Omnibus - anno I - n. 35 - 27 novembre 1937

DIFFERENZA del cinematografo, dc1 quale una mezz..1 doz-LinaJ almeno, di paesi rivendicano la scoperta, la fotografia si presenta davanti alla storia con uno stato civile ben definito. Essa f~ rivelata al pubblico nel 1839 mediante una comunicazione fatta all' Accademia delle Scienze di Parigi dal tisico Arago, col quale uno dei due autori della invenzione, Louis Jacques Dagucrrc, si era messo in relazione· ma praticamente era pronta fin dal ;837. Qucll':mn~ le ptime fotografie, chf.' non s1 chin.mavano ancora così, uscivano dallo studio di Dagucrre che vi lavorava da anni nel segreto del suo laboratorio parigino, in collaborazione con un ~x-ufficialc di artiglieria, Nicéphorc N1cpce. Per la verità questi due ~~n:iini, ~iepce e Dagucrre, avevano tnLZ1atociascuno per proprio conto e senza conoscersi parallele ricerche suJla possibilità di fissare meccanicamente le immagini. Venuto a conoscenza che un altro lavorava a risolvere lo stes:>0 problema, Daguerre si mise in corr.ispondenza con Niepce, e nel 18,zg tutti e due st.ibilirono di unificare i loro esperimenti, firmando nel dicembre di quell'anno un contratto, in virtù del quale si impegnavano a condividere la gloria e gli utili dell'invenzione. Praticamente, il solo a beneficiare dell'immensa popolarità che accolse al suo apparire la fotografia fu Daguerre, che era rimasto l'unico depositario dell'invenzione, essendo il suo collaboratore morto nel 1837, di una congestione cerebrale, povero e oscuro, dopo aver liquidato metà della sua fortuna nelle ricerche intraprese in quegli anni. La pubblicazione postuma del carteggio di Niepce col fratello, inventore anche lui, con l'ottico che gli forniva le lenti, e con lo stesso Daguerre, permette oramai di stabilire chiaramente che la priorità dell'invenzione spetta a Niepce e che Daguerre non fece che perfezionare i procedimenti impiegati dal Niepce. Quando il Daguerre scrisse a Niepce, che s\ era fissato in un suo piccolo fondo rustico sulle rive de11a Saòne, per chiedergli qualche informazione sugli esperimenti che andava facendo, quest'ultimo aveva già inventato la camera oscura, tanto è vero che, recatosi in Inghilterra per visitarvi il fratello infermo, egli ne aveva comunicato le prove a un membro della Reale Accademia di Scienze che gliene aveva fatto richiesta con l'intenzione di presentarle ai colleghi. Esse gli furono poi restituite, es.5endosiNiepce rifiutato di rivelare il procedimento impiegato. Dopo la sua morte il contratto firmato nel 1829 con Daguerre venne redatto sotto una nuova forma che dava a quest'ultimo, in riconoscimento dei perfezionamenti da lui apportati all'apparecchio di Niepcc, una parte di capitale importanza nell'invenzione e il diritto di battezzarla col suo nome. Ecco perché le prime fotografie si chiamarono dagherrotipi. f::. la storia dolorosa e inevitabile di ogni nuova scoperta. Nel caso della fotografia tutto il merito di Daguerrc si riduceva al fatto di aver perfezionato il processo relativo allo sviluppo delle impressioni mediante l'uso di un nuovo preparato che semplificava la posa; ma senza apportare alcuna modifica sostanziale all'invenzione. Qualche mese dopo la comunicazione di Arago il Governo francese, su consiglio dello stesso Arago, acquista• va il brevetto della fotografia e lo rendeva di pubblico dominio compensando Daguerre con una pensione vitalizia di seimila franchi all'anno: quattromila per l'invenzione e duemila per /gli ulteriori perfezionamenti. Inoltre si riserbava il diritto su tutto ciò che egli avrebbe fatto per perfezionare l'apparecchio fotografico, e lo creava commendatore della Lcgion d'Onore. Altri quattromila franchi all'anno erano destinati al capitano della guardia Niepcc de Saint-Victor, cugino del collaboratore di Daguerre e inventore della negativa su lastra di vetro, per ricompensarlo di aver fatto fare un passo avanti alla fotografia con questa scoperta. La foto~rafia trionfava su tutta la linea, senza incontrare la minima resistenza. Forte della pensione che gli passava il Governo e tutto soddisfatto della Legion d'Onore che gli brillava sulla redingote, Daguerre si ritirò nel suo laboratorio parigino accarezzando il sogno di passare alla posterità come l'autore di una delle scoperte più mirabili dell'epoca. Déi perfezionamenti previsti e sollecitati dallo Stato, neppure l'ombra. La fotografia, tranne aggiunte di carattere accessorio, riposa ancora sulla base della camera oscura inventata da • 'iepce. Nei dodici anni che gli rimasero da vivere Oaguerrc scrisse una o due paginette sul modo di adoperare l'apparecchio. Fu tutto. Il suo nome non durò, come egli si era illuso. Di esso non rimane oggidì che l'eco impersonale e remota nei \ersi di qualche poeta, simbolo d'un'epoca in cui anche la fotografia appare circonfusa di quell'alone poetico che la nostalgia degli uomini d'oggi presta a tutto ciò che fa parte di quel tempo tramontato, stupido e gentile. Interminabili sedute nei gabinetti fotografici dell'epoca, in~ombri come NAPOLEONE Ili (PARIGI 1869) granai, dove le signore in crinolina si introducevano furtivamente e col cuore in tumulto fiutando quel non so che di equivoco che si mescolava alla novità della cosa. Il fotografo, colle guance carnose affondate in una barlJa corta e rossiccia, le aggiustava davanti all'obiettivo. Poi le pregava di star ferme, poi di sorridere; e finalmente apriva il cannocchiale dell'apparecchio. Oh! essere guardate da quell'occhio fisso e nero. Almeno i pittori ne avevano due, e non erano così insistenti. Nonostante la facilità e la rapidità del suo trionfo la fotografia non fu accolta dappertutto con lo stesso entusiasmo. E, soprattutto, non apparve agli occhi dei contemporanei quel qapolavoro di grazia e di ingenua JX)Csia che strappa lagrime di rimpianto a un uomo dei nostri giorni allorché osserva un dagherrotipo. I suoi primi passi in società furono sopraffatti dal clamore di una quantità dj p0lemiche e di discussi9ni, provocate, in gran parte, dalla pretesa dei fotografi a considerarsi come i bccchinj della pittura. Oggi una discussione di questo genere basterebbe a far giudicare chi vi partecipasse un cretino, ma nell'ingenuo e precipitoso entusiasmo dei primi tempi, delle persone che erano lontanissi• me dal giudicarsi come taJi, vi si appassionavano nei ~lotti e sui giornali. Si discuteva seriamente se l'invenzione e l'uso crescente della fot0grafia fos• sero o no suscettibili di soppiantare la pittura . .f:. la stessa discussione che scoppiò più tardi, quando nacque il cinematografo, a proposito del teatro. Si è visto, dopo, come un pittore così poco fotografico come Degas, non esitasse a sezvirsi di riproduzioni foto• grafiche per lo studio dei suoi quadri di danzatrici o di corse ippiche, a titolo di documentazione materiale e senza ritenersi per questo fatto offeso nella sua dignità di artista. Ah ! se le persone che al tempo dei primi esperimenti fotografici si facevano sostenitrici di questa tesi avessero potuto prevedere che il secolo della fotografia sarebbe stato quello in cui la Francia vide germogliare la più gloriosa scuola di pittura ·dei tempi moderni, l'impressio• nismo. Ma le cose stavano allora in altri termini. In un clamoroso processo dell'e• poca fu di capitale importanza una di• chiarazionc scritta di Lamartine nella quale il poeta di Graàe/Ja affermava che la fotografia era un mezw di riproduzione meccanica della realtà. Al fotografo fu negato il diritto di richiamarsi, come egli pretendeva, alla legge francese sul diritto d'autore . .\ila poco dopo Lamartine rivedeva il suo giudizio: « La fotografia è il fotografo:., egli diceva. Negli stessi anai Nadar, il più grande fotografo del secolo, tra• scinava il fratello in tribunale sotto l'accusa di essersi appropriato del suo nome, o per essere più precisi, del suo pseudonimo, intestando un nuovo gabinctto"fotografico a Parigi. Ciò significava il riconoscimento del merito, dove c'era, dovuto all'intervento del fotografo. Nello stesso tempo diventò chiaro• che la fotografia non soltanto non era in grado di fare la concorrenza alla pittura, ma che, al contrario, le rendeva un immenso servigio distogliendo i peggiori artisti dall'arte e IPPOLITO BAYABD (PARIGI 1860) tDIIIBUR00 1863 indirizzandoli verso l'attività commerciale. Essa anticii,ava la grande parola d'ordine di Degas: « Bisogna scorag• giare le arti ;t. t singolare la circostanza che i primi fotografi furdno tutti o quasi degli artisti. Daguerrc era scenografo, Salomon scultore, Nadar fu uno dei principali collaboratori di Charivari. Lo stesso Niepce fu spinto a intraprendere le ricerche che poi lo portarono all'invenzione della camera oscura, da lui battezzata col nome di eliografia, dal desiderio di perfezionare la litografia scoperta dieci anni avanti in Gcnnania. Egli infatti si proponeva di sostituire il Japis litografico con l'azione della luce solare. Quando l'invenzione della fotografia cominciò a diffondersi numerosi studi di pittori tirarono rapidamente le tende sui lucernari e si trasformarono in gabinetti fotografici. t forse questa la ragione per cui col tempo ogni più modesto fotografo aspirò alla qualifica di artista. Tuttora, tanto a Parigi c'he a Roma, non c'è scalcinato galoppino di studio elfo non cerchi di distinguersi dall'esercito anonimo dei colleghi che esercitano la professione a scopo commerciale facendosi stampare quella parola sul biglietto di visita, accanto al nome. Si tratta, evidentemente, di un ultimo barlume di quell'ingenua albagia che distinse i primi cultori dell'arte e che trasferitasi sul piano della tecnica, con i perfezionamenti subiti dall'apparecchio fotografico negli ultimi tempi, ha continuato a mantenere in piedi la superstizione sulla natura arti~tica e divina della fotografia. Si deve ad essa ed al fatto che nel petto di ogni fotografo batteva LIVORNO 1869 il cuore di un artista defunto, l'origine del ritocco, punto di partenza di quella che poi è stata la storia vera e propria della fotografia. In origine il ritocco fu una necessità imposta al fotografo dal bisogno di rimediare alle imperfezioni dell'apparecchio. Insoddisfatto dei risultati, egli si curvava sulla lastra tremolante di gelatina e raddrizzava colle sue mani armate di pennello il faticoso parto della camera oscura. Poi, col tempo, il ritocco diventò un accorgimento estetico. Il fotografo vi intravide un mezzo per imprimere ai prodotti del suo laboratorio il segno personale della creazione. E il buon borghese correva da lui per chiedergli un naso più diritto, una b0<1ca che non fosse storta, una fronte senza rughe, un occhio. senza zampe di gallina. E il fotografo, con la semplicità degli antichi re di Francia che guarivano, toccandoli, i sudditi, operava, aggiustava, detergeva, arrotondava. Valendosi di un po' di biacca sciolta in una tazza e di una cartina di nerof umo egli faceva dei veri miracoli i e forniva, nel suo campo, ancora una prova della perfettibilità umana, anima di tutte le credenze borghesi dell'Ottocento. L'uomo non è soltanto fondamentalmente buono, ma è anche fondamentalmente bello. Uno storico recente trova che la fotografia corrisponde esattamente alla filosofia positiva, sulla quale giurava la borghesia intellettuale del secolo scor::io, e alla letteratura di Taine. Quando fu inventata la negativa su vetro che rese possibile la riproduZione in serie dei ritratti, la fotografia prese un nuovo slancio. Il treppiedi allungò il suo unico occhio in cerca di nuovi orizzonti· e sorsero i primi fondali di cartone dipinto, con scprci di parch~ gotici e cicli carichi di. n.uvole su. cui soffiava un vento sccspmano e vittorughiano: il gran vento dell'epoca ro• mantica. La fotografia ha sempre avuto una tendenza naturale a correre dietro ai tempi. Con le sue tre gambe lunghissime ma inarticolabili, essa compì dei mir;coli di agilità. Il gusto dei tempi era quello delle cineserie in materia d'arredamento e dcli'« lcriture artisl~ » per la letteratura. E la fot03'I"afia mostrò di avere non soltanto le gambe ma anche la scatola cranica e uno stomaco di struzw. Lo stile Liberty ci regalò il formato Margherita col nome del fotografo e il suo indirizzo impressi a lettere d'oro .sul rovesc~o d~,I cartoncino: che fu, io credo, 11 p1u celebre della lunga serie di formati chc. si susseguirono, secondo l'epoca e il gusto del momento, fino alla clamorosa scoperta della fotografia a colori nella quale culminò l'epoca della fotografia a:-tistica. La fotografia si mise a gareg• giare placidamente con la pittura. La negativa diventò un campo di battaglia per il fotografo che ~i c~mpiv~ le sue esperienze armato d1 lapis e d, pennelli. Si colorò, si confuse col pastello; caddero i fondali di cartone con parchi e castelli gotici, e il gabinetto fotografico tornò ad es.sere quello che era alle origini: uno studio di pittore, dopo di essere stato l'antro di un alchimista. Anche l'aspetto ester..iore del fotografo cambiò. Egli fu visto in giro vestito come un pittore di Murger, con un cappello a larghe falde e la cravatta alla La Vallière; e come i pittori si mise a soffrire la fame e il freddo, firmava nervosamente le negative e si lasciava annunziare sulla porta dello studio da grandi scritte dove la parola arte corre invariabilmente accoppiata a quella di fotografia. Il gabinetto è diventato studio. Studio fotografico. Studio d'arte fotografica. Studio di fotografia artistica. L'arte fotografica, ecc. Non si capisce che bisogno avessero i fotografi di studiare tanto per fare dei ritratti formato tessera. Ma essi studiavano. Fortuna che la fotografia artistica tramontò ben presto, altrimenti c'è da credere che sarebbe~ ro diventati delle arche di scienza. Una grande rivoluzione l'arte della fotografia l'ha compiuta sotto l'influenza del cinematografo. Essa. è in gran parte una conseguenza dell'impiego dell'apparechio di ripresa a scopo scientifico. Dopo di aver errato lungamente tra le esperienze più varie e disastrose, dal e flou » al e photomontage », la fotografia (verist~ in Francia, spett:-ale in Germania, realista in All'"'- rica) è finalmente sboccata in questa specie di naturalismo dove tutti gli elementi, dalla figura al paesaggio, concorrono in egual misura a creare quell'atmosfera di meraviglia che è la caratteristica della moderna fotografia. Si intende che restano fuori da questa rapida rassegna i tentativi della fotografia cosiddetta d'eccezione: le tavole di Man Ray, le sovrapposizioni e com• posizioni surrealiste, ccc., e la fotografia strettamente scientifica che, pur avendo esercitato un'inffuenza decisi~ va sull'orientamento della fotografia verso le sue forme attuali, non rientra che di straforo nella storia vera e propria di quest'arte. Non dimentichiamo, tuttavia, che è stato l'impiego dell'obiettivo come strumento d'os• servazione scientifica a staccare la fotografia dal grossolano verismo in auge negli studi, rivelandole tutto un mondo inesplorato di incanti naturali e di magiche· emozioni. Oggi, com'è natu• raie, si tenta di reagire all'enorme abuso di e realismo magico » fatto dalla fotografia, e qualcuno, qua e là, pr('annuncia una rivalutazione del soggetto come pu._ntodi partenza per l'impostazione di una tecnica più severa. "f::. ciò che, in sostanza, vogliono dire le composizioni astratte di Man Ray e il rinnovato intl'ressc per il ritratto che si nota presso certi fotografi d'avang~ardia : un ritorno al classico, se così ci è permesso di esprimerci. Ritorno impossibile, poiché, come ogni mezzo di espressione, anche la fotografia ha avuto un suo momento, che non si rinno• verà mai più, di splendore : passato il quale è cominciata, mascherata sotto le forme più brillanti, la penosa e inarrestabile corsa verso la decadenza. Questo momento cadde pochi anni dopo che l'apparecchio fotografico era entrato nell'uso. Allora l'apparecchio era vemmente un mezzo d'espressione, ancora imperfetto, ma completo e maturo. Esso non aspettava che l'uomo di r genio per rivelare tutta la sua potenza. Quest'uomo fu Jean Baptiste Tournachon, detto Nadar. La sua galleria di ritratti scelti tra gli uornini più in vista della generazione cresciuta tra l'esplosione romantica del 1830 e la caduta del Second.o Impero: Baudclaire, Courbet, Delacroix, Victor Hugo, Napoleone I II, ecc., contiene i pezzi classici della fotografia, i monumenti del suo periodo omerico. Nella clamorosa e CO• mica battae:lia che mise di fronte il ca• valletto del pittore e il treppiedi del fotografo, Nadar fu il solo avversario davanti al quale gli arùsti dell'epoca si levassero il cappello. Daumier lo raffigurò dentro la--navicella di un pallone (Nadar fu anche un intrepido aeronauta) con la sua macchina. La dicitura della vignetta diceva: « Nadar che solleva la Fotografia all'altezza dell'Arte•· CARLO DADDI

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