Omnibus - anno I - n. 37 - 11 dicembre 1937

ITDJADINDVIC m- El GIORNI scorsi i giornali franll'J cesi si sono affannati a eroclarTy\'~ che la visita a Roma del miniM Stuj-tdi110\'ir non :wrf'bbc in nulla 1110dificato l'indirir.w politico della Jugoslavia. Giustissimo, perché la Jugoslavia, e proprio per volontà del Presidente Stojadinovic, ha mutato da un pezzo l'orientamento dei precedenti governi. Se ne vedono i risultati. Prima dell'avvento al potere di Stojadinovic, la Jugoslavia era circondata da nemici più o meno palesi, mentre oggi essa non conta che amici. L'opera personale di questo fortissimo uomo di Stato si compendia in questa semplice proposizione : per virtù ~ua, la Jugoslavia ha ripreso la propria autonomia politica, la propria libertà di iniziativa e di azione. Egli non ha tradito nessuno, non è venuto meno a nessuno degli impegni che legavano la Jugoslavia ad altri Stati, ma ha restituito a quegli impegni il loro carattt;::re vero, rettificandone le deviazioni e le deformazioni. t rimasto fedele al patto della Piccola Intesa, ma riportandolo ai fini per i quali era stato stipulato: difesa dello statu quo territoriale nei confronti dell'Ungheria. E niente altro. Per merito suo, Ja Piccola Intesa ha cessato di essere uno strumento dell'egemonia france.se nei Balcani, in funzione antitaliana e, più ancora, antigermanica. Questa rettifica ha reso automaticamente possibile il ritorno all'amicizia con l'Ctalia, e quel patto di amicizia perpetua con la Bulgaria, che è, oltre tutto un'azione generosa. Stojadinovic ha se 1 rvito la causa della pace liberando la Piccola Intesa dai sottintesi che intorbidavano le relazioni internazionali? Pare difficile negarlo. A suo tempo lo riconobbero, sia pure a denti stretti, Bcnes e Titulescu. , . Di fronte a costoro, la Jugoslavia s1 era sempre trovata in una posiz~one subordinata.. Titulcsc.u prendeva al la da Parigi, Benes lo dava a Ginevra: Il p~i_- mo era un intrigante che serviva p1u padroni, il secondo un giocoliere. che <lifendeva una causa assurda e disperata. Stojadinovic ha rovesciato quella posizione, e dal secondo posto è pas- ,ato al primo. Ha ristabilito un equilibrio, perché nel sistema della Piccola Intesa Ja forza vera è rappresentata dalla Jugoslavia. La sua posizione geografica le conferisce un'indiscutibile superiorità sul1a Rumenia, la sua compattezza nazionale sulla Cecoslovacchia, che si regge come nacque : per volontà della diplomat.i:i. Di fro11tr .1ll,1 f'r.1111.:i.l, il Presidente SloJ-1dmuv11...Jia .).:lpu~otenere un atteggiamento fenno e dignitoso. Ha rinnovato, due mesi fa, il trattato di collaborazione del 19~7, ma ha fatto sapere chiaramente che la Jugoslavia non . si ~rebbe mai avventurata. in una politica antigermanica e, meno che mai, filobolscevica. Fu per sventare questo pericolo che impedì alla Piccola Intesa di aderire, in blocco, a un patto con la Francia in tutto simile al patto franco-cecoslovacco. li Quai d'Orsay ..:'è inchinato. Perché la Jugoslavia dovrebbe modificare la sua politica? Il suo bilancio è attivo. Le passività le raccoglie il ministro degli affari esteri francese Delbos, nel suo viaggio circolare, che è incominciato dalla Polonia. Passività non metaforiche. Nota il democratico Margueritte, in un suo recente pamphlet contro la politica estera francese, che i rapporti tra la Francia, la, Piccola lntesa, la Polonia e qualche altro Stato danubiano sono stabiliti dai prestiti che assommano a circa 14 miliardi, e che no'n hanno mai avuto contropartita. Infatti, nel gennaio del '34, la PoJorlia conclude con la Germania un accordo che e l'allontanava brutalmente dalla Francia». Per dieci anni Varsavia e Berlino staranno in pace nono• stante la questione del corridoio. Nel 1935 la Polonia rifiuta, come rifiuta la Gcnnania, di aderire al patto regionale proposto da Mosca. Nel suo viaggio a Mosca, Lavai si ferma a Varsavia. Tenta di fare opera di persuasione, ma invano. Dopo di che le simpatie polacco-tedesche si rinsaldano. Il colonnello Beck moltiplica i suoi viaggi nelle capitali balcaniche con gli occhi rivolti a Berlino, mentre il generale Goering va a caccia in Polonia. Proprio un anno fa, davanti alla Commissione del Senato, il ministro Beck esalta le ottime relazioni con la Germania. Belle nasarde à l'adresse du Quai d'Orso:,, commenta il Margucritte. Adesso si dice che, la.sciata Varsavia dove ha dovuto constatare il fallimento della politica del Quai d'Orsay, Dclbos ripari nei Balcani, portatore d'una garanzia inglese. Il guaio è che, in tutta la penisola balcanica, si leggono le notizie- da Sciangai e da Nanchino. New York, dicembre. I ~OTO che, fra il Presidente Roosevelt e la Corte Suprema degli Stati Uniti, da tempo è impegnato un duello mortale. La cosa cominciò così. Due anni fa, la Corte Suprema, giudicando di un ricorso di certi fratelli Schechter, venditori di polli nella città di New York, dichiarò incostituzionale il National lndwtrial Recouery Act e mandò in aria tutto il New Deal, Il Presidente Roosevelt cercò di salvare i rottami della baracca che aveva costruito con tanti sforzi e e-on tanto sperpero di pubblico denaro, e, in parte, vi riuscì. Ma poiché la demolizione, sia pure parziale, spos!ava gravi interessi, il Presidente, da quell'abile tattico elettorale che è, credette opportuno di trarre profitto dalla disgrazia, facendo convergere sulla testa della Corte Suprema, - o, meglio, sulle nove teste dei membri di essa, - l'ondata del risentimento pubblico. Si atteggiò a vittima del suo eccessivo amore per il popolo e dipinse la Corte Suprema come il Nemico pubblico N. 1 ; ma promise che se il popolo gli avesse riconfermato il mandato, avrebbe trovato in questa rinnovata prova di fiducia la forza di vincere la resistenza e l'incomprensione dei nov<' vegliardi. La riforma della Corte Suprema diventò così il fulcro del suo programma elettorale. E, di lì a poco, egli vinse trionfalmente le elezioni. Nel frattempo, la Corte Suprema, sbigottita dalla campagna presidenziale, aveva dato tAnte e così larghe prove di docilità che la riforma era diventata inutile. Tuttavia Roosevelt ha continuato a parlarne di tanto in tanto, e a tenere Ja Corte sotto il fuoco di frequenti minacce. Ma nell'agosto scorso passò ai fatti. Ec;sendosi fatta una vacanza nel personale della Corte Suprema, egli la colmò nominando giudice aggiunto il Senatore Hugo La Fayctte Black dello Stato di Alabama. La scelta risultò particolarmente bene ispirata. La nomina n~ fu casuale, né incon- ~iderata. Fu, anzi, preceduta da un lungo e accurato lavoro di selezione. I candidati erano stati molt.i: il Dipartimento della Giustizia aveva messo insieme una lista di ben sessanta nomi. Fatte le opportune indagini circa la vita pubblica e privata di ciascuno, i due terzi furono eliminati. Rimasero in lizza, così, solo venti candidati. E da ciò si potrebbe dedurre che su tre persone, le quali si occupino di affari pubblici, in America., una sola può dirsi un galantuomo. La percentuale è un po' debole. Il :.cguito della storia dimostra che galantuomini ro~-.c.·ro i prc-Kelti. Come il Presidente RooScvdt rientrò a Washington, gli fu sottoposta la lista dei \lenti gentiluomini. Egli la considerò a lungo; la esaminò, riflcttè. Poi brandì una matita blu e cominciò a scartare qualche nome. Scarta il primo, scarta il scc')ndo, alla fine non •rima.c;cro che sette candidati: quattro ci-ano giudici di Corte locali, e tre provenivano dalla politica, ossia erano stati sostenitori del New Deal. Subito il Pre~idcnte optò per il s<"condogrup• po. Ma esitò a lungo fra i tre nomi del gruppo: il Solicitor Generai Stanley Forman Reed del Kentucky, il Senatore Shennan Minton di Indiana, il Senatore Hugo La Fayette Black di Alabama. Tutti e tre cittadini altamente onorati, tutti e tre democratici al cento per cento, tutti e tre strenui difensori del New Deal. Reed, Minton o Black? Black, Minton o Reed? Scegliere uno non era, forse, fare un torto agli altri due? Il cuore ben nato del Presidente conobbe la crudele ansietà di una scelta difficile fra cittadini egualmente integri, egualmente rispet• tati e stimati. Alla fine il Presidente scelse; e subito spedì al Senato l'atteso messaggio: « Ho nominato Hugo La Fayctte Black di Alabama Giudice aggiunto della Suprema Corte>. La fclicc scelta era appena resa pubblica, e già la stampa annunziava che il nuovo membro della Corte Suprema apparteneva dal 1923 al Ku Klux Klau. Una crudele freddura corse da un capo all'altro di Washington: e Hugo non dovrà. comprarsi una toga; gli basterà far tingere in nero quella bianca che ha >. Che Black avesse avuto qualche legame con la temuta associazione non poteva essere un segreto per chiunque fosse addentro ai misteri e ai rctr05Ccna della vita pubblica americana. Fino al 19~6, era stato un povero diavolo, un oscuro avvocatuccio di provincia. In quell'anno, Oscar Wildcr Undenvood, SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE Senatore per lo Stato di Alabama, il cui mandato era scaduto, non volle affrontare una nuova lotta elettorale. Si presentarono cinque candidati, fra i quali Bankhead, di una vecchia famiglia dell'Alabama, il Colonnello Musi;rove, che era a capo di una potente coalizione industriale, ecc. Tutti furono battuti clamorosamente da BI.tek, l'outsider, lo sconosciuto avvocatuccio di provincia. Si ,uol din· che l.t ,orte delle urne sia cicca. È un modo ciì dire. In una democrazia bene ordinata, i.i conoscono molti modi per ridare la vi- ,;ta alla sorte. Nello Stato di Alabama, come, del resto, in parecchi altri Stati dell'Unione, è il Ku Klux Klan che '>i incarica di illuminare l'inesperto elettore. Nel 1926, nell'Alabama, nessuno che non fosse stato persona grata al Ku Klux Klan, sarebbe mai riuscito a farsi deggerc Senatore. La maggioranza dei lettori italiani non può rendersi sufficientemente conto della gravità morale dell'accusa per la semplice ragione che ignora che cosa ,;ia il Ku Klux Klan, e che cosa esso si proponga. Ci affretti amo ad aggiungere che l'associazione è rigorosamente segreta, e quindi anche il pubblico americano non è infonnato sul conto di essa che in modo relativo. Ma quello che se ne sa, è sufficiente per classificarla: un'associazione a delinquere. li K u Klux Klan è contro i cattolici, contro gli ebrei, contro ~li stranieri e soprattutto contro i ncgn. Estendendosi verso nord e verso ovest, esso ha assunto una grande varietà di forme. In California, è prevalentemente antigiapponc.se. Nell'Oregon, anticattolico; alt~ove, antisemitico o antiliberalc; da per tutto, fa suoi gli odi dei mercati locali. Per un certo tempo ha dominato sinistramente i governi dell'Oregon, dell'Oklahoma, del Texas, dcli' Arkansas, di Indiana, dell'Ohio, della California. In alcune zone, era l'unica organizzazione per il mantenimento dell'ordine. In altre, un'arma nelle mani di malfattori e di çangsters. C'è stato un tempo in cui s1 calcolava che gli iscritti ascendessero a quattro o cinque milioni. Sembra che ora siano di meno. Per spiegarsi la. diffusione di una così ..,inistra e stupida organizzazione, biso... gna tener presente che essa fa leva su tutto quello che c'è di bigotteria e di sospettosa ignoranza nel protestantesimo americano delle piccole città e della campagna. Era (acile convincere un incolto e battista > della Georgia che la crisi era la conseguenza delle macchinazioni dei cattolici e degli ebrei. Era facile persuadere il proprietario di un bar o di un ristorante, i cui affari andassero male per la concorrenza che gli facevJ. il ristorante vicino di un greco, c11e gli americani puro sangue avessero il dovere di venire tutti a far colazione da lui e non andare dal greco. Inoltre, il rituale del Klan, il mistero di cui, si circonda, la cìunneria dei• nomi pomposi e dei titoli ché distribuisce, il piacere di indossare un:i. cappa bianca e un cappuccio, di cavale-are nc.-ll,tnotte in quella strana divisa, di fare uso di parole di ordine, d'incontrarsi in cima a una collina, di notte, con altri uomini anch'essi incappucciati e in cappa bianca, e, alla fine, di trovarsi impegnati tutti insieme in imprese misteriose, tutto questo esercita un fascino straordinario sullo spirito puerile di migliaia di uomini. Che cosa vadano facendo di notte tutti questi imbecil!i a cavallo, raramente si sa. Le loro gesta sono quasi sempre stupide e grottesche. Per esempio : accade spessissimo che qualche ragazza bianca isterica accusi un giovane negro di averla guardata con concupiscenza. Allora i Cavalieri dell'Invisibile Impero si riuniscono di nottetempo, entrano nella casa del negro, lo portano via, lo svestono, lo spalmano di catrame, lo ricoprono di piume, lo bastonano e lo lasciano con un cartello, recante le tre K, attaccato alle spalle. Altre volte si tratta di punire un ebreo reo di aver fatto la concorrenza a un mercante americano, ecc. Ma questi .)ono i passatempi più innocenti del• l'Invisibile Impero. Spesso le gesta dei Klansmen sono delitti orribili e bestiali. Nel novembre del r935 una banda di Klansmen irruppe in una casa privata, in Tampa, e condusse via tre uomini, tali Shoemaker, Poulnot e Rogers; quindi, trascinati in, una località isolata, furono flagellati e torturati con fuoco e con pece bollente e lasciati semimorti. Shoemaker rimase per quat• tro giorni privo di conoscenza : il lato destro interamente paralizzato, la pianta dei piedi scarnificata dal fuoco, tutto il corpo così lacerato e maciullato, che non aveva più niente di umano. Solo per qualche istante ricuperò la conoscenza. Disse : e Non avrei mai immaginato che vi fossero uomini così vili ». Al quarto giorno, fu amputato drlla

gam~a sinistra e poche ore dopo morì. Segui un processo. Due uomini che erano stati testimoni della flagellazione e delle altre torture, morirono in circostanze mjsteriose, prima che avessero deposto. Si disse che si fossero suicidati. li processo fu una farsa indegna e tutti gli imputati furono assolti. Il caso sembrò straordinario : non già per la bestiale fer(?Cia del delitto, ma perché c'era stato un processo. St~ie a base di pece e di piume, o di sparizioni di persone, erano allora tra le cose più comuni. Non si facevano ncp• pure indagini per fatti di così poco conto. In un anno, in un solo Stato, l'Oklahoma, furono perpetrate più di 8oo aggressioni criminose. Caso tipico quella della signora Pearl Hayter, che fu svestita e marchiata con acidi. Caso ancora più tipico, quello del greco Petropol : una bella notte, in casa di questo disgraziato comparvero venti uomini mascherati, che lo obbligarono a seguirli, lo condussero in un bosco e, col pretesto che egli non pagava le cambiali, lo bastonarono finché perdette i sensi. Risultò, poi, che il greco non doveva pagare akuna cambiale ; e che, invece, alcuni degli uomini mascherati erano suoi debitori per 4.~50 dollari. Essi intendevano, a forza di bastonate, indurlo ad andarsene per po• tere, così, non pagare. · Questi casi sono tratti tutti dalla letteratura criminale dell'Oklahoma. Ma altri Stati furono teatri di gesta non meno orribili. Nel Texas, le bastonature, le rapine, gli assassini del K.K.K. sono frequenti. Un funzionario di una cittadina fu e spedito > perché osò invocare la legge contro i membri del Klan. Nella Luisiana, cinque uomini furono rapiti e, più tardi, furono ritrovati legati insieme con fil di ferro in mezzo a un fiume. Nel giugno di quest'anno, una banda di Kla,umen, a Tampa, assali un organizzatore dei lavoratori e lo percosse a· morte, ecc. Si pctrebbero citare innumerevoli altri cas1. Ma a che prò? Quelli che abbiamo ricordati possono bastare a far ca• pire al lettore italiano quale onorata società sia il Ku Klux Klan; l'associazione di cui è membro a vita il giudice della Corte Suprema Hugo L. Black. Si spiega, dunque, facilmente la veemenza con cui è stata condotta la pòlemica per lo scandalo Black. Nei suo articoli sulla Post-Ga1;ette di Pittsburg, il giornalista Ray Springlc accusò il neo-giudice di aver prestato il giuramento del Klan nella «Klavcma:> (nel gergo dell'associazione) di Robcrt E. Lee, Klan N. 1, in Binningham, nel ,923; di essere diventato, nel 1925, Gran Dragone dell'Alabama i di essere stato sostenuto dal Klan nell'elezione del 1926. Costretto a dare delle spiega• 7ioni, il giudice Black ris;onobbe di essere stato, un tempo, membro del Klan; ma affermò d'essersi dimesso e di non farne più parte da molti anni. Subito il giornalista replicò che le dimissioni erano state una burla; che, dopo le elezioni del 1926, Black aveva riaffermato la sua fedeltà al Klart in una adunata o - come si dice nel gergo del Klan - in una e Klonvocazione > tenuta dal grande Stregone dell'Invisibile Impero, Hiram W. Evans; e che, in quella occasione, gli era stat~ rilasciata una tessera d'onore, con cui era stato nominato membro z vita del Klan; e per tagliar corto a ogni dubbio, pubblicò in fac-sim_ile i documenti della sua appartenenza al Gran Klan dell'lnvisibi1e Impero. La polemica è finita all'americana. Black è rimasto al suo posto. Qualche settimana fa, la Suprema Corte ha respinto il ricorso contro una sentenza della Corte dello St~to di Alabama, con cui erano st~ti inflitti varì anni di prigione. L'uso della Suprema Corte vuole che i giudfoi non prendano parte alle aecisioni alle quali abbiano un interesse personalt. La sentenz..1.notava, seri:za commen/o, che l'ex Ku Klux Klanner Hugo_La Fayettc Black e non aveva preso ;arte alla discussione e alla decisione. >. Ed è tutto. Ma Black resta al suo sto. Tutt'al più, da ora innanzi, si as~rrà quando si tratterà di giudicare suç,i associati. E non è chi non apprezzj la somma delicatezza di una simile condotta. La morale è che ogni paese ha i giudici che si merita. In cambio, un bel mattino, il· giornalista Ray Springle ha trovato che, dinanzi alla sua casa, era stata bruciata una croce. Nella simbologia de~' Jn. visibile Jmpero, questo significa minaccia di morte. ROBERTO CAMPAGNOLI ANNOJ, N, 37, li DIOElCBRE1938--IVI OMNIBU~ SETTIMANALEDI ATTUALITA POLITIOAE LETTERARIA EBOE IL SABATO IN li•l8 PAOINE ABBONAMENTI l1.aUa e Colo11t,a111110 L. 4.2, semntre L. 22 El uro 1 &11no L. 70, umeatre L, 36 OGll NUMERO Uli Lllll Mu.o,orittl, dlugnl • fotogr~•• anohe n uou pubblioui, o.on 1f rnnt11l1oono. Dlr1110111: Roma • Via del Sudario, 28 Telerouo N. 661.636 lmlll!Jlliltradont: Kilano • Pla11a Carlo Erba, 6 Ttlefono N, 24,808 l♦t. li.on. E4Jtrlce " ODIBUI " · MUuo LA OBOOE DI KORTE DEL KU X:LU:I IL.Ali QUANDO IL DUCA e la Duchessa di York (gli attuali Sovrani d'Inghilterra) visitarono l'Esposiiionc Coloniale di Parigi, ebbero per guida il Maresciallo Lyautcy che offri agli augusti ospiti un tè sulle rive di un laghetto del bosco di Vincer.nei. A un1 certo m0ment& la Duchcsaa, di cui ~ no note la grazia e la squisita finezza, si rivohc a Lyautey: « Signor Maresciallo, voi che riuscite in tutto quel che intraprendete; voi che avete organiu:ato questa bella esposizione, potttstc fare qualcosa per mc?>. e Con gioia, Altezza >, rispose il Mare• sciallo sorpreso e un po' interdetto. « Ecco ... Ho il sole negli occhi ... Potreste farlo scomparire? >. Non appena la Duchessa ebbe finita la frase, una nuvola coprl il sole e l'ombra avviluppò le rive del laghetto. E la Duchessa, sorridendo: « Cra1.ic, signor Maresciallo >. Ella aveva veduto la nuvola avvicinarsi al sole. FEROIN'ANDO MARTINI diceva di Gio• litti, già molto vecchio, e il cui spiri\Q ormai in decadenza aveva raramente spunti felici: « t, un vecchio ca.stello dove 3.ppare ogni tanto qualche spirito >. LA SIGNORA di StaCI domandava un giorno a Napoleone quale fosse secondo lui la prima. donna del mondo. e Quella che fa più figli>, rispose l'imperatore. «MONSIGNORE>, disse un sollccitatorc al signor di Talleyrand, « Vostra Eccellenza mi ha graziosamente promesso di fare qualcosa per me: il tal posto è vacante>. «Vacante! > rispose l'ex-vescovo. e Ebl><:ne, cosa volete che ci faccia? ... Sa~ piatc bene che quando un posto è vacante vuol dire che è già stato occupato >. IL COMICO napoletano Fontanella ebbe in Francia molta fortuna con le donne. Una duchessa lo riceveva, ma soltanto di notte. Una \--.Ohasì presentò di giorno, come per fare una visita. La gran . dama, che aveva molti visitatori, seccata della venuta dell'attore, gli disse: « Signore, che cosa siete venuto a cercare qui? >. « li mio berretto da notte>, rispose il comico. GIOE, al ritorno del suo ultimo viaggio in Russia, si meravigliava della poca pulizia dei Russi. « Perché dovrebbero avere cura d'un corpo che non gli appartiene?> gli rispose Stravinski. L'AVVOCATO Marchand, uomo di spirito e di buon senso, diceva: « Si corre gran rìschW> di dar di stomaco nel vedere come l'amministrazione, la giustizia e la cucina ,i preparano>. DUE BAMBINE giocano in America: « Tu >, dice una, e farai da mamma, ed io da padre. TÙ fa vedere che vuoi divt:n• tare' attrice cinematografica, cd io avvcle• nerò i bambini >. TRE FRANCESI che si trovavano all'osteria, in un pomeriggio d'inverno, dopo lunghi discorsi oUosi finirono col farsi queste strane domande: « Chi vorresti essere? > chiese il primo: « Eden, Stalin o Roosevelt? >. e Io >, rispose il secondo, e vorrei essere Roosevelt. E tu? >. « Io invece vorrei essere Eden >. Il ten:o, con aria distratta e annoiata, taceva. « E tu? > gli domandarono gli altri due. e Chi vorresti essere? >. e Giovannino! > rispose. « E chi è Giovannino? >. « L'amante di tua moglie •, esclamò, rivolto all'amico più anziano. UN POVERETIO molto male in arnc• se si presentò a un funz.ionario di una 10cicti di protezione. Le nuove leggi sulla mendicità, disse, lo avevano privato degli aiuti della 1ua parrocchia e lo avevano riJL GIORNO in cui il cannone tuonò per dotto a un tale c1trcmo di miseria che, se annunciare a Parigi che la Duchessa d'Or- non veniva aiutato subito, sarebbe stato coléans aveva dato alla luce un figlio, e per stretto a rare una cosa che la sua anima le strade il popolo esultava, Alfonso KMr, aborT~va. che auisteva alla manifestazione di gi,1- Il funzionario gli diede cinque scellini, bilo, d~sc a un amido: e Come ~no COJ'lt Jtlc•. dopo una _commoven~ paternale sul tenti i parigini, ora ci°)e-l"hannourT pAt.fit,t dcvcrc degli uomini di non abbandonarsi di più da insultare e da cacciar via >. alla disperazione, gli domandò quale fosse FRANKLIN si compiaceva di ripetere un'osservazione del suo negro al quale •aveva spiegato, mentre era a Londra, che cosa fosse un gentiluomo. « Padrone >, gli diceva il negro, « tutti lavorano in questo paese; l'acqua lavora, il vento lavora, il fuoco lavora, il fumo lavora, i cani lavorano, il bue lavora, il cavallo lavora, l'uomo lavora, tutti lavorano meno il maiale; mangia, beve, dorme, e non fa nulla tutto il giorno; il maiale è dunque il solo gentiluomo dell'Inghilterra>. MATILDE SERAO, parlando di Enrico Ferri, ch'era reputato u.n maestro di cloquenia, disse un giorno: e SI, trova facilmente le frasi grosse, ma quando le ha tro• vate è costretto a cercare quel che ci deve mettere dt:ntro >. UN MARITO, in Francia, diceva alla moglie: « Credo che nella nostra città ci sia uo uomo solo che non sia becco >. e E chi è? > domandò la moglie. « Non lo conosci? > rispose il marito, « Ho un bel cercare >, disse la moglie, e ma, sul scrio, non lo conosco >. - Vedet.e, lo oh• ho l'aria di lltl. •br.o, .. - Ebbene 1 - Ebbene, lo 10110, la cosa che aveva intenzione di fare, se non lo avcucro aiutato. e Avrei lavorato>, ri~se l'uomo con un sospiro profondo andandosene. IL COCCHIERE del re di Prussia rovesciò un giorno la carrozza. Federico diventò furibondo. e Ma sì >, gli disse il COC• chicrc, « è una disgrazia; e voi non avete mai perduto una battaglia? >. PARLANDO della legge contro l'analfabetismo, Teofilo Gautier disse: « La scrittura è una triste invenzione. Un uomo che abita, per esempio, a Pechino e che non sa 1crivcre, è uno sciocco soltanto a Pechino. Mentre, con una s.ola lettera indirizzata a Parigi, lo stesso uomo può esser sciocco a Pechino e a Parigi >, UNA PARIGINA si querelava contro un giovane accusandolo di seduzione, ma il suo avvocato non trovava sufficienti le prove addotte. Ella use! dallo studio dell'avvocato molto triste; ma l'indomani mattina si presentò tutta trionfante: «Avvocato>, disse, « una nuova prova: m'ha sedotta un'altra volta stamattina >. PREMESSA ffi ELL'ULTIM~ numero, abbiamo rias: llJ sunto e ampiamente commentato 1 primi articoli della serie che Walter Lippmann ha pubblicato in Tlu New rork Herald Tribun,. Il lettore ricorderà che abbiamo rilevato l'errore fondamentale del Lippmann, consistente nel fatto che egli concepisce le potcnv. autoritarie in atteggiamento di « sfida > di fronte alle potenze democratiche. Noi crediamo che le potenze autoritarie non sfidino, né aggrediscano le democrazie, ma solo difendano il loro diritto all'esistenza. Abbiamo riJcvato, altrcsl, quanto 1ia erronea l'affermazione del Lipp• mann che i tre paesi a regime autoritario debbano costruire i rispettivi imperi sulle rovine degli imperi preesistenti: l'inglese, il francese, l'olandese. Ci sembra sia abbastanza difficile dimostrare che l'impero ita- . li.ano in Etiopia o l'ltnpero nipponico in Manciuria o in Cina siano stati costruiti sulle rovine dell'impero inglese. E, alla fine, abbiamo messo in eviden:ta quanto arbitra~ rio sia il metodo del Lippmann di attribuire ai paesi a regime autoritario fini e programmi, di cui è poi anche troppo facile dimostrare il carattere pericoloso per la pace del· mondo. Per lui, gli Stati autoritari vogliono « manovrare > di fronte alle dcmocrat.ie fino al punto di ridurle ad una condizione di completa impoten:za. Ora questo non è, e non è mai uato il pro• posito dei pae,i totalitari. Essi vogliono vivere e vogliono che le democrazie li lascino vivere; e sono risoluti a combattere con chi tenti di impedire loro il conseguimento di scopi vitali. E abbiamo ricordato un vecchio articolo del Lippmann, in cui gli scopi della Germania venivano compendiati nella riforma del trattato di Versail!CJ e si riconosceva la necessità che si rendcs.sc giustizia alla Germania procedendosi alla revision, dell, frontiue. Oggi la Germania non domanda tanto. Oggi la Germania si accontenterebbe di molto meno. E il Lippmann afferma che cua « sfida >, che essa aggrediacc, che essa vuol ridurre in cenere gli imperi inglese e francese. La contraddizione ci sembra flagrante. REQUISITORIAAHTI-DEMOCBATICA ® UESTE NOSTRE critiche crediamo opportuno richiamare oggi, prima di cominciare a ria.ssumcre l'ultimo degli articoli del Lippmann. Come il lettore vedrà, esso consiste in una vera e propria requisitoria contro le democrazie: più esattamente, anii, in una duplice requisitoria. Agli occhi del Lippmann, le democrazie sono 'egualmente colpevoli di essere state ingiuste e ingenerose ieri e di essere vili e impotenti oggi. « Quando erano onnipotenti, mancarono di magnanimità; ora, che sono sfidate, mancano di coraggio >. La diagnosi ci sembra esatta, soprattutto neUa prima parte. 1 popoli italiano e tedesco proclamano instancabilmente da quasi un ventennio la ingiustizia del•Trattato di Versailles. Ma il Lippmann vorrebbe che le dcmocraz.ic, come dice lui, « resi1tesscro >: e cioè si opponessero con le armi alle richieste dei paesi a regime totalitario. Questo è un voto del Lippmann, un suo desiderio personale, che non inficia in alcun modo la giustezza della diagnosi. Epperò potremmo prescinderne. Potremmo, cioè, ritenere la diagnosi e buttar via i voti del Lippmann. Ma non possiamo fare a meno di rilevare la stridente, la patente contraddizione, in cui il Lippmann incorre, sia come spetta• tore - sedicente obiettivo - delle vicende in1crnazionali, sia cpmc cittadino americano, Egli riconosce che le democrazie furono ingiuste ieri, e vorrebbe che prendessero le armi, oggi, per perpetuare l'ingiustizia. Si può essere più incocttnti di cosl? Ché o la situaUone intemaUonalc viene discussa sul terreno del giusto e dell'ingiusto, e allora quel che era ingiusto ieri è ingiusto anche oggi, e chi aveva il dovere di riparare all'ingiustizia ieri lo ha ancora oggi. O, invece, la si esamina dal punto di vina e forza >, e cioè si sostiene che le democrazie debbano resistere solo perché hanno la fona di resistere; e allofa, poiché, Cl'>Tllesi è detto, quel che era ingiusto ieri è }'arimcnti ingiusto oggi, si viene a riconoscere che sono le democrazie a « sfidare> e le dittature a combattere contro l'ingiustizia. L'incoerenza diventa ancora più evidente se si scende al caso concreto. La Germania chiede le colonie. Lippmann riconosce che fu ingiusto togliergliele nel 1918; riconosce che fu ingiusto ieri non restituirgliele; ma che vorrebbe oggi? Che le dcmocraUe affrontassero una guerra mondiale per non restituire le colonie alla Germania. Per colmo, poi, secondo la sua opinione - sebbene, in questo punto, egli non sia del tutto esplicito - l'America dovrebbe prender parte alla danza: e cioè dovrebbe Kendcre in campo anch'essa e mettere le sue risorse di uomini e di ricchezze a disposizione delle democrazie europee e affrontare una nuova guerra mondiale: per che cosa? Perché l'Inghilterra e la Francia potes.sero tenersi le colonie cx-tedesche. Basta, come si vede, configurare il caso concreto per intendere l'assurdo e l'immoralità dei voti del Lippmann. STATOD'ANIMODELLEDEMOCRAZIE (ii\ VESTA lunga premessa ci dispensa ~ dall'intercalare nel testo del pubblicista americano note o commenti. Gli cediamo senz'altro la parola e lo lasceremo andare avanti lino alla fine senza interromperlo. Solo metteremo in corsivo alcuni riconoscimenti che egli fa, e che ci sembrano particolarmente degni di nota. « Per conto mio, son venuto via dall'Europa con l'impressione che n~ la Gran Bretagna, né la Francia siano, fino a que• sto momento, realmente animate dalla volontà di resistere al pericolò che hanno di fronte. M'è sembrato che, a paragone con la mobilitazione senza tregua di uo• mini e di materiali e con la predicazione di una morale militare, che si fanno in Germania e in Italia, le democrazie occidentali siano stupefacentemente distratte, compiacenti, amanti del vivere lieto, e pie• ne di desideri. « Certo, esse si armano. Ma mentre ne• gli Stati totalitari ogni cosa è completamente subordinata allo sviluppo della po• tenza militare, nelle democrazie non è cosl Certo, questo rende, oggi, la vita nei paesi democratici molto più piacevole. Ma la passività delle democrazie è mortalmente pericolosa, e se Mussolini e Hitler dovessero giungere alla conclusione che le democrazie 1iano realmente cosi in decadenza, come cui professano di credere, sarebbe un affare molto serio. « Sarebbe serio se Mussolini e Hitler avessero ragione. Non sarebbe meno scrio se avcucro torto. Perch~ k le democrazie 1ono in decadenza, l'avvenire del Vecchio '.\-fondo è nelle mani di popoli guerrieri ... E se, al contrario, le democrazie non sono in decadenza, allora è possibile ad ogni momento che i dittatori facciano un gioco molto grosso e tentino un colpo cht; incontri una inupeuata :esistenza: e allora l'Eùropa sprofonderebbe in una guerra generale. OBAIIDECOLPADELLEDEMOCRAZIE [Y.1 ENO di vent'anni fa, gli inglesi e l1JJ i francesi erano i padroni dell'Europa. Meno di vent'anni fa, Inghilterra, Francia e Stati Uniti - le tre grandi Potenze atlantiche - esercitavano un'indiscussa supremazia in tutto il mondo. Oggi, tutte e tre sono state cacciate dall'Oriente, e, in Europa, Gran Bretagna e Francia sono incerte se possano ancora difendere le lince vitali dei loro imperi. e Non si spiega questo mutamento rivoluzionario nella bilancia della potenza mondiale con l'avvento dei dittatori. Le dittature tedesca e italiana furono concepite e create proprio nel periodo in cui le democrazie erano onnipotenti in armi, per prestigio, in commercio e in finanza. Il jtJtto evid,nte è che t, democracie occidentali, finché ebbero lo polenca Jupr.ma, non si conciliarono i popoli dell'Europa &entrale; ed ora, che non hanno più quella polenta, ora che sono Jlate Juperate dai loro formidabili rivali, le democracie non ,-anno se possono affrontare il riuhio di difendersi. « Datl'armiJtit.io fino all'avvento di Hitler, le nor.ioni occidenialì, inclusa l'America, abusarono della loro potenr.a, mancando al dovere d'essue tiuste e liberali. Dall'av• oento di Hitler in poi, non hanno potuto /ore conetuioni; ed ora hanno pa1.1ra di resistere alle domande che ven1ono l• Q fatti. Quando erano onnipotenti, manca• rono di ma1nanimitd; ora che sono sfidale, mancano di rùol1.1teu;a. e Ciò che le democrazie desiderano, è di rimanere indisturbate nel godimento dì tutti i loro possessi .. Esse amcrcbbc:-o con• servare quel che hanno: non solo le loro colonie e le loro dipendenze, ma anche i t l 1 loro monopolt e le loro preferenze; e vor- ~ rebbcro non dover mai difendere quel che • ~anno. Cosi si persuadono facilmente a fare le piccole concessioni, che la politica del 1 Segretario Cordcll Hull prevede; e, per il resto, desidererebbero tenere il mondo in ordine ricordando che sarebbe altrettanto nobile, quanto conveniente per esse, che tutti i trattati fossero abitualmente rispettati. Vorrebbero placare i loro avversari predicando buoni sentimenti e intimidendoli con minacce rettoriche. RElLISIIO DELLE"DITTATURE" f.Y.l A, PIACC)A o non piaccia, le pollJJ tenie " sfidanti " sono realiste e • seriz.a pietà. Non c'è modo di soda;llfarle con promesse o di combatterle con ~ dilcorsi. Le potenze " sfidanti " sono preparate a combattere per le loro necessità di esistenza. Sono persuase d'aver diritto a tutto ciò che pouono prendere. (Si rinvia il ldtore all'avvertenca eh, si è /alta al principio). Perciò non possono essere tenute a bada con omelie, chiunque sia che le pronunci ; e sono troppo astute e troppo coraggiose per lasciarsi "bluffare". « Quando, per esempio, sentono il Presidente degli Stati Uniti minacciare di "quarantena " coloro che violano i trattati, cue possono essere impressionate 50lo dal fatto se Roosevelt intenda istituire realmente la " quarantena " e sostenerla con tutta la fon:a militare degli Stati Uniti, Quanc!o constatano, invece, che egli si affretta a promettere agli elettori americani che non rarà niente che implichi rischio di guerra, la parola " quarantena." non ha valore cd è moneta per uso scenico. « Poiché non possiamo ingannare i paesi " sfidanti " almeno non inganniamo noi stessi. Viviamo in un mondo in cui grandi nazioni militari tendono a:la conquista. Le democrazie sono potenzialmente più forti ~elle dittature, ma esse sono più molli, più mdulgcnti verso se stesse, più confuse ... « Perciò è non solo inutile, ma pericoloso, parlare di sanzioni e di " quarantene " e di allrc misure provocatorie, quando chi ne parli non voglia affrontare il rischio finale della guerra. Non c'è niente di peg. gio di una politica di met.ze misure e a mezzo cuore nei momenti decisivi. Non c'è niente di peggio che minacciare il Giappone quando le minacce non sono seriamente concepite. Non c'è niente di peggio che ostacolare il Giappone senta voler combattere con esso. e Parole provocatorie, senza sincerità di proposiù, possono condurre solo a questa conclusione: che le potenze minaccianti saranno umiliate e le potenze minacciate sa• ranno esasperate e riporteranno trionfi diplom3.tici, i quali accresceranno la loro po• tenza militare ... e li cuore del problema della guerra e della pace è se le dcmocrat.ie intendano resistere o cedere; e la politica delle dittature sarà guidata da quello che esse credono sia la reale intenzione delle democrazie. Se le dcmocraz:.ic intendono realmente resistere e vogliono sinceramente che non se ne dubiti, sono ancora abbastanza forti, e possono ristabilire la pace facendo concusioffl· JOJtanr.iali. Ma se le democrazie non intendono resi5tcrc, allora esse perderanno, pa»o passo, una posit.ione dopo l'altra, il loro posto nel mondo, e saranno ri- ~acciatc ancora più profondamente in un 1 isolamento precario e pieno di paura>.

,y EDO ~G TI giorno, dal tranvai \ che m1 porta a casa, il monumento-fontana dedicato ad Ernesto Dc Angeli, il grande industriale milanese dell'epoca romantica. Volendo onorare la sua memoria, i successori ebbero l'idea di erigere cotesta costruzione nella piazza d_1c guarda l'ingresso degli stabilimenti dt porta Magenta. Si tratta di una cosa difficilmente dt:scrivibile, di uno zoccolo disteso su cui si sia immaginata una grar.1de ~atiera, di quelle con il portastccch1 centrale. Zampillano senza forza, con un orgoglio borghese, le acque dalle due vasche all'estremità e nel mezzo, dalla piramide sormo~t~ta da~ una sfera armillare, alcuni mrnk~ti rubinetti ci fanno giorno e notte la loro modesta pisciatina. In mezzo .i questo apparato d'acque cerimoniali Ernesto De Angeli guarda da un m~ desto medaglione bronzeo, come da una fincstruola tonda. N<'i miei ricordi d'infanzia, anche per una didattica che chiamerò rionale, Ernesto De Angeli sta come un mito. « Ragazzi >, dicevano le maestre elementari as.'ìl1mcndo un tono ammonitorio e profetico ~hc le faceva particolarmente odiose, « guardate Dc Angeli. Era un povero ragazzo, e con la sua volontà ha saputo diventare a poco a poco, da modesto operaio, un grande industriale. Tutto si ottiene con la forza di volontà>. La fontana non c'era ancora a renderlo domestico, e il Dc Angeli appariva anche più colossale. Allora nelle scuole elementari si commentava molto il Cuore, e i libri di lettura rispecchiavano spesso, a scelta"dell'insegnante, una certa simpatia verso l'umanitarismo socialista. Mi ricordo il can-can che s'era fatto in certe case di piccoli borghesi perché una maestra nuova di quaria classe aveva detto non si _èsaputo mai bene se agli alurrni: o al b1dello, o alle colleghe, che dopo tutto Gesù era il primo socialista della terra. Questa frase, che ·era spiaciuta, nonostante il chiasso, a pochi 1 aveva commosso gli altri, la grande maggioranza di coloro che battagliavano intorno all'incidcnte 1 incominciando dall'asse:uore della pubblica istruzione, che e~a pressoché un analfaix:ta, ma appariva tren:iendo perché s1 sapeva che non temeva nessuno, era operaio, so• cialista, e lavorava a Milano. Se fino alla fine del secolo l'Italia noP ebbe un'industria, o non la ebbe pùri a quelle di altre n'azioni d'Europa, la causa prima sta nelle sue vicende politiche, per cui dovette realizzare insieme, in anni tumultuosi e forti, tutti presi da vicende ideali ed eroiche, sia la sua unità che la rivoluzione libc• raie. Carlo Marx, nel J 848, lanciava il manjfesto comunista ch'era diretto agli operai e ai contadiui, ma soprattutto agli operai che dovevano conquistare più.facilmente un'indipendenza morale e individuare nella borghesia il nemico e l'ostacolo da superare. Questa nuova classe si avanza alla ribalta della storia; l'Ottocento è il suo secolo come è quello del capitale. Il period~ delle grandi guerre e delle grandi conquiste pare finito. J grandi imperi si consolidano; la civiltà ha nome vapore, carbone, telaio; i grandi ideali si chia• mano ricchciz..'l e potenza del denaro. E l'Italia? E:. appena fatta l'unità, le guerre per l'indipendenza hanno lasciato solchi in tutte Jr categorie e le regioni, le finanze del nuovo regno non sono naturalmente floride, e c'è tutto da fare : le strade e le ferrovie da costruire, come la pellagra, la malaria e l'analfabetismo da vincere. Eravamo purtroppo arretrati con il secolo entusiasta e materialista che mostrava le meraviglie del progresso nelle grandi esposizioni universali. Quand'ecco sorgere l'industria. Fu il miracolo salvatore. Non ~he prima non ce ne fosse, ma era una piccola e limi• tata cosa in Piemonte, in Lombardia e Liguria. Intorno al decennio 1880r890 questo fervore di attività si pro• paga. E: il tempo degli uomini coraggiosi, è l'epoca eroica. Vengono allora avanti Marelli, Breda e quel Dc Angeli, che si affiancano ai Tosi e ai PirelJi; piccoli operai, capi-officina, persino venditori ambulanti, e affrontano coraggiosamente il problema di creare la ricchezza, ne fanno un semplice prodotto deJJ'iniziativa e dell'audacia. La genialità e la volontà di qualche individuo trionfano delle difficoltà crediti• zie e fiscali. Nella città e nei sobborghi, dove c'è la ferrovia, sorgono gli stabilimenti. Il mezzo di trasporto chiama l' industri11., e porterà la mano d'oper:i.. Ecco allora gli operai che diventano ceto. Vengono dall'artigianato cittadino e dalle campagne e prendono cont.ltto con la macchina. Parlano un dialetto aspro, che sa ancora di campo e di stalla. Guardano ammirati quella moltiplicazione di stru- ~enti e, ~i prod?tti, quel grandeggiare d1 uomm, che s1 sono levati sulla loro povertà e rapidamente, ispirati come tau~at~rghi e r:ctul~nti come J:.aporali, molt1phcano le mfin.te possibilità delle recenti aziende. Ecco i « padroni >. Il momento è propizio. Non c'è bisogno che di lavoro, dappertutto. La terra deve provvedcré a troppe braccia la nazione ha bisogno di moltissimi ~rodotti. Gli operai sono chiamati dai borghi vicini alle città. Talvolta è l'industria stessa che li va a ~aggiungere nel cuore della campagna. Il ceto fa massa; gli ope;rai in pochi anni sono soggetti a una moltiplicazione miracolosa. Le ore di lavoro sono molte, i salari bassi. Ma un'aria di chimera deve aleggiare su quc~to scenario tumultuoso. E, in fondo1 anche u~a promessa di prosperità. F.. un periodo burrascoso. La que• stione meridionale preme alle porte della giovane Italia. La crisi agraria è alla cancrena. Le agitazioni sociali trah<>ccano sulle polemichette parlamentari e affogano ogni tentativo di poli• tica che guardi oltre i confini. La questione « interna > J-..i. il sopravvento. La spedizione africana, a cavallo tra i moti siciliani del '93-94 e quelli milanesi del 198 1 chiude le porte di casa a ogni più ampia visione. Ma le fab- . brichc si moltiplicano, il dissidio fra il nord, che si orienta verso l'industria e abbisogna di protezioni fiscali, e il sud, che è irretito nella struttura feudale del latifondo, si approfondisce; e l'unità italiana sembra più che mai ardua. Si organizza la stampa, e le questioni sociali, più che le politiche, informano questo tumultuoso chiudersi del XIX secolo. Nel 1892 è stato fondato il Partito Socialista. A chi si rivolgerà? Naturalmente ai «proletari». P. un socialismo umanitario, predicato da .ultellettuali 1 in cui giocano molto le difficoltà economiche di una nazione che fa sforzi immensi per col• mare i dislivelli e le difficoltà di un incerto inizio unitario costruito sulla precedente disparità egoi,;tica e limitata di Regni, Principati e Granducati. ~a il proletariato era composto di due grandi categorie: i contadini e gli operai. E sono appunto questi ultimi che più rapidamente acquisteranno la coscienza di classe e faranno sentire il peso della loro potenza nella vita della nazione, in çui entrano dalla breccia del XX secolo come i figli dell'avvenir('. Nella stessa proporzione in cui l'industria prospera, in cui gli operai si moltiplicano, la questione sociale si al• la1ga. lniz.ialmentc l'operaio era un sottoposto, ma il clima della fabbrica dovt·va essere quasi di famiglia, con un padre un po' tiranno specie sulle paghe del sabato. Ora, man mano che le fabbriche sì allargano ed aumentano e la richiesta di nuovi operai e l'im~ pieg~ di nuove macchine fanno intravedere il successo di prosperità che se• gnerà. il suo culmine nel 1913, quella « coscienza di classe > che doveva esllAZURX:A OPERAIA sere la leva della rivoluzione futura è il tema di attualità per gli operai ita• liani. Il « padrone > è sempre più padrone, e sempre più lontano. Tra lui e la maestranza s'è anche frapposta una perfetta burocrazia di impiegati, di funzionari e di direttori, egualmente distanti dal cuore degli operai. Ad un certo punto, subentrano le Società Anonime, che riempiranno di un senso anche più plastico l'antagonismo fra colui che lavora e gli scoTlosciuti e aborriti capitalisti che ne raccolgono, senza apparente fatica, i frutti più pingui. Era accaduto un fatto semplice. L'operaio non è più un uomo comune con moglie e figli che deve sbarcare il lu• nario, cioè nutrire sé e le sue creature pagare l'affitto di casa e, bene o male: ve~tirsi. L'operaio diventa una forza al servizio della rivoluzione sociale, anzi la prima, la detenninantc, l'avanguardia di questo moto. t lui che s'è messo al servizio della grande ingiustizia capitalistica, Questo gli dice la voce che rimbomba sul nuovo secolo, evocando il sole dell'avvenire e l'internazionale della felicità e della giustizia umana. Allargate i polmoni! L'operaio non ha ancora dimenticato del tutto il solco natìo, la modesta sudditanza, la mediocre cd oscura vita alla periferia della cirtà, e si sente dire ch'egli è lo strumento del nuovo evangelo. Egli è un uomo, ma un uomo speciale 1 cui l'oppressione borghese conferisce le stimmate del martirio. Questa propaganda sarebbe stata difficile se avesse trovato una vita disorganizzata e dispersa. Ma la fabbrica. ha facilitato il comizio, come la scuola perrçette la scappata. Ora la periferia delle città dell'alta Italia si annuncia con una nuova scenogJafia verticale : quella dei comi• gnoli che si elevano come aste di bandiere sulla piatta e modesta architettura dei capannoni. Su un oriz7.ontc di prati che si fanno ancora colLivare senza convinzione, si alzano solitari i nuovi caseggiati popolari. pisce eh<' la cultura potrà essere alla sua portata. È l'epoca dcll:1 « scuola ser::i.le>, della « scuola festiva >, l'cpo-. Borghi modestissimi entrano in una nuova vita. In pochi anni le fabbri• che ~ trasfonneranno in città. La popolazione spostata da questo richiamo, che crea nuove e~igenze, tende a migr\rc verso i centri industriali. L'urbanes1mo1 compagno della civiltà industriale, farà di molti operai dei citta- ~in~; la condizione sociale Tluova, molt1phcando o rivelando i bisogni, accentuerà la lotta che è politica ed economica insieme, o forse non è che un aspetto generico e superficiale di una coscienza che sta per prendere forma. , G\ in cui l'aspirazione del lavoratore era il certificato di « compimcn10 » del corso elementare. Gli strumenti di questa evoluzione sono la bicicletta e la Ca.mera del Lavoro. La prima abolisce le distanze. t l'alleata di colui che si alza alle quattro del mattino per raggiungere il suo opificio magari a dicci, venti chilometri. La bicicletta rende autonomo il lavoratore. L'organizzazione di classe gli insegna a. reagire contro l'oppressione, lo fa scioperare quando occorre, gli prepara i comizif gli oratori, gli apre un nuoyo mondo in cui egli è un qualcuno soprattutto ~e potrà affermare questa sua personalità non da solo, ma fra mille, fra diecimila, fra centomila che solidariv~no; in mc~ ai quali ~compare, . ma vmce. Tra smdacato e partito, a un certo punto la confusione è completa. Uno può essere o non essere SO· cialista (una minoranza in fondo lo è con convinzione), ma sarà della Camera del Lavoro, il che, for~ 1 è lo stesso. L'operaio che abita ancora in campagna sente l'insofferenza del suo mondo limitato. La città è la vita è la libertà. I suoi compagni, ora, 1 frcquentano i primi cinema, vanno qualche volta a teatro, si ritrovano insieme, parlano e discutono. Parlare, discutere, conoscere, sapere è l'aspirazione di coloro che più si affondano della nuova morale. In complesso il socialismo non è una facile dottrina. Chi ha imparato alcuni aforismi, chi ha ritenuto qualche definizione, crede di demolire il mondo: ma gli resta sempre il SOSp<'ttO della sua « ignoranza ». li contadino sta superando ìl e segno di croce > degli analfabeti quando l'operaio abborda l'economia politica. Le scuole di istruzione professionale, come I'« Umanitaria», tendono a formare l'operaio specializzato, che è an• che un operaio cosciente; ma a un certo punto apre i battenti l'Università Po1>0lare, e l'operaio che ha avuto finora la sua sola scuola nel giornale (':"\- Ho un ricordo lontano, ma abba~ianza preci~, di quegli anni che precedono immediatamente la guerra. Se il ~iali-:mo sì idt·ntificava per l'operaio cittadino nella Camera del Lavoro, per quello che alla sera ritornava al suo borgo s'era trovato un sostituto ottimo: b Cooperativa. Questa del movimento cooperativo è una storia a sé; ma quella cooperativa, che nelle manifestazioni più comuni e diffuse era un circolo vinicolo, costituiva nello ste~o. ~cmpo _il luog\ di raduno e il fortilmo degli operai. L'oprrhio ora aveva le ~carpe, conosce\ a i nomi dei deputati, aveva forse parlato a tu per tu con qualche caporione. Ora si faccv,1 un dovere di procl:un:ir-.i mi,crcdente e di disertare e far dis<.·rtarc la chiesa. Il suo desiderio di emancipazione conosceva tutte le facce e~tcriori dc.Ila polemica: Ìn auc-.a di trature con Dio, meglio era mettersi in attrito, subito, col prete, che era un rappresentante della tradizione, dell'ordine e, in un certo scn• so. un piccolo dèspota sull'ignoranza delle plebi. Non sono molti ancora in ogni p:H'Sl', in ogni rione, coloro che ragionano e .g. uidano queste masse di compagni, alcuni titubanti, altri infidi. Gli scioperi, infatti. conoscono i crumiri, le agitazioni i defezionisti. Eppure questa vita è piena di promesse. Il numero fa pesare la ~ua forza. Lo Stato è assente, non opera in bene, dunque opera in male. Intorno agli anni 1912-1913 le paghe ~no aumentate, e sono pure aumentate le bandiere rosse. La marca sale, e non tanto tranquillamente. Ma se, in un certo senso, i centri agricoli appaiono talvolta più ribollenti, quelli operai sono i più temibili. La loro minac• eia si impernia su una convinzione più precisata, più documentata dell'altra, che resta spesso allo stato brutale. Ciò nonostante la rivoluzione tarda a venire, il sistema è ancora a base di scioperi, e si compie invece la conquista libica. Ma di rivoluzione si parla invero moltissimo; la si invoca nei canti, la si af• ferma nei comizi, la si proclama nei giornali, nei bollettini e nelle riviste, la si promette sui muri, dove prende posto accanto agli sfoghi infantili. La battaglia elettorale piace di più della battaglia di pia1.za. Infatti tutti giocano sulle elezioni del '14. I circoli cooperativi accolgono poi le sarabande di vincitori. Ma· 1a conquista del potere, la vittoria nei collegi, è soprattutto un trionfo di propaganda. Adesso anche gli operai, sulla falsariga degli avvocati, dei professori, degli autodidatti che guidano le schiere, sentono il fascino e la vanità d('I concionarc. Questi operai che parlano al pubblico ancora in dialctto 1 ma già si provano a masticare qualche grossa parola in italiano, prendono possesso dei pubblici uffici con un po' di arroganza, ma veramente con un'intima timidità. C'è da firmare pratiche a cui si .\ccostano non senza turbamento; da esaminare bilanci ; da celebrare matrimoni con la fascia tricolore annodat;1 alla vita. Eppure su temperamenti sensibili, come qudli di coloro che non avevano conosciuto una vera lotta tutto ciò factva presa. Non c'è che dire: avvieranno il loro figlio maggiore alle scuole tecniche e ne verrà fuori un perfetto impiegato d'ordine, ci«;>èsenza cla,;;s<'e intimamente infelice. Tutto questo andare su un tono troppo «politico>, cioè accomodarne e fifo1tco, esasperava naturalmente coloro che credevano veramente in una rivoluzione che provasse la capacità di sa• crificio del proletariato e, in primo luogo, della classe che• doveva essere più preparata, quella. operaia. Sindacalisti e socialisti puri 1 cioè non legati alla ma,;;soncria e al parlamentarismo, volevano l'azione. Essi capivano l'<·nort• in cui, specie le classi operaie, accarezz.itc dal benessere cittadino, sarebbero incorse: nel farsi fatalmente vcllicare dall'istinto conservatore e piccolo-borghese che è l'opposto di quello rivoluzionario. Mussolini e Corri doni sono i personaggi più alti di questo dramma, e lo faranno volgere alla sua conclusione. Il « lavacro di ,;;angue> occorrente al proletariato sarà la guerra, non la ri- ~oluzione socialis1a. Anche gli operai 1ncontrcrn.nno la Patria, la incontrcranno nelle trincee. O allora o mai. La guerra sostituì la rivoluzione. Per e.s~a, le masse operaie che s'erano, negli anni precedenti, sentite parte della nazione, avevano acquistato il diritto di governarla. Ma ancora una volta fu perduta, per poco tempo, l'occasione. Era avvenuta, con la guerra, la mobilitazione industriale. Ecco gli operai « militarizzati > tra i quali ci sono an• che molti fautori del nuovo ordine sociale, che hanno trovato modo, col loro piccolo spirito di conservazione, di :iffermarc la loro posizione di neutralisti; cd ceco legioni di donne che mettono piede nelle officine. La società sta dunqut: profondamente trasformandosi? Come in ogni altro settore, anche in questo più di un vero e indispcnsahilc > ha lasciato il posto al « r.:1cco• 111~nd,1to-.. 0pcraio dell'ultima or.i: esercenti, fottçirini. ,f'mpliccmente e inqualificati >. Anche nelle fabbriche ci sono gli e imboscati >. « Fare i proiettili > è un'occupazione oltre tutto reJditizia : si lavora assai, si guadagna bene j soprattutto le donne ~ntono quest'aura di emancipazione che si identifica benissimo con il tacco alto, le calze velate e l'acuto odor di vaniglia che si mettono addosso. ln c1uarH0 alle industrit·, anche per es~ è sopraggiunta l'èra dei grandi guadagni. Si lavora senza ripo\o, si ampliano le officine, se ne creano di nuove, spesso dal nulla. Per quello che avverrà in seguito, contano due fatti: l'ingresso delle donne nella vita industriale, e la formazione di un _particolare capitalismo: il « pe• scecan1!lmo >. La propaganda antinazionale e clas- <:i!<,tan,on interrotta dalla guerra, ma anzi diretta a c0glierc tutti gli aspetti più tristi per avvelenare le masse, ha fotto presa ~ullc donne, che prima !!rano state le naturali moderatrici dei loro uomini, quelle che al momento buono ricord.wano ai rivoluzionari che erano padri dl famiglia. Ma anche esse hanno ass,\porato la felicità materiale dei guadagni alle officine, pur e-.scndo edotte che il loro salario rap• presentava scmpticementc il residuo, la briciola, del furto continuo e legale consumato dal padrone. Hanno invaso le città, spesw vi si sono trasferite, hanno visto cos'è la moda l'eleganza, la felicità del guadagno. 1 A guerra finita l'Sile dovrebbero rientrare in parte nelle loro case; tornano i reduci che chiedono lavoro, gli imboscati si sono attaccati come piovre ai loro posti, e per di più il ritmo produt tivo d1.;ve nec.cssari.tm...n.t~ r.ill._,11.,11~ re. I nuovi ricchi, coloro che in tre anni hanno fatto fortuna, venivano an• ch'essi talvolta dallo stesso ceto ope• raio, e non di rado erano stati capi di organiz7.azioni di classe. Ora cercavano di nascondere il loro e pescccanismo » con una maggiore violenza verbale. Jn un momento di gravi e pericolose contraddizioni, glì operai continuarono come quattro anni prima a gridare al « borghe:;e >1 e non si erano accorti che un'altra figura era nata, ben più pericolosa e nemica: il plutocrate. Nel disordine e nella meschinità generale accadeva che col plutocrate ~e la inten.des:,ero i caporioni, mentre le agitazioni dal basso, mai contraddt'tte dai capi, miravano ancora a quel vecchio e logoro bersaglio. I plutocrati sapevano quando si sarebbe ~ciopcrato e che cosa ci voleva .per far ritornare le masse al lavoro; mentre il borghese, con• ~ro cui si accanivano le folle, era anche 11professore di scuola media, che guadagnava meno e più faticosamente di un operaio, e il piccolo bottegaio della periferia a cui 5j metteva a sacco il negozio. In quanto alla rivoluzione era un'altra, non quella per cui si discuteva s~nz., fine nei congressi, e che dctennmava le correnti e le scissioni né quella altisonante che si promet~cva nei comizi. • La verità era che nessuno più amava il ~avoro. Lo sciopero era una festa, cosi quando scmbra\"a produttivo - cioè a base economica - come quando si trattava ormai di un'abitudine cioè semplicemente politico. Ciò nono~ Mante quell'aria di carnevale in cui la felici~à materiale soverchiava tutto, ha onna1 preso le masse. L'immigrazione verso la città è sempre più accentuat~, i rivolu~io?ari ?1ettono le scarpe gialle e cosi s1 avviano verso le crisi economiche che si rivebno a intermit• tenzc, per rami di industria, sussulti che preludono alla grande scossa finale. Sono trent'anni che l'operaio è sulla scena della nazione. Le città sono in sua balìa, eppure non sempre il numero preponderante ha la forza di assaltarne il centro, che è l'ultima rocca. forte del «patriottismo>, così come i capi non hanno il coraggio di assumere il potere. Sono bastati pochi uomini, il 15 aprile 1919, per fugare dalla piazza di Milano un corteo di centomila operai rossi, come poche decine di giovani decisi hanno riscattato nel novembre 1920 il cuore di Bologna. L_'ind!viduo,_ col suo personale coraggio, ncntra m scena. Ques!a non ~ una storia politica, è semmai un rapido quadro di costumi. A un certo punto compare anche

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