scossa finale. Sono trent'anni che l'operaio è sulla scena della nazione. Le città sono in sua balìa, eppure non sempre il numero preponderante ha la forza di assaltarne il centro, che è l'ultima rocca. forte del «patriottismo>, così come i capi non hanno il coraggio di assumere il potere. Sono bastati pochi uomini, il 15 aprile 1919, per fugare dalla piazza di Milano un corteo di centomila operai rossi, come poche decine di giovani decisi hanno riscattato nel novembre 1920 il cuore di Bologna. L_'ind!viduo,_ col suo personale coraggio, ncntra m scena. Ques!a non ~ una storia politica, è semmai un rapido quadro di costumi. A un certo punto compare anche
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