CELLULOIDE Il Colonnello McLaglen ~fl UTTE le grandi ditte di Holly- ~· wood hanno alle loro dipendenze una squadra politica : es- ~ ha il compito, non di fare la politica, ma al contrario di tenerla lontana da~li studi. I produttori non vogliono noie, non, vogliono che i giornali, semp~e alla ricerca del pelo nell'uovo, trovmo ~rgomenti di polemiche partigiane net loro film; non vogliono insomma che si parli di un loro film come di un discorso del senatore Borah o di Lloyd George. L'ideale sarebbe anzi che nemmeno gli attori s'immischiassero di politica. Ma questo non sempre è possibile e quando l'attore è una persona esuberante e loquace come Vietor McLaglen, allora il compito della sq~adra politica per frenarne gli sfoghi e le recriminazioni diventa veramente arduo. Victor McLaglen ha una debolezza: i soldati. C'è chi spende il suo dcna~ con le donne, chi lo spende per collezionare monete, o francobo!Ji, o porcellane antiche; McLaglen lo s~:i~c per_ i soldati. Egli mantiene una mthz1a pnvata, di cui è Colonnello una delle due o tre milizie private su~ pers!iti _in tutti gli Stati Uniti; una specie _direparto _diCavalleria leggera, conosciuta sotto il nome di « California Light Horse ». Ma oltre a questo ~parto (una ventina di cavalleggeri in tutto) egli mantiene anche un battaglione di fanteria (non supereranno la quindicina) e persino un reparto di motociclisti. Questa modesta armata ha tuttavia dato terribilmente sui nervi alla stam-' pa democratica e socialisteggiante che accusa l'attore di aver buttato il germe di un movimento fascista nel West. E l'altro giorno la squadra politica del!a. ditta per . la quale egli lavora, arrivo appena in tempo a strapparlo dalle grinfie di un giornalista, il quale, dopo averlo fatto imbestialire stava annotando ciò che ~lcLaglen di: ceva, n~ll'ira : « Sì, amo la disciplina; e C9Jl ciò? C'è qualcosa nella disciplina - non so dirvi che cosa, ma c'è, - qualcosa di eccitante e di corroborante. La mia armata è rivoluzionaria? Magari. Quante cose ci sarebbero da cambiare in questo mondo ... Voi dite che lo faccio per l'amore della divisa e dei gradi. Ebbene, non esiste un militarista più modesto di me. Citatemi se potete, un solo film in cui io abbia un grado superiore a quello di ser- _.,cnte», e il giornalista fu costretto a dare atto. Lu bi tsch e la bellezza Ernst Lubitsch è uno degli uomini più amabili e inteUigenti del mondo della pellicola fiJmata. Le cose che egli fa, quelle che egli dice, quelle che egli non dice, ma che fa capire, sono fra le più semplici, le più persuasive e le più spiritose che si facciano, dicano e non dicano sul cinema. Ecco alcune sue considerazioni sui rapporti fra la venustà delle attrici e lo schermo, che non potrebbero essere più esatte e neJlo ~tesso tempo più galanti : « A prescindere dalla maggiore o minore bravura di un'attrice, io non dirigerò mai una stella che non sia bella, e posso aggiungere che mai nei miei ventidue anni di carriera cinematografica ho volontariamente diretto una attrice che, a mio parere, non fosse bella. «-.E: per questo motivo che ho scelto Marlene Dietrich come stella di "Angelo ", il mio ultimo film; è per la stessa ragione che io risposi con tanto entusiasmo quando Mary Pickford mi invitò tredici anni fa a dirigere la sua " Rosita ", il mio primo film hollywoodiano. Ed è sempre per lo stesso motivo che C!audette Colbcrt sarà la stella del mio prossimo film: .. L'ottava moglie di Barbablù". e Ora questo punto di vista è meno superficiale d.i quanto si potrebbe credere. Non è che io trascuri l'importanza di una brava attrice. E: vero il contrario. Io desidero che le mie stelle siano anche delle buone attrici. Ma se io fossi costretto a sacrificare qualcosa preferirei sacrificare un po' di buona recitazione piuttosto che un po' di bellezza. e La cosa cambierebbe aspetto se io dovessi dirigere per il teatro. Allora per me la bellezza sarebbe di importanza relativa. Ma per lo schermo ... ah! datemi delle belle donne e farò tutto ciò che vorrete. e Certo che lo schermo parla oramai, ma è sempre lo schermo, e più che asco!tarlo voi lo vedete. E fino a che ciò sarà vero - e sarà vero fino a che lo schenno non avrà acquistato il rilievo o meglio la terza dimensione, e chissà, - le stelle del cinema dovranno essere belle. e Per concludere, tutte le attrici, sia del teatro che del cinema, debbono possedere bellez1,a e bravura, con l'accento sulla bravura per le attrici di teatro e con l'accento sulla bellezza per quelle del cinema. « I tipi di bellezza cambiano continuamente e questo veloce mutare delCORO NEGRO DI ON FIL}[ SU R!BLEll, :PROIBITO DALLA 0Ell8U1U AKERIO.&.lì'A l'ideale di venustà femminile è uno dei problemi più misteriosi e sconcertanti della psicologia collettiva. Comunque, è un fenomeno che un direttore deve tener sempre presente nella distribuzione dei suoi film se non vuol anche egli passare di moda. Se io guardo ìndietro nella mia carriera, mi accorgo come e quanto sia cambiato il gusto degli spenatori circa il tipo di bellezze delle stelle; e mi accorgo ahresì come pochissime attrici posseggano quel non so che così: raro che mantiene la loro bellezza sempre fresca agli occhi del pubblico. « Io credo che alle nostre beltà moderne, sullo schermo, si richieda dal pubblico una certa morbida e, se così si può dire, sensuale soavità; e confesso che i miei gusti personali SC\nopiuttosto in linea con questa tendenza. Marlene Dietrich è un magnifico esempio di questo tipo. C'è moltissima differenza tra lei e Claudette Colbert, per esempio; ma quella imprecisa soavità di cui ho parlato esse l'hanno in comune. « A differenza del tipo di bellezza che prevalse una décìna d'anni fa, Marlene e Claudette esercitano un richiamo più profondo e sottile. La loro bellezza persiste sulla rètina e nella memoria come l'eco di una frase musicale. Cioè a dire possiedono qualcosa che le belle donne dell'immediato dopoguerra non possedevano, almeno per me. « E tuttavia io sono sempre lieto di rendere omaggio alla bellezza delle stelle che ho diretto in tempi che appartengono oramai definitivamente al passato o almeno al mio passato : alla bellezza di Pauline Frederick, di May McAvoy, di Pola Negri, di Clara Bow, di Irene Rich, di Patsy Ruth Millcr, di Lilian Tashman, di Florence Vidor, di Camilla Horn; la loro bellezza ha fatto molto per il successo e la fortuna di una grande industria, quella del cinema. Tutti noi dobbiamo qualcosa ad esse. « Ma per tornare al tipo moderno di bellezza io trovo che Marlene Dietrich lo impersona appieno. Essa è un esempio impressionante di donna in possesso di un'altra dote indispensabile per e!:sere una grande stella del cinema : essa possiede un viso assolutamente suo. La natura ha un'inesauribile vena nel duplicare le fisionomie, non solo fra i membri della stessa famiglia, ma anche fra persone assolutamente estranee. Ci sono poi dei tipi d1 fisionomie che si ripetono con frequenza desolante: sono i cosiddetti tipi comuni. Se un tipo è già rappresentato da una donna sullo schermo, è estremamente difficile per un'altra donna dello stesso tipo di affermarsi. « D'altra parte la bellezza non deve essere di un tipo troppo raro e peregrino. Se è assolutamente strana il pubblico l'accetterà soltanto nei ruoli esotici. In altre parole l'attrice sarà rigo- 'rosamente tipificata, e addio i suonatori. La bellezza di Marlene Dietrich è di una suprema distinzione. Non vi è un'altra fisionomia che anche ap• prossimativamentc si avvicini alla sua nel mondo dello schermo. E anche nella vita io non ne ho viste. Prendete il mio entusiasmo come vi pare, ma io sono certo che uno scultore troverebbe che la sua bellezza è vicina alla perfezione, nei limiti in cui può esserlo un essere umano. La prossima volta che andrete a vedere un suo film, guardate le sue mani: esse fanno altrettanto piacere a guardarsi delle sue famose gambe. e: C'è un vocabolo che ha molta voga in questo momento a Hollywood: " glamour". t una parola di origine scozzese che vuol dire, più o meno: la bellezza vista attraverso la nebbia. Cre• pi la modestia, ma io sono convinto che il mio ultimo film " Angelo" possegga molto di questo ., glamour " grazie soprattutto alla bellezza di Mar• lene Dìetrich che, attraverso la nebbiolina del mio spirito, - ebbene, lasciatemelo dire - appare più moderna e seducente che mai». Curiosa antologia L'idea di usare il cìnematografo nelle scuole è vecchia, si può dire, quan• to il cinematografo stesso. Ma non si era mai sentito parlare di sfruttare alcuni dei cosiddetti « Classici dello schermo » a fini d'insegnamento. Spremuti come limoni dalle case produttrici, questi colossi del passato giacciono ormai nelle cantine e nei depositi delle ditte, orgogliosi soltanto di una gloria che il passare del tempo fa sempre più effimera e problematica. Perché non riesumare i brani, socialmente, scientificamente, esteticamente, ecc., più significativi di quei film e proiettarli nelle scuole? L'idea sta per essere ,approvata da William Hays, dopo che maestri e professori di tutti gli Stati dell'Unione hanno visionato a Broadway durante la scorsa estate più di duemila fra « shorts » e lunghi metraggi. Si aspettano le loro relazioni scritte; ma già dalle prime risposte si delinea il successo dell'iniziativa. I brani che saranno scelti dovranno essere raccolti e smistati in sette branche diverse corrispondenti ai sette grandi film pedagogici progettati. Prendiamo per esempio la branca dei « Rapporti umani » cui presiede una commission• speciale della « Progressive Education Association >, con a capo la Dottoressa Alice V. Keihler e con Yoris lvcns come consulente tecnico. Fra i brani già approvati cc n'è uno di e lo sono un evaso», un altro di e Furia », il più recente film di Fritz Lang, un altro di « Simpatica canaglia> un altro di « Uomini in bianco». e Problemi come quelli del linciaggio, dell'educazione dei bambini da parte dei vedovi e dei divorziati, del UNA 80ElU DEL FIL)( ITALI.a.BO 11 PI&TRO JUOOA" divorzio, del matrimonio in relazione alle professioni che richiedono sacrifici e abnegazione, problemi gravi e fondamentali per la formazione e il mantenimento di una società, son contenuti e drammaticamente illustrati in questi brani e il significato in es:,i riposto risalta di più quando sono staccati dal resto. Forse non era nemmeno nel• l'ìntenzione degli autori di dire tanto e così chiaramente. Ma noi faremo dire I\ quei cento metri di pellicola le cose che vogliamo con acconce introduzioni », così ha parlato un membro della commissione alla stampa. Gli altri sei film antologici saranno intitolati :«Il mondo che cambia», sulla comple~ità e varietà del progresso umano· « Educazione fisica >; e Il pensiero lo~ gico >; « Il mondo fisico>; « L'eredità sociale » e e Perché non siamo migliori ». Però quest'ultimo capitolo, il più interessante e il più imbarazzante della grande antologia, è riservato ai corsi universitari. A. D. ( NllOl'I FIL61 ) IB1IZZIRVI U)l]!ffi[DWJ~© ~- ARA VERO quel che si dice, ohe gli (:,J" americani nascondono, sotto l'appa- - reni.a di gente pratica e po$itiva, inclinat.ioni oscure per le metafisiche, le uosofie e i misticismi. Sarà vero, anch~, che l'America è il paese dove più attecchiscono le rt:ligioni nuove, lo spiritismo, ì miti pacifisti, le morali evangc:lichc, lé utopie egualitarie, insomma tutti i sogni e le chimere di menti esaltate e impaurite. Noi in America non ci aiamo mai stati, ma queste coic le conosciamo per sentito ditt. Ma potremmo spiegarle, comiderandole come una specie di sfogo, di reazione e di fuga da una vita cosi isterica e infelice. Ma che le speranze, le estasi e le illu- $ioni, messe al concreto, si-no cosi infantili e insieme medievali, come almeno dal film di Capra appare, stenteremmo a crederlo. Non abbiamo letto il libro di Jamcs Hilton, da cui il soggetto è stato tratto, e non possiamo dire quindi se infantili siano gli ideali del regista o soltanto quelli dello scrittore. Certo, gli ideali ciascuno se li sceglie secondo il proprio gusto: ma che strana economia d'ideale, per gente che la~ vora in un paese dove cc n'è tanta richiesta. Si pensi: un famQ.SO scrittore, premio Nobel della letteratura, è rapito insieme a certi compagni di viaggio e condotto in un paese fuori del mondo civile, incassato in fondo a una stretta valle, tra montagne altissime e nevose, inacceuibili ai comuni viaggiatori. La ragione del ratto? li Capo della città favolosa ha letto un giorno in un libro del Premio Nobel questo profondo abiuale pensiero: < Ci son momenti nella vita in cui l'uomo avverte l'eternità >. Da quel giorno il Capo - un ex-prete senta una gamba, che vive in quel luogo da circa centoventi anni - s'è messo in mente di conoscere personalmente lo scrit• tore. Soltanto un Prc.rnio Nobel della :etteratura capace di pensare cosl profondamente potrà succedergli nella carica di Capo. La città dove il vecchio centocinquantenario vive è naturalmente noiosissima. Già tutti i paesi immaginari, tranne Lilliput di Swift e il Paese dei giocattoli di Collodi, son sempre stati luoghi di noia e di sbadigli: dalla Repubblica di Platone, a Utopia di Tommaso Moro, alla Città del Sole di Campanella. In quelle città e repubbli• che, i cittadini per lo più son tutti eguali, tutti onesti, tutti disciplinati. Soltanto gli Anabattisti, circa tre secoli fa, riuscirono a immaginare, e a mettere poi in pratica, una società abbastanu allegra, in Wcstfalia. Ma durò poco; presto degenerò in orgie spaventose e il suo capo, Giovanni di Leida, finl sul patibolo. Shangrilà, il paese di Franz. Capr-a, è invece triste come un cimitero; i cittadini silenziosi~ tra:iquilli, morigerati: le case, costruite nello stile dei padiglioni delle esposizioni coloniali. Unico beneficio, una sa.Iute perfetta che fa vivere a lungo le penone, conservando la fresca apparenza della gioventù. Come ciò avvenga non si sa. Fatto si è che tra i cittadini c'è per esempio una bella ragazza di settant'anni, che a vederla ne dimostra appena venti La vergine settantenne da cinquant'anni ,•annoia in quel luogo e si capisce che avrebbe gran voglia d'andarsene. E infatti, appena gli d.pita un giovanotto tra le mani, il fri\- tello del Premio Nobel, nulla trascura, a quella tenera età, per non lasc.iauelo sruggirc. t anti pronta a seguirlo in capo al mondo. Ma ceco che, appena fuori di quel clima da frÌgorifero, a un tratto le ragioni della vecchiezza prevalgono: e l'aspetto della fanciulla si muta in quello più na• turale alla sua vera età. Vien fatto di pensare aJl'Alcina di Ariosto, innamorata di Ruggero, che d-a bellissima fata si truforma per incanto in un'orribile megera, Sol1an10 che Ruggero, nel Palano d'Alcina, era trattato meglio; ogni giorno feste, conviti, giostre, danze. Invece in < Oriuonte perduto > la nuova Alcina è una timida fanciulla vestita da tennis, che offre il tè e i biscotti al suo Ruggero, vicino al davanzale di una camera mobiliata in falso Rinascimento. Come Franz Caora si sia deciso a diri• gcrc un film come questo rimarrà per tutti un mistero. Giorni or sono abbiamo riveduto « t. arrivata la felicità>, che per tanta parte s'ispira a una produ:r.ione corrente: eppure, come tutto in quest'opera è narrato con semplicità, servendosi di ambienti comuni e di personaggi consueti. E il protagonista, il giovane milionario campagnolo, diventa senz'altro una figura poetica e vera, un personaggio degno d'un racconto di Hamsun. Quel che in e Oritzonte perduto> è dato come una tesi invadente e fastidiosa: il motivo cioè dell'evasione da una civiltà piena d'intrighi e di sgomento, là era appena accennato, e con quale discreUone e delicatezza. Tutto era verosimile, e anche commovente, in una vicenda per molti lati abbastanta ordinaria. La fortuna di Capr-a è Stala finora nel mantenersi su un bina.rio piuttosto modesto, dove i treni correvano veno uaz.ioni conosciute e sicure. Perché, nonostante le i~sincere acclamazioni di molti, le qualità d1 Franz. Capra non sono poi cosl grandi. La sua dote migliore è una tet1uc facoltà &atirica, insieme al dono di rappresentare poeticamente cene angoscie e aspirazioni di personaggi umili e inquieti. La sua novità nei confronti della produzione americana' sta ne~ fissare abilmente sentimenti un po: confos1: nostalgia di un'esistenza semplice e naturale, ribellioni subitanee di fronte a pregiudizi, tenerezza verso pcf'fOne sacrificate, pentimenti, stupori, disinganni. L'abbandonare quel' binario è stato un gran tortn. Capra è un rt:gista che vede le co1e con occhi chiari ; non è un visionario. Questa metamorfosi improvvisa e gratuita dà a pensare: non vorrà certo d'ora in. nanzi seguire le tracce di Fritz Làng, Nemme~o gli è riuscito di far recitare gli attori con naturalezza, e questo per un regista americano è forse la più gran mancanza. MARIO PANNUNZIO
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