) ! ( PALCHETTI ROMAHI ) r NAPOLEONE @~il@® t A FRANCIA in questo momento non brilla di salute. Se molti dei suoi mali sono imputabili alle insidie del Comi11tern, taluni sono da ascrivere all'insipienza dei suoi uomini di destra. Gente come noi, è facile capire in quale stima teniamo scrittori della specie di Anatole France. Pure, quando da quella penna nasce la figura del generale Cartier de Chalmot, che fuori della finzione letteraria si può indistintamente chiamare Paul Déroulède, Claude Farrèrc e René Fauchois, noi di colpo ci sentiamo solidali con monsieur llergcret. Dichiariamo senza falsa modestia che le nostre capacità anagnosl'iche sono grandi. Le Upa11isciad ce le siamo bevute come rosolio, e similmente le leggi di Manu. Ma sulle pagine di Lt souverain captif di André Tardieu, la nostra fronte ha ceduto carica di vuoto. Chi si sente cosl bra"o, da resistere alla pomposa vacuità di un nazionalista francese? Eppure, in un paese che ha affrontato le avventure dello spirito, notomizzato il sistema nervoso delle ani, esplorato le misteriose foreste della vita, i nostri importatori di derrate teatrali non hanno trovato di meglio di questo mattone vuoto intitolaco Napoleone unico, e dovuto a quel re del pompierismo che si chiama Paul Raynal. l nostri ìmponatori di derrate teatrali condividono il giudizio dei compilatori del Noviuimo Melzi, i quali alla voce • Meissonier-• aggiungono: • il più g:rande pittore del XIX se~olo •. Non sappiamo se anche il signor Paul Raynal abbia attinto ai fondi segreti della Place Beauveau, ma è certo che le similitudini fra lui e il colonnello de La Rocque sono molte. Stessa mentalità da specialista delle vertenze cavalleresche, stessa seriosità congenita, stessa serena inattività del cervello, stesso gusto del vocalismo ventoso, stessa incapacità di reggere lo scherzo. Gli uomini della specie del signor Raynal hanno per occhio un'ostrica condita col limone, e il loro sguardo annacquato è perpetuamente fiso alle I grandi figure• della Storia. Aquile e leoni passeggiano nel loro cortile, faci ardono in cima al loro braccio peloso, una lamp'ada inestinguibile veglia giorno e notte sulla loro ineffabile stupidità. Sublime ironia, di là dall'animale araldico scoprono l'uomo, le sue debolezze, le sue passionL E cib che essi scambiano per il • grande affresco• della ~•Jria, altro non è se non l'immortale epopea del fesso. Per questi • virtuosi del fiato•, cui manca fino la grancassa vittorughiana e il bacio della rima, Napoleone, o Napoglione come diceva Madama Madre e sapientemente ripete la signora Mercedes Brignone, è una bazza. Triste destino esser stati • tre volte nella polvere, tre volte sull'altar •, e finire tra le mani di monsieur Paul Raynal. Ma buffa anche la sorte dell'attore che si maschera da Napoleone, si mette la patacca della Legion d'onore sul costato, si fa la virgola sulla fronte e i calamari sotto gli occhi, e d'un tratto si ricorda che si chiama Renzo Ricci! li titolo di questa pilce s'impone da sé e richiede una interpretazione sua propria. L'intenzione non ci è sfuggita di escludere per mezzo di quell'« unico• ogni altro eventuale Napoleone. Ma in quella determinazione si ravvisano pure propositi più miti e financo commerciali, simili a quelli per i quali \Vagner chiamava sua moglie • d1.'eEimnge •, e Unica del pari si è nominata una fabbrica di cioccolatini. Sciccherie di questo genere Vittor Hugo le pigliava dall'altro verso, e tacendo del primo chiamava il terzo Napoléon le petit. L'arte preferisce l'effetto indiretto. Nell'atto primo, Napoleone, in vestaglia e pantofoline rosse, fa meno figura di capitano che di energumeno, cui una buona dose di sedobrbl riescirebbe di gran profitto, semprequando la fondazione della casa Riche non fosse posteriore al t 8 brumaio. Nell'atto secondo, Napoleone, vestito con una pelliccia di gigione, ci assicura per mezzo di Madama Madre che, per far cessare definitivamente le guerre, basterebbe che • lui avesse un figlio•. Nell'atto terzo, Napoleone, vestito da stampa dell'epoca, col fracchettino verde e i calzoni bianchi, ci comunica per mezzo di Giuseppina che mentre il mondo lo :,,;> credeva jmmerso a Vienna in gravi faccende strategiche e diplomatiche, lui fecondava illegittimamente una donna, sempre col fine • di far cessare le guerre•· Il senso del ridicolo non t tra le più spiccate qualità del signor Paul Raynal. La fine corona l'opera. Invitato da Giuseppina a couclttr avec per l'ultima volta, Napoleone, dopo breve ma straziante altemati"a, preferisce parafrasare il Btelhovtn di Lionello Balestrieri, e a questo fine si pone davanti a un tavolino • stile impero• e si riduce a e maschera nuda•· Cara Giuseppina I Che peccato il suo invito vada sprecato; con tanti begli appetiti sparsi in platea! ALBERTO SAVINIO IL OAPPlJ'OOINO DI 111U.POLEONE UNI00 11 (L'ATTORE RENZO BIOOI IN OAKERINO) 11. n1111111a•• Il VENDEVA CRAVATTE e faceva il baritono. Dico faceva, perché non lo era affatto. Saliva e scendeva dalle pensioni nelle ore dei pasti : arrivava sudato e salutava tutti con un sorriso timido sulle labbra. Poi apriva la piccola valigia di fibra e mostrando le cravatte diceva: « Seta, vera seta>, senza badare ai rifiuti ironici dei pensionanti, fin quando vedeva completamente fallito ogni tentativo di commercio. Allora, con calma, riponeva ogni cosa, aggiungendo: « Chiudiamo un negozio e apriamone un altro >, e si metteva a cantare il Rigoletto. Il canto era la sua arma di difesa, cd egli l'usava r.on sapienza, perché alla fine c'era sempre qualcuno che gli offriva un bicchiere di vino o gli comperava una cravatta. Grazie a uno di questi gesti conquistai la sua confidenza; ed egli, tenendo a dimostrarmela subito, mi djsse un segreto della sua vita: « Vengo da una buona famiglia>. Da quel giorno non mi offrì più cravatte forse in virtù dell'amicizia. Una sera lo incontrai in via della Lungara. Era solo, senza v.digia. ~li disse che si chiamava Fausto Mart.ani~ che abita.va in quella strada, e che andava a mangiare un boccone. Entrai con lui nell'Osteria del Ciccione. Il locale era vuoto, e il padrone aveva piegato la testa su uno dei tanti tavoli di marmo. La cuoca era seduta a prendere fre~o sul gt-adino che dà in strada. « I venditori ambulanti si riservano, sempre un locale dove non vanno mai a vendere, ma soltanto a mangiare:., mi confessò Fausto .M:artani. « Avete visto a che ora mangiamo noialtri? >. « Ma che cosa facevate, prima?:. dor:irindai. « Avevo un negozio; ma la passione del canto mi ha rovinato. Quando imparai a cantare non avevo più soldi e avevo perduta anche la voce; e così...:. completa col gesto la frase : « t un mestiere terribile, perché devi vendere certe cose inutili, nelle ore meno adatte. E per riuscire dcvi essere sfrontato, non apparir timido, devi approfittare di uno sguardo, di una parola. Questo è un mestiere che non s'impara; ci si nasce. Li conoscete quei due bambini, che girano vendendo cartoline? Sono cugini : una sera gira uno, ed una sera l'altro. 11 più piccolo s'è fatto un nome perch6 gli si possono offrire anche mille lire, ma non dice mai " Viva la Lazio". Dice sempre : " Viva la Roma ". Prima lo faceva per dispetto; poi ha capito che la gente ci prendeva gusto, e lo fa per mestiere:.. Infatti, ricordo questo strano rag-azzo, con indosso il grembiule di rigatino, aggirarsi fra i tavoli offrendo car• toline. La mattina, siede nel suo banco di scuola, per imparare l'addizione, in quante parti si divide il mondo, e chi fu il primo imperatore di Roma. La sera, appena s'accendono le luci, dopo aver fatto i compiti per il domani, s'aggira per le strade di Roma. Entra e esce dalle osterie affollate, con ancora nella mente un paragrafo di storiri, le dita macchiate d'inchiostro. « Quel bambino :., mi dice Fausto Martani, appoggiando la forchetta sporca di sugo su una mollica di pane, « è bene avviato. Sarà un buon venditore ambulante, perché è furbo e ha capito che per vendere ci vuole un trucco. Non basta aver roba da vendere, ci vuole il sistema. Un beJ giorno questo ragazzo diventerà uno di quelli, che sono poi i più bravi, che si mettono su una carrozzella, in una piazza di mercato, e in un'ora vendono mille lire di maglie e fa7..zoletti, oppure di orologi >. e: Se si guadagna di più, perché non lo fate anche voi?:. domando al mio compagno che con buon appetito continua il suo pasto. « Non ne ho il mestiere. Ci vuol coraggio, ci vuole l'aria. Io non ci sono nato. Io sonct uno di quelli che si mettono a fare il venditore ambulante o perché son falliti nel commercio o perché son disoccupati. Invece di star sen• za lavoro, pigliamo un po' di merce e, facendo mille sforzi per non morire dalla vergogna, l'andiamo vendendo, ma sempre pensando di smettere un bel giorno. Poi ci si prende l'abitudine; ci si adatta. E allora non si cambia più mestiere. Ma i veri venditori ambulanti son quelli ..c;.he lo fanno per professione, quelli che ci nascono>. « Per esempio>, lo interrompo, « quelli che vendono nei treni? :.. « Già >, mi risponde Martani, « li avete mai visti?>. « Ne conosc1.v. o uno, che faceva il venditore ambulante nella terza classe dei treni, fra Rorria e Napoli, Napoli e Foggia. Un giorno lo incontrai in treno; ·credevo che andasse a Roma per affari. Ma appena passato il controllo, aprì la sua valigetta, a guisa di vassoio, e incominciò ad offrire ai passeggeri cioccolatini e caramelle. Mi disse che, a seconda della giornata, a volte vendeva dolciumi e a volte temperini, orologi e portafogli. La sera stessa, ritornando a Napoli, lo incontrai di nuovo in treno. Mi spiegò che era quello l'ultimo viaggio, dei quattro che di solito faceva durante il giorno1 ed era proprio stanco. Si addor• mentò sdraiato su un sedile, dopo aver venduto poche cose, e si svegliò all'arrivo. Facemmo la strada insieme, a piedi, perché l'ultimo tram era già passato. ~fi raccontò la sua vita. Anc-he lui aveva cominciato da bambino E ci teneva che i figli prendessero, da fui, la sua stessa passione>. Da come mi a..<sc0lta. m'accorgo che Fausto Martrini ha per i suoi colleghi una venerazione e una sorta di rispetto per la loro abilità. E allora, per accrescere il suo entusiasmo 1 gli rammento quei venditori girovaghi che si vedono spesso sulle spiagge o nei mercati di paese : quelli che s'incontrar.o sotto la neve e sotto la canicola, dovunque ci sia un po' di gente. Conoscono la costa palmo per palmo. Un passo dietro l'altro percorrono tutte le spiagge del litorale. Spuntano nella cortina di calura che il solleone stende sulla rena, piegati in due per il peso della valigia, con un fazzoletto a tendina sotto la paglia. Cammipano con fatica, affondando i piedi nella sabbia, scavalcando i bambini intenti a giocare, passando tra le barche tirate a secco e gli ombrelloni, stanchi, ma sempre pronti ad aprire il cavalletto, appoggiarvi SOpra la valigia, mostrare la mercanzia a gente svogliata: braccialetti e collane, copertr di pizzo, tappeti persiani. Al calar del sols, quando le spiagge rcstan deserte, e il mare si distende nella piega larga del maestrale, il venditore girovago si spoglia e si tuffa anche lul nell'acqua fredda. S'asciuga poi al vento, aiutandosi con un fazzoletto colorato, e appena vestito s'avvia verso la stazione. « No >, mi corregge Martani, che mi pare commosso alla mia descrizione, « no, non è esatto : non vanno alla stazione. Partono col treno solo quando tornano in fa.miglia, una volta all'anno. Vanno invece all'osteria, dove s'incontrano coi compagni, che hanno fatto la " piarta " con lui. Qui sanno l'andamento delle "piazze", i prezzi della giornata, il nome del commerciante dal quale, nel prossimo paese, se non ha merce sufficiente può rifornirsi col fido. Molte volte vanno in certi paesi di montagna, dove non ci passa la ferrovia, e allora devono accontentarsi di qualsiasi mezzo di trasporto : un carro, un autotreno, un biroccio >. F. •tardi. Le luci sono accese. Il padrone gira tra i tavoli, già quasi affollati. La cuoca s'affaccia ogni tanto dal fondo rosso della cucina, per prendere gli ordini dal principale. Fausto Martani freme nel sentire gli otto rintocchi dell'orologio. Vuole il conto. Ha fretta. Lo prego di restare ancora qualche minuto. In quel momento entra un omino alto poco più del metro, che sosta davanti ai tavoli, offrendo agli avventori prima un lapis, poi una cartolina, poi intasca queste cose e cava fuori dell'altra merce: un temperino, un pacchetto di lamette da barba, una boccettina di profumo; infine una penna stilografica. Ma pur non vendendo niente, non smette di sorridere e di salutare ossequioso, monnorando tra i denti qualche frase per togliere d'imbarazzo colui che tenta di giustificare il rifiuto: « e giusto, è giusto>, dice. « A quest'ora i negozi dovrebbero esser chiu~i ! >. Poco dopo entra un ragazzo, dall'aspetto timido. Viene difilato al nostro tavolo, cava di tasca un ordigno, e dice al mio compagno : « Tre lire, v'insegno il trucco». « Lasciami in pace>, gli risponde Martani, con aria patema. « Volevo mostrarvi un gioco di prestigio: cento lire di premio>. Martani prende dalle mani del giocoliere l'ordigno, consistente in due anelli~ completamente chiusi, e li sepa• ra: « Hai visto? >. « Va bene>, dice il giocoliere rassegnato, « eccovene un altro: duecento lire se vi riesce>. E Martani, preso il secondo ferro dalle mani del giovane, esegue il gioco sotto lo sguardo ammirato degli avventori, che intanto s'era.no alzati e avevano fatto cerchio attorno al nostro tavolo. « Te l'avevo detto che perdevi :t. Ma qui accadde un fatto curioso: Martani ringrazia, e poi, con voce alta e teatrale dice : « E ora signori vengo a presentarvi un gioco mai eseguito in tutto il mondo >. Forse gli applausi, l'atmosfera che s'era andata formando nell'ambiente, hanno risvegliato in lui l'antico animo di uomo di palcoscenico. Immerge una cannuccia di paglia in una bottiglia d'acqua e succhiat.,ne ·l'aria daltintcmo, solleva la bottiglia dell'acqua reggendola per quel fragile sostegno. Finito il gioco, la gente ap• pbude .. Allora Martani, con la mano tesa, compie un giro fra i tavoli. Dopo un po' ritorna e porgendo al giovane il denaro raccolto gli dice : « Chi ti ha insegnato il mestiere? Si vede che sci ragazzo. Quando trovi qualcuno che ti dice di andartene, è meglio che tu lo lasci in pace :.. E rivolto a me che lo guardo attonito, conclude sod• disfatto : « Sono contento che mi sia riuscito. Non ci provavo più da quan• do giravo per i palcoscenici con un prcstigirttorc, e dopo il mio numero lo aiutavo nei trucchi >. CARLO BERNARD CONCORSO PERMANENTE perla narrutone di un f'&U.o qua.1■1&■1, rea.lmente accaduto a. chi ■crtve. La narrutone non deve ■uperare le t.re colonne del stornale, e deTe HHni Inviata 1crl\ta. a. macchina, da una ■ola. parte del foglio. Op.1 narraslone pubblicata, aecondo l'ordine d.l arrlTo e d'acce\tastona, verri. compennt.a con Lire 500 (cln11.uecento),• I dat.t.Uo■crlLU non accet.- t.&t.l non ■1 re1t1\ui■oono. - Per la validità. della IDedlzJ.one, Hf't'lrtl del t.a• sllando 1tampa\O qu.11otto, 1.ncollato IUlla bu1ta. DA TAO~ CONCORSO PERMAaEaTE Alla Direzione di OMNIBUS VIA DEL SUDARIO N. 28 ROMA (ii" SORCHIOELVIOLIHy w~~~ DI EROI NON SO perché. Gli artisti vecchi li trovo quasi più interessanti dei giovani. Non è una predilezione o una mania di antiquario. No dav~ vero. Ma questi uomini carichi d'anni, definiti, stagionati, arrivati, specialment~ i musicisti che hanno dietro di s6 una vita lunghissima a coda di serpente, o una carriera interminabile piena di gloria e di disgrazie, mi magnetizzano, mi attraggono come la calamita il ferro. Penso al povero Pachman; a Reisenauer, il furioso « pianista-bevitore• sempre ubbriaco; al ferreo Paderewski, tuttora vivo e incrollabile; al nostro morto Busoni, e all'ancora immane StrauH: tutti, nei loro ultimi anni, ancor pieni di 1orprendenti segreti, di risone originali e di saggezza preziosa silenziosamente sepolta sotto la freschezza della loro vecchiaia. Tutti sono o furono all'ultimo delle cisterne sconquassate, dei veri pozzi d'acque limpide, che sembran morte, in fondo alle quali si vede a quando a quando balenare la luna nel riflesso rovesciato. Questi famosi artisti, le due o tre generazioni successive non riuscirono a rovesciarli: mai sommersi dai concorrenti, n6 spazzati via dalle ondate del nuovo e del moderno. E quegli altri meno famosi, pur come naofraghi sonnolenti, in un mondo ormai scomparso, arrivanti fino ai nostri giorni recando sui \'ohi asfissiati i segni indelebili e fatali della loro profonda origine e di una esistenza portentosa, del fuoco e della luce grandissima che fu in loro, tutti costituiscono una rivelazi~e del passato altrettanto folgorante quanto pub esserlo una rivelazione del futuro. Il passato non è men 1'icco e stimolante del futuro. Ricco di promesse e sgombro al pari dell'avvenire. Noi possiamo costruirvi a nostro agio i nostri cistelli in aria, fondarvi le nostre speranze tal quale come sul futuro. Luoghi di una grandezza ormai spenta e dispersa. La rievocnione si compie in una atmosfera spiritica paur'O$ae piena di cupa aspettazione. Ben pochi rispondono all'appello. Malati, malati di cuore. L'umore· fisso li tiene di chi non si alzerà più. Abulia, torpore lento. Irreparabile immobilità, in attesa di una partenza finale. E la musica brucia in loro adagio adagio come il fuoco in un materasso. Si sente odor d'incendio e non se ne vedono le fiamme. li malato continua a dormire e rischia dj soffocare. La brage, l'ultimo fuoco, brucia pelo · per pelo tutta la stoffa umana terpeggiando in sordina. Alla fine c'è un risveglio interiore. Ma le palpebre restano chiuse. I ntantd echeggiano intorno, mussando come lo champag1te, uscite ottimistiche, disegni e melodie a curve ridondanti che l'orecchio a~glie e concepisce comodamente. E una facile ebbrezza sopraggiunge. Circola qua e là nel suono generalizzante qualche diavoleria, s'annunziano colpi sorprendenti, finezze sorde e bizzarre, e in fondo a un gran fracasso senile la coda del demonio e l'artiglio di Paganini. Vaudet1ille.s e sinfonie mischiati insìeme. Ecco sorgere una solennità ventruta, una sonorità di canone alla quale fa contrasto la brillante malinconia dei tempi di Chopin. Insomma, qui c'è dentro il fluido dell'Ottocento. E, sotto la banale, invecchiata e profana apparenza, ci sono ?e tre Grazie, il sublime teatrale, la facilità sovrana. Sulla facciata fuma il salnitro delle battaglie. Oscuro e cocente momento itluminato e chiuso a guisa d'inferno locale. Frettolose ombre, bassi alterchi fra le mura del camposanto. E un rado sbattere di spade sotto i portici caldi. Poi pause improvvise, fonde come una bastonata sul lume, e si rimane al buio, mentre la funebre campana suona a morte sull'orgia del Passato. In quel lumeggiare leggero e struggente di ossario galvaniz.zato, quanta umiltà e decoro mortale dalle voci e vocette che sfiatano da tante sepolture. Dopo la nuvoletta di polvere da sparo, rintrona ancora come su un ca.nate fermo l'eco decantatore dei flauti eterei. Attraverso l'esigua armonia si vedono le costole, lo scheletro del vecchio secolo. E uno scheletro è sempre più interessante di un corpo. Mutan la forma e il peso corporale; il corpo non è che ur. sottinteso témporaneo; la spoglia si decompone, cade pezzo per pezzo e va a ingrassare la terra. Lo scheletro rimane a lungo, intatto testimone. BRUNO BARILLI LEO LONGANESI - DJrettore respom:1ablle S A. El)ITRll:~~ O\ISJUlJS:--:-~iJL.,N~ Prflprlt!à u1l,1it■ e ltlltr.,.ri• ri.,.rV•I•. RIZZOI.I & L. --~"· p,-,'!'A,1~f.1;,op•. """i~ Rll'KOIH,7.IO~J E!)l-;°C..ÙITE COS -~IA1 i,:l(,!Ai:'j:; t,'OTO1.;RAFICO • FERR.\~IA •· P11bb/1t1III: -'!i:('rui.a G. Uruth\. \hl;;:;,, Vi• :,.;i~~o Ttl :W,SIIJ7• Parirti, $6, Rue F•ubouri Saint-Hor ,rii
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==