--..,:::,ia._c:::::::: c : J« > l"Wlil........ CJt .. • 11113:::I"Wli!" ... c::::J <> 11113::: ~~i,w I.J 113:::-----.-----. • EBBENE le petrolifere non abbiano possibilità di scegliersi l'ora della partenza, ma levino l'àncora appena il carico è compiuto, o quando giunge l'ordine, quella volta, parecchi anni or M>no,noi pure salpammo dal porto di C., nella Francia del sud, verso il crepuscolo, come è uso dei naviganti. Andavamo a Batum, in fondo al mar Nero, quasi al confine con la Turchia; vi dovevamo caricare nafta per conto della Purfina, una società olandese. Da cinque ore si naviga, l'addio alla terra è già stato dato ed Antonio, il cameriere, è pronto a servirci il pranzo. C'è il comandante, c'è il capomacchina. ci :,,ono io; si mangia sul ponte, mentre gli ufficiali sono a poppa. Siamo appena seduti, eran finite le risa suscitate dall'etichetta di una bottiglia di Coça Buton su cui il comandante aveva letto : « ravviva le fonti del pensiero, ripara le perdite di sostanza, guari!<:e gli eccessi di lavoro e di piacere ». quando l'~fficialc Mart. entra trafelato, -.aiuta, dice: « Comandante, c'è un clandestino a bordo». Potevano dirgli che le macchine s'erano bloccate, che una falla si era aper1a, che l'incendio era giù, nella stiva; ma il clandestino era cosa che non poteva e non doveva esserci. Il comandante alza il capo; è giovane, elegante, per niente lupo di mare; però in quel momento la sua voce fa tremare Antonio, fa impallidire il vecchio ca. pomacchina; urla: e Un brutto affare, un brutto affare. La colpa è sua, Mart., lei era d'ispezione alla partenza. Anche lei avrà quello che si dovrà avere. Adesso dov'è? ». Mart. stava impalato come davanti ad un plotone d'esecuzione: sull'attenti. lo sguardo che non cedeva. Rispose: « t. giù, nella sala macchine. Non sta più in piedi >. « Perché?>. « Mi sono sfogato, comandante. Mi fanno male le mani ». « Roba inutile. La chiamerò io, me lo porterà sopra, dopo, nel mio studio. Vada pure, Mart. ». Rimanemmo soli, ma ormai c'era con noi l'impacciante presenza del clandc- ..t.ino. Tra i molti fastidi che 1,m comandante può avere, questo, seppi, è uno dei più gravi, specialmente quando si ha davanti un lungo periodo di navigazione e si è diretti in un paese cavilloso, come è la Russia. Mangiammo in silenzio; il capomacchina, appena riusci a dirci « buona digestione >, ~e ne andò. Il comandante ed io .tlimmo nello studio. La scena era questa : l'ufficiale in -:.econda stava seduto alla macchina da scrivere; Mart. teneva per un braccio il clandestino; noi due, dietro la "Crivania, aspettavamo che Antonio finisse di meS<:.crci whisky negli alti bicchieri. Guardavo quello sconosciuto dalla t€$trt rapata, gli occhi vivaci, le labbra grosse, insaccato il corpo in abiti troppo grandi pe"r lui, la giacca unta e strappata, i pantaloni cadenti, le -,carpe di tela senza legacci : pareva tirato fuori da un pozzo o salvato da un naufragio; e appariva falsamente taciturno, fals...1.mentc avvilito, remis- ..i.vo per calcolo e teatrale in quel sottolineare l'arsura, in quel mostrare che le lagrime eran lì, sotto le palpebre. Il comandante fece un discorsino, gli di.sse di star bene attento di dire la verità, di rispondere con poche parole e precise alle domande; r le domande gliele faceva con un piglio co- ~ì freddo, insieme attento ed indifferente, pronto a tagliar corto, quando c·apiva che si scivolava nella divaga- .tiene, che pareva avesse fatto, sempre, il giudice inquisitore. Quando l'ufficiale in S("Conda levò dalla macchina il foglio, ii comandante gli disse : « Legga, in maniera chiara, che capisca bene». C'era scritto: « O~gi, 1 8 ottobre 1933, alle ore 21, I ufficiale in prima ha trovato a bordo un clandestino. lnterrogato, ri- ,pondc di chiamarsi Philippe Capus, di 32 anni, nato a B., marittimo. Mo- "tra, come unico documento, una car• ta d'identità, rilasciata a Marsiglia il ,9 luglio 1930, n. C 27857. e A domanda risponde : " Ho saputo che la petrolifera era in porto leggendo un giornale. Prevedendo che ..arcbbc presto ripartita, mi sono imbarcato la notte dal 15 al 16 ottobre, ,alendo per i cavi d'ormeggio e na- ~ondendomi nel locale macchine, in una calderina". « A domanda risponde: " Dichiaro che nessuno degli uomini di bordo mi ha aiutato a salire, mi ha dato da mangiare e da bere nei due giorni ~he rimasi nascosto. Uscii dalla caldenna 1 perché estenuato dal calore provocato dalle macchine, dalla· fame e dalla -.etc". « A domanda risponde: 11 Sono sta10 imbarcato ~ino a sei mesi fa a bor- .do del K. S., come fuochista. Sbarcai perché affetto da malattia celtica. Sono stato tre mesi all'ospedale". «A domanda risponde : " Non ho portato con me il mio libretto di naviga. zione, avendolo dimenticato a casa. Sono ammogliato cd ho due figli. Mi sono imbarcato come clandestino, per• ché voglio navigare ". « A domanda risponde : " Sapevo benissimo in che situazione mi sarei trovato con un simile imbarco; ma già sul K iriakuli'.s, di bandiera greca, mi imbarcai come clandestino ad AngoAngo, nel Congo belga, e poi venni arruolato come fuochista. L'esito felice di quella volta m'indusse a ripetere il tentativo ". e Non ha altro da dichiarare. GJi è fatto assoluto divieto, ad ogni effetto di paga, di assicurazione ~ d_i ingaggio! di prendere parte a quals1as1 lavoro d1 bordo. « Letto e firmato>. L'ufficiale in seconda depose il foglio sulla scrivania, davanti al comandante. Passano due minuti, noi beviamo whisky. Poi il comandante dice, distratto:_ e Vieni qui, firma». Mart. cerca dt spingere avanti il clandestino, lo scrolla, gli ficca le unghie nel braccio. Ma quello non si muove, pare di marmo. 11 comandante urla: « Svelto, firmate». Allora, come un fedele che si butti a terra dinanzi ad una divina visione, Philippe Capus si raggomitolò sul pavimento, alzò gli occhi al soffitto e si mise a parlare. Parlava con una cadenza persuasiva, per nulla impacciato, come stesse rifacendo una scena già molte altre volte provata. La sua voce era accorata, tirava a far il disperato e ci riusciva: e No, non firmo, sarebbe la mia rovina1 mi manda in prigione, comandante, e io voglio navigare. Una sua parola, comandante, una sua parola potrebbe salvarmi. Non firmo, sono un uomo rovinato, e lei mi può salvare con una sola parola ». .Mart. lo tirò su, lo tenne in piedi come si tiene in piedi un fantoccio, lo guardò con due occhi carichi d'ira, muto consiglio di smetterla con quel lagno. Ma il clandestino non vedeva nulla, fingeva molto bene d'essere invaso da una paura smisurata, con una mano slacciò la sporca camicia, mostrò una cicatrice lunga una spanna sul petto. « Ecco >, gridò, « sul Kin'akul'u mi hanno picchiato, mi hanno fatto questo taglio, ma poi sono stato arruolato. Sono fuochista, io... » e lasciò la frase così a mezz'aria, quasi volesse proporre una soluzione: quella di batterlo ancora, di mandarlo in infermeria per una settimana e poi di ingaggiarlo nell'equipaggio. Il comandante mi disse sottovoce : IJi'OIDENTE DI VIAGGIO « E: tutt'una commedia. Sa che il verbale non serve, che ben poco gli si può fare. Guardi come recita la sua parte di disperato. E chi sa perché non ha il libretto di navigazione: ci saranno annotazioni poco belle. Conosco questi tipi: lazzaroni e facinorosi. Ma uno spavento bisogna farglielo provare». E poi, alzando la voce, ancora a Capus: « Non importa. Va bene, non firmate. Qui ci sono i testimoni, firmeranno loro>. A queste parole il clandestino fece due passi verso la scrivania. Ai tempi in cui i re abdicavano, con quel gesto dovevano prendere la penna in mano 1 e mettere l'ultima regale firma. Di sghimbescio, e con una macchia, Capus firmò; poi tirò un sospiro, e finse che la vista del whisky lo tormentasse, per via della sete che lui aveva. Se ne andò. Il comandante aveva detto a Mart. che ordinasse al capo equipaggio di dargli da mangiare, da bere; che dormisse in coperta e che, assolutamente, nessuno lo facesse lavorare. Seguirono dicci giorni di regolare navigazione. Il clandestino era venuto a bordo ma((2' in arnese, ma di tanto in tanto lo si vedeva comparire con qualche cosa di nuovo indosso: cambiò i calzoni, trovò una nuova giacca, e si mise in testa anche un bel berretto di pelo. Gli altri marinai lo aiutavano. Lui stava a guardarli mentre lavoravano, come un caposquadra sta a vedere i suoi uomini ; poi si metteva a ~edere dietro il casotto del timoni!, a poppa, e rimirava il mare, il volo dei gabbiani, come un signore in crociera. Mangiava, tenendo discorso ai più giovani, parlava di cose misteriose vedute in Africa, di viaggi avventurosi ; e1 se ci incontrava in coperta, o se ci scorgeva sul ponte, come nulla fosse acca• duto ci salutava cortese ed allegro. I guai per lui e per il comandante ricominci.trono quando si giunse a Batum. La petrolifera si fermò al largo, venne una lancia della polizia con sette guardie sovietiche ed una specie di capitano, faccia d'alcoolizzato e voce grossa. L'equipaggio era schierato in coperta, gli ufficiali stavano seduti in un angolo. Ci fu il controllo; e le cose andarono bene sino a quando saltò fuori la faccenda del clandestino. Pareva che quel capitano sovietico non avesse mai udito questa parola: «clandest:no » i di più pareva che quella oarola lo eccitasse, mettendogli sulla faccia vizios..1.un che di satiro stuzzicato. Ed allora fioccarono i perché. Per molto tempo il comandante gli rispose, cercando di star calmo; poi si impuntò come un cavallo, anche lui fece la voce grossa; e la conclusione era questa : del clandestino il comandante in persona si faceva garante; al momento di salpare, dopo cioè le operazioni di carico, le guardie sovietiche lo avrebbero visto a bordo. Non gli facessero quindi perder altro tempo, non tirassero in ballo altre difficoltà; in fin dei conti sulla nave comandava lui, non si intromettessero perciò, più del necessario, negli affari suoi. La sfuriata del comandante sortì effetto buono, il capitano sovietico si dette per persuaso, aggiungendo soltanto che avrebbe mandato, ogni mattina, due sue guardie a controllare la presenza a bordo di quel misterioso individuo, senza un documento addosso e clandestino. Attracc;i_,mmo, sul finir di quel giorno, alla banchina per iniziare le operazjoni di carico. Era un posto tetro, cocciute sentinelle sovietiche passeggiavano tra le tubature e le pompe, l'acqu.& era sporca, la nafta vi lasciava chiazze azzurre dai riflessi visci~ e l'aria, quasi irrespirabile, puzzava di benzina. Dovevamo restare così quasi tre giorni; ed il clandestino era stato chiuso in una cella del frigorifero, e là ogni mattino ,endavano le guardie sovietiche a dare un'occhiata per constatare la presenza di quell'uomo che, nella loro sospettosa mente, doveva essere pericoloso. Philippc Capus stava tranquillo, lo si vedeva quasi sempre affacciato all'oblò aperto, a prender aria od a scambiare qualche frase con i marinai che gli passavano davanti; non si lamentava della sua situazione, né cercava di mutarla, anzi pareva che il buon umore lo facesse sempre più pronto alla battuta spiritosa. Verso l'alba del terzo giorno il carico fu compiuto e, tutte le « tanke » chiuse, la petrolifera subito si distaccò dalla banchina per lasciar posto ad altre sopraggiunte. Bisognava andar al largo, e là sostare tre o quattro ore in attesa di certi documenti riguardanti il carico ed il nolo; ed aspettare, ancora una volta, la visita delle guardie sovietiche, affinché dessero il benestare per l'uscita dalle acque di Batum. Saremmo quindi partiti verso le undici ; e, dalla mia cabina, stando a letto, già sentivo l'andirivieni dei marina.i, intenti a quel rapido ed ordinato lavorio che precede ogni partenza. Ad un tratto la porta della mia cabina si aprì, Antonio venne avanti con un volto disperato e, dimenticando tutta la sua cortigianesca educazione, mi disse deciso: « Il clandestino è scappato». Sorpreso, in quella vaga ora del risveglio, mi rizzai sul letto, presi a vestirmi passivamente trascinato dalla meraviglia. Mi ricordai delle guar~ die Mlvietiche che tutte le mattine venivano a bordo e risposi : « Sono già venuti per la solita vi.sita? ». e No, ma sa, questa mattina vengono per il controllo generale dell'equipaggio e della nave. Saranno qui fra un'ora. Vada su a vedere il comandante», ed era, in queste sue ultime parole, un che di premuroso, quasi io potessi servire a qualche cosa. Trovai il comandante nel suo studio. Aveva il viso rosso, congestionato dagli urli che aveva fatto sino allora, IÒ sguardo duro, cattivo: di quando in quando strappava dal tavolino il rice• vitore telefonico per dare nuovi ordini e per urlare nuovamente. Philippe Capus non si trovava. Un marinaio disse d'averlo veduto nella ce11a alle sette del mattino: si erano salutati, ed il prigioniero gli aveva chiesto se si partiva nella mattinata ; alle sette e mezzo era stato dato l'allarme della s,:omparsa. La porta era chiusa, tutto nella cella era in ordine ; doveva quindi es- <1:eur scito, con destrezza ed agilità incredibili, dall'oblò. Ma dove poteva essersi cacciato? A terra, argomentava parlandomi il comandante, era difficile. Buttarsi a nuoto, per raggiungere la riva, voleva dire suscitare l'allarme delle sentinelle e ricevere una pallottola in corpo. Dunque era a bordo. Ma perché, ancora, s'era nascosto? Era que.sto l'interrogativo più misterioso e che, aprendo la via a molte supf?OSizioni, imbestialiva il comandante. Il tempo passava, erano le nove ed i funzionari della polizia sovietica sarebbero stati, fra poco, a bordo. Vennero nello studio Mart., l'ufficiale in ~conda 1 il capomacchina, tutti con la stessa risposta:« Non c'è ». Finalmente fu Mart. a dire: « Abbiamo ancora un quarto d'ora di tempo. Quell'animale deve e~re nel locale delle macchine. t, un fuochista, conosce tutti i nascondigli: è là di certo. Diamo vapore nel reparto dei fornelli e delle caldaie : o viene fuori o crepa come un topo». « Fate presto! » si limitò a rispondere il comandante. Chiu~ro tutti gli sfiatatoi di coperta, sprangarono gli oblò, bloccarono le prese d'aria; poi, manovrando grosse ruote, diedero il vapore. Dai tubi uscivano pennacchi bianchi, s'alzava un fumo denso e latteo, il getto violento faceva rintronare la scatola ferrea della sala macchine. Trascorsero pochi istanti : tra quello zufolare nervoso del vapore sprigionato, s'udì un grido umano; cd in quella nebbia soffocante s'intravide la figura di un uomo: il clandestino. Mart. non aspettò nemmeno che riaprissero gli sfiatatoi, gli oblò; ma rotolò giù dalla scaletta co• me una palla, s'avventò su quell'uomo, che implorava un po' d'aria, prese a menare pugni e schiaffi con una buffa meticolosità, quasi eseguisse i comandi d'una voce che soltanto lui udiva. Capus si riparava dai colpi più violenti come meglio poteva, senza reagire, improvvisamente vuotato d'ogni velleità; ma negli occhi aveva una luce cupa, di bestia non rassegnata. Andammo giù tutti, lo interrogammo. Non fingeva più la disperazione, questa volta; ma disperato raccontava d'aver capito che la petrolifer,l era pronta per salpare e temeva lo sbarcassero a Batum, nelle mani della polizia sovietica, per non riportarselo più indietro. Un marinaio gli aveva detto d'aver sentito, dal discorso di due uffici3.li, che lo avrebbero consegnato il mattino della partenza {ed il ?articolare, vero, si rivelò uno scherzo ed una fantasia del marinaio); e così, que.sto spauracchio lo aveva spinto a nasconden•i ancora una volta. li comandante non disse una parola, continuava a guardarlo con uno sguardo in cui capivi che la sopportazione era al limite, ed era pesante anche perché non aveva possibilità di esplodere e di sfogare : bisognava, per forza, subire la presenza di quell'uomo. Arrivò la lancia della polizia sovietica. Silenziose guardie, comandate sempre da quel capitano alcoolizzato, ispezionarono la petrolifera, controllarono l'equipaggio, ~isitarono il clandestino ch'era stato rimesso nella cella del frigorifero, bevettero quanto a bordo noi offrimmo, misero timbri e firme sui libri di navigazione, ci salutarono. E noi partimmo. Mar Nero, Bosforo, Mediterraneo, Gibilterra, golfo di Guascogna, la Manica, il mar del Nord : diciassette giorni di navigaz.ione a dieci miglia all'ora, con il sole sino alle colonne d'Ercole, con l'onda lunga sino alla Manica, poi la nebbia e la tempesta sino all'imbocco del canale che conduce ad Amsterdam. Tutte cose facilmente prevedibili, anzi la norma di simili navigazioni. Philippe Capus, guariti Ì lividi di quella ultima cazzottatura, s'era rimesso a fare il nababbo, passeggiava a poppa, chiacchierava e sorrideva con tutti, godeva quei giorni come una vacanza. E mangiava, e beveva, e dormiva. Anche il comandante cominciava a guardarlo con occhi meno arcigni; quasi che, col passar dei giorni, svanito il primo furore e la rabbia dimenticata, trovasse dentro di sé una inconfessata indulgenza verso colui che, oramai, nei nostri discorsi veniva detto e quel disgraziato>. Ed una sera il comandante lo fece chiamare. Capus entrò nello studio con un inchino, rigirandosi il berretto tra le mani, un'aria un po' meravigliata sul volto; ma non c'era nessun impaccio nelle suè parole, e ci trattava con una certa mal dissimulata vanità: la vanità dell'uomo che è riuscito a far qualcosa a dispetto di tutto e di tutti. In quel mese di viaggio era ingrassato, aveva ora un volto pacioccone e colorito, non più quçlla deso• !ante grinta d'affamato, non più quell'irrimediabile aspetto lacero della sera dell'interrogatorio. «Domani all'alba>, gli dice il comandante, « attraccheremo. In Olanda anche gli uomini senza documenti possono sbarcare. Dunque, intesi : appena c'è il barcarizzo a posto, scenderai, andrai dove vorrai, all'inferno anche; ma, anche se vai all'inferno, non devi dire, lo capisci bene, non devi dirç d'esser stato qui a bordo. Te la farei pagar cara, come forse nemmeno te lo immagini». « Va bene, signor comandante », rispose Capus. E poi con un sorriso, a quel modo dei ragazzi truffaldini: « Queste cose le so, signor comandante, stia tranquillo». Stava a tre passi dalla scrivania, rimirando il pavimento, sicuro di sé, quasi volesse far credere che, oramai, anche il comandante era un po' complice nella sua faccenda. E aspettava ancora qualcosa. « Adesso vieni avanti », riprese a dire il comandante. « Eccoti duecento franchi», e quasi non volesse sentir ringraziamenti, o, peggio, inutili parole di scusa, aggiunse seccamente : « Vai, torna a poppa ». Capus fece finta d'andarsene; ma. fatto un passo, rispettosamente rinculando, e come la gratitudine gli scoppiasse di colpo nell'animo, disse: « Devo la vita a lei, comandante. Mi ricorder~ sempre di questa navigaziom .. Grazie, grazie». E qui, con un trapasso improvviso di voce, di mimica, domandò : e Non si va, per caso, a Rotterdam? ». Era troppo. Parve a me, per un attimo, che la collera del comandante fosse lì per esplodere. Invece nulla accadde; anz.i, quella sfrontatezza fu ser:. za conseguenze; di più: fece sorridere colui che doveva esserne offeso. « Perché vorresti andare a Rotterdam?> gli ci.spose il comandante. Philippe Capus, quasi dicesse cose ov-' vie e semplici, spiegò tranquillamente che a Rotterdam aveva molti amici e, per di più, in quel porto capitavano molte navi mercantili di e suo gusto>, e gli sarebbe stato facile trovare un nuovo imbarco clandestino. Senz'altra risposta lo rimandammo e lui uscì con la più bell'aria disinvolta di questo mondo. Un'alba grigia, un cielo carico d'ac- · qua cd un canale deserto ci accolsero e ci fecero compagnia all'arrivo ad Amsterdam. Le operazioni per attraccare furono velocissime. Dal ponte, appena fu calato il barcarizzo, vidi Philippe Capus che scendeva a terra. Era quasi elegante in quei vestiti racimolati a bordo, teneva un grosso fagotto sulle spalle, roba che i suoi compagni gli avevano regalata, e cammi. nava voltandosi di quando in quando per salutare, con un gesto del braccio. Era felice: e pareva partire per un altro bel viaggio. ENRICO EMANUELLI
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