IL SOFM DELLE musE I I I BIBIIIIIII :-lA DOZZINA d'anni fa ebbi tra le man), a Francavilla a Mare, un manoscritto dannunziano veramente prezioso : la prima stesura, in forma di racconto, del Trionfo della Morte. In quel tempo gli autografi di d'Annunzio costavano poco; si diceva che ve ne fossero molti in giro, e molti di questi falsi. False cioè alcune dediche su libri; poiché la scrittura del Poeta, la più bella che sia venuta fuori in Italia dopo quella del Petrarca, ha trovato molti imitatori. Bella la carta, la filigrana. l'inchio:Mo; la parola si apre nella pagina come un fiore che ha tutto il suo mondo in se stesso. Tutta una generazione, poi, ha serbato l'impronta di quella scrittura, la scrittura del primo decennio del Novecento, che dura tuttora in alcuni dd nostri scrittori. Dopo di che, a scrivere il corsivo scm• plicc di tutti i giorni è come andare in pantofole. Forse tutta la nostra let• tcratura attuale sembra in pantofole, al confronto di quella ve:itita dei panni più nobili, e con le pezze del migliore damasco antico. Sfogliando i rataloghi dei librai, nel gran mercato attuale degli autografi dannunziani, scorrendo alcune lettere di lui tra le mani di anùci, mi sono fatta una storia della scrittura del Poeta : essa si formò come la sua prosa, ron le prime ambizioni che rimane• vano allo stato di a.spirazioni, quando il :iuo stile, simile a quello comune nel -.uo tempo 1 incastonava alcuni modi dei più peregrini cpn uno doratura proprio liceale; ma come poi la sua prosa si levò repentinamente libera e padrona, la sua scrittura fu quella che fino a oggi dà al foglio la preziosità d'un di• ,cgno. Ricordo ancora le firme dannun• ziane intorno al '95, in cui la ieta si confondeva coi tratti delle enne e della u vicina. la A eia arrotondata e legata, non ancora isolata con tre sicuri colpi di penna. Quanto agl'imitatori, vi sono di quelli, dopo gl'imitatori letterari, che si contentano d'imitare tanta scrit• tura: la stessa carta 1 lo stesso inchio- .._t,t>, gli stessi caratteri ; una lettera di riguardo non si concepisce ancor oggi se non in carta a mano, come un ~alone di figur,t n0n si concepisce se non dannunzianamcnte. Racconta uno che è :itato al Vittoriale, come il Poeta ~li chiedesse che cosa si dice -di lui in I tali a ; siccome quello esitava, il Poeta t·::iclamò: < Dicano quel che vogliono, ma questo rimane>, e batteva la mano '\t.1'" Alciorie. Anche altro rimane: una borghesia che professa ancora i suoi ideali di vita e che, la prima volta che ..'è occupata di bibliografia nella sua breve storia, ha portato tutto quanto riguarda d'Annunzio alla quotazione dei titoli di borsa. Recentemente una rivista letteraria romana, in occasione della designa- ,:ione di d'Annunzio a Presidente del• l'Accademia, affermava. che la letteratura italiana s'è scostata di poco dai canoni dannunziani, e che insomma ,j aggira tuttavia in quella sfera. Non ,i può sottoscrivere un giudizio siffat• 10 senza distinguere; ma è vero che, come gusto dominante, quello dannun7.fano è al suo apogeo appunto perché divenuto costume, che d'altra parte molta della nostra prosa d'arte viene di là, the il nostro teatro quando vuole essere artistico torna a d' Annun- ,:io, ,11Je Builiole e alle figlie di Jorio in ventiquattresimo, e che quando cotc~to stesso te,atro vuol diventare mo• demo è :iemplicemente sciatto; cd è dannunziana la lirica, solo che l'egoti• ,mo di lui, nel quale si poteva rispcc• < hiare un mondo 1 è divenuto un fatto privato, di esclusiva e piccola pcrti• nenza. del poeta. Quanto alla prosa, tutto quello che s'è fatto è stato uno )for.lO pcc uscire dal dannunzianesimo, l' soltanto la gente volgare vi ricorre, m tempi semplici e chiari, perché non ha il coraggio di osare altro. Per molta µarte della nostra critica, il paragone i: sempre da sostenere con la prosa di d'Annunzio, e a!Jora non regge nessuno .il confronto. Appunto perché il fenomeno dannunziano è grandioso e con• duso fino a diventare costume, la letkratura italiana, poca o molta che sia, non è dannunziana, o non vuole es• "Crio. La pr~a dannunziana_. più che nel• l'ideale tradizionale della prosa italia• na, poggia in quello della nostra gran• dc pittura: momenti sublimi prolun• eati all'infinito, atteggiamenti splendidi, l'uomo port...1.to a significare l'im• 1naginc augusta e serCJla della divinità, '>ggetti, animali, piante, paesaggi ve• duti nella luce e nella memoria di un riziano e d'un Giorgionc. Dico la pro· ,a delle Contempla{.io,ii, della Leda, del Notturno. ln fondo a tutto questo, \'i -.arebbc un'indicazione precisa : la prosa italiana, quale è affidata a questi tc)lti, ormai per tutti incontrovcnibili, dell'opera dannun'l.iana, sarebbe una prosa d'arte, una prosa lirica, una prosa morale. E si può ritornare a una affermazione: il vero d'Annunzio, an• che fuori dello stesso Alcione, è un grande lirico, e la necessità che si af~ facciò anche nella sua vita di diffon• dersi, diventar popolare e accessibile at• traverso il romanzo, non è stata che un espediente pratico e un atto di vo• lontà. La letteratura narrativa di d' An• nunzio si può dire non esista in quanto tale; essa non sarebbe che un tessuto occasionale fatto per contenere alcune splendide gemme, alcuni momenti li• rici, che non hanno nulla da vedere con quanto, ieri come oggi, si chiamò narrazione. La letteratura narrativa italiana 1 da Manzoni in poi, fu fatta sempre alla stessa maniera, e neppure in d' Annun• zio fu nuovo il modo. Non è qui da dire perché il Settecento e l'Ottocento, che videro grandeggiare il romanw in tutto il resto d'Europa, da noi non diedero che magri risultati i... 1uesto -.cnso. Da noi tutto accade tra il ]a• copo Ortis e/ Promessi Sposi. Nei Pro• messi Sposi c'è già il problema quale lo trovò e lo lasciò d'Annunzio : il ro• manzo è un complesso di caratteri per la maggior parte unilaterali ed este• riori, intramezzati dalle prime, in ordine di tempo nella nostra letteratura, pagine mirabili di tono lirico, che sono le descrizioni, gli spettacoli di natura, i momenti d'anima, a parte quel breve romanzo rapido e di un gusto tutto settecentesco che è l'awentura di Ger• trudc. Insomma, la narrazione liscia, fondata esclusivamente sul carattere dei personaggi, in cui il paesaggio è l'uomo e nient'altro che l'uomo, aveva trovato il suo avveramento in Boe• caccio e dopo di lui non si rivide più con quel tono, quella neccssità 1 quella economia se non, per altra via, in Goldoni e in PirandeUo. Si rinnovò in Verga. Ma Verga capitò male; era il momento dell'ascensione della società italiana, ed essa aveva bisogno d'un maestro di vita e non d'uno storico delle origini di questa vita. Dal lirismo manzoniano, provenne a conti fatti il frammento lirico carduc• ciano; poi il frammento lirico dei Vo. ciani, infine la prosa lirica dei nostri giurni che ne ha allargato i confini fino al racconto, e non so con quanto progresso. Per caso, questa enorme e addirittura schiacciante esperienza non sarebbe la vera legge della letteratura italiana, la quale non consente la nar• razione in quanto tale, che abbia cioè nella sua stessa dinamica e nella esatta e costante ~sscrvazione dei caratteri e degli• animi la sua legge e il suo av~ verarsi? Questo è da vedere. Intanto il senatore Borletti, possessore fortunatò del manoscritto autografo dannun2iano della Figlia di ]orio, ne promette un'edizione in fac~imile sul tipo della Bibbia di Borso d'Este; e gli autografi dannunziani hanno sul mercato il loro momento. Il prezzo di una lettera di cl' Annunzio oscilla sulle duecento e le trecento lir"e, a meno che non si tratti di documenti particolar• mente importanti. Tredici cartelle, tutte di pugno del Poeta, contenenti le terzine del preludio dell'lntermeuo, sono state vendute per seimila lire, l'au• tografo dc « Le foreste > (Poema Paro• diJiaco), tremila, e tremilacinquecento lire un sonetto inedito, su un foglio d'album, col titolo < Ad lunae soro• rem >, di soggetto erotico. E non par• liarno dei prezzi dei manoscritti delle opere. Gli anni di maggior voga di .d'Annunzio sono senza confronto i no• :itri, e l'avvenimento più palpitante della libreria antiquaria italiana sono gli autografi e le p1irne edizioni dan• nunziane. Non soltanto le prime, ma le seconde, e le ristampe, e le dician• novesime, e i libri stampati da editori popolari nel tempo in cui alcune opere del Poeta non erano state depositate e che p0i furono tutelate dalla nuova legge sui diritti d'autore. Anche un volumetto dal titolo Una riolte d'amore del Cav. Marino, edizione Bidcri, attri• buito al Poeta, a quanto pare liccn• zio~, ha raggiunto il prezzo di lire 500. Hanno prezzo anche i fascicoli del· l'lllustra{ione Italiana dove apparvero talvolta componimenti del Nostro, e così alcuni numeri separati della Nuova Antologia, del Convito, del Rina• scimento. Si è fatta una scienza a parte di questo ramo della bibliografia, e ogni catalogo che si rispetti ha la sua rubrica dannunziana. Una copia del Giovanni Episcopo, in carta allungata e irregolare, con le dimensioni fissate in millimetri dai conoscitori, ha raggiunto, in confronto agli altri csem• plari di quest'edizione, la quotazione di lire cinquecento. E dietro a questo si muovono anche i volumi che par• !ano di d'Annunzio; anche quelli che si ritenevano sepolti dal tempo ria.ssom• mano, a cominciare da certi studi di allievi di Lombroso sul genio e la dc• generazione come era di moda qua• rant'anni fa considerare la letteratura e l'arte. CORJlADO ALVARO Lledltort, al tel,foDo i "Bo an grono aff111 11111, pt.ll1eh• ml impedite• di Ttnlu I ctDI '' (LETTURE ITALIANE) ~[!(S(S~la©© E LAL'U:N'A fil ECCARDO Roccatagliata Ceccard.i è ~ di quelle figure letterarie che dopo la morte diventano popola.i, sia pure limitatamente, più che per le opere lasciate, per il ritratto che ne vanno dipingendo amici dalla memoria troppo commossa. La memoria ingrandisce quesu singolari personaggi. Lasciato da parte il senso dei loro scritti, bada piuttosto a definirne i lineamenti pittoreschi. Così Ceccardo, la cui poesia sarebbe ben poca cosa se ancora oggi la si continuasse a guardare legata all'estro e alle manie dei suoi amici liguri e vers1liesi. Ceccardo appartenne a un cenacolo apuano che aveva più ambizioni di vita pittoresca, fra rivoluzionaria e paesana, che idee lct• teraric. Si trattò tutto al più di dilettanti di cose artistiche e letterarie; anche se alcuni di loro seppero liberani dalla vanità di quel movimento p~ovinciale e romantico. e•~ in ogni modo nella lirica di Ccc• cardo un punto fermo, pure nella confusione dei motivi più vari. Vi sono immagini che non gli derivano dall'abirudine a leggere poeti e scfittori di moda nel suo tempo, e ritenuti un po' gli ispiratori del suo cenacolo; ma da un fervore della sua fantasia, altrove timida e incena. Ceccardo è di quei poeti cui accadrà di apparire da prima verbosi e rie• chissimi di risorse native, mentre poi o il tempo, o un lettore attento, non sceglierà come buono che un mazzetto di versi. Tito Jlosina ha letto Ceccardo con grande prudenza, e con un amore che quasi sospettiamo dovuto alla vic.inanza regionale, cavandone un saggio: Ctccardo Roccatagliata Ceccardi, e un'antologia (cd. Emiliano degli Orfini, Genova), Tito Rosina non concede molto al poeta che pure mostra di prediligere. Nel suo saggio, ..Jo vediamo attento ad attenuare i suoi entusiasmi, tanto che ne deriva alle pagine una certa fatica. Rosina le&Se Ceccardo per uno studio critico e biografico, e fin da allora non potè non cavarne una scelta. Allora, Tito Rosina sceglieva passi buoni e cattivi; mentre in seguito, nell'antologia vera e propria, la sua cura doveva essere tutta nell'isolare cronologi• camente il meglio. NoÒ è arrivato al frammento, un poco per rispetto verso il poeta prediletto, un poco perché Ceccardo è di quegli scrittori che ti dànno il meglio mescolato col peggio. li buono è sparso nel disordine e nella verbosità che Tito Rosina trova prossimi all'impressionismo livornese di Nomellini. Un gusto verso l'eccesso del colore è veramente in Ccccardo, dovuto non solo alla vicinanza di cena pittura, ma anche a una cattiva educazione letteraria. Il saggio critico di Tito Rosina è accorto quanto modesto: non si vuole concedere al poeta troppo, quasi per non mdispettire i lettori. I capitoli biografici, poi, svelano come l'attenzione non sia solo veno il poeta, ma anche veBO certa società letteraria ligure.toscana, fra Ce~ nova, Carrara, Spezia, Lucca, Livorno. La poesia di Ceccardo è sparsa in tante pagine. 11 poeta mostrn un suo amore per Rimbaud e per Verlaine; ma il suo gusto predominante apparir¼ poi quello d'un impressionismo provinciale, proprio d'una società letteraria fatta di dilettanti onesti e spesso di scarso ,rilievo. Comunque, la mente di Ceccardo andava talvolta dietro a fantasmi più liberi. Il suo occhio dapprima si direbbe fatto apposta per le cose vistose; poi invece apparirà quello d'un poeta elegiaco. Usa parole che te.stimo• niano soltcnto la sua smania di grandezza e di profondità; poi finirà con ignorarle, quando il suo canto esce dal deicrivere generico. J I vocabolario sarà sempre povero: povero quando mostra uno scrit• tore che vuole strafare a ogni costo, po• vero anche nei momenti migliori. Ccc. cardo fu uno di quei poeti che più si fida. rono della parola: e, in non poche liriche, con fiducia infantile che spreca aggeuivi, dietro ai quali è una molto vaga aspirazione. •Radioso•, •azzurro•; • vermiglio•, •aureo•, fil luminoso• sono aggct~ tivi che ricorrono di continuo. A ogni momento, • nubi •, • alberi •, fil piante•, fil cielo•, • stagione•. La tavolozza ha que• sti colori, e l'uno vale l'altro. Ceccardo aveva gran fiducia della pa• rola; ma se ingenua questa sua qualità, egli non era tuttavia lo scrittore primitivo cui lo scri,•cre è un dono. La sua tiducia non era quclJa degli scrittori che vogliono dire immediatamente ciò che cade sotto i loro sensi. Ceccardo resta un poeta di turbamenti non ingenui e bonari. Guarda la natura, ma non è in• tento alla bellezza d'uno spettacolo. Gli effotti più irreah della luna gli fecero scrivere i versi migliori.• Scende il viale: e un orrore aduna - d'ombrc. E da l'om• bre pi~nc di spaventi - cscon fantasme · da le rlsplendcnti - ali di luna •· Ccccardo ha talvolta la mano facile per il quadretto di genere (• l'uom su la porta scruta la marina, - la donna accende lentamente il fuoco ... •) da rammentare Pa• scoli; eppure jl quadro non resta mai tranquillo. In una notte lunare, i conta• dini son contenti, • per campi cadono giganti ombre di luna•• e • il timor preme il piè dei viandanti•. Quelle ombre e quel timore, sono le cose che maggiormente oggi sentiamo proprie di Ccccardo. Ceccardo, come rutti coloro che hanno terribili e grandio&e apparenze, finiva con lo sgomentarsi in lan• guidi terrori. IL Vinndanu voleva essere un poemetto allegorico, ma non ne re• stano che i versi dov'è detta una disposi• zione trepida dell'animo: fil mi soffermavo attonito guardando ...: la bianca luna grandeggiar di fiere ombre da' poggi •. Ceccardo resta, così, il poeta di poche immagini. Anche le liriche, che quasi vogliono essere pascoliane novelle in ver• si, finiscono con l'essere qualcosa di di• verso della consueta ballata sentimentale, per improvvisi allarmi e spaventi della mente. Ceccardo non è un poeta di cose sensibili, anche se nelle sue liriche la narura è sempre presente. Ma lo è con' un troppo di parole; segno che egli cerca, nello spettacolo d'un paese, significati di là dall'aspetto delle cose. Leopardi in un saggio giovanile sulla poesia romantica (Discorso di un italia110intorno alla poe• sia romantica, Scritti vari. Lettere. A cura di G. De Robenis. Editore Rizzoli), chia• riscc quel punto in una maniera ancora attuale: •... I romantici si sforzano a sviare il più che possono Ja poesia dal commercio coi sensi, per i quali è nata e vivrà fin. tantoché sarà poesia, e di farla praticare coll'mtelletto, e di strascinarla da visi• bile a invisibile e dalle cose alle idee, e trasmutarla da materiale e fantastica e corporea che era, in metafisica e ragia. nevole e spiriruale •· Siamo rutti d'accordo nel trovare oggi troppo impegnativo quel • fintantoché sarà poesia•. Comunqu~, la poesia romanrica italiana è davvero di poco momento. Se lascia di essere reale per divenire spiri• tuale, è sempre impoverendosi e diventando provincialmcnte enfatica. Faranno eccezione quei pochi, come Ungaretti e Montale, che con precisione critica sorvegliano il corso della loro fantasia. Del resto non si deve, a proposito, ragionare troppo facilmente di romanticismo. Gli altri, invece, che paiono abbandonati al fluire dei loro fantasmi, cadono spesso in una verbosirà sempre senza rimedio. Niente è più povero della poesia di getto, scritta ultimamente in Italia. t tutta di poeti provinciali e romantici; dì cui i migliori, come Ccccardo, non potranno salvarsi che per pochi versi, legati tut• tavia tanto al resto da essere difficile scoprirli e impossibile liberarli. ARRIGO BENEDETTI ( CORRIERUESS)O t ~~ lD U) ~ [a~ PLAGIARIO I A BIOGRAFIA di Iva'n Goncìarov, & colui che nella letteratura russa dell'Ottocento può esser chiamato te sesto fra cotanto senno, (gli altri cinque· grandi classici del secolo sono Pusck.in, Gogol, Turgheniev, Dostoievski e Tol• stoi), è piena di curiosi episodi di diffidenza e di suscettibilità, che assumono negli ultimi anni della sua vita la fonna dell'invidia professionale e della manla di persecuzione. Due soli sono i momenti eccezionali e stravaganti della sua vita: il famoso periplo intorno a tre continenti, fatto a bor• do di una nave ammiraglia russa in crociera verso il Giappone, di cui egli ci dette un mirabile resoconto nel libro La Jrtgnta Pallade; e il periodo delle polemiche letterarie, condotte da lui con accanita ferocia, e rivolte contro qualche grande collega che Gonciarov accusava di plagio a danno dell'opera propria. Nella sua pacifica esistenza di rond-dt-wir (egli cominciò come impiegato di Ministero e fini come censore), questi due avvenimenti hanno l'aria di \"ere tempeste e di movimentate avventure. Tutti i biografi dcdic:mo un capitolo particolare ai suoi attacchi contro Turgheniev, da cui Goociarov si riteneva • coscientemente e scandalosamente danneggiato,, dichiarando infatti che Nido di nobili, Padri e figli e Fumo non erano che sviluppi di idee e di progetti di romanzo ch'egli gli avrebbe comunicato oralmente. Ma da alcune lettere e diari, recente• mente scoperti in Russia sovietica, la sospettosità letteraria di Gonciarov viene ad attingere proporzioni addiritrura donchisciottesche. Le carte, ora trovate, dimostrano infatti che la monomania dell'autore di ObiomO'fJ non si limitava ai confini della letteratura nazionale, ma spaziava anche nel campo delle letterature straniere, fino al punto di vedere fra i suoi spogliatori spirituali pure gli amici francesi di Turghcniev. Nei documenti venuti ora alla luce egli dichiara, per esempio, che Madame Bovary non è che un plagio del romanzo più importante da lui scritto dopo il suo capolavoro: • Il famoso romanzo di Flaubert è puramente e semplicemente copiato dal mio Precipi::ìo, giacché il signor Turghcniev, fin da prima che il mio libro apparisse, ne aveva reso noto il soggetto al signor Flaubert. Il marito di Madame Bovary ricorda il mio KozlO\', cd essa somiglia come una goccia d'acqua alla mia Jlinka. L'intera favola del racconto, il luogo dell'azione, gli eroi, le vicende, la psicologia, tutto è preso di sana pianta dal Pruipizio. La stessa Éducation u11timentalt non è che una replica condensata del mio romanzo sopracitato ... •. La cieca fissazione del sospetto di Gon• ciarov non può esser meglio dimostrata che dall'ultima frase, perché, se egli scrisse un'opera che possa far pensare ali' Educ11tionuntimtnlalt, essa non è certo il Prtcipizio, ma piuttosto il suo primo romanzo Una storia ordi11an·a, che, del resto, come tutta l'opera sua, doveva esser tradotto in francese soltanto molti decenni più tardi. Ma, come abbiamo visto, il bersaglio del rancore di Gonciarov non sono tanto gli scrittori francesi, quanto il suo rivale russo, e loro amico, Turghenjev, che è per lui il responsabile indiretto d'un altro preteso furto letterario a suo danno: • Perfino nella Gtrmi11ie Lacertnu: dei fratelli de Goncourt è raffigurato lo stesso personaggio della mia Marfinka del Pruipi:rio. Essi non possono aveme avuto notizia che dal signor 'T'urgheniev ... •. R. P. UNMERCA )])ll ® @&IDIBll AMBROISE VOLLARD non è sol• tanto uno dei più noli e intelligenti mercanti di quadri, è anche uno ~riuorc d'arte e di romanzi. Ben• ché confessi di scrivere con difficoltà e lenteua 1 lo stile di Vollard è duttile; quan• do si impegna a riflettere il carattere delle pcnone attrave"° un aneddoto, acquista una precisione epigrammatica. Ora è usci• to un suo nuovo libro: So1.1venirs d'un mar• &hand de tableawx (Albin Miche!, Parigi), pieno d'interesse soprattutto riguardo alla vita e al carattere di alcuni artisti. Sono quattrocentocinquanta pagine scritte con l'aria di raccontare aneddoti; ma in real• tà non è difficile scorgervi un sottilissimo umore critico e una maniera spiritosa di concludere con la moralità. Vollard arrivb a Parigi per /aire son drcit vuso il 1890, e fone non sospettava che la sua carriera avrebbe preso, fin dai primi tempi, una strada tanto divcna dalla giu• risprudenza. Divenne per vocazione mcr• cantc di quadri, e l'epoca eta adattiuima per iniziare un tal mestiere. Un diM:gno di Dcgas, a quel tempo, si pagava dicci rran• chi. Si installò a Montmartre, in due stanzette mansard/es della ruc dei Apennin1. Poi si stabili in un piccolo magauino della ruc Lahttc, presto divenuta famosa per le botteghe dei mercanti di quadri. Qui, Vollard foce le sur esperienze di mercante d'arte, e conobbe quello strano mondo che rese Parigi tanto famosa quanto lo fu Roma nel Cinquecento. Leggendo questo libro di ricordi, ci si accorge che Céianne, di cui Vollard non parla che di passaggio, citando qua e là il suo nome, è la figura forse più definita, certo la più imponente, fra quell'ambiente inquieto e spiritoso. Céunne non è mai spi• ritoso, e appare senta tratti curiosi. t un uomo rude e semplice, in fondo inadatto a frequentare quel mondo. Chi più chi meno, chi salv:tndosi con l'umorismo e chi con la satira, si capisce come ognuno abbia in sé quel tanto di frivolo e mondano che 1,1nacittà, qual era Parigi a quei tempi, n. chiedeva. Céunne non vi si trova mai a , suo agio, e anche le sue abitudini appaiono contrastan1i con quelle del mondo di al• lora. Mentre tutti frequentano le botteghe dei mcrcariti1 dove l'impressionismo acqui• sta sempre più rama, egli si roca al. Louvrc a studiare il Greco e i· pittori vena.iani. E mentre Renoir detesta Baudclaire e non legge che romaniacci d'appendice, egli porta in tasca Les fteurs dM mal o passa lunghe ore sulle pagine di Virgilio, Cézanne non pensava che all'arte ; tutto il rcuo non aveva importanza per lui. Nemmeno Clcmenccau, che entusiasmava artisti e letterati, lo interessava. Un giorno, dipingendo il ritrauo di Gcoffroy, faticava a portare il dipinto al punto voluto; e costui, ch'era in posa, non faceva che par• lare del e Tigre :t. e Allora •• racconta Cé• unne, « ho fatto le valige e sono partito per Aix :t, Dc.gas, al con\1"3rio, non era insensibile ai fatti della vita sociale. Era un antidrey• fusiano rigorosissimo. Un giorno, entrando nel suo studio, disse alla modella ch'era gil pronta per la posa: e Vèstiti e fila :t, « Ma, signor Degas, che ho fatto di male? :t chiese la ragaua. e Nulla: ma sci pro1estantc1 e i protestanti hanno fatto lega cogli ebrei in fa'"orc di Drcyfus >. Dcgas, nei ricordi di Vollard, appare un uomo strano, ombroso, triste, sarcastico, di umore variabile e d'una serietà crudele e un po' comica riguardo alla pittura. C'è in lui un po' la macchietta. Non amava i fiori, ad esempio; il loro profumo lo faceva diventar furioso; k entrava in una stann e vedeva un vaso di fiori, fuggiva, Vollard è abile nel tratteggiare le figure dei suoi amici: non è facile dimenticare il Rcnoir che esce dalla sua pcnn11 disc.rc1a e cordiale, specie quando lo raffigura in campagna, o mentre lavora nel suo studio ordinato, oppure gli comunica le sue sim• pa1ic per le serve, ch'eran poi le 1U:cmodelle, descrivendone la pelle, le forme tOn• dc, oux jolies pliu-. Ma i senz'altro più abile quando, attraverso un episodio, vuol riflettere un carattere che non preferisce. Vollard non dichiara le sue opinioni di• reuamentc, né si abbandona alla narrazione autobiografica ; tutto il librd è fatto di cauu,ies, a volte pungenti pur con l'i.ria di volerlo evi1arc. Di Rodin esce un ritratto straordinariamente efficace: esteta e apostolo della democrazia, il Maestro ammirato da tutta l'Europa, noto e venerato fra i deportati politici della. Siberia, è un uomo frivolo e di una stravagant.a calcola.ta, scm• prc rettorica. Continuamente in meno a ministri, scienziati e dame del gran mondo, fra le quali primeggia un'altra celebrità, la pitonessa Madame dc Thèbcs, Rodin si pavoneggia con l'aria scontrosa del genio ribelle, ma borghese. Si faceva appuntare la 10,ctta di commendatore della Lcgion d'Onore pcl"fino sulla mantella bianca che il barbiere gli metteva sulle spalle quando gli t'1gliava i capelli. Quutc figure, in fondo, a Parigi 1,i ca• piscor,o. L'arte, lauù, è un fatto mondano; Parigi non ha mai preteso altro di. più. Céu.r,nc lo capl l:>cniuimo, e vi restò il meno possibile. Gli altri si salvarono isolan• dosi o facendo una vita in tu1to diversa; ca. salinga come quella di Rcnoir, solitaria Co• mc quella di Degas. Cià che è la società. di Parigi per l'arte, lo ha dimostrato Boldini con le sue pi1turc. Un poco lo si vede in quelle di. Manct e di Matissc. Degas rim• provcrava a Manct d'aver perduto i suoi toni più profondi e più caldi, e d'essersi messo :,. usare i colori leggeri e auurrini. t questo il Mance più parigino; più labile e illustrativo. P:i.rigi ha sempre preteso dall'arte soprat• tutto due cose, che poi finiscono p('r essere dipendenti fra loro: la e scoperta :t e la mondani1à. Le e scoperte > dell'arte mo• dcrna sono nate tutte a Parigi. Dopo la « scoperta • dell'impressionismo, la serie non è ancora giunta al termine. Ed è fa. tale che comincino tutte con lo icandalo, e finiscano immancabilmente ntlla ~loria mondana. GINO VISENTINI
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==