Omnibus - anno I - n. 37 - 11 dicembre 1937

- ( ILSORCNIOELVIOLINO) :u:nu~o EB JN ON Mort, 4 T1ufi1ur4.t.10tte di ~ Strauu 1i chiudeva la prima parte - del concerto. Stra.un è sempre polemico. Ogni suo poema è un pamphlet troppo abbondante e torbido: mille cose retoriche, mille pose eroiche, slanci ciechi, aberrazioni, e tutto il fondo pletorico d'un music:ina fatale a caus.a del bernoccolo profcuionalc. Buona parte di questo poema è già cadavere: tuttavia è fonc il migliore che Riccardo Strauu abbia scritto. Fu composto quarant'anni fa. E c:i scm. bra strano che l'autore, allora cosi giovane e baldanzoso, avcue un .enao cosl acuto e terribile dcll'ca.trcmo trapasso, un senso cosl grave e fisiologico della morte. Si dice che Stendhal amasse soprattutto la naturalezza, e ,i fcrmauc per la strada a guardare, per esempio, un cane che rosicava il tuo OI-IO. Ebbene, per noi, anche Strauss quando compone è qualcuno che rosica il 1uo ouo. Nei suoi interminabili e laboriosi poemi, riconosciamo l'insatiabilità e la fame ereditaria. E anche noi non d stanchiamo di am. mirarlo quando, in dispartt, s'abbandona •Ila sua ispirazione fisiologica, quando scappa col suo os.so fra i denti e lo depone sulla polvere, per ricominciare a roderlo un poco più in là. Durante la prima pane di Mo,t, e Trasfi1ura{ion1, Bruno Walter sembrava chino a studiare sul volto d'un uomo spacciato il processo graduale di distruzione. Un esame quasi diabolico. C'era di che diventar inquieti. Il diret• tore sembrava in quel momento un aguz• -z.ino, un boia alla bisogna. Pensavi ai tratti di corda. C'era la stes.sa competenza brutale, me• iodica. Quanta potenu lunga e descrittiva in questa 'pagina unica di Strauu, qua.oca implacabilità nel modo di toccare, di sma- ,,cherare l'impenetrabile natura, Il letto di mone. Le ore passano (ore nei minuti). Incfh,. bile inerzia, consunzione senza scampo, subite ribellioni di tutte le forze vitali. 11· mor~nte si tuffa sempre più neU'om• bra. Individualità che accenna a ,compa- '-... rire, ricompare. Discesa in grembo alla tel'Ta. L'orchatra, un'orchestra ridotta pelle e oua, ues.a quanto è lunga, rende l'anima a poc.o a poco sotto il gesto del direttore. Ecco la fine. Le costole che s'aprono ntl respiro fino • rompersi, l'ultima lotta, l'affanno, il risveglio nell'agonia. C'è un'ascesa orchestraJe si ruggente: un e fortissimo >, t una lagrima sola. t la morte a denti digrignati. l '.l corda rotta ricade attorcigliandosi. t:. l'eltganza dello scheletro si annunz.ia sotto il sorriso funebre. La spoglia non è più che un e pedale>, intorno al quale salgono, come ceri sempre più alti, le luci degli ottoni, dei fiati e dei ...ioltni. Ed ora la parola d'ordine è e cantare •· Tutti cantano, comi, violini, bassi, cor• nette, flauti. Cantare, pres.s'a poco come in un corale del Lohen1dn. Dopo di che ecco il solito tremulo d'archi, espediente abusato, sul quale gli ottoni aprono una grave disputa di dissonanze che si risolve in un pianissimo sempre più dolce, sempre più dolce, e seni.a finir mai. Il pubblico intorno a noi è ammirevole. Tutti s'irt,igidiKono, aspettano la fine del pezzo col sorriso sulle labbra e la morte nel cuore. Le eleganti signore, col bel volto all'insù e la veletta arricciata sul naso, ascoltano pallidissime, a occhi chiusi, superbe. Solo io duro fatica a star dritto, impet• tito come gli altri. Sapessero la voglia che mi viene di cascar sulle umpe davanti, e di andar via quatto quatto, annusando il tappeto come un orso che ha rotto il guinzaglio. 11 programma si chiuse con la vecchia Srnfonia fanlasti&a di Hector Berlioz. Berlioz è senta dubbio il più grande compositore francese. Poi viene Debussy. Questa Sinfonia fantastica Berlioz la scrisse ntlla bt:lla Italia, ch'egJ; non po• teva soffrire. Qui tutta l'orchestra da capo a fondo è un violino: ha il cuort di un vi0lino. e•~ una gioventù, una frctcheua, che non ••i se è di lacrime o di rugiada. E quale volatilizzazione di romanticismo. Che tocco vitale e doloroso. Violini, fiori, e uragano. Tullo respira la fantasia: il linguaggio è sì tenero, ha un tratto sl insistente e leg• ~ero, che si direbbe poesia, t il vecchio secolo, con i Dclacroix, gli Chopin, i Paganini ; il vecchio secolo dti \ dluti e dei volants, degli Heine, dei Bau• Jclaire e dei Rossini; il secolo che, mo• rendo, ci ha dato costui: un Bcrlioz. Que. sto c1.altato e pallido parigino: perfido vi• sionario, e pieno di grazia. · fn questa sinfonia stagionata c'~ ancora il brio, lo splun, la varietà, la verve coreografica della grande epoca france.te, la passiont c.sclusiva, l'errore, e la pazzia di qutgli uomini di genio. A mezzanotte il concerto era finito. ti pubblico sorto in piedi salutò molto ('nergicamente Bruno Walter, e la valoro. ~iuima orchestra. Triplice acclamazione di tremila persont. BRUNO BARILLI VIA TIBUlLTJlU. li', 20, • FllfESTB.A FJHTA OOH FIGURE IN TERlLAOOTTA COLORATA ~~&:\a DEL VANTAGGIO SIAMO tornati dopo molto t,rmpo sul Palatino ,, aecanlo alla CaJina Farn1&t, abbiamo scoputo con no1tra muavi1lia che una vuchia ca1a, che prima non recava alcun danno al paua11io, è 1lala altata d'un piano, perdendo cosi il suo aspetto mo• disto e dUcreio , diventando simile a un depo1ito del Genio Tele1rafisti. Abbiamo chitsto a un vtechio 1ua,diano la ra1ion, di qutll41 nouità, , ci è stato risposto cht all'edificio si f dovuto alliun1ut un piano pu aceo1liuui le nuov, Jcopert, a,chtololich, del profes,or, Bartoli. Infatti, i pur vero che il Palatino da qualche tempo ha cambiato qua e là la sua fisionomia. I noJtri bravi a"htolo1i l'han• no ritoccato a dntra e a sinistra, cosi come aru utechi, si1nor1, di tanto in tanto, cambiano di posio i mobili d,l loro sa• lotto, a11iuntendone all,i p,r a11io,na,si , ade111a,si alle mod,. Ci siamo accorti che 011i c'è verament, la manìa di far rin1iovanire le ,ouint. N, deriva cosi un'a,- ch,olo1ia sciocca eh, non accetta i miJt,,i dell'antichità, che si 1iova d,ll, pietre co., me fouuo Jupp,llettili. Si scortono sul• l'erba verde capit,lli abbandonati con p,em,dita,!ione. Euid,numente il p,ofusore Barloli sa come impi11are le sue 1iornat,. Noi lo imma1iniamo, l'illuJt,e p,ofeuore. ment,, sposta di pochi centimetri i saJsi corrosi dal tempo, facendo poi due pasutli indietro, per v,d,,, l'effetto che fanno. Gli ar1:heolo1i non amano l'a,chit,ttura: l'art, dli 111tauro non 1i,,11 a6atto conto di quell, che sono lt necessità di una composi(ione a"hit,ttonica. Si mllte insieme uno scenario scioccamente su1111tiuo: l'ideale i tutlo nel presepio. Cli rircheoloti non concepiscono unitariamenu. L4 loro architettura l /atta di briciole di marmo, di ipotesi, di pini trapiantati. ROMA è una città illuminata malissimo. Non alludiamo qui alle illuminaiioni strao,dina,i, eh, vorrebbtro mett,rr, in mostra p,u, di notte le bell,ue e 1, sintola,ità dei monum,nti. Q..u,ste possono be. ninimo procu,a"i l'ammi,adone di turisti che ven1ono da noi in cerca di spettacoli su11ntivi ,· ma non altro. Una città modtr• na, come è sen,!a dubbio Roma, può invece b1nissimo /a11 a meno di monumenti i/lumi. nati a fini coreo1,afici. Il problema ddl'illuminatione di Roma i div,rJo: molto più semplice. Si tratta di illuminare senca con, d'ombra l, strade , 1, pia«e dtl antro. La domenita ,o.mana, che è così provinciale per l'invaJione, d'altra parte cordiale e 1iu• sta, di tanti impie1ati che scendono dai quarti,ri ddla pe,if,ria, ha st,ad, quasi al buio. Quando i ne10U sono chiusi, motu st,ad, di Roma da,dbero l'illusione, ,, non ci fon, la discreta folla di 1en11 mo• duta e quieta che /in dall'aspetto ,nostra di non avere abitudini notturne, di esser, in piena notte. Pia«a V,ne{ia, eh, è ce,to il cuore della città, se p,r ,a,ioni di /,s,e non viene illuminato il monumento a Re Vit• to,io è tutta sepolta n,lfomb,a. Co1I il corso Umberto, via del Tritone, via Na• {ionole e le ,,andi piaue Colonna, Barbe• rini, dd Popolo, Esedra, Pia«a dei Cinquecento, poi, i cosi povera di luce eh,, in certe or, di mollo traffico ferroviario, par ,h, lutto avven1a in una mani,ra cland,. 1tina. Il p,oblemo è, com, si vede, di una certa importan,a; ri1uarda il dteoro della città. L'esposidon, del '41 chiamerà a Ro• ma fo,s, moltitudini che non u,nnero nemmeno per le ttlebra,!ÌOni più famost del pastaio. Sa,à una mollitudin, di foruliui che uorrà po,ta11 con si un'impressione non 1/fime,a del vianio. Varrà poco preparare loro una cittd d'ecc,lion, nel luo10 dell, most,e. Occorre provu,d,r, perché certi servi..(i ciuici ,omani, importantissimi per la loro ,rfficacia sulla fantasia della 1en1,, siano stnia dif,tto. LA via Flaminia è impraticabile non sol• tanto per le macchine che arrivano dal nord alla capitale, ma anche per zii abitanti dd quartier,, che scesi dal 1,am devono percorrere un tratto a piedi. Questa via consolare è da circa un anno in via di si• 1t,ma{ione senta che sia dato preveder, quando i lavori in corso potranno dirsi terminati. Non si tratta che di pauimen• lare il tratto fra ponte Miluio t il viale delle Belle A,ti; eppure il ,,an da fare dell, maestran,!e du,a ormai da più di dodici m,si. Ora ii scava p,r mettere una conduttura; ora si td,na a scavare p,rché i calcoli dell'ufficio tecnico sono stali sba• 1lia1i. Chi arriva a Roma deve cercar altre vie; le macchine che invece uo1liono avu,n• turarsi, o s'impanlana,io o sono costrette a procedere p,ude,itemente su un terreno lubrico. Ogni lanto, una macchina inu,ste un mucchio di ghiaia, , qualche so.uo vine lanciato in aria. Sieeom, i portoni dei nuovi quartieri sono spteialmente a ,,andi lastre di vetro, non l' raro che quei 1assi li vadano a colpire con ineuitabil, danno. La sist,ma,!Ìone della via Flaminia è insomma ur1ente, sotto qualsia1i punto di vista. li una delle vie più illu11ri d,l mondo; per essa pauano le automobili , 1li autocarri eh, p,ouen1ono dall'Italia d,t no,d. Traversa uno dei quartieri più mod,rni e po• polosi della città,· conduce infine al Foro Mussolini, allo Stadio d,1 Partito, a Villa Glori, alla Rondinella, vale a di11 alla cona sportiva ,omana. Ogni domenica il traffico vi i intenso, tanto eh, davanti ai fornici di pia«a del Popolo non mancano in1or1hi di macchine. Ma c'i di più: siccome Ji tratta di una strada antichissima, non man. cano qua e là le vecchie archit,llure dell, quali non si polrà non tener conto quando si vo1lia arrivare a una si.stemation, non provvisoria. Vi sono uempi bellisrimi di architettura neoelaJ1ica. Edifici che potrd• buo servire di moddlo a tanti architetli contemporanei, U}(A sin1olare architettura è in via di Crotta Pinta, fra Co,so Vi1to,io Emanuele , via dei Chiodaroli. Si tratla di un ,dificio che non ha cent'anni. Accom.pa1na la curva della strada: ha uno piccola porta :tn~:;:~~·1·~~~;:'jj !::~. ;: : !e d~r,:· vdue~ Ha soprattutto un pr,1io; nel quartiere del Rinascimtnto è forse la fabbrica moderna che, sen,!a parerlo, me1lio s'intona alle t,a. dhioni. Ciò accade sen,ea dubbio perché quando fu costruita si tenne soprattutlo alle neassità topo1,aficht dd luo10, MASSIMINO ~~ffi® I ARIIRTI 'fj',ìl 1'.GUSTO del macabro ha origini ~ antiche e religio~. Esso non è che r una manifestazione di disprezzo per la vita terrena e carnale, mescolato ad una morbosa anrazione verso la mor• te. Ogni qualvolta i costumi e le pratiche religiose si irrigidiscono severamentc1 specie dopo periodi di troppo grandi liberalità, tale gusto risorge. Il sentimento dell'espiazione si ristabilisce nelle coscienze con un f urorc mortuario. Ai tempi della Controriforma, nelle confraternite la morte si vagheggiava come un'amante nera 1 liberatrice dei mali terreni. La sua visita era aspettata nelle preghiere, nelle discipline e nelle contempk ~ioni quasi con ebrezza. Quando la morte si presentava sulla porta della cella, il monaco che stava per intraprendere il grande viaggio nel• l'al di là l'accoglieva con un lampo di gioia negli occhi; egli era felice di con• segnarle le sue ossa mortali. t così che la morte diventò tanto familiare presso quei religiosi, che le ossa dei loro defunti venivano poi ma• nipolate senza brividi o ribrezzo, come oggetti e ricordi di persone amiche in una fede unica. Queste ossa, ~omposte e divise dallo scheletro cui appartene• vano, servivano per adornare i cimiteri del loro ordine religioso. Chi, a Roma, si reca a visitare il cimitero dei cappuccini, sotto la chiesa di Santa Maria della Concezione, in via Veneto, può trovare un saggio abbastanza esemplare di una macabra fantasia ornamentale, eseguita con le ossa di quattromila frati che lì vennero sepolti. Noi avevamo r.empre creduto che il nostro scheletro non servisse che agli insegnanti delle accademie di belle arti o delle università; al contrario, esso può servire a cose ben più complicate 01 se si vuole, divertenti. I cappuccini di via Veneto si sono divertiti a scomporlo; di più, hanno trovato che i vari pezzi del nostro racçapricciante meccanismo non sono altro che elementi decorativi di cui la fantuia, se guidata da un certo gusto funereo, può giovarsi direttamente. Forse e~i non pensarono nemmeno di turbare la quiete finale di una materia umana. Scomposta e divi• sa in tante piccole parti, e queste fu. satc al muro secondo l'ordine di un motivo ornamentale, essa non sembra più neppure materia umana. L1 per lì, ne restammo ingannati anche noi. Poi, abituandoci alla luce SC· • pokralc che entrava dai finestrini di quel macabro cimitero, ci accorgemmo che i fregi, le fasce, i rosoni, le cles• sidre e i simboli che adornano le vOlte delle quattro cappellette, non erano stucchi vecchi e giallicci, ma scapole, costole, tibie, vertebre, mandibole e altre ossa di frati inchiodate alle pareti. L'ultima sorpresa l'ebbimo nel. l'uscire, quando distrattamente il no• "tro <1gu.1rdocadde sui lampadari : an- ~~f t~~fpadari erano fatti con le ossa Ogni cappelletta è di un'architettura diversa ; ma al posto delle pietre si sono usate migliaia di teschi, tibie, fem~ri e bacini, composti tuttavia con un s1ste• ma che non si differenzia da quello solito e normale delle costruzioni a secco. C'è lo stesso metodo di legami e di so- '\tegni, Ne viene fuori uno strano di• segno, che se non fosse per le teste da morto cOn quel loro irrimedi~bile senso funebre, potrebbe quasi farci dimenticare l'impressionante materiale di cui è composto. Abbassando gli occhi, si vedono le tombe di terra pulita e ben ordinata, :.u cui sono piantate delle crocette di legno nero. E sopra le tombe, dalle loro nicchie anguste si sporgono incappuc• ciati nel saio bruno gli scheletri di a). cuni monaci, famosi per le famiglie cui appartennero ed esemplari per la santità della loro vita. Altri sono distesi come sul loro letto di morte. Il tempo ha lasciato cadere su di essi una polvere squallida che nessuno s'è curato di togliere, e che fa più evidente la loro immobile solitudine. Ecco, proprio così1 press'a poco, noi ci figuravamo la morte da bambini. Il saio di frate spa• risce per un attimo, e noi non vediamo altro che lo scheletro avvolto in un panno nero dei nostri incubi d'infanzia. Nell'ombra del cappuccio, alcuni di questi morti appaiono con un terribile sorriso disegnato sul volto; è un sorriso fisso e implacabile come un rimorso, come un'ossessione. Esso si ride di noi, della vita, di ogni cosa che appartenga ai vivi ; può ridersi, ormai, anche detl;i morte. Da quanto tempo, sono lì, in piedi, questi morti? Da molto tempo. I loro sai ammuffiti e sparchi cc lo confermano con assai piu suggestione di una data scolpita sopra una lapide. e Com'è beJJo, e com'è terribile! > esclamò un giorno una ragazza ameri• cana. Era arrivata a Roma con un de- ,iderio: visitare « le mummie ». In America le avevano detto che a Roma .,j conservavano delle mummie. La ragazza. sfogliò tutte le guide della città, interrogò tutto il personale dell'albergo, inutilmente. « Eppure ci devono essere. Jim le ha viste; Jim non mi ha mai raccontato delle frottole». Jim non era un bugiardo. Soltanto, si trattava di ossa vestite e non di mummie. Erano le ossa dei cappuccini di via Veneto. La ragazza, quando vide quegli scheletri sorridere avvolti nel saio, ne fu sconvolta. Si aggirava in punta di piedi con un brivido di piacere e di terrore ad un tempo. Non aveva mai visto nulla di così macabro e sensazionale. Volle rimanere a lungo per imprimersi bene in mente tutto ciò che vedeva. Tornando a New York, avrebbe avuto qualcosa da raccontare agli amici. Non c'era nessuno nel cimitero, era sola. Fuori, ad un tratto si mise a pio• vf're, e dalle finestreHe non veniva più che una debole luce che si esauriva ai piedi della ragazza. Il resto rimase av• volto in penombra. Agli angoli delle cappelle, le fronti dei teschi 1 su cui era. no pa.s,;.atele dita di migliaia di turisti c-urio::-i 1 luccicavano come se fossero ha• gnate di wdore. La ragazza s'impaurì: ebbe la scnsa1ipm: che qualcosa st muovesse. Con un sospiro fece per fuggire, ma un lembo del suo soprabito rimase impigliato in una scheggia del parapetto di legno. Dette uno strappo istintivo e senza voltarsi s'arrampicò di corsa su per le scale. Alla sera, in albergo, raccontò il fatto ad un amico italiar\o. « Ho avuto l'im• pressione che qualcuno mi trattenesse! > disse. « Spero>, rispose lui, e ohe non tomerete in America a raccontare che in Italia anche i morti sono ga• fanti! •· GINO VISENTINI CONCORSO PERMANENTE DI "OMNIBUS" perla n&JTu1one di un ratt.o quatstast, rtalmeni. &cca.d.ut.o&eh! scrive. La narrazione non deTe 1uperare le ~f:l:n~~~~ •~o~:~~he~:~~:s~:: sola parte del fogllo. Orni narraslone pubblicata, secondo l'ordine di arrivo e d'accettaslone, 't'erri. compennt.a con Lire ooo (elnquecent.o). • I dat.t.Uo,orltt.l non accettatt non 11re1Utui1cono. - Per la vaU- :~i:n~~n:~»~:!0:!t ::r~~:~A:tc; 1ulla bu1t.a. ( PALCHETTI PARIG)INI ~~~[!(i\ij~~ IMPERATORE Parici, dicembre. i ... ,.~.1.· EL NO.BILE quartiere di San Ger• '1 mano, a Parigi, al sommo di un palauo cupo, Guglielmo Apollinaire abitava il sesto piaM, adibito soli• 1am,ente alla servitù. Si travenava un'anti• camera, si saliva una ,caletta ripida, si ar• rivava allo studiolo del poeta, Quel giorno, e mentre eravamo per iniziare l'ucen1ione della scaletta, facemmo appc&;ia in tempo a frenare l'impeto di una e palla umana >, che veniva giù a precipi~o. Lo aiutammo a disciogliersi, a riacquistare quella posi. z.ione verticale nella quale Ovidio riconosceva che l'uomo l fatto per guardare le stelle, ,e quegli e.i disse in guisa di ringra• ziamento che si chiamava Maurizio, che era figlio di Edmondo Rostand, e che a sua volt:i era poeta. Era un efebo radioso: occhi di gaut:lla, faccia cosmeticata, un fu. mo di riccioli rossi a sommo il capo, e nella voce: la nasalità agreste del corno inglese. Era la primavera del 191,4, non avemmo occasione di poi di rivedere il bel Maurizio. Ma non perdemmo le ,ue tracce. Ci disstro che in questi ultimi anni, nei salotti di e sinistra>, ccli aveva scosso le fonda• menta della borghesia t: del capitalismo, tra gli 1gonfiotti alla crema e i cocktail, con l'oliva. Ci fu riferito che, sotto il miniitero Bl1.1m, era stato visto alla testa dei cortei ras.si, scultttando e brandendo fieramente il pugnetto dalle unghie tinte di cinabro. Come si vede, il bel Maurizio caccia il nasino là dove non lo dovrebbe cacciare. E quali ~lai.ioni poi, quali affinità. tra que• sto androgino ver~ficante, e gli amori ro• busti, gli amori gagliardi, gli amori alla uuera, ma tutto sommato e normali >, di Caterina di Russia? ... La soluz.ione di un siffatto mistero meritava i trenta franchi che ci toccò sborsare, per auistere, da una poltrona dell'Odéon, alla rappresentazione di Catherin, empueur di Mauriiio Rostand. BcncM il ,uo nome derivi da una parola greca che significa e canto>, l'Odéon è un teatro di pros.a che, dal 1818 a questa parte, fa le funzioni di secondo teatro di S_tato.. t un. ~difi.ci? di s_til_ene~ Cinto d1 port1C.1 tr11u, e ad1b1to a ~~ comio per le vedove dei piccoli funzionan, alle quali il ministero delle pensioni non \ può dare uno spaccio di tabacchi. Uno di questi ruderi umani raccolse il nostro pastrano con mano tremante, e con mano egualmente tremante, m:a cupida, robolo che costituiva la nostra remunera. zione; un'altra, vecchia come la Pa.rca e dalle articolai.ioni cigolanti, ci accompa- ,snò a una poltrona di velluto spelacchiato, la quale appena a conta.Ilo con le nostre terga tmise un'alta colonna di polvere, che momtntant:amente e.i trasformò in Giove tra il fumo dei treppiedi. All'Odéon il sipario non si apre, ma si alza come al tempo di Luigi Filippo. Que• sta ascesa è preceduta da tre colpi cupi, picchiati con una mazza sulle assi ccnte• narie del palcosc:enico, e che nel buio della. .ala spargono il terrore della catastrofe imminente. Siamo iniziati ai modi violenti di reclu• 1amento, coi quali la giovine e Crtsca $Cl• vaggina maschile era ca1turata, esaminata., provata, e data in pasto a Caterina, detta e la grande >. La prima di queste prede è il conte Zavadov1ki; la seconda è Platone Zubòv, che dà motivo a interrogazioni di quetto genere: e Platone, mi vuoi bene? > ; la terza è il ballerino Spadolini, che quattro schiavi circassi portano 11.1llascena sollevandolo alto sulle teste come 1.1neroe morto, e che è vestito di una piccola plaeca di metallo, davanti, e di un'altra un poco più grandt dietro. Onde come il gentrale Galliffct, ferito all'intestino e costretto a por• tare una fasciatura di metallo, diceva che e il silenz:io è d'oro ma il ventre d'argtnto >, Spadolini può dire che e il silen- :rJo è d'oro ma il sedere di bronzo •· Questo per la vista. Quanto all'udito, il dialogo di Caterina imperatore è rarcito di oscenità tali che, a metà del primo atto, e benché popolata la sala del pubblico più spregiudicato della terra, vedemmo un vecchio signore levarsi accanto a noi, un pa• dre, coprire la faccia del suo figliolo tren• tenne con la falda della giacca, e u1eire entrambi a tastoni, come Edipo e Antigone da Tebe. Un atto intero è in versi, l'atto cosi dello e della prigione >: in martelliani ridondanti, nei quali l'attore: camuffato da zar Ivan fa sonare le e e> mutt, e arrotola gli e erre> come involtini al prosciutto. Non manca il riferimento politico e aggiornato. Circondata di ministri e amba• sciatori, Caterina dice a ciascuna nazione d'Europa il ratto suo, ma quando sta per dare il suo giudiz:io anche sulla Fn.ncia, il sipario cala di colpo. Quale giudizio più eloquente? ALBERTO SAVJNJO LEO LONGANESI • Direttore responsabile 'i A. EDITRICE • OMNIIJUS" • MILA'l/0 RIZZO!.! & C .•. \n. per l'At1t. dt.lla S1•mpa • )libnn RIPRODUZIONI ESEGUITE CON MA l ERIAt.t-; FOTOGRAFICO • J,'ERRANIA •· Po,ltltlmlli; Avnzia G. IJruc:hi • Milano, Vi:a S,Mni 10 1'•1. :?é.SIQ7• hrigi, M, Rut. F•ubour1 S,i111-Hon~~

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