ANNO I• N. 3r • ~OMA 4 DICEMBRE 1937-XVI IAPPIIII u~m~WJ® ION SONO certo le sciocchezze del ministro Campinchi che possono farci impressione dopo che la ttampa lrnnccsc, messa al muro dalla lettera con la quale l'armatore Fraissinet protestava contro quelle inqualificabili parole pronunziate su un piroscafo della sua Compagnia, trova solo nelle abbondanti libazioni di champtJg~e un'attenuante. Lo conferma anche il Ttmps. Nessun dubbio, dunque, che quelle parole furono dette, sia pure in un discorio non ufficiale, ma parlando • del più e del meno•· E vada per l'allegria, sinonimo, in questo caso, di ubriachezza. Senonché, di fronte alla doverosa reazione della stampa italiana, c'è stato un giornale del partito del ministro Campinchi il quale ha osato scrivere che l'Esercito italiano • fa ridere t! Noi non ci stupiamo affatto di una simile espressione, perchi ricordiamo che, un mese fa, quando in tutta I talia si commemorava Vittorio Veneto, un giornale d'ordine, di opposiz.ione al Fronte popolare (ma dove sono, allora, gli amici in Francia?), scri- \"eva che alla fine del settembre 1918 i francesi• preparavano• l'offensiva sul Pia- ,·c. Non lo si sapeva. Attaccano i francesi, naturalmente. Seguono gli inglesi. Gli austriaci si ritirano. E gli italiani? • Gli italiani aspettano. Aspettano sei giorni, · otto giorni, anz.i, e quando son ben ceni che non c'è più nessuno davanti a loro, che il nemico s'è ritirato per un'enorme profondità, e che la guerra e bell'e finita per lui, i nostri buoni alleati si decidono ad attraversare il fiume e vanno a prendersi qualche migliaio di austriaci ritardatari. Questa e la grande vittoria di Vittorio Veneto, che non fu una battaglia e non (u nemmeno una scaramuccia•. Se questa è l'opinione pubbhca in Francia chi si meraviglia più del discorso del ministro Campinchi? Ci si meraviglia solo che 6 divisioni alleare, di cui una cecoslovacca che non prese parte all'azione, abbiano battuto 63 divisioni austriache, mentre 5 1 divisioni italiane stavano, evidentemente, a guardare. l trer,tacinqutmila italiani che morirono in quei giorni, si suicidarono, indubbiamente, presi da un subitaneo rimorso di fronle ai trecento caduti fnmcesi . .\Ila come si spiega, allora, che fra il 2 e il 3 del mese d1 novembre il Consiglio di guerra di Vers:11lles domandava al Comando italiano di preparare una va.staoperazione contro la Baviera con due masse agh ordini di un generale italiano, l'una di dieci divisioni italiane artrezzate per la guerra di montagna, l'altra di venti a trenta italiane e alleate da concentrare nella z.ona di Salisburgo-Braunau-Linx? Il giorno 8, il nostro Comando Supremo emanava l'ordine d1 operaz.ione, che assegnava alla I• Annata degli obiettffi oltre i passi d, He:siae del Brennero, fino alla gola di Kufstein. Annientato il nemico in una grandiosa battaglia, l'unica _ ,·eramente decisiva dell'tntcro conflitto, l'Italia, con la fraternità d'armi ch'era <1tatatante volte spinta el massimo sacrificio. si apparecchiava, senza es1taz.1on1a, proseguire la lotta su un altro fronte, ~enza risparmio di mezzi e di uomm1. Che tale azione s1 imponesse, nessun dubbio. 11 nemico era fenno sulla secon- .la posizione fortificata, che aveva chia- ·nato Hermann-Hunding, e ne preparava ma terza fra Anversa e la Mosa. 11 generale Foch, alla domanda dell'americano House su quanto ancora poteva durare la s.:uerra, risponde,·a (29 ottobre) che non !o sapeva: • Forse tre, forse quattro o cmquc mesi E allora avanti I soldati nalian1, di cui sul fronte occidentale, a flhgny e allo Chemin des Dames, si erano nsti 11 valore, la disciplina, 1I disprezzo Jella morte! Avanti quei soldati italiani, pe1 quali Buat, Berthelot, .\ltangin, Fayolle, Pétam, Humbert non avevano, allora, parole bastevoli dt ammirazione e di dogi. E non meno dei francesi I generali tedeschi. • La 3• divisione italiana•, scri- \"Crà il generale Schuhz, • si battè mera- "ghosamente fino a che fu sostituita, e assai megho della vicina r 2.0• divisione francese, quantunque questa avesse perduto solo 1426 uomini•. :-.:on importa se l'azione d1v1sata dal Consiglio di Versailles, e 1mmed1atamente apprestata dal generale Oiaz, non ebbe luogo, perché la Germama, accerchiata e affamata, capitolava. Conseguenza di V1ttor10 Veneto. Perché ridere? Ci siamo forse permessi di ridere, noi. all'indomani del 7 marzo, quando I ministri francesi"si recarono col cappdlo m mano a Londra per sent1rs1 dire, dopo undici giorni di anticamera, che l'iniziativa germanica cr3 semplicemente d1scut1b1le? I @GESTA ESTATE, andando in .J cerca di un luogo adatto allo · sfogo di una mia innocente pas- _J sione, sono capitato in un villaggio sulle rive di un lago prealpino, portando con me sopra un carro una vecchia barca e una vecchia v;1ligia. .\lfessa in a-equa la barca e ,allogata la valigia in casa d'un montanaro, mi sono lasciato assorbire dalla mia passione, che è quella di bordeggiare sulla superficie di questo lago mossa per otto ore al giorno da un vento fresco e costante. L'c,tate è tra.scorsa, cosl pure l'autunno con le sue anatre selvatiche e le sue notti burrascose, la vecchia barca è ormai all'asciutto, le vele sono tese iri un granaio, ma io sono sempre qui e non ho voglia di muovermi. ron dico il nome del lago, perché non è ncce~sario che a qualcuno salti in testa di ridurlo ad uso del turismo: laghi in Italia ce n'è tanti, e questo ltta bene come è, senza contorno di ..tlberghi, cli campi di tennis o di golf e senza il g<1llcggiante o il pontiletto di un circolo nautico. La mia è una precauzione contro gli avventati, poiché gli « esperti > del turismo non ah• bocchercbhcro. Il lago, ch'è a ridmso della prim,l quinta delle prealpi bellunesi, sulla strada di Alemagna, non si prc~terebbc a pittoresche cartoline illu!ttratc, poiché la sua natura è poco vistosa, ,rn..:i piuttosto severa. Il lago è nato da poco, in confronto alle altr<· CO\C create, e la sua nascita è il frutto di una cawtrofe. Una volta per questJ valle scorreva il Piave o un brdtcio dd Piave, quando un giorno una delle montagnè che la fiancheggiano si apri in due e una parte franò giù, d~truendola con una massa di detriti alta almeno trecento metri. Il fiume rigurgitò contro l'ostacolo, si allarp,i> invadendo le terre asciutte, e poi finì, fo~ dopo qualche secolo di fatiche, coll'aprinii un altro letto su cui SPEDIZIONE IN ABB. POHAlE UI' LOJ.D l>ELL'lKPEB01 ' 1 81. al, t V'ERO, ANOH 1 IO 8ElrfTO UNO STJl.!1f0 AOliZIO" scorrere "·crso il mare; ma intanto le alluvioni avevano creato un nuovo sbarramento a monte del primo, e nello spazio tra i due si formò il lago. Così dicono i geologi, e le apparenze darebbero loro ragione. Deve essere stato uno spettacolo tremendo per gli uomini che, non v'è dubbio, abitavano la contrada 1 e forse tale da tenere per chi sa quanto tempo lontani coloro che vi scamparono o che vi assistettero. Ma ppi essi tornarono, e c'è da supporre che vi siano tornati non in cerca di qualche cosa1 perché qui non vi era più nulla all'infuori di un caos di rocce frantumate, ma solo perché sotto quei trecento metri di sasso qualcuno di . )oro aveva aperto gli 0<:chi, o qualcun altro dei loro• li aveva chiusi. Ad ogni modo i segni del disastro, che pur sono evidenti ovunque qui imorno 1 a poco a poco diventarono meno desolati e selvaggi, in parte certo per opera naturale, ma oil1 per quella dovuta agli uomini. Tra il grigio delle rocce sterili il verde riapparve col bruno della terra : ma1 questa terra, venuta da dove? Da un lato c'è la parete a picco, nuda, di pura roccia; dall'altro le groppe ripide di una montagna coperta di pochi magri pascoli e di macchie di larici e Qi faggi cedui. Le piove forse coll'andar dei secoli avranno trascinato giù qualche pugno di terriccio, foglie secche, rami morti, e questo materiale ~i sarà andato lentamente raccogliendo e impa5tando negli incavi fra le rocce; i venti poi avranno portato i semi, e le prime fratte verdeggianti saranno cosi appar~e. Ma og{{i 1 se guardo, dalla cima della frartl alle rive d<'I lago è tutto un verdeggiare di campicelli cli patate e dì granturco, di prati, di bo- ~chetti e d'alberi di fusto, pini, larici, noci, ontani e betulle, e in tutto questo verde qua e là solamente emergono rari spuntoni di macigno. Una coltre di terra nera copre dovunque i resti della montagna franata, e poco più in là, sopra uno s."rone dell'altra, si innalzano le case del villaggio. Villaggio che non ha storia. Nessuno mai ha sentito la necessità di conservare con l'inchiostro o con lo scalpello le vicende del villaggio, e nessuna tradizione vive nella memoria di questa gente, all'infuori di quella delle cose che gli uomini devono compiere per vivere: dalle azioni manuali alle pratiche morali. Se la loro storia è nulla 1 poca è anche la loro sapienza e la loro arte. Poca, ma salda e nettamente limitata, come i confini delle loro pro• prictà, cinutc da muretti a secco. Bordeggiando con la mia barca per il lago1 sovente pensavo al parere dei geologi, ma una cosa non riuscivo a capire e tanto meno a spiegare: come quella ciclopica rovina avesse potuto coprirsi di terra, e questa dar foglie e frutta. Le spiegazioni ch'io tentavo di dare a questo piccolo problema, per quanto ingegnose o fantasiose, non arrivavano mai a qmtentarmi, finché un giorno la inia curiosità potè essere appagata. Ero approdato, e stavo facendo il bagno a rido,so di un'alta M:Oglicra, quando un suono di voci mi sorpre:,,c, poiché in quel luogo di solito non veniva mai nessuno a bagnaNi. Uscii dall'acqua e mi arrampicai sulla cima dello ,coglio. Dall'altra parte, immersi fino alll! anche, due uomini, un vecchio e un giovanetto, rimestavano il fondo con i badili 1 gettando ,l riva il fango che ne toglit'Vano fuori. Cc n'era già un gro,,o muC'chio nero e ancor~t lttillante ,1tqua, e più in là un altro, grigio, seccato e ~crepolato dal sole. Rimasi un po' a -'{Uardarli, ~enza capire lo ~opo di quel lavoro, poi ~cesi giù e domandai loro cosa f acesscro. e Non vede? > mi ri~posc il vecchio. « Caviamo la terra per fare un camI po >. E levando un braccio, lo tese in aho, indicandomi la base della parete, quattrocento metri sopra il nostro capo. « Lassù, signore. Lo facciamo lassù, ma da qui il posto non si vede. l:: dietro quel bosco, nei Pinci, vicino al ciITUtcro nuovo>. Conoscevo il luogo, appena dietro il punto più alto della frana, un piano :-.convolto di rocce e di frantumi pietrosi, dove non c'era che qualche cespo di gramigna e qualche scheletrico nocciolo selvatico allignato chi sa come. « Volete dire che questa mota la portate fin lassù? > domandai, incredulo. e Certo, signore. Con la gerla». E ri~e, immergendo una mano nell'acqua torbida e passandosela poi sulla nuca e sulla fronte. « Tutti i campi che lei vede qui intorno sono nati fatti in questa maniera. Ori sempro /at cussl, noi!>. L'eterna frase dei contadini di tutte il mondo, sulla quale è fondata tutta la loro esperienza e la loro esilttenza, non era stata pronunciata dal vecchio in tono solenne, come la ripetei io, istintivamente, alz,rndo gli occhi a guardare nuovamente quei campi di patate e fagioli, quei prati, quei boschi che dalle rive del lago salivano su verro il cielo tra i due fianchi della valle. Egli non sentiva come mc la grandezza di quell'opera incominciata for~e da centinaia di anni da gente simile a lui e che egli proseguiva, come ~e fosse la più naturale delle cose. Quel suo « abbiamo M:mprc fatto così, noi >, significava ~ltanto una certezza letterale nella bonià della cosa da compiere: per avere un campo abbiamo sempre fatto così, come per avere un ~uon rac~ colto, co,he per avere il formaggio, noi abbiamo M:mprc fatto così: rioi, nati in questo luogo. E il vecchio continuava a ridere, divertito del mio stupore, con un fare ch'era diventato più ironico che altro. 'Infatti di Il a poco soggiunse : « Eh, lo so a che cosa pensa, signore! Lei pensa che per un sacco di biada non vale la pena di faticare tanto, e anche lei ha ragione. Ma dove lo troveremmo noi, il sacco di polenta? Via di qui? ... Ma noi siamo di qui, e qui bisogna che campiamo ». Le parole del vecchio montanaro mi avevano dunque offerta la soluzione del problema di geologia che mi aveva incuriosito, ma ne avevano contemporaneamente posto un altro. li fatto che la gente di questo villaggio abbia nel corso dei secoli bonificato un pezzo di arida montàgna franata, ricoprendola con uno strato di terra fertile, ricavata dalla mota che le onde e le correnti depositano sulle rive del lago, o scav:i.ndola dai bassi fondali delle paludi, e trasportandola a forza di spalle per crtissimi sentieri, ha qualche cos.a di prodigioso; ma molte sono le cose prodigiose compiute dagli uomini e questo ci può stupire fino ad l;n certo punto. Ciò che invece meraviglia è la sproporzione tra la fatica e lo scopo o, per dirla in termini più vicini al nostro spirito, tra capitale e rendita. Infatti. ~e il mio vecchio e i suoi predecessori ~vcsiCro fatto il semplice computo d1 quanto costavano i cam• picelli da loro ottenuti in quel modo, è da supporre che dalle rive del lago non avrebbero est.ratto neppure u;ia palata di mota. Ma calcolare essi sanno benissimo, anche se i loro conti li fanno con le dita. E allora? Quali sono gli altri elementi intervenuti a bilanciare il conto e a decidere que!lta gente a operare contro la ragione economica? Ove si trattasse di un intero popolo, non sarebbe difficile ritrovare i motivi per cui esso si è stabilito .in una plaga più _i,nfclice ?i u~'altra pagando a prcz~ p1u alto d, ahn popoli la propria esistenza, Ma su di una minuscola c~munità. c~unc ~u_csta del villaggio, ~li « ~perauv1 storici > non possono aver agi lo. Non sono state certamente le inv_asio!1id_'alt~i popoli, le guerre, le at~ t1tudin1 speciali, a confinare in que,to angolo la s~a gente, e a costringerla ~ tanta .fat~ca. !I suo aspetto, il suo hnguaggao, 1 suoi costumi sono identici
J. quelli delle genti che popolano il resto della vallata, dedite alla pastorizia e all'agricoltura, e in cui la vicinanza di uno specchio lacustre abbastanza ampio e pescoso non ha instillato alcuna familiarità con l'acqua. Nelle epoche posteriori alla frana, le buone terre incolte non dovevano mancare, quindi sarebbe anche inverosimile supporre che la comunità si sia fissata qui Ìn seguito ad un eccesso di braccia disponibili.. per cui, esc,lusi i grandi motivi, il fatto non può avere che· una spiegazione particolare, anzi strettamente locale. Ma nel vilh,ggio nessuno sa nulla. Il mio vecchio1 cd altri vecchi interrogati, mi hanno soltanto confermato, con la loro solita fra.se, ch'cssi non avevano fatto altro che imitare quanto avevano veduto fare dai loro padri ed avi. A parte ciò, buio assoluto, ed in mancanza d'ogni tradizione più chiara, non so spieganni il fatto che in un modo del tutto ipotetico, giustificandolo con l'attaccamento al luogo dei ,opravvissutì alla catastrofe geologica. Del resto può darsi. I pendii della montagna rimasta in piedi offrivano, come oggi, la risorsa di -qualche pascolo e di qualche bosco agli scampati. Essi rimasero e iniziarono, forse dopo secoli1 l'opera di bonifica, con una tenacia e una costanza assurde. L'impresa non fu certamente collettiva, come lo dimostra la grande varietà nel• l'estenl>ione degli appezzamenti, ma individuale, e naturalmente sempre più ardua e faticosa man mano che aumentava la distanza dalle rive del lago. Antieconomica, si direbbe oggi, e certamente essa lo fu e lo è tuttora, secondo i criteri correnti nel mondo. Col compenso ricavato dal lavoro occorrente per fare il campo, che il mio vecchio amico ha divisato che non su• pera i cento rhetri quadrati di superficie, egli potrebbe acquistare il decuplo e forse più di buon terreno altrove. e. vero. E i giovani del villaggio lo sanno, e ridono di lui e dei ~i J.ltri vecchi fedeli al loro e on sempro /al cusst noi>. Lo ritengono un men• tecatto, uno al quale gli anni hanno aHeggerito il cervello, e anche il suo figliolo ultimo, quello da cui si fa aiutare, lo schernisce, pur obbedendolo. Ma chi ha torto? E questo è il punto al quale volevo arrivare, punto ove la mia ragione incomincia a confondersi e a non distinguere più. Considerando l'opera che il mio vecchio amico ha affrontato per aumentare di pache spanne la sua prdprietà, an(he a me viene da sorridere, ma se penso che tutta la terra da cui la gente del villaggio trae il suo pane quotidiano è stata ottenuta con lo stesso modo, e che nel corso dei secoli questa piccola comunità ha potuto non scio durare e vivere, ma prosperare e · crescere di generazione in generazione, certi dubbi mi a11salgono.Questi dubbi sono certamente dovuti alla mia ignoranza nelle materie di codesta specie, ma infine, paragonando il risultato qui <"onseguitoda un pugno di uomini 1 con tutti quelli falliti dal mondo attuale, seguendo altri criteri e altri sistemi1 non posso combattere il sospetto che siamo noi nell'errore, con tutte le nostre tco• rie e la nostra scienza1 mentre la strada giusta deve essere quella che il mio vecchio amico testardo e tenace si osti• na a battere. Ora non voglio fare il processo al nostro mondo moderno partendo da questi indizi minuscoli i mi limito solo ad osservare quanto è caduto sotto ai miei occhi, e le cose che ho scoperto mi hanno talmente appassionato da indunni a rimanere qui, per cercare di penetrare a fondo la vita di questo piccolo nucleo di umanità che la civiltà co11ten~poranea sfiora appena oggi. Forse ne caverò un romanzo, forse nient'altro che il piacere di gu- 'itarc gli straordinari sapori delle frutta, del pane, del latte, della carne che si produc<' in questi luoghi, senza concimi chimici e metodi razionali di coltura o d'allevamento. .\1a a proposito 1 m'ero dimenticato di raccontare che nel villaggio, fino a pochi anni or sono, venivano accesi ..cttanta focolari. Poi, quando i giovani incominciarono a trovare che era ,mtieconomico fàre i campi come li facevano i loro vecchi, i focolari pre• ~ro a spegnersi ad uno ad uno. Oggi ne vengono accesi quaranta soltanto, e ci sono altrettante case disabitate. B vero che sono povere, umili case; ma coloro che le hanno abbandonate, ne hanno forse trovate altrove di più belle e: ricche? TITO A. SPAGNOL ARNOI, li', 36, 4 DICEMBRE1937-IVI I IINIBU TRA I POPOLI della terra forse il turco è quello che ha trasmigrato di più, di paese in paese, venendo fin dalla Mongolia. In seguito l'islamismo, al quale i turchi si convertirono soltanto verso l'ottavo secolo, non fece altro che aiutare quella loro natura avventurosa. Se prima combattevano ed emigravano in tribù disordinate e spinte da oriente verso occidente soltanto dalla fame, in Maometto trovarono una ragione della loro manìa di guerre. In una simile so•• cietà guerriera, il posto della donna è quello della generatrice di figli, o dell'amante. Di qui nasce la poligamia, che è un considerare l'altro M:sso ~ .. tanto fisicamente. La prima conscgucn1..a è che alla donna turca mancherà fino alla rivoluzione kemalista il senso della famiglia. Non esistendo la famiglia in Turchia, è venuta c~ì a man• care nel paese una architettura civile, vale a dire non pubblica ma domestica. La donna turca non ha intelligenza, non ha comando, non ha patrimonio; forse non ha nemmeno l'anima. Se co• me moglie potrebbe nobilitarsi con la maternità e con la partecipazione alla vita comune, come amante deve vivere rinchiusa, sorvegliata e nascosta. li solo suo scopo è di piacere a un uomo. Così nasce l'harem, e insieme l'uso del velo, dei cosmetici, della depilazione: quelle usanze e abitudini, insomma, che fanno della donna turca non una sposa, ma una concubin;.1. ' Ma il giorno 2 settembre 1925 doveva essere fatale per la donna turca. L'Assemblea legislativa risolse un pro• blcma al quale la Turchia non era affatto pronta: si decise l'abolizione del velo1 e fu imposta al paese. Sebbene le ricche famiglie di CostantinoPOli e di Smirne mandassero già le figlie nei collegi di Francia 1 di Gcnnania e della Svizzera per un'educazione europea, tuttavia si trattav~, di una moda nata in seguito al movimento dei Giovani Turchi e praticata da pochi. Una mo• da che le fiere donne d'Anatolia, da EskiM!kir a Erzurum, da Sansum a Conia, consideravano pcricolosa1 quando non addirittura un tradimento alla religione e alla razza. La decisione del· l'Assemblea spaventò le piccole donne dell'interno. La tradizione parve violentata; tutto all'indomani doveva apparire diverso, e si rivelò improvvisa-. mente una Turchia di cui nessuno sospettava l'esiste01..a.Cadeva anche urlo dei tanti luoghi comuni della letteratura occidentale. Da centinaia di anni ~i era letto che la donna turca era la SETTIMANALEDI ATTUALITÀ POLITIOAE LETTERA.RIA ESCE lL SABATO J.N' 1i.-16 PAGINE pii, bella del mondo; ma l'abolizione del velo mostrò improvvisamente che le cose non stavano esattamente così. Abolito il velo e, di conseguenza, moli dificato l'abbigliamento femminile, cad• dero molte illusioni. La turca apparve grassa, tozza, sgraziata nel corpo: inc• 11:============li ,;prcssiva1 pallida nel volto. Si videro. ABBONA ?d EH TI gli effetti di secoli trascorsi nei gi• Ittllt.•Ckiloult1 anno L, 4.li 1 11meur1 L. lHI ili necci, fra cuscini, letti, tappeti, a gamEtt.eroi anoo L, 7o, Nmeatre L. 36 be incrociate tutto il giorno. Segregata OGJt JfDKIBO DX.l r.tKA dalla gelosia di un uomo, la donna lluo,orlul, dlugoi • fot.ogra6e, aooh turca perdeva la virtù femminile del 111 u11 p11bbHeatJ, 11011 • 1 rutltal,ooao, gusto. Tolto alla donna lo stimolo della i Dittdou: 1 1 1 civetteria, della invidia e di possibili RomT.i.To~o d~~ :e°1~isg, 28 infedeltà, non fa meraviglia che non I .laalabttulont: curasse il suo corpo1 non praticasse gin11- ..._ hllll,.•.u~.~llrl~o,~,~No~t,s'.:~llll6 "~:__1·11 ;:,~!~a~im:bb:gng~~~:;ie~~Jaza ;;;~i~:n~ ~ ......... alla noia tremenda delle giornate senza scopo. Cadde il velo, e apparve un mondo vecchio e sciocco. L'abolizione del velo rc~ta il provvedimento più grave della rivoluzione kemalista. lt vclo significava il dogma, il dovere di non chiedere più di quanto la religione e i costumi non COjlcedes-- sero da anni. Tutto venne in seguito con facilità : i deputati in frac, la chiusura delle dcrvisccrie 1 l'adozione del codice penale italiano e del c~icc civile sviz7,ero al posto del Corano, ch'era stato l'unica legge religiosa e temporale; l'introdu7.i.pne del calendario europeo e dell'alfabeto latino, la SOStit"..i• zione della domenica al venerdì come giorno frstivo1 l'obbligo dell'insegnamento, il sistema metrico decimale, l'abolizione delle onorificenze e dei titoli nobiliari, il voto delle donne e la loro eleggibilità al parlamento e ai municipi 1 l'imposizione di un cognome, la sconsacrazione delle moschee e la laicità della repubblica. Rivoluzione grandissima come si vede, che volle aver subito il suo fondamento sulla solidarietà delle donne. Infatti, le donne turche, passato il primo istante di smarrimento, non potevano che ~ere solidali con Kemali le- . •gando a lui la loro sorte. Il Ga{i sapeva come una rivoluzione, che vuole cambiare faccia a un paese, non possa mettersi contro le donne. In un viaggio elettorale, compiuto nel 1923 a Smirne, Brussa, Balikcsir, città ancora tradizionaliste, Kemal aveva detto esplicitamente : < La donna è metà di ogni gruppo sociale. Se questa metà viene negletta, la Nazione subisce un danno irreparabile e fatalmente decade>. La donna era la cittadella del conservatorismo musulmano; Kemal, imegn:mdole la vanità 1 seppe farne l'animatrice delle sue riforme. Come ,i sa, Kemal ebbe all'inizio della sua azione politica due nemici e due fronti: uno, all'interno, rappresentato dal sultano e dal califfo. e gli fu · facile combatterlo trattandosi di il>tituzioni già vecchie e in sfaccio; un altro, esterno, rappresentato dalla Grecia, e fu in tale occasione che le donne scpJ>ero mostrare il loro patriotti'-mO, Quando si dovette combattere contro le truppe str:-miere per rendere imj>ossibilc quel piano ambizioso dei francc.si1 secondo cui la Grecia doveva costin1ire, con capitale CostJ.ntinopoli, w1 impero d'oriente, e quando il nemico giunse al fiume Sakaria, estrema posizione che difendeva Ankara e la sua acropoli, le donne turche furon tutte col generale Kemal. Portavano viveri, baga~li, munizioni: curavano i feriti, si spingevano perfino a combatten: nelle prime lince. Si volle tutto d'un colpo sostituire alla concubina la sp~a. Né si volle procedere per gradi : si andò avanti con provvedimenti poco adatti a conciliarsi con le condizioni storiche e geografiche che potevano essere d'ostacolo. Le donne della borghesia dovettero im• parare a tenere il coltello, la forchetta., e come si conversa, e come si accoglie un ospite. Le mogli dei ministri e dei generali dovettero imparare a ballare, a parlar in francese, e infine a ragionare un poco di letteratura, d'arte e di politica. Quelle donne grasse e pigre si recarono alla scuola di danza, di lingue, di belle maniere. La parola d'ordine era: parità fra i due sessi. Si aprirono alla donna gli uffici, le pro• fcssioni, perfino le cariche pubbliche. Si ebbero col)ì avvocatesse 1 medichcssc, e signore ingegnere, deputate, poliziotte. I comitati di beneficen7..a, la Croce Ros5a, lo sport divennero di moda : si credette candidamente al progresso dell"umanità con lo stesso entusia.smo con cui si erano salutati in occidente la prima scintilla elettrica, il primo treno a vapore, la prima carrozza senza cavalli. La turca ormai può dirsi più bella di quella d'un tempo.. La vita all'aria aperta, la pratica dello sport, la dieta, hanno messo la donna turca in condizione di ritrovare i lineamenti classici della razza, così nobili e leggiadri, i quali erano stati corrotti da secoli di vita meschina e soltanto bassamente fisica. Certo non soho mancate conseguenze impreviste. La grande e subitanea libertà conce-wt alla donna, la sua vita nei campi sportivi, negli uffici, nelle università., la lettura di romanzi e riviste, giunti dalla Francia e dall' America a tonnellate, e destinati a formare la nuova educazione femminile, hanno prodotto un cameratismo fra i sessi che in Turchia, per condizioni diverse di clima e di ambiente, non si esaurisce in cordialità e in simpatia platonica. Forse, anzi, è soltanto oggi che, nelfa donna turca, nasce una vera e propria sensualità. Proprio oggi si parla così di e problema sessuale > che prima era senz'altro ignorato. Nessuno medita più il versetto del Corano : « O voi che credete, non vi accingete alla preghiera quando siete ebbri, ma attendete di poter comprendere quello che dite, né quando ~ictr in stato di impurità, almeno che non siate in viaggio, finché non abbidte fatto l'abluzione; però, quando siete malati o in viaggio, o venga alcuno di voi dalla latrina, o abbiate toccato donne, e non trovate acqua, allora prendete drlla buona sabbia fine e pulita e stropicciate con essa le. \"Ol)trefacce e le vostre mani ; certo D10, condonatore e ìndulg_cnte, non vuole imporre a voi alcun gravame, bensì vuol purificarvi e rendere com• plcta la sua grazia verso di voi, affinché voi siate riconoscenti >. Forse il Corano teneva conto _della geografia più di quanto non facciano le leggi kcmaliste. • 11 nuovo ordine della vita turca non è nato secondo una idea, ma secondo imprecise ambizioni, che solo all'esterno h:rnno aspetto di ideologia. Tuttavia, mentre la vecchia Turchia non mancava di uno stile, quella d'oggi è un insieme di Russia, America, Francia. C'è da dire, caso mai, che la donna ha oggi una funzione nella vita turca che non potrà non avere conseguenze. Si rivela forse pili ricca di valori umani di quanto non si mostri un uomo. Fanatica per la rivoluzione, Kemal può sempre contare su di lei. La donna turca, che è all'apparenza tanto ~pregiudicata, mostra la sua ingenuità in certa continua meraviglia verso le cose del mondo. Ha. insomma, gli entusiasmi e le capacità di sacrificio proprie della ~ente giovane. L'osservatore straniero, davanti alla donna turca 1 non può che restare sconcertato; ancora non è possibile prevedere ncmrncn da lontano quale tipo di donna possa ndsccrc dalla società moderna turca, anch'essa d'altra parte in formazione. GIUSEPPE LOMBRASSA PBEIIEBSA (c;J UL PROBLEMA della guerra e del- ~ la pace del mondo, che tiene sospe,i tutti gli animi, vengono ogni giorno pubblicati in tutti i pae,i libri, 1tudi, articoli innumerevoli. Sarebbe imponibile tener dietro a cosl uermina1a letteratura; ma può riuscire utile renderti conto di come considerino il terribile problema alcuoi fra i più perspicaci 0ue,-vatori stranieri, anche se il loro pensiero sia da criticare o da re1pingere, com'è ne-Ila maggior parte dei casi. Un americano, soltanto perché americano, e cioè quali che siano le sue opinioni politiche, considererà sempre questo problema da un punto di vista diveno dal nostro, cosl come noi italiani, semplicemente pcrchl italiani, lo guarderemo con occhio diverso dal suo. Cercando di capire il loro punto di vista, noi aggiungeremo qualche cosa alle nostre conoscenze: per• ché il problema della pace del mondo non è soltanto quello che è, ma anche quel che gli uomini vedono in cuo. Noi iniziamo, perciò, da oggi, la pubblicazione in riassunto di alcuni fra gli ..criui più significativi pubblicati 1ull'argomento. Cominceremo da quelli di un americano: Walrcr Lippmann, apparsi recentemente in The New York H.,ald Tribune. Continueremo con quelli di un giapponese, il co• mandante Tota Ishimaru (l'autore del fa. mo10 libro: ]apan maut fi1ht Britain) e di un inglese, il marche&e di Lotflian. Limiteremo i commenti al minimo indispcn..ahile e, alla fine, trarremo qualche conc.lusione. Per quel che riguarda gli articoli di Lipp• mann, che riassumiamo oggi, avvertiamo che cui sono fondati su una premessa interamente erronea: e cioè che le tre Potenze totalitarie intendano e sfidare > (challenie) le democrazie, o che accampino contro di es~ rivendicazioni territoriali. Ora, per quel che concerne l'Italia, è noto che essa. do• po la conquista dell'Etiopia, dichiarò di essere intN:mente soddisfatta; niente pretende dalla Francia, come niente pretende dall'Inghilterra. Per quanto riguarda la Germania, è noto che cua domanda alle due dcmocra:r:ie la restituzione ,folle colonie, che già furono sue. Queste colonie le furono tolte sulla base dell'a»unto che la responsabilità della guerra fosse tutt..l della Germania. e che la Germania si fos1e dimostrata incapace di colonizzare. Come riconosce un buon patrio1a inglese, Lord Lothian, neuuno, og~i, turcbbe per buone liffatte proposizioni. Se la premena è caduta, cade la conseguenza. Il trattato è l'ingiustizia, l'Unruht, e la rivendicazione tedesca delle colonie è conforme a giustizia. t assurdo dire che e sfidi :t qualcuno '-hi rivendica un suo diriuo. Questo basta a fare intendere subito che lo 11eritto del Lippmann è da rtsp'ngere in toto. Lo riassumiamo per confutarlo. COMESOROOllOI llVOVI IMPERI m ER CHIARIRE il mio pensiero :t, Lf' Kri"'e il Lippmann·, e ammetterò che i tre grandi stati nazionalisti, Giappone, Germania e halia, si siano impegnati nell'impresa di fondare nuovi imperi: un impero asiatico in Oriente, un impero germanico nell'Europa centrale e orientale, un nuovo impero romano sulle sponde del Mediterraneo e in Africa. Questa è un'ipotesi legittima. t capi di quei tre paesi pro• damano che quc,ta è la loro intenzione. E dimostrano, con quel che fanno, la verità di quel che dicono. e E:. anche vero che i nuo,•i imperi possono c1serc creati 1010 sulle rovine dei vecchi imperi - quelli della Gran Bretagna, della Francia e dell'Olanda - e con la distru• :i.ione di quell'ordine intcrnu.ionale, che si è andato evoJ,.,tndo fra la cadu1a di Bona• parte e l'avvento dei suoi odierni succes10ri. Quel c.he accade in Estremo Oriente ci dimostra che cosa accadrebbe in Europa se i tedeschi e gli italiani riusciuero a rcalizurc le loro ambizioni imperiali. Nessuno pensi che queste loro ambizioni siano fantasia o opera comica: sono altrettanto vere quanto quelle di Giulio Cesare o di Napo. leone Bonaparte, e devono esser prc1e sul scrio quanto quelle. Per la realizzazione degli imperi di Hitler e di Mussolini, la Francia deve esser ricacciata al di là delle sue frontiere e la Gran Bretagna deve es.sere confinata nelle sue isole >. E qui dobbiamo inserire una breve nota. !'\on è vero, non è affatto vero che i · · . , possano sorgert solo iulle rovine dei vecchi imperi. Ptr quanto il mondo sia piccolo, non lo è a tal punto che i popoli giovani e e non abbienti > non pos· sano soddisrare il loro bisogno di terre e di materie prime senza abbattere o depredare gli e abbienti >. Del resto, più che le af. fermaz.ioni• generiche, valgono i fatti. L'J. talia ha fondato un impero senza sottrar~ nulla ai e ,.,cechi imperi >: l'Etiopia non era colonia inglese, né francese, né olan• dcse. 11 Giappont ha costituito un impero senu togliere nulla ai e \et".chi imperi>: il ~anciukuò e la Cina del Nord non erano colonie inglesi, né france.si, né olandesi. Infine la Germania chiede la restituzione delle colonie, che furono sue ; e vuole che siano riconosciuti alcuni diriui alla minoranza tedesca che vive sotto la Cecoslovacchia. Anche se fosse vero che la Germania abbia queste e pretese > e anche se esse venissero interamente soddisfatte, i tre e vecchi imperi > rimarrebbuo intatti. 11 punto di vista del Lippmann sarebbe accettabile solo ammeuendo per vera una premcna implicita nel suo ragionamento: che l'impero inglese sia dovunque sono interessi inglesi; che l'impero francese sia dovunque sono interessi francesi; ccc, Poiché, per quasi un secolo, l'Inghilterra e la Francia sono state le sole nazioni esportatrici di capitali e poiché quasi tulli i paesi hanno fatto ricorso, in pauato, al capitale inglese e francese e, più recentemente, al capitale àmcricano, ne deriverebbe che tutto il mondo sarebbe una immensa co• Ionia inglese, francese e americana. Secondo una sifTatla concezione, l'Etiopia era di pertinenza dell'Inghilterra e, in parte, della Francia. perché gli inglesi avevano ottenuto qualche conceuione mineraria e i francesi ave,.,ano costruito la ferrovia di Gibuti ; la Cina era una colonia inglese perché gli inglesi avc,.,ano investito a Sciangai, a Hong.Kong e altrove alcune centinaia d1 milioni di s1erlinc; e cosl di scguit~ possano giungere, e quanto rapidamente, bile al mondo, perché tutto è stato comprato dal capitale delle democratie ricche. Questa concezione è assurda e antistorica. Da tempo immemorabile infatti il mondo non è stato ma.i di chi lo ha comprato, cd è stato sempre di chi lo ha conquistato. Che, poi, gli Stati totalitari intendano e ricacciare la Francia di là dalle sue frontiere :t e e confinare la Gran Bretagna nelle sue i10)e :, è pura fantasia e il Lippmann sarebbe nella impossibilità di indicare un solo documento a sostegno delle sue ipote• si. (1 passi antifrancesi di Mein K~m~f 10n.o stati soppressi da un pezzo e, qu1nd1, tacitamente rinnegati dall'autore). IL PREZZODELLAPACE Lb A PACE che è esistita in Europa d1d '9:$3 in poi >, continua Lippmann, e~ 1tata comprata con l'abbandono d1 unJ. serie di posizioni franco-britanniche: l'una dopo l'altra. Que,ta spec.ie di pace J>O: trebbe continuare per un certo numero d1 anni, perché la Gran Bretagna e la Francia hanno ancora da perdere: hanno ancora posizioni che pos,ono, l'una dopo l'altra, abbandonare. E, ciò che è più importante, una pace siffatta potrebbe non terminare mai in una grande guerra. Se continuasse abbattanza a lungo, il presti• gio, la potenza e le basi militari dell'influenza inglese e francese nel mondo an• drcbbcro in pezzi, si dissol,.,crebbcro e sarebbero liquidate senza guerra. e Sono interamente con,.,into che proprio queuo sia ciò che Mu110lini e Hitler han• no in mente e che cui, quando parlano della decadenza. delle dcmocru.ie, intcn• dono - e sperano di aver ragione di pen• sarlo - che la Gran Bretagna e la Francia abbiano perduto la volontà di difendere la loro posizione storica nel mondo. Mussolini e Hitler ,pcrano, io credo, di evitare una grande guerra e di rcaliz:zarc le loro ambizioni manovrando con la Fran• cia e la Gran Bretagna fino a ridurle in uno ttato di impotenz.a. e Ed è possibile che Mussolini e Hitler abbiano perfettamente ragione su que,to che è il punto cruciale dell'intera situazione. Perché, mentre la foria potenziale della Gran B1ttagna e della Francia è di gran lunga maggiore di quella della Germania e dell'Italia, i dittatori, mi sembra, hanno ragione di ritenere che una morale guerriera e una organizzazione disciplinata e accentrata ,possano prevalere 1ulla mera ricchezza materiale. < Germania e Italia non hanno grandi riserve, ma hanno una grande potenza di H· .salto, mentre Francia e Gran Btt:tagna han• no grandi riserve, ma que1te riserve non 10no realmente mobilitate e utili. Qualcuno mi ha detto, e, a mio avviso, con grande discernimento, che mentre b. German · ..6 e l'Italia souo nazioni in armi, la Gran Bre1agna e la Francia 10no scmplkemtnte nazioni che honno armi. e La diplomazia italiana e tedesca con• sistc 10pra1tutto nel mettere continuamente a11a prova la volontà della Gran Bretagna e della Francia di fare uso della loro mag• giore forza. In due occasioni decisive, l'affare della Renania e quello dell'Etiopia, Hitler e Mus101ini dimostrarono di a,.,cre a,•uto brillantemente ragione nella loro intuì• zione che la Gran Bretagna e la francia non avrebbero resistito. Poi le hanno meuc nuovamente alla prova in lspagna e nel Mc• ditcrranco. Ed è assai probabile che cni ste11i non abbiano idea di fino a qual punto possano giungere, e quanto rapidamente, nello sfidare le democrazie. e Cosi, senza guerra, i ditta1ori conseguono gli obiettivi di guerra. Ogni loro colpo, che sia coronato da successo, rende. più dif. fieile e più costosa l'eventuale resistenza delle democrazie. Oggi, che la Renania è "militarizzata" meglio di quanto fosse in passato, è diventato più difficile difendere l'Europa centrale. E se il Portogallo. la Spagna nazionalista e le Baleari cadono nell'orbita della potenza italo-tedesca, diventa più difficile la difesa delle posizioni anglofrancesi nel Mediterraneo Questi successi politici bilanceranno, in una misura consi• dtrevole, il ,,a\ore del riarmo inglese e francese>. LIPPMANN 1933 • LIPPMA!IN 1937 ~ ANCHE qui dobbiamo aggiungere L!J un breve commento. L'analisi cht fa il Lippmann della situazione europea, consta di due parti: di constatazioni e di previsioni. Per quel che è previsione, non abhiamo ni<"nte da dire. e possibile che le democrazie resistano, cd è pouibile che non re• sistano. Noi non facciamo mestictt: di pro• feti. Lasciamo, perciò, allo ~crittore anttri• cano la responsabilità delle sue opinioni Ma per quanto ha tratto ai fatti già accaduti, l'interpretazione che ne dà il Lipp· mann è del tulio arbitr.aria E, per confutarla, ci basterà ricordare quel che egli ste»o scriveva qualche anno fa. A paragonare i suoi articoli di qualche anno fa con i nuo\i, si resta stupefatti di constatare come egli sia ahrcuanto mutevole pen~torc, quanto perfetto prosatore. Qualche anno fa, dunque, egli affermava che da quando i trattati di pace erano stati imponi alle nazioni vinte, l'Europa si tra di,·isa in tre campi: i difensori dell'ordine esistente, con a capo la Francia ; i re, ilionisti, con a capo la Germania e, fino a un ceno punto, l'Italia; e il partito della conciliazione, con a capo la Gran Bretagna. E, secondo lui, l'America era e do,·eva l'sscrc ravorevole a una graduale revisione dei trattati. e Una diplomu.ia competente in Europa e negli Stati Uniti deve, con l'aiuto dell'Jtalia, trovare un mez70 per preservare la pnce. Questo meu:o implica necessariamente il riconoscimento eh, una ,euitione delle Jrontiue i nece,saria. 1 difensori dell'ordine di cose tsisten1e non possono conserv3r• lo eternamente intatto. Essi de\'ono sceglie• re fra una graduale e pacifica revisione o una esplosione finale. Poiché un'Europa rigida non può essere un'Europa 1ìcura ... >. Come si vede, Lippmann 1933 riteneva necessaria persino una revisione delle frontiere, e cioè una re,.,ìsionc delle clausole più intangibili dei trattati. Fino a oggi, niente di tutto ciò è stato fatto. La Germania ha ripristinato il 1ervi2io militare. Ha e rimilitarizzato > la Renania. Ma le frontiere non sono state 1occate. Dunque, le dittature hanno fauo e ottenuto molto meno di quello che Lippn1ann nel 1933 riteneva giusto e necessario che ottenessero. Ciò non ostante egli ,•cde oggi nella loro politica una e sfida :t permanente alle democrazie. E che direbbe se le dittature chiedessero oggi quel che egli concedeva nel 193:$: una revisione delle frontiere? La sola conclusione legittima è che Lipp. mann o non capi,.,a la situazione europea nel 1933 o non la capisce o~ai.
~3 El GIORNI SCORSI, a proposito del viaggio di Lord Halifax a B~rl.ino, si è ricordato da _varie parti 1I precedente della missione Haldane. Con quale fondamento? E cosa fu veramente questa famosa missione? L'S febbraio 1912 il ministro della guerra britannico, il colto ed energico Lord Haldane, arrivava quasi segretamente a Berlino per essere ricevuto dall'Impert'ltore Guglielmo 1I in missione confidenziale. Non lo accompagnava l'ambasciatore in- ~lese Sir E. Coschen. L'accompagnavano, invece, due grandi finanzieri, il tedesco Alberto Ballin e l'oriundo tedesco Ernesto Casscl. L'Europa era ancora sotto l'impressione degli avvenimenti di pochi mesi prima. Il 21 luglio del 1911, nel momento culminante della crisi marocchina, la Germania aveva inviato unn nave da guerra ad :\gadir destando l'allarme in tutte le capitali d'Europa. Da quando si era iniziata la corsa agli armamenti la pace non era mai stata cosl gravemente minacciata. Durante quarantott'ore la guerra parve imminentcj ma ogni pericolo si dissipò quando l'Inghilterra si schierò decisamente dalla parte della Francia. Che cosa, adunque, andava a fare a Berlino Lord Haldane fiancheggiato da persone notoriamente care all'Imperatore? Quali fatti nuovi erano intervenuti? Per molti anni siamo rimasti totalmente all'oscuro dei particolari capaci di illuminarci su quello che si può considerare l'episodio diplomatico più saliente del periodo immediatamente precedente la guerra mondiale. Solo negli anni successivi alla guerra si è fatta la luce sulla missione di Lord Haldane. E con quanta fatica e anraverso quale laboriosa opera di ricostruzione. Ci sono volute le pubblicazioni biografiche cd autobiografiche dei pen.cmaggi impegnati in quei negoziati, i ricordi degli uomini di governo dell'epoca, le rivelazioni degli archivi dei governi caduti, dei governi tra.volti dalla guerra e dalla rivoluzione. Decisivo il volume XXXI della oramai celebre raccolta Grout Polit1k dtr Europaischni Kabinelle sui documenti confidenziali concernenti in modo particolare i rapponi fra la Gran Bretagna e la Germania fra il settembre del 19r I e l'ottobre del 1912.. Il ,eto, che alla fine del luglio 1911 i ministri inglesi avevano opposto allo sbarco dei tedeschi al Marocco, aveva grandemente indignato l'Imperatore. E, non meno di lui, gli alti gradi dell'esercito e della marina. Già il 3 agosto l'ammiraglio Tirpitz esigeva, come risposta all'Inghilterra, la costruzione di nuove unità navali. Guglielmo I I non era alieno dall'acccttame 1·1dea. In calce ad un articolo del Timts egli postillava il 31 agosto: "~ sotto la pressione della nostra flotta e nel sentimento dell':mgoscia che gli inglesi verranno ad un'intesa•· E per suo ordine gli ammiragli compilarono un piano • addizionale• alla legge navale del 1900, col quale si mirava al rafforzamento delle squadre della flotta di combattimento mediante una ten:a squadra di cui avrebbero dovuto far parte tre nuove drtadnoughts da costruirsi in sei anni. Queste erano le intenzioni dei militari alle quali Guglielmo I I non mancava di dare il suo assenso. Ma al Cancellierato e nel Corpo diplomatico le opinioni erano del tutto divene. In questi ambienti, si era francamente favorevoli ad andare incontro agli inglesi con offerte di amicizia e di collaborazione invece di minacciarli e di irritarli coi nuovi annamenti navali. Per vari mesi, durante tutto il 1911, si impegnò, intorno all'Imperatore, una lotta serratissima fra gli ammiragli e la Cancelleria. Tirpitz non ristava dall'esercitare ogni genere di pressioni per varare il suo piano addizionale•• mentre Bethmann-Hollweg cercava di guadagnar tempo chiamando in soccorso il ministro delle finanze. Guglielmo I I - come appare, oramai, incontestabile dalla pubblicazione delle sue note segrete - mandava avanti contemporaneamente l'una e l'altra tattica, cercando di conciliare le due opposte correnti, ma senza riuscirvi mai. È quindi facile immaginare l'impressione che gli fece un rapporto segreto inviato da Londra 1'8 gennaio dal barone von Kuhlmann, che reggeva in quei giorni l'ambasciata in assenza del titolare von ~etternich. Il rapporto, assai diffuso e circostanziato, era, fra l'altro, di un'audacia senza precedenti. • Le relazioni fra l'Inghilterra e la Gcnnania sono a un punto critico. Due vie :!IÌ presentano attualmente: la Germania,. senza modificare il suo programma navale, si assicura l'appoggio dell'Inghilterra, degli accomodamenti capaci di garantirle in Africa un avvenire di grande potenza colonialcj oppure, subendo la pressione di una parte della stampa, intensifica il suo programma navale e rovina, così, ogni possibilità di intesa coloniale e generale con l'Jnghilterra. Jn questo caso, si va veno il conflitto annata con le potenze della Triplice Intesa. Si; lo dico francamente, brutalmente: la Germania deve scegliere fra due vie: da una parte la possibilità di una pace onorevole, di una espansione coloniale, di un incremento di ricchezza e di civiltà; dall'altra, il risveglio dell'antico odio, l'appoggio dato ai nostri nemici, la prospettiva di pericoli molto seri •· e Diplomatico di sventura!• commentava l'ammiraglio Tirpitz. E Guglielmo I I dal cant') wo: Ecco un buon allievo del conte Metternich. Colonici Ne abbiamo abbastanza. Se ne voglio ancora, ne comprerò o mc le prenderò senza il permesso dell'Inghilterra. Né il Congo né le colonie portoghesi le appartengono. L'Inghilterra vuol darci quel che non le appartiene, come il Marocco. Il punto capitale è il riavvicinamento politico con l'Inghilterra. Questo in prima linea. Finché non l'abbia raggiunto, non mi occuperò affatto di negoziati coloniali con essa e non cambierò di un apice il mio piano di difesa navale•. Queste furono le prime impressioni. Il proposito di Guglielmo II era ben chiaro: avvicinamento all'Inghilterra senza deflettere di un pollice dall'armamento navale. Ma Guglielmo 11 non si contentava di postillare aspramente il rapporto del suo diplomatico a Londra. Volle confutarlo zioni e tirati fuori dalla politica mondiale. Vuol -iir .. che si vuol risolvere senza di noi, a tre, la fonnidabilc questione asiatica: Triplice intesa, Giappone, America. Se l'Asia è divisa, la nostra esportazione industriale e il nostro commercio subiscono un tracollo per sempre. Saremo costretti a riaprire la porta, che attualmente ci è aperta, con la flotta e con le granate. lo ho edificato tutta la mia politica navale e la mia concentrazione militare in Europa per obbligare gli altri a risolvere la questione asiatica con noi. Per questo appare scomoda la mia politica. Per questo la si vorrebbe disperdere e dissipare in acquisti coloniali. Cosi in Asia, vale a dire nel mondo, noi non avremmo più nulla da d.ire. Ecco perché mi rifiuto di prendere in considerazione queste offerte inglesi. periorità nivale riconosciuta come essenziale alla Inghilterra. Il programma na-, vale tedesco attuale e il suo bilancio non saranno accresciuti: anzi, se possibile, saranno ritardati e ridotti. Secondo: l'Inghilterra non ha nessuna intenzione di ostacolare l'espansione germanica . .Per tra• durre in atto questo proposito è disposta, in seguito, a discutere le aspirazioni della Gennania in questo senso. fiacerebbe all'Inghilterra di conoscere i territori e i punti speciali a proposito dei quali essa potrebbe assecondare la Germania. Terzo: l'Inghilterra accetterebbe volentieri proposte di garanzia reciproca e tali da interdire, a ciascuna delle due Potenze, cli mettersi contro l'altra aderendo a piani ed a combinazioni aggressive•. Alla presentazione preliminare di questi punti fu data una risposta germanica RI EVOOA ZI O!ll 1 1 Uf&cillldella ,. Compapia del 2- Reggime11tc dl P&.11.t.trdiaella Bun Slesia, utl Ou\eUo di 8,J11t,.Olcodd,opo la capitclasione di Parigi (febbraio 1871) personalmente e minutamente con una nota diretta all'ambasciata di Londra, ritrovata negli archivi segreti della Cancelleria berlinese. • Nota al dispaccio di Kuhlmann. La relazione muove da premesse errate. Nell'affare del Marocco l'lnghilterra ha ferito gravemente con le parole e con le azioni il popolo ,germanico e ne ha provocato l'indignazione. Questo stato d'animo si tradurrà in pratica con un piano di rafforzata difesa, cosi per l'esercito come per la flotta. L'lngHilterra lo sa molto bene e sa anche JT1oltobene quale tempesta di scontento ha scatenato in Germania col suo contegno. Il popolo inglese se ne è spaventato, non desidera la guerra ... E il governo inglese cerca oggi di rabbonirci come si cerca di rabbonire un fanciullo dopo le busse. Di qui, tutte le insinuazioni sul dominio coloniale da costituirci in Africa. 11 Alla maniera tipicamente inglese, ci vengono indicati i beni altrui, sui quali l'Inghilterra non ha diritto alcuno. Forse che il Portogallo ha mostrato l'intenzione di volersi spogliare del suo dominio coloniale? Oltre tutto, sarebbe necessaria una quantità rispettabile di milioni che, con tutta probabilità, non sono a nostra disposizione. Per quanto riguarda lo Stato del Congo, la Francia possiede un diritto di prelazione. E non si vede che cc lo voglia concedere. Al contrario, essa è pronta, non appena venga a conoscenza delle nostre idee di accaparramento, ad offrire al Belgio un miliardo - e di miliardi la Francia ne dispone sempre! - per strapparci il Congo di sotto il naso. Sicché, rutto considerato, le pfferte britanniche "'han tutta l'aria di doni achei, che ci porrebbero, in rapporto ai possessori interessati, nella medesima situazione della Francia al Marocco al cospetto della Spagna, e dell'Italia a Tripoli. «•.. Il giuoco dell'Inghilterra è fin troppo chiaro. Purtroppo i miei funzionari non riescono a scoprirlo. Ci capiterà a causa di questo miraggio di impero coloniale in Africa, a causa di acquisti all'altrui danno, di CUCTe trasi::jnati in complica- • Nell'autunno scorso, col mio espresso consenso, il Cancelliere ha posto il principio che, prima di qualsiasi convenzione particolare, occorre un trattato di natura politica con l'lnghi1terra, vale a dire il riconoscimento, su un piede di perfetta uguaglianza, della nostra potenza e della nostra politica. E non basta: occorrerà anche fissare la nostra politica mondiale su linee generali e vie parallele. Sembra che l'Inghilterra non lo voglia. Sembra che essa miri piuttosto a satollarci di briciole coloniali per sbarazzarsi di noi nel mondo ed eventualmente agire più tardi contro di noi. Di qui, le sue proposte frivole. Se Kuhlmann sogna un grande impero coloniale tedesco in Africa e trascura il modo di simile instaurazione, la nostra insufficienza finanziaria e l'impreparazione dei nostri funzionari a tali 'ltraprese, farebbe molto meglio a mettere un po' il naso nella storia delle guerre marittime. Imparerà, allora, che per essere grandi potenze coloniali occorre una grande potenza navale. Senza questa, la potenza coloniale è un nonsenso. Lo mo. stra molto bene la storia della Spagna. Era una grande potenza coloniale che non capi l'importanza d'una grande flotta. Perdette cosi il suo Impero, e l'ultima fase del suo tramonto fu Santiago di Cuba. Non si hanno grandi colonie senza una forte floua. Per il dominio coloniale che ci si offre, io dovrei innanzi tutto reclamare il doppio dell'attuale progetto navale, apprestare grandi porti di guerra e stazioni. Concludo: il progetto di difesa rimane, senza alcun riguardo a tali sogni •. Tirpitz vinceva. Sembrò così fosse, un istante. Ma 1'8 febbraio Lord llald3ne arrivava da Londra. Tirpitz annotava melanconicamente: • Un ministro straniero viene alla ris~sa •. t Furono le sollccitaziom del gruppo anglo-tedesco, fonnato da Ballin e da Casse!, che favorirono, con l'appoggio della Cancelleria, l'incontro. Esso era stato preceduto dallo studio dei punti che sarebbero stati sottoposti ali' Imperatore. Una nota archiviata nella Cancelleria germanica ce li ha conservati. Erano tre: • Primo: sudi spirito ben diverso. Eccone il testo: • li Governo tedesco accoglie con piacere l'iniziativa del Governo inglese per un riavvicinament .. vòlto a migliorare le relazioni fra i due paesi. Il Governo germanico accetta I tenllini proposti da Sir Ernesto Casse! con una sola riserva: e cioè che la situazione dell'anno 1912 sia inclusa, nel presente programma navale, nella misura stessa in cui i provvedimenti sono già stati definiti. Il mezzo più effi. cacc di portare avanti rapidamente il negoziato sarebbe che Sir Edoardo Grey volesse subito far visita a S. M. Imperiale, che lo saluterebbe con molta gioia •. Fu straordinariamente difficile, per il Ballin e per il Casse!, eliminare l'ostacolo che la pertinacia dell'Imperatore, nel programma di aumento della flotta, poneva all'incontro fra i rappresentanti della politica inglese e S. M. Imperiale. ,L'ostinazione di Guglielmo 11 fini per aver ragione delle esitazioni britanniche. Solo che a Berlino, invece di Sir E. Grcy, andò Lord Haldane. Sir E. Grey si dedicò - e non ru cosa facile - a calmare le apprensioni degli ambasciatori di Francia e di Russia. Il 9 febbraio 1912 Lord Haldane fu alla presenza di Guglielmo 11, che aveva riunito intorno a sé l'ammiraglio Tirpitz e il Cancelliere. Le discussioni furono laboriose. Fu solo l'intervento imperiale che determinò l'accordo. Abbiamo, in proposito, come preziosa testimonianza diretta, due lettere scritte nel medesimo giorno da Guglielmo l I, l'una al Cancelliere, l'altra al Ballin. Al Cancelliere Guglielmo Il scriveva: • La dura seduta è conchiusa e veramente bene. Nonostante tutte le buone intenzioni e precauzioni si è venuto a parlare, naturalmente, della misura delle due Potenze 2 a 3, e di quel che non si poteva veramente promettere. lo mi sono permesso di proporre la base seguente che è stata accettata da tutte le parti. Nulla si dirà, nella convenzipnc da stipulare, delle forze navali, e della misura rispettiva loro, e delle costruzioni. Non appena la convenzione che deve essere puramente politica sarà pubblicata, io farò dichiarare da Tirpitz, presentando il progetto relativo alla convenzione, che si desidera la terza squadra, ma che per non vulnerare l'effetto benefico della convenzione stessa, la prima nave sarà varata solamente nel 1913, e le due altre ad intervallo nel 1916 e nel 1919. Haldane è d'accordo, Tirpitz pure. L'Inghilterra procederà in misura corrispondente alla diminuzione delle sue costruzioni. Ecco come io conservo integrale la mia posizione in rapporto alle costruzioni navali e al mio popolo. Haldanc desidera di sapere quando vorrete stendere il progetto di convenzione•. A Ballin Guglielmo 11 scriveva con altrettanta aria soddisfatta: , lo ho spinto abbastanza lungi le concessioni, ma siamo all'epilogo. Haldane si è mostrato gentile e ragionevole. Si è reso perfettamente conto della mia posizione di ammiraglio supremo, come di quella di Tirpitz davanti al Reichstag, quando si tratterà della nuova legge navale. Credo di aver fatto tutto quello che era in mio potere. Ho assolto il mio compito ... Assolvete ora voi il vostro•· Dopo di che continuarono attivissime le discussioni fra Haldane e gli uffici della Wilhelmstrasse. Abbastanza facile fu l'accordo sulla neutralità • benevola•, in caso di guerra in cui non fosse facile riconoscere l'aggressore. Dibattuta la questione navale - era il gran punto, - Lord Haldane accettò il principio della costruzione di una terza squadra da parte della Germania. Ma avrebbe gradito poter dichiarare al Gabinetto di Londra che la Gcnnania si ! impegnava a non costruire corazzate durante un periodo di tre anni. Dov.c, invee.e, Lord Haldane mostrò la massima I larghezza fu in materia coloniale. Ecco il piano: divisione delle colonie portoghe1 si, Angola ai tedeschi, Timor agli inglesij concorso inglese per acquisti nel Congo 1 belgai incoraggiamento alla costruzione di una ferrovia tedesca dal Katanga alla Rhodesia del Nord; cessione di Zanzibar e di Pemba in cambio di concessioni all'Inghilterra nella impresa della ferrovia di Bagdad, con esclusione assoluta di qualsiasi partecipazione russa o francese. L'accoglienza inglese ai risultati della miss'ione Haldane fu, in complesso, favorevole. Ma quam1o gLi organi competenti, specialmente l'Ammiragliato, si posero a esaminare il progetto d'armamento comunicato da Guglielmo II ad Haldane, le resistenze cominciarono. Il 20 man:o, l'Ammiragliato dichiarava impossibile che nel ,suo insieme i) programma tedesco mettesse i quattro quinti della flotta gcnnanica su pcnnanente piede di guerra. Guglielmo 11 ne fu fieramente irritato e rivcrsb la sua collera sull'ambasciatore tedesco a Londra. Il dispaccio del 24 febbraio 1912, col quale l'ambasciatore Metternich comunicava l'indietreggiamento del Gabinetto inglese, er'a dall'Imperatore così postillato: e Se l'ambasciatore avesse avuto una chiara nozione del suo ufficio, avrebbe dovuto dire a Sir E. Grey, fin da otto giorni, che la progettata risposta del Gabineno rappresentava la sconfessione piena dei negoziati svolti fra Lord Haldane e S. M. e che, pertanto, egli si rifiutava a qualsiasi prolungamento della conversazione. L'ambasciatore era a Londra per trattare un accordo politico, e non solamente il programma navale. Limitarsi a questo, significava consentire un'ingerenza indebita nella sìstemazione di affari che competono esclusivamente alla Germania. Era, oltre tutto, un'ingerenza vera e propria nei poteri del Sovrano, arbitro della guerra•. Le trattative successive inasprirono sempre più Guglielmo 11. A un mese di distanza, egli scriveva amareggiatissimo queste parole: • Si sta completamente ab• bandonando la base del 9 febbraio, la base stabilita d'accordo con Lord Haldane •. I punti d1 vista erano completamente antitetici. L'Ammiragliato inglese discuteva il programma di Tirpitz, mentre il Foreign Offict si sottraeva a qualsiasi discussione della convenzione politica preparata a Berlino. Berlino, invece, e Guglielmo 11 tenevano a questa soprattutto. Come uscire da questa paradossale e irresolubile situazione? li 29 febbraio, Lord Haldane aveva una conversazione confidenziale con Metternich. Nel corso di essa, Haldane si scusò di non aver potuto, non essendo uomo del mestiere, prevedere le obiezioni che l'Ammiragliato sollevava al programma navale tedesco, e, in grande segreto, confidava a Metternich le misure che Londra preparava in risposta al piano navale tedesco: precisamente, una più fone concentrazione della flotta nei mari inglesi, mercè il richiamo di unità di squadra dal Mediterraneo. Quando Guglielmo I I, il 4 ma rio, seppe questo, la sua collera non conobbe limiti. Postillava: • La concentrazione delle squadre inglesi vale la mobilitazione. Oe\'e essere considerata come una tale minaccia da rendere impossibile, oramai, qualsiasi trattativa di convenzione. Simili dilazioni debbono cessare. Ho deciso di dichiarare a Londra a Metternich e, attraverso lui, ad Haldane, che il richiamo della flotta dal Mediterraneo nel Mare del Nord sarà considerato da noi come un cams btlli. Noi risponderemo riprendendo in pieno il primo progetto di aumento della forza navale e con la mobilitazione•· E telegrafava poi al Cancelliere: • Si mandi senz'altro il Mtmortmdum. La sera del medesimo giorno, 6 marzo, noi pubblicheremo il programma della nostra difesa mariuima, e, se voi non lo farete, darò l'ordine al ministro della Guerra e al segretario di Stato della Marina di pubblicarlo loro. La mia pazienza e quella del mio popolo sono al loro Limite massimo•. Alla mattina del 7, il Cancelliere minacciava le sue dimissioni con queste parole: , Se si rompe con l'Inghilterra saremo automaticamente alla guerra. Se noi siamo trascinati alla guC'rra, vinceremo; ma provocare una guerra senza che il nostro onore o i nostri interessi vitali siano toccati, sarebbe ai miei oc,.hi un vero crimine contro i destini della Germania ... • Altrettanto facevano Tirpitz e Kidcrlen. Gli argomenti del Cancelliere calmarono l'Imperatore. La crisi si chiudeva due giorni dopo, mercè un nuovo intcn•ento del confidente imperiale Alberto Ilallin, che si offriva a un nuovo tentativo presso il Governo inglese attraverso Casse!. La diplomazia non ufficiale, ma ufficiosa, di Ballin e di Casse!, doveva rappresentare l'epilogo della missione Haldane come ne aveva rappresentato il prologo: epilogo non meno sfortunato del prologo. Le pressioni dei potenti intermediari riuscivano, in un primo momento, il 14 marzo, a indurre Sir E. Grey a discutere le condizioni del riavvicinamento politico con la Gennania. Evidentemente il Gabinetto britannico desiderava molto questo riavvicinamento, non fosse altro per impedire a Guglielmo Il di rinviare il suo Cancelliere e di darsi senz'altro all'ammiraglio Tirpitz. Guglielmo I I avvertì la ragione recondita dell'apparente condiscendenza britannica. E se ne indignò. In un messaggio al Cancelliere diceva esplicitamente: • Vuol dire aUora che non c'è fiducia in me. Durante tutto il corso della mia vita, non ho mai sentito parlare di una convenzione con un uomo di Stato indipendentemente dal suo sovrano. Bisogna ricavarne che Sir E. Grey non sa chi è qui il padrone, e che sono io che regno. Mi vuol dunque prescrivere di avere un ministro piuttosto che un altro, nel caso che l'Inghilterra debba conchiudcre una convenzione con mc •. Eravamo di nuovo ad un angolo morto, e questa volta in maniera definitiva. A pochi giomi di distanza dalla condiscendenza dtl 14 mano, Sir E. Grcy si decideva a trasmettere alla Germania una risposta motivata.- Egli dichiarava di non aver mai considerata la missione di Lord Haldane che come un sopraluogo ad referendum. Soggiungeva che Lord Haldanc non aveva avuto né il tempo né il modo di esaminare la questione navale, e che i negoziati relativi alle concessioni coloniali presupponevano un attento esame. Soprattutto, discutendo una formula di neutralità, egli, Sir E. Grey, aveva considerato l'immensa difficoltà che sarebbe risultata per i due paesi da una formula incondizionata e senza riserva. Con tu~ probabilità, la risposta britannica non sorprese Guglielmo 1I. Ma questo non impedl che lo scacco provocasse in lui un vivo senso di dispetto. Lo prova la diatriba violenta con la quale 'postillò la lettera del suo ambasciatore a Londra il 21 marzo 1912. • Haldane è venuto come negoziatore e, come tale, incaricato di stabilire una base per ulteriori negoziati, Questa base era stata trovata. Ed ecco, invece, che tutto è di nuovo in alto mare, e che Haldane è sconfessato. Il documento britannico vuole mascherare una ritirata deplorevole. Si sono vergognosamente burlati di noi, e noi abbiamo preso sul scrio queste profferte e questi discorsi. fino a vincolarci! Avevo bene indovinato la cosa. Ma la mia diplomazia, contro la mia volontà, è stata di altro parere, prendendo tutto quel che veniva da Londra come oro colato! Nell'esercizio dei miei doveri e diritti, come fmperatorc e arLitro supremo della guerra, nella condotta della difesa e della protezione del · mio popolo, questa diplomazia non ha mai cessato di sollevare ostacoli sul mio cammino, nella ingannevole illusione di stipulare un accordo. La ripartizione di un impero coloniale in Africa l'ha accecata e la conseguenza è! stata questa: molto tempo prezioso perduto, lavoro senza fine, e un rancore come conclusione. lo spero che la mia diplomazia imparerà la lezione. Dovrà, in a,·venire, obbedire di più al suo signore, arbitro supremo della guerra, ai suoi ordini e ai suoi desideri, specialmente quando si tratta di negoziare con l'Inghilterra. Essa non capisce arcora niente al riguardo. lo si, che conosco l'Inghilterra!•· In quegli stessi giorni, Poincaré faceva un passo a Londra.• Noi non domandiamo affatto all'Inghilterra di alienare in nostro favore la sua libertà d'azionej ma riteniamo di non pretendere troppo se le chiediamo di non volerla alienare a nostro danno•. La risposta di Sir E. Crey fu evasiva. Ma quella di Sir Arthur Ni~ cholson, segretario permanente al Fortign Offiu a Fleurieau, collaboratore dell'ambasciatore francese Cambon, fu d1 gran lunga più rassicurante. • Si continuano le convcnazioni per scrupolo di coscienza; ma, con tutta probabilità, non si verrà a capo di nulla •. Come rappresaglia alla mancata conclusione degli accordi, la legge navale tedesca era presentata al Reichstag il 22 aprile 1912, e votata il 3 maggio successivo. Wiston Churchill rispose, dal canto suo, trasponando tutta la flotta inglese di battaglia nel mare del Nord, e accordandosi con la Francia perché questa concentrasse nel Mediterraneo tutto il suo naviglio di alto tonnellaggio. Quando, il 14 agosto 1914, BethmannHollweg s'inalberò così violentemente contro l'ambasciatore inglese e contro gli inglesi, oramai decisi alla guerra, egli poti:: aggiungere, a sua scusante, la violenta delusione di • veder crollare, a somiglianza di un castello di carta, una politica di avvicinamento anglo-germanico, alla quale aveva mirato fino dal suo avvento al potere•. GUIDO ZORZI
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