Omnibus - anno I - n. 33 - 13 novembre 1937

IL SOFM DELLE ll'IUSE a~ ~~~[leù DI B&IIHSIII! I O SA IL TONNO, dei racconti di Riccardo Bacchclli è quello che meglio dice le sue attitudini fra ·3 moraleggianti e fantastiche, tanto '-' vYiJ<~ che verrebbe fatto di suggerirlo a lct101 i nuovi di questo autore. Lo sa il tonno, ora alla 1ua tcn.a ristampa, è una favola che ha per prot.agonisti pesci che vivono, parlano eomc uomini ; e non sono affatto i meravigliosi animali parlanti, Meraviglia sarebbe se il tonno, salito sulla terra, fra gli. uomini, parlasse; ma le cose non stanno cosl. A un certo punto, il tonno, dovendo descriverci una piovra, dice di non farlo, perché tanto tutti ne hanno letto un ritratto smagliante nei T rat1ail1,urs de la Mer di Vietar Hugo. Bacchclli, a modo di commento, confessa di non sapere affatto come un pesce poua conoscer romanU. francesi: giunto davanti al miste• ro si ferma ; e lì c'è un po' il segno di tutta una sua morale. Di miracolo10 tuttavia in questa favola non c'è che la facoltà. conceua dalla sorte ai nati di domenica in aprile perché pos• sano comprendere il linguaggio dei pesci. L'autore, che ebbe quella nascita, la vigilia di un Natale passeggia per il vecchio mercato del pesce bolognese, e ode un sommesso dis.correre: < una morb:da e piena voc.e baritonale>. Vede un tonno boccheggiare e lo ascolta: e Dal marmo d'onore di una pes.cheria gloriosamente fetente e illuminata a elettricità narrava ad altri pes.ci di riguardo, cui il ghiaccio aveva fatto rinvenire, la storia che vi riferirò >. t un po', il prologo di questo racconto, una delle solite giustificazioni letterarie, sul tipo del manoscritto ritrovato. Bacchclli è scrittore cui non può mancare il gusto di certe finzioni. Spiegato ai lettori com'è che venne a sapere la storia d'un pesce, la mc• raviglia smette. Le co.sc che accadono negli abissi Sono di tutti i giorni. Se c'è un racconto che ha poco il senso degli abissi è questo. Bacchelli ha occhi soprattutto per le cose che avvengono sulla crosta della terra. Se si mette a raccontare una favola di pesci è per acquistare una libertà. che altrove potrebbe mancargli. Libertà nel dire la sua sulle cose del mbndo, più che nel narrare. Bacchelli ha personaggi di due rane: quelli gen.:ricamente umani; e gli ahri che sono figure di dilettanti di vita. Ca.fiero di Il diauolo a! Pontelun10 rauo• miglia, in quel suo dilettantismo politico, Casati di Mal d'Africa e anche Mino, il fratello di Iridi. Dir queste figure autobiografiche è affermazione ardita; eppure certa predilezione per esse dovuta a qualche affinità. non mane.a. Il resto gira sempre, in tutti i racconti, intorno a loro. I personaggi di BaccheJli, anche quando sono soltanto tipi tradizionali del romanzo provind•le italiano, dh,entano veri quando càpita loro di trovarsi in certo stato d'animo. Ca.fiero non è Costa; ma Costa ha rilievo nel romanzo quando per i casi della vita si ritrova a rassomigliare Ca.fiero. Bacchelli ha invece sempre, quando nei suoi ~rsonaggi non è quella dis.creta e lontana autobiografìa, vena di moralista, e i moralisti sempre furono bravi nelle favole, dove esistono i tipi indici di vizi e di · 1rtù. La storia del tonno ha cosi personaggi genericamente umani. Il tonno giovane lascia la famiglia e corre gli oceani. Auistc a guerre e a lotte sottomarine: contrasti goffamente diplomatici e stoltamente militari. La prima cosa e.he vede, messosi a correre il mare, è la gran confusione del mondo. Dopo, il tonno si innamora; ma, andato in viaggio di nozze fino al golfo della Spezia, la bella tonna cade nella rete. Restatone fuori, vedovo, una voce maligna lo avverte come sta·1ano le coic. La tonna aveva avuto esperienze. E il tonno fa un po' la parte di Charles dopo la morte di Emma: ma non scopre lettere d'amore; un remora racconta e ride. Il remora è sornione quanto pieno di malizia: vive da para.ssita attaccato alla coda del vedovo, e commenta gli avvenimenti. Il vedovo poi avrà un amico in un pescespada; corrono il mondo; vanno fino all'Atlantide, trovano una sibilla ; ma un giomo il Principe di Monaco, appassionato, come si sa, di pe1Ca, farà. una gran retata. Il pescespada scappa; e il tonno trova cosi la sua fine. Del pcscespada è in appendice una favola: avventure di lui col remora. Ll c'è Bacchelli, ILI L A WOOLF appartiene a quella generazione di scrittori di cui fanno parte Joyce, che scrisse mille pagine sulla giornata di un uomo comune, Proust che ne scrisse molte di più per ricostruirsi un suo tempo perduto e fittizio. In questi scrittori il naturalismo e l'impressionismo ottocentesco si dissolvono. Con essi la Woolf ha in comune il senso angoscioso della personalità umana; la quale non sarebbe che un crocevia disordinato di pensieri e sensazioni. Donde la distruzione del concetto del tempo; per• ché non essendovi più uno sviluppo psicologico e morale del genere di qucUo che si osserva in romanzi quali Le Rouge. et lt Noir o Madame Bo1,;ary, il tempo ricade nel nulla, si identifica con i foglietti del calendario; e descrivere la giornata di un uomo equivarrà a descrivere tutta la sua vita, la quale non sarà appunto che una serie monotona di tali giornate allineate senza progresso né significato tra i due termini crudamente TT1atcrialidella nascita e della mo~e. Questo senso dell'uomo senza passato né avvenire, senza storia in• somma, gli scrittori succitati lo ebbero in varia maniera, secondo la qualità dei loro talenti e della loro sensibilità. In Proust la personalità umana si dissolse in un'analisi moralista degli stati psichid e affettivi, che ha preso il gusto ai racconti dei pesci. La favola d.cl tonno ha riferimenti storici, moralistici, letterari. Si accenna a Renzo, ai < Pensieri >, a Metastasio, a Pascal. Il remora è bourgettiano, barbuuiano: un intellettuale del dopoguerra. Bacchelli svela nella favola di questi pesci apertamente, e con una libertà che un racconto di cose umane non gli permetterebbe, certa sua attitudine al commento dei fatti sociali. Nella battaglia sottomarina, f'ra tonni, granchi e aragoste ha modo di dire la sua con furberia sorniona: la mano di Bacchelli sicura quando si tratta di grandi fatti. Le granchie chiacchierone sciocche gli (anno pensare· al femminismo sociale. Ma spcuo i pesci, nell'insieme, rauomigliano a un popolaccio turbolento che leggemmo nel Diauolo al Pontelun,10 e perfino nel Rahdomanle. C'è disordine sotto le acque: disordine da "dopoguerra j e del resto il racconto ha un poco quel clima: < Negli scheni del popolo adunato la lubricità laida e bonaria si divertiva a unirsi con la studiosa crudeltà.; applausi ebbri, oscenità., propositi cannibalcsc.bi e buffoneschi, motti c:he eran coltellate ... >. e•~ in più una raffinateua di stile che altrove la realtà del· le cose r.1Jnpermette.va. Ma ogni (avola ha una sua ironia, e cosi questa di Baechelli. Una ironia non vana soprattutto quando le cose più strane e pa:z::zesono viste con occhio impassibile dall'alto. Altrove, se Bacchelli, come nel « Prologo >, tenta lo scherzo, pare quasi che la sua prosa lo "trattenga. La sua iro• nia è letteraria: vuole essere nel descrive• re tranquillo cose che non stanno né in eielo né in terra. I pesci si preparano a una battaglia: < Conchiglie tortili servi• van da buccine, e udendo il suono nella notte tempestosa il cuor dei granchi sempre pronti a battaglia.re si riempiva di un desiderio marziale di gloria, di un accorato e 10lenne struggimento di vendetta, di vittoria e di morte >. Oppure, il meglio della favola è addirittura in un descrivere prezioso che, quando vie.ne fuori da ricordi, ha molto dell'elegia. Tanto che spcuo Bac:chelli smette di avere l'aria sorniona del moralista, La sua favola diventa allo• ra soprattutto un pretesto per comporre pagine sorvegliate con grande rigore. Almeno al tempo di Lo sa il tonno, per Bac• chelli era cosl Era cosli per lui, e per gli altri prosatori, riunitisi intorno a L4 Ronda. Scrissero pagine di tanto decoro, che oggi, da lontano, quasi ci sembrano di tradizione dannuni-iana. In seguito, quegli 1c.rittori hanno preso str3de diverse. Bacchelli si è messo a scrivere molti romanzi: dove le sue attitudini tra moraleggianti e fantastiche vengono fuori pure nella trama più arditamente romanzesca. ARRIGO B€NEOETTI I IILL in Joyce in un verbalismo enciclopedico e grottesco. Quanto alla \Voolf, più giovane e donna, ella ha in proprio una sensibilità poetica e trasognata, di quelle che si attribuirebbero piùttosto ad un compositore del genere di Debussy che ad un romanziere. La Woolf scrive libri in cui i personaggi dubitosi e messi in dubbio dall'autrice stessa, sfumano nelle fitte notazioni ambientali e psicologiche; notaz.ioni sempre piuttosto improb?tbili il cui valore è propriamente lirico. Di modo che a lettura finita non uno di quei personaggi sdoppiati e multiformi rimane in mente, bensl il ricordo di un tono ora malinconico, ora fantastico, ora ironico e ora evocativo: come avviene appunto di certa musica. E que• sto effetto è tanto più notevole in quanto è raggiunto con uno stile preciso, controllato e sapiente; sempre vi si sente un non so che di robusto; la \Voolf insomma, pur con una materia che si presterebbe a molte sdolcinature, è scrittrice poco femminile. Ma oltre a possedere uno strumento verbale duttile e intelligente, la Woolf ha ereditato dalla tra• dizione di certo romanzo inglese, quello, per intenderci, di Janc Austcn, di Hen• ry James, di Butlcr, ecc. ccc., una tecnica consumata. Si direbbe anzi che ella ere.- LO SCRITTORI: DI ROMANZI GIALLI 81 ISPIRA IN FU'10LU ( <s1<:Dm.m.nD:em.OB <u>~m~S5©l<:D 'i '-----'-'-------~,i KO NBET B ELLA NOTA precedente abbiamo detto che uno dei rap• ~ presentanti principali delle idee \~ sul < razzismo > è, in campo letterario, Erwin Guido Kolbcnheyer, autore di romanzi storici e moderni, di drammi e di novelle, e anche di liriche e qualche saggio teorico. Le idee di Kolbenheyer possono grosso modo catalogarsi cosi : superindividualismo, naturalismo, razzismo. Quanto al primo è caratteristico il fatto che i precedenti di esso Kolbenheyer non vada a cercarli in tempi moderni, per esempio nel periodo del cosiddetto materialismo storico o dell'intemaziona• lismo marxista, ma in un gruppo di fi. losofi che vissero tra il '500 e il '6oo, su per giù al tempo della riforma protestante: Spinoza e Bruno, Jacob B0hme e Paracelso. In Spinoza, benché ebreo, Kolbenheyer vede il superatore della concezione personalistica di Dio, che, secondo il Nostro, è di origine soprattutto giudaico-biblica; ma tipico è che Kolbenheyer, così come si oppone al concCtto < giudaico > di un Dio personale, altrettanto è contrario all'idealismo assoluto che, per inten• <lerci, chiameremo di Hegel, comiderandoli tutti e due come un « errore parallelo>, quali espressioni tutti e e due, il giudaesimo e l'idealismo assoluto, di una < illusione , egocentrica. La tendenza al naturalismo si vede anche nel modo come Kolbcnheyer considera Spinoza, Bruno e Bohme : non quali precursorf dell'ideaijsmo moderno, come fino ad oggi era stato fatto, ma quali filosofi del < dio-natura >, dell'identità di Dio e di natura, con uò.'accentuazione speciale e, direi, con una predilezione per il secondo termine. Il passaggio dal superindividualismo e dal naturalismo al razzismo avviene soprattutto nel volume di saggi: Die Bauhi.i.tte, ma esso aar.r da alla tecnic presa per se sola. Percib le fu possibile, invece di esaurirsi in una sola opera conclusiva, tirare avanti, sen:ia notevoli sviluppi, su un piano che chiamerei volentieri sperimentale. Più d'ogni ahro scrittore moderno, la \Voolf dà. l'impressione di un certo sperimentalismo consistente nel provare per ogni suo libro una tecnica narrativa diversa; come ae la tecnica fosse cosa da applicare all'esterno e potesse rendere più poetica e profonda la realtà a cui, spesso senza alcuna necessità, viene imposta. La Woolf ~ assillata dalla sua idea del tempo: e ora allunga un giorno in trecento pagine come in Mrs Dallou:ay, ora restringe più secoli in una sola vita come in Orlando, il suo libro più importante, ora rovescia il passato come in To the. L,'ghthomt, ora intreccia più biografie come in The. Waves; ma non sempre evita di cadere nel gratuito e ncll'trbitrario. Ne.I suo ultimo libro The. Years ella prova una nuova tecnica, più tradizionale e in certo senso più convenzionale delle altre; cd è forse pc.rcib che i risultati sono meno gratuiti. Tht Ytar.s, come lo indica il titolo, ~ un po' concepito alla stessa maniera di un molto noto centone drammatico di Noci Coward: Cava/cade. Un seguito di scene in cui si descrivono le vite e le riè chiaro anche in questo brano che il Kolbcnhcyer ha scritto recentemente nell' « appendice , alla sua nuova tragedia su Giordano Bruno : « Due concezioni>, egli dice parlando di Bruno e dei suoi avversari, « vennero in opposizione : due concezioni non soltanto dottrinarie, ma legate a due organismi opposti nel senso del popolo e della biologia ». E poiché Giordano Bruno fu italiano di Nola, < ma di madre tedesca ,, e Cusano e Copernico erano di « sangue tedesco >, e Spinoza ebreo di origine spagnola, ma nato in Olanda e vissuto in ambiente germanico, e B0hme era tedesco e Paracelso .wizzero-tedesco, ecco in succinto il perché della loro differenza : il loro Dio (in contrapposto alla concezione cattolica e latina) < doveva essere quel Dio al quale erano già arrivati i misti• ci tedeschi, il Dio immediato, che nes• suna gerarchia umana divide dall'uomo, il Dio che vive nell'uomo, che per Giordano Bruno vive in tutto ciò che esiste, nella cosa più piccola e in quella più grande >. Così il fattore determinante : sangue, popolo, razza, in Kolbenheyer prende sempre più il sopravvento ... Se le idee di Kolbenheyer, a parte il giudizio sul loro rigore filosofico, possono essere interessanti per intendere la Germania di oggi - e a lui va riconosciuto il merit~ di aver preceduto di parecchi anni simpatie e tendenze attualmente in gran voga - altro e più lungo discorso dovrebbe farsi per ciò che riguarda l'arte di lui. Sommariamente si potrà dire che il difetto principale di Kolb,mheyer artista è in una specie di piattezza e - se non temessi di far dell'ironia, dato che si tratta di uno scrittore che sente cosl forte l'aristocrazia del sangue - in una specie di bassa democrazia dello stile. Si ha un bel dire che il suo modo di vedere flessioni dei membri di una famiglia inglese, i Pargiter, attraverso nove anni scelti fra il 1880 e 1 nostri giorni. Ogni anno intitola un capitolo. Nel primo i personaggi sono bambini; nell'ultimo, vecchi. All'inizio d.i ogni capitolo c'è un pez• zo descrittivo che serve a fissare la scena, il clima del capitolo stesso. Una tecnica siffatta farebbe aspettare una specie di rievocazione dei fatti storici attraverso le vite private; come era appunto il caso di Cavalcadè. Ma sia che la Woolf abbia sentito il pericolo di tale melensa cronaca a fondo sciovinista, sia che più probabilmente i fatti storici la lascino indiffc. rcntc e li consideri poco o punto importanti, la storia è relegata in secondo e in terzo piano, quando, come avviene non senza ostentazione. nel capitolo intitolato • 1914 •, non è assente del tutto. Quelle poche volte, del resto, che la \Voolf accenna a fatti storici avvenuti in quel pe• riodo, lo fa in maniera casuale e legger• mente ironica. D'altra parte a questi Pargiter, famiglia inglese delle più comuni, molto simile ai mediocrissimi Forsytc di Galsworthy, non succede durante quei cinquant'anni proprio nulla di notevole. Non la napoleonica e rapida ascesa alla fortuna come nei romanzi di Balzac, non il verificarsi delle neme11i ereditarie come in quelli di Zola, non il lento passaggio dalle anività commerciali a quelle intellettuali e artistiche come in quelli di Galsworthy; nulla, assolutamente nulla. Questo è un po' l'originalità del libro, ma ne è anche il difetto. Pcrch~ ,il capitolo e rappresentare i protagonisti e le grandi figure storiche - non in primo piano ma in funzione di un tutto organico - è in dipendenza della sua concezione < biologica > della storia; ma basta vedere per esempio quale fi. gura fa un Rembrandt nell'Amor Dei e un Goethe nella Karlsbader-Novelle per capire che l'arte è qualche volta lontana, nei suoi tratti elementari, dalle opere di Kolbenheyer. L'accusa invece che all'arrista nuocciano le troppe teorie e la troppa filosofia, che egli veda nei suoi personaggi più i banditori di certe idee che uomini vivi, è troppo facile e ovvia; e non spiega perché, proprio nel momento in cui le idee trovano la loro messa a. fuoco e nel bel mezzo della vita dei suoi pensatori e filosofi, alcune pagine siano riuscite: per esempio, la morte di Benedetto Spinoza. Che in uno scrittore dal mondo così vasto e di così orgogliose idee di razza siano meglio riuscite artisticamente le pagine in sordina, quelle più affettuose e intimiste, dettate dagli affetti familiari, insomma gli idilli invece dei drammi e delle tragedie, può essere caratteristico e istruttivo. Ma resta a vedere se quell'intimismo borghese sia diverso, nel tono e nello stile, da quello che ha riempito tante pagine della letteratura tedesca di qualche decennio fa. Più convincente è mettere all'attivo di Kolbenheyer artista lo studio e la rappresentazione delJ1ambiente: specie se si tratta di ambienti minuti, popolareschi, in piccoli luoghi di provincia o, comunque, ristretti. E penso qui non tanto alle pagine movimentate e colorite sul ghetto di Amsterdam nella vita di Spinoza e alle bene architettate descrizioni di G0rlitz nel M eister ]oa· chim Pausewang, quanto a quella curiosa intimità, mezzo paesana e mezzo cosmopolita, in un gran luogo di cura, come doveva essere ancora (Kàmpfender Qutll, K arlsbader-Nov,//e) a Karlsbad, quando il Nostro, nato a Budapest nel 1878, vi fu portato dalla madre dopo la morte del padre e vi passò gran parte dell'infanzia, una cinquan~ tina d'anni fa BONA VENTURA TECCHI del 1918 si potrebbe mettere sotto la data 1910 senza turbare molto l'ordine e la verosimiglianza del romanzo. I Par• giter, gente senza talenti speciali, provvisti di tutte le qualità che sono proprie alla borghesia britannica (la Woolf vi ac• cenna di sfuggita non senza ironia), nascono, crescono e fioriscono senza profitto e senza danno, in un':iria di assoluta inutilità; e qui sta l'abilità 01 se si prcfe. risce, l'indifferenz.a della ,voolf, che tace il solo fatto che giustifichi l'esistenza di questo limbo: l'organismo sociale e politico della nazione inglese. La ripugnanza della Woolf per tutto quello che è intreccio, dramma, contrasto, interesse, si rivela appieno in questo libro; nel quale, pur a distanza di tanti anni, i protagonisti sono sempre colti nelle loro più scialbe occupazioni; mentre dicono o fanno cose del tutto prive di interesse, comuni, giornaliere, abituali. Par che la Woolf voglia dire.: ecco la personalità umana e la vita: una serie di chiacchiere, dì pranzi, di colazioni, di passioni e di occupazioni a vuotoj e il tempo è breve e la vecchiaia arriva molto presto. Ma anche da tale conclusione troppo amara e decisa la Woolf rifugge avvolgendo tutte. queste smort.e vicende e questi personaggi sfocati in un'atmosfera benigna che cc li fa simpatici (i personaggi della Woolf, grande merito, sono sempre simpatici), in una malinconia un po' sfilacciata e nebbiosa che ci impedisce di disprezzarli e di compiangerli. Semmai, la conclusione a cui pare giungere. la ,voolf è contenuta ( GIARDIN)E UN DE AMICIS ROSSO f.\ NDRf: MALRAUX pubblica, nella ~ Nouv~lle. Revue. Française di' no• vembre, alcuni frammenti di Espoir, romanzo della Spagna rossa. Altro non vuole essere questo racconto che una ero• naca; d'altra parte Malraux, sebbene a molti sia parso per un momento un nuovo maestro della narrativa europea, è sopra tutto un cronista. Scrive racconti docu• mentari e giornalistici, sempre a facili effetti. t un po' il Barbusse del secondo venticinquennio del secolo; ma un Barbusse forse più pretenzioso. li successo di Malraux in Europa è simile a quello che ebbe in Italia cinquant'anni fa Edmondo Oc Amicis; ma se De Amicis era il candido autore di una candida borghesia. Malraux: vuole essere quello di una società scioccamente smaliziata. Malraux è un De Amicis che ha paura dello scrivere pulito: e il suo maggiore impegno è tutto nell'imbrogliare le carte. In Espoir pone problemi e li tratta alla maniera popolare dei giornali di partito; parla di Cristo e di Marx; eppure tutto questo altro non è che una facciata dovuta agli umori del tempo. In fondo Malraux è uno scrittore che non vuole. spaventare nessuno. Gli aviatori rossi, a leggere E1poir, che mira ad essere, fra l'altro, il libro di un aviatore, volano tanto alto da non scorgere su di una strada una autocolonna nazionale. Ma c'è di più. Malraux tiene d'occhio il suo pubblico, e quando i personaggi aviatori del racconto devono smettere di ragionare per cominciare un bombardamento lo fanno non in considerazione di una missione militare bene o male assunta, ma piuttosto in se~ito a considerazioni patetiche. Come se il narratore intend~sse domandare scusa ai suoi lettori. In fondo, Malraux conosce il cuore del pubblico: che vuole a modo suo i suoi eroi. Di conseguenza è chiaro in quali arbitri psi• cologiei si cada. Ma Espoir non ha la modestia della cronaca. Non ci disegna tipi e caratteri • internazionali •; ·anzi vuole avere i suoi personaggi. Che sono personaggi estetizzanti: c'è lo scrittore spagnolo cattolico che combatte coi rossi, e che in ljnea si mette a ragionare di quello che è le spirito della Chiesa e di quello che può essere il suo corpo. C'è poi un italiano che pare tolto da un romanzo di un imi• tatore di d'Annunzio. Il professor Scali è l'esteta della compagnia: interrogando un aviatore italiano caduto prigioniero, come trova fra le sue carte una riproduzione di Piero della Francesca, si com• muove. Scali è poi a Madrid, ducante la battaglia. Va a trovare il padre di un amico, qualcosa fra l'antiquario e lo studioso d'arte, e l'aria della guerra se ne va del tutto. Le pagine diventano più che mai patetiche: si parla della guerra e della sorte che li aspetta; ed ecco che il professore italiano si ritrova un verso di Virgilio in bocca. Il vecchio Alvcar diventa Priamo, e Madrid sarà natural• mente Troia. Malraux, che sarebbe forse un piano e candido cronista, capace di produrre nei suoi lettori effetti patetici, come si diceva, alla Dc Amicis, è forse soprattut-· to una vittima dei tempi. Ma si sa quali sono gli scrittori vittime dei tempi: quelli cui, difettando una vera fantasia, torna naturale giovani degli umori del mo• mento. Ed è percib che il loro successo è sempre tanto effimero. nella riflessione del giovane Nonh sul suo parente Edward, professore, poeta e traduttore di Sofocle: • Cos'era che lo faceva sembrare così calmo, così fermo? .. C'era in lui qualcosa di finito ... Egli non si era arrabattato per il denaro e la poli. tica ... C'era in lui qualcosa di suggellato e di concluso ... Egli non si era occupato che della poesia e del passato ... •. Gli Anni non aggiungono nulla all'opera della Woolf. Anche perché la tecnica di questo romanzo non le. permette di esprimere la sua particolare sensibilità con quella bravura sottile e delicata che è il suo maggior pregio; come per esempio in Orlando o in To tht Lightl,ouse.. Sotto certi aspetti, soprattutto nel disegno fermo e intelligente ma privo di novità dei personaggi, questo è il romanzo più tradizionale, meno sperimentale e insolito della ,voolf. li lettore di Galswonhy o di Bennett non ci si troverà a disagio. Hanno un bel domandarsi un po' tutti i personaggi: e Chi sono io? dove sono? che cosa faccio? •, domande solite alle creature della Woolf; resta il fatto che questa volta non sarebbe difficile rispon• dere, risultando essi tutti più o meno dei buoni borghesi britannici. Con que• sto si vuol dire che di fronte a tale materia meglio avrebbe fatto la Woolf a dare maggior sviluppo a certi suoi spunti ironici e anche satirici qua e là accennati; e per una volta tanto lasciar da parte la consueta maniera poetica che in questo libro pare piuttosto meccanica e indifferente. ALBERTO MORAVIA

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