IL SOFM DELLE musE PERSONAGGI /~RMANDO MEONl ha pubblicato 'j. fino ad oggi tre romanzi, che seri r,,. vono s~pr~ttutto_ a tcnimoniarc coQ' mc egli sia scrutare non a caso, e non soltanto per vaghcz.za let• tera.ria mcuosi a narrar norie di tcraria, messosi a narrar storie di personaggi. Ma se Mconi ha la mano del dato di ritrovare caratteri che a lettura finita restano evidenti davanti agli occhi, tuttavia il giudizio 50i suoi romanzi non può cucrc che severo, Anche il lettore meglio intenzionato si avvede subito che si tratta di opere del tutto mancate. Cosa difetti a Mconi non è facile dirlo: è bravo nel fissare in alcune pagine i suoi personaggi; è abilissimo nella pittura di certi ambienti ; ma presto ci si avvede che il suo racconto quasi sempre manca di limiti. Come se Mconi si mettesse a narrare secondo un impreciso motivo, spc:rando c.hc esso possa rafforzarsi e definirsi strada fa. cendo. Ne deriva che le prime pagine d'ogni suo racconto restano sempre le più giustificate, mentre in seguìto par quasi che l'autore annaspi nel vuoto, .. e C~are"t fu, per quel che sappiamo, il primo romanzo di MeonL Avanti avevamo visto, più che letto, di lui alcune novelle scritte con la facilità che non per la prima volta ci viene fatto di rimproverare agli scrittori nati fra Firenze e il Tirreno. e Creare > era l'opera di un romanziere, ma tutti ne dissero i difetti. Guastava un'enfasi diffusa qua e là nella narrazione; senza contare il danno che derivava da personaggi poveramente dannunz.iani. Venne dopo un altro lungo racconto: c. La cintola>; che aveva, sia pur in minore misura, gli stessi difetti del primo, Di e La cintola > potevano sorp~ndcre le prime pagine: una storia d'amore fra le più dolenti che si siano scritte oggi. Ora siamo alla tena prova, a e Richiami>, apparso in questi giorni da Vallecchi. e Richiami > ha forse meno di e Creare > e di e La cintola > il dono di una pagina felice; ma resta qualcosa in questa opera difficilmente precisabile, per cui si può continuare a dire che Mconi può scriver romanzi. e Richiami > è un romanzo a personaggio; e foric era la volta buona per un autore che proprio, per la facilità boz• zettistìca di ogni toscano, si era tante volte sprecato in macc.hiettc e in personaggi mi- '" ,i. Scrittori come Meoni che si giovano di una facilità. nativa, forse possono trovare la regola in opere volutamente racchiuic intorno a un solo motivp. E in < Richiarni > il motiVo tale da rendergli possibile un racconto senza inutili sprechi, c'è nel carattere della protagonista. Si chiama Nella, cd è una opuaia di Prato. Sul fi. nire della sua prima giovinezza, la prendono lltrani turbamenti. Ha un amante nel suo fid.anz.ato; rna non basta. Il suo turbamento le toglie ogni padronanza di sé: un altro diverrà almeno per una volta suo amante, e cos1 via. Tanto che deve avere un figlio. Ma ecco che la ragaua fa una scoperta romanzesca. Non è figlia di sua madre: suo padre la ebbe da un'altra donna. Saputo dove essa abita, la va a tro-- vare. La madre ritrovata riceve in casa giovani e uomini maturi ; all'apparcnn ha un commercio di abiti usati, ma è qualcosa fra la mantenuta e I.a manutengola, La madre accoglie la figlia con sciocca cordialità; la 1rattiene, la costringe a starsene con un vecchio che paga moho, la costringe ancora ad altre simili cose. Saputo della creatura che deve nucere, pensa a liberare la figlìa da un simile impiccio. Jn1anto, Nella si IMcia icmprc più andare, fino a divenire l'amante dell'amante di sua madre. La conclusione di questa storia resia _nel vago. Nella attende il bambino, e niente di più. t lo studio di un carattere cui manca nd fatti ogni giustificazione. Meoni è stato abile nel fissare fin dalle prime pagine il carattere di Nella, mostrandola più debole che viziosa e leggera; ma, in seguito, e.o• stringe il suo personaggio ad cuere protagonista di avvenimenti che paiono gratuiti. Il destino di Nella è quello che è: andare di uomo in uomo, arrendendosi miseramente. Meoni ha vi110 ~ne il suo personaggio, e non ne ha saputo per nulla intendere la storia. Gli avvenimenti di e Richiami > non sono neceasari a Nella: sono fatti brutali e basta, cui la ragazz.a è costretta. E c'è di più: par qua.si che, ad un certo punto, manchi al romanzo la sua naturale conclusione. La madre vorrebbe liberare la figlia dall'impaccic, del parto; e la figlia la si vede disposta psicologicamente a cedere. L'ultima pagina, al contrario, YOrrebbe mostrarcela teneramente materna. li romanzo dunque non ha la sua conclusione naturale. Le ragioni che gliela hanno impedita possono essere molte i comunque, il romanzo resta mancato. Insomma, si direbbe che Meoni faccia di tutto per forzare quella che è la sua immaginazione. Forse Nella poteva valere un breve racconto, e, ingrandita fino a protagonista di romanzo, ha perso molto, se non come carattere, almeno come eroina di un dramma. :\Uoni predilige sempre il romanzesco, e un romanzc.sco svolto ampiamente come avrebbe osato Balz.ac. Del resto, la lingua fa la spia. Meoni ha in ogni ,uo romanzo moltissime pagine gonfie e sciane fino all'inutilità. Quando la sua immaginatione vuole essere soltanto ingeifnosa, e va dietro a piccole ambizioni ro• manzesche, mai si è visto tantp spreco di parole. Altrove, in quei luoghi che non ci pentiremo mai di avere lodato, le cose stanno diversamente. Meoni, che a molti sembra perfino un epigono del e Fuoco > o dr! e Piacere>, scrive allora con una semplicità e una precisione forse da romanziere ARRIGO BENEDETTI 11 SI, 1lgoorb.a, ho l•llo Uteut&mlDt• ll 1uo ultimo n;,m1nio, Mi p1N obi (li 1lano ln:>ppi accapo 11 "llt. p1rdawi, mt.ea\101 obi tono 'f'lrtl,., 11 11 Allora et III aono troppo pochi " I 'J PIENO apogeo politico, m piena dittatura della scienza, la Francia dcli' Ottocento ebbe, come accade anche alle persone più savie, il suo quarto d'ora di debolezza: la parentesi bergsonìana. 11 bergsonismo scoppiò nella storia in• tcllettuale della lii Repubblica come una ~nopausa. Fra il 1889 e il 1907, presso a poco all'epoca di quell'altro cataclisma semitico che fu l'affare Dreyfus, le tre opere capitali del nuovo Spinoza, l'Essai sur fu donnùs immiàiates d~ la conscienu, i"1atière et mimoire e soprattutto L'lvolution criatrice, parvero aprire nella tradizione del pensiero francese, già insidiata dal dilettantismo renaniano, una breccia irreparabile, spodestando la ragione in favore del sentimento e preparando, con una specie di ritorno a Rousseau, un secondo Romanticismo, Lontana crede della teosofia ebraica, la nuova dottrina rispondeva all'accusa costantemente mossa dai Tedeschi alla filosofia francese di essere, per colpa di Canesio, esclusivamente meccanicistica, di imprigionare il vero nell'inerte e nell'immutabile al contrario di quella germanica, filosofia dello slancio spontaneo, identificante, diceva Fichtc, il vero con la ricerca infinita. Non che la concezione berg,oniana mancasse, in Francia, di antecedenti. Per un Maine dc Biran, battezzato dal Cousin • il Fichte francese•, la conoscenza dei fenomeni puri e semplici era già stata assai meno importante che non l'intuizione immediata delle loro cause. Un Ravaisson, suo continuatore e, come lui, precunore dell'anti-intellettualismo e dell'intuizionismo, aveva anteposto l'intelligenza intuitiva, che cerca di penetrare le cose dal di dentro, al giudizio, che le considera dal di fuori. Un Boutroux, antideterminista convinto e grande introdunore della filosofia tedesca in Francia, aveva affermato che il numero non è tutto, che matematica ed esperienza non coincidono mai appieno, che il tratto dominante della natura umana non sta nell'immobilità ma nel movimento, che il mondo è radicalmente contingente e indeterminato e che la scienza non rappresenta il nostro solo mezzo di conoscere. :via fino al Bergson qU.csta vena spiritualistica del pensiero francese era rimasta confinata in una specie di limbo. Ci volle il filosofo dell'Evoluzione creatrice per trarla in ìuce e cattivarle il favore del pubblico, grazie alla forma brillante della sua esposizione e alle prospettive se• due.enti che il suo linguaggio adorno e insinuante di cltrgyman mondano sembrava dischiudere ai profani. Il misticismo dormente nelle stesse anime più aride parve ridesto e riabilitato dall'insolito dottore sorbonico. Che insegnava costui? Insegnava anzitutto a diffidare del raziocinio e delle categorie mentali implicite nel discono, cioè nientemeno che a disertare la carreggiata maestra del genio speculativo francese, a ripudiare Cartesio. La parola, in cui questo popolo diserto aveva sempre visto l'alfa e l'omega della sua potenza spirituale, non era per lui se non uno strumento imperfetto di espressione. Non si rinserra la vita, creazione cont'inua, mobilità, perpetuo divenire, nella morta carcere del verbo. Linguaggio degno di un tedesco! Vivere, per un essere cosciente, significa maturarsi, e maturarsi significa crearsi indefinitamente da sé (cfr. Svol. criatr,, p. 8). Non era questa, quasi, la partenogenesi dell'individuo? Bando aJla stabilltà, dunque, bando alle regole fisse! Agli occhi dei Francesi il mondo si metteva in moto, le montagne camminavano. Le Dom1ies immidiaus tornavano a liberar l'uomo, come già i principii dell'Ottantanove. • Nel nostro bagno materialista •, scriveva entusiasta il Massis, .- Bergson introduce, attimo inebriante!, la libertà». Quale voluttuoso respiro, dopo l'oppressione di tanto positivismo. di tanto determinismo! A rincalzo dall'anarchismo svenevole di un Renan, che esaltando il vivente, il lebendig, aveva aperta la via alla squalifica dell'assoluto e dell'universale, col Bergson il regno del determinismo finiva. Al d("terminismo egli rinfaccia,,a di trasportare arbitrariamente la causalità meccanica dai fenomeni fisici nei fatti psichici misconoscendo lt1 mobilità, la fuggente originalità, il divenire creatore della vita dell'anima. Se fossuno automi, i nostri atti potrebbero, si, essere rigorosamente detenni nati: ma siamo creature coscienti e ci creiamo di continuo, quindi i nostri atti sono liberi. Addio Taine, addio ambiente, addio materialismo storico! Animale essenzialmente sociale, incapace di assurgere alla coscienza di sé se non in quanto si sente circondato e limitato da altri uomini, il francese ebbe l'impressione di aver perduto il proprio peso specifico e di librarsi a un tratto negli spazi. A lui che aveva sempre giurato sul razio• cinio, sulle idee chiare, sul calcolo, sul buon senso, ecco che un filosofo dal Collège de France discopriva come l'umano intelletto fosse distinto da una .-naturale incomprensione della vita• (Évol. criatr., p. in), Che diventava, in tal caso, la filosofia? • O non esiste filosofia•, rispon~ deva il Maestro, •o filosofare significa collocarsi nell'oggetto medesimo mercé uno sforzo di intuizione :t. L'intelletto non coglie se non 11 quantitativo e l'omogeneo, cioè: la materia; per afferrare l'eterogeneo, il qualitativo, l'imprevedibile, la libertà, cioè lo·spìrito,èd'uopo ricorrere all'intuito. L'idea di questa visitazione mistica della ding an sich, nallacciante, in piena crisi modernista, Kant ed Hegcl a Santa Tere~ sa e a San Francesco, fece correre un bri• vido nelle vene degli uditori cattolici. Che la filosofia tornasse a risolversi, come la religione, nella ricerca del trascendente? Si aprivano orizzonti mirifici. Il filosofo non doveva più confina111i modestamente nel relativo quale un i1emplice uomo di scienza alla maniera del Renan, ma superare, razzo stratosferico, l'orbe dei puri con• cetti e penetrare nel fondo delle cose. Addio Cartesio, addio matematiche! Raggiungendo, anzi superando il Brunetière e gli altri banditori del fallimento della scienza, Enrico Bergson si atteggiava a precursore della scienza di domani, quella che crederà sempre meno nella realtà degli ulUversali, ricercherà il concreto, vorrà. ristabilire accanto al quantitativo l'importanza del qualitativo, reintegrerà lo spirito nella materia in luogo di separarli come faceva Cartesio, studierà la realtà vivente invece della realtà morta e si installerà nell'individuale, giacché unico è ogni individuo ed unico ogni momento della sua durata. Che aveva fatto la scienza analitica dell'Ottocento? Aveva atomizzato l'uomo. Ma l'uomo non si esaurisce nei frammenti di coscienza misurati dagli psicologi né nelle reazioni chimiche o nei processi funzionali di cui si occupano gli specialisti della medicina, né nell'essere sociale presupposto dai sociologi, dagli economisti e dai politici. L'uomo, sentenzierà un noto portavoce della scienza novecentista, rappresenta molto di più che non la somma dei dati riuniti dalle scienze particolari (cfr. A. Carrel, L'homme, ut im:onnu, p. 324). Per coglierlo e comprenderlo nella sua integrità. è dunque me• stieri d'una sin resi più completa: e dove trovarla, se non'riclla filosofia? Sarebbe stato questo il contributo suo, del Bergson. li bergsonismo si presentava, m altri termini, quale un'arte di approfittare della dupersione di vedute e di sforzi risultata dagli Cc.cessi della specializzazione delle scienze per sferrare una nuova offensiva 61osofica. Il seizreto del suo successo stette nell'aver condotto la filosofia all'assalto dell'orgoglio scientifico in un momento in cui le molt" novità entrate in linea - sostituzione ..!dio spazio all'etere e dell'elettrone all'àt:omo, avvento di una geome• tria non-euclidea, ccc. - avevano scosse le mura della cittadella e gettato lo scompiglio nella guarnigione. Senonché, la rivoluzione delle scienze essendo stata subita più che non promossa dalla Francia, la quale nei nuovi concetti pareva trovarsi a disagio e tutt'al più li accettava nella versione di Enrico Poincaré, nem.ico dell'imperialismo scientifico ma non fino alle esagerazioni dell'anti-intellettualismo, la necessità della rivoluzione filosofica proposta dal Bcrgson si impose meno a questo che non ad altri paesi e in primo luogo alla Germania, che poteva lusingarsi di riconoscere in lui un rampollo dell'hege• lianesimo. Circostanza caratteristica, nonostante l'eccezionale popolarità raggiunta alla vigilia della guerra dal filosofo dell'evolu. zione creatrice, in Francia egli doveva re• stare un isolato. Kon esiste qui una scuo• la bergsoniana e sarebbe difficile rintracciarvi un'opera filosofica importante che riveli vere origini bergsoniane. Renato Berthelot fece di lui un e filosofo minore•, quello che era stato lo Chopin nella musica (cfr. Le pragmatisme che:: Bergson, p. 356). I suoi avversari, in ogni caso, non tardarono ad affermarsi più numerosi dei suoi discepoli. li maggior carico fattogli dai francesi stava nell'aver rotto fede alla trad.izione intellettualistica ossia nell'attentare all'essenza medesima della cultura nazionale. Secondo il J acob, la sua filosofia rappresentava un regresso anziché un progresso della speculazione filosofica, come quella che demoliva la giurisdizione del razioci• nio senza provare per questo di poter fame a meno. Il bergsonismo costituiva, per così dire, l'espressione metafisica delle due principali forme dell'inquietudine contemporanea: misticismo e impressionismo. Giuliano Benda denunciava nel nuovo messia un traditore dello spirito, uno che avrebbe voluto dar corpo al paradosso di una metafisica predicante l'adorazione del contingente e il disprezzo dell'eterno, la religione del particolare e il disprezzo dell'universale (La Jrahison des cle-rc.s, p. 123). e Quello che col bergsonismo ripigliava baldanza e tornava alla carica era l'eterna pretesi dei mistici di farla da dottori• (Benda, Le Bergsonisme, ou unt philosophie d~ la mobili/i, p. toJ). Lo stesso Massis, dopo averlo portato alle stelle come liberatore, fini col voltarglisi contro, biasimandolo di aver cer• cata la certezza nell'intuizione, nel sentimento, nel cuore, ossia in quello che per definizione è impreciso, individuale e incerto; di aver costrutta una dottrina su una facoltà che, con la pretesa di superar l'intelletto e di far meglio di esso, non ci insegna nulla che il sano uso della ragione non ci avrebbe rivelato con maggior profitto: una dottrina .- che offende l'intclligenz.a, scuote i principii della ragione e si interdice pertanto il possesso del vero• (L'honneur de uroir, pagg. 105-107). D'accordo con costoro ma più radicale, F. Arouet, del resto, accusava il Bcrgson di non eSserc nemITleno riuscito a fare quel che voleva. Voleva rnggiungere il concreto, ma il suo concreto fu quale poteva concepirlo un filosofo astratto: rimasto sul terreno della psicologia classica, non afferrò se non il concreto .- in generale•. In quanto alla libertà, su cui s'era fatto tanto chiasso, la più grande gli parve coincidere con la totale sottomissione, vale a dire che il solo modo di rendersi liberi stava per lui nell'accettare volontariamente la schiavitù (LA fin d'11nej>(irade philosophiq11c, pagg. 32-76). Sarebbe come optare per la famosa • oonctizionatura neo• pavloviana • di Aldous Huxley: con la sola ctifferenza che l'autore del Mondo nuovo fa dell'umorismo e non dcli& filosofia. Al che il cattolico Maritain aggiunge che il bergsonismo non solo non fondava punto la libertà umana, giacché una libertà come quella non si distingue in nulla dalla spontaneità che abbiamo comune ooo le bestie, ma conduceva difilato a una specie di nichiiismo intellettuale (LA philosophie b~rgsoniem1e, pagg. 43 e 430). Sentenza grave più di ogni altr~ La prima ventata di popolarità non e'ra infatti giunta al Dergson dal mondo cattolico, che nella dottrina di questo levita aveva creduto riconoscere un fermento ravvivatore della fede? Sarà to stesso mondo, di Il a poco, il primo a muovergli guerra. Un professore di filosofia del Sem.inario di Agen constata, col Maritain, che, disgiunto dall'intelletto, il libero arbitrio diventa una e spontaneità senza luce•· Non contento di questo misfatto capitale, l'autore dell'Évolutio11 crlatrice distrugge gli stessi attributi del clivino: l'immutabilità, affermando che l'essere è mu• tamento; la perfezione, pretendendo che tutto evolve all'infinito; l'onniscienza, accampando che l'evoluzione degli es<;eri è imprevedibile. Toltagli la ragione quale mezzo per giungere al vero, poteva l'uomo non precipitare nello scetticismo? Fu così che, dopo aver creduto ravvisare nella sua filosofia un ritorno ai bei giorni della fede, la Chiesa bollò il Dergs.on quale battistrada dell'errore modernista. E l'idillio finl con una messa all'indice. Ma l'obbiezione principale formulata contro di lui doveva essere un'ol,hiczione politica. All'ala marciante del r.1.l,r.:alismo il suo sistema parve una esplosione vendicatrice dei rancori metafisici accumulati in Francia dalla fine del secolo XVIII. Lo si accusò di • avere innalzato a dignità di filosofia universale il farisaismo proprio dei governi borghesi•• di avere .-dissimulato sotto il gioco isterico dell'emozione• l'indifferenza, il cinismo e la crudeltà degli sfruttatori del regime capitalista, di avere appiccicata e l'etichetta della spiritualizzazione della materia• sulla politica reazionaria ed aggressiva che doveva provocare la guerra europea. Egli fu il• commediante di cui la borghesia aveva bisogno•. egli compendiò vent'anni di • tattica controrivoluzionaria• borghese (Arouet, op. cit., pagg. 102-120). La sua dichiarazione di guerra al materialismo, al positivismo servì, colmo d'infamia, a .-preparare il fascismo 1! Comm.ise, finalmente, il crimine imperdonabile di negare il progresso, religione della Francia razionalista e radicale, chiedendosi, empio!,• che cosa valgano le scoperte meccaniche e le applicazioni delle scienze positive, il commercio, l'industria, l'organizzazione metodica e minuziosa della vita materiale, quando non sono dominaci da un'idea mora!;•, e se lo sviluppo materiale della civiltà, alJorché pretende esser fine a se stesso, non sia destinato a condurre alla più orrenda barbarie. Ma poiché questa diffamazione della civiltà scientifica, poiché questa esaltazione dell'intuizionismo mistico erano un espediente della borghesia minacciata per sottrarsi al proprio - destino, quale miglior prova che una catastrofe si avvicinava e che i borghesi lo sapevano? Il bergsonismo rappresentava insomma una barricata eretta in fretta e furia contro il marxismo, in quel primo decennio del Novecento tutto echeggiante, fra lo sciopero generale del 1906 e lo sciopero ferroviario del 1910, dei clamori della lotta di classe. Più che a un'offensiva della bor• ghcsia, esso faceva pensare a una equivoca confessione della costei sfiducia in se stes• sa. La voga bergsoniana rispondeva a un rcg1esso della coscienza liberale e dell'intraprendenza individuale analogo, in ultima analisi, allo spettacolo offerto nel Sci e nel Settecento dalla progressiva dcca• denza della nobiltà. Come lo statismo monarchico aveva provocato il tramonto politico del patriziato, così lo statismo democratico provocava il tramonto politico della borghesia. Tendenze simili non signoreggiavano forse la letteratura anteriore alla Rivoluzione e quella della Terza Repubblica? L'una e l'altra erano, in ogni caso, letterature di psicologi e di moralisti. Le preoccupazioni, se non il genio, di Corneille, di Racine, di Molière, di Montaigne, di La Rochcfoucauld, di La Druyère, di Saint-Simon le ritrovavamo in SainteBeuve, in Oumas figlio, in Becque, in Bourget, in Proust, in Gide, in Mauriac, in Bernstein, in Duhamel. All'inquietudine sempre più grave del costume e del pensiero, alla crisi della ragione classica il bergsonismo aveva offerta in pascolo la filosofia della mobilità.. Poteva non arridergli la fortuna? Ma venne un giorno che, riportata con le anni la vittoria sul nemico secolare della patria, la borghesia si credette salva. Nell'euforia seguita a Rcthondes e all'umilia• zionc della Gernumia, i Francesi credettero sul serio che Bergson fosse stato per loro una specie di scarlattina e che il destino nazionale restasse intellettualista e cartesiano. • La Francia vittoriosa•, proclamò nel 1919 un apostata della sua dottrina, il Massis, • vuole riprendere il proprio posto sovrano nel campo dello spirito, il solo mercé cui possa esercitarsi una dominazione legittima•· La nuova Versaglia aspirava a resuscitare l'antica. E con qual diritto squalificare la ragione e la politica classiche, quando entrambe dimostravano di saper ancora trionfare? li ritorno al positivismo si impont',a. L'Università doveva riafferrare lo scettro. Fu questo il compito del decennio 1918- ,9,S. CONCETTO PETTINATO ( LETTEARLDAIRETT)OR DOPOG Caltanissetta, novembre. ea.w ~>teU·oioe, non si è riusciti a trovare il disco di cui mi parla. Ieri, cercando in quel mucchio di suoni e conservati •, abbiamo sentito scapp;lr fuori la vecchia Valencia. • Dolce terra che ci afferra con le mille seduzion . L'ho ascoltata con attenzione, ricordando il tempo in cui tutti i ballerini le caddero in braccio. Vale,1cia, se non erro, fu il primo grande ballo del dopoguerra. Con esaa tornava agli uomini, dopo quattro anni di bombardamenti, la musica delle liete occasioni, Ma come tomava squallida! A uno scrittore parve .- lo. più bella canzone da ballo•; i suoi occhi, che in quel tempo passavano per spietati, si riempirono candidamente di lacrime, e ben due articoli apparvero sul Corrie-redella Sera in onore di Valencia. E che immagini! e Sì, Valencia è una dolce canzone. Questa è forse la sola, fra le danze nuove a me note, che si possa ri• cordarc con malinconia, che lasci ncll'a• nima un solco, come una carezza che ci abbia dato un brivido ... Questa musica ha sordine e silenzi. Pare la musica di bordo di un naviglio che sia salpato e s'allontani!•· Ma prima aveva detto:• Nello spa• zio libero della hall, fra l'orchestrina t· le poltrone di cuoio, le coppie si stringono, ondulano; con passi cosl stretti e insistenti, le donne sulle punte dei piedi vibranti come lame nell'impiantito ... •. Tanta sciccheria, per salutare nientemeno il ritmo sincopato. e I legnetti a percussione ... pieghevole ritmo ... •· Si trattava in fondo di questo: che la musica da ballo aveva, pri• ma della guerra, rispetto della figura uma• na e, pur facendola saltare, le lasciava un aspetto civile., tenendo conto che, nella sala, gli occhi dovevano parlare, e in caso estremo le dita, ma non mai i deretani; e la musica sincopata, invece, aveva per• duto ogni 0 rispetto e si diceva apertamente destinata alle pancie, ai polpacci c- alle schiene. lo ero ragazzo, sedevo col viso lungo m un angolo del salone, e di Il osservavo tutto quello che mi sfilava davanti, all'altezza degli occhi. Ho ricordi precisi. Come le ninne-nanne s1 riYolgono agli occhi, e ne abbassano le palpebre, come le marce si rivolgono agli stivali, e li battono a martello sul selciato, quelle Valnicit sincopate si rivolgevano alle e• screscenze del corpo umano, e le ,IL..t:Ìta• vano e palleggiavano e sbattevano, rendendole enormi e indecorose. A un r.:erto punto, non avendo i visi tanfa auto11tà e forza espressiva da conferire l'unità di un uomo o di una donna all'i,isieme di membra, al quale appartenevano, la sala da ballo pareva riempita di una ridda di pez• zi anatomici. Con Valtncia, la musica cercava di fars; nuovamente largo nell'acre grasso lasciato dalla guerra, ma in fondo non \•i riusciva. E tante altre cose, simili alla musica, fa}. livano miseramente in quello stesso tentativo. Perché? Il tempo ci ha dato la chiave di molti segreti. Nel '181 la guerra non era terminata. Versailles non era stata una pace, ma un armistizio. S'era trattato nientemeno di stabilire u~a pace europea: i signori Wilson, Clemenceau e Lloyd George e gli altri diplomatici furono straordinariamen• te inferiori a questo compito; e i popoli rappresentati a Versailles, dai vincitori ai vinti, erano, nella guerra, tutti senza di. stinzione, penosamente decaduti. Nessuno aveva la forza di fare la pace ~ nessuno aveva la for.ta di continuare la guerra. Dunque, armistizio. In tutte le nazioni, si stabili naturalmente l'aria delle retrovie. (Dialogo, in un caffè: •Signore, ha dimenticato qualche cosa!•· • Grazie, le.sci stare: non m1 serve!•. e Ma è una bom• ba•· e Grazie: ne ho ancora qualche al• tra!•). E la vita si acconciò a scorrere per anni come scorre nelle terze linee. Ecco, da una parte, la ben nota morale di chi, venuto dalla trincea, deve da un mo• mento all'altro tornani: disprezzo di ogni gentilezza e culto del provvisorio. li razionale, cos'è stato in realtà se non il CO• struire case e strade nello stile affrett,ito e disadorno con cui il Genio militare alzava i ponti e i ricoveri, nell'imminenza del bombardamento?• Tan!o, deve saltarcl • è la vera ratio del razionRle. In simili (tCCa• sioni, l'arte è, senza dubbio, superflua, la poesia, la musica e la pittura appaiono come un lusso inutile; il lavoro, accurato e coscienzioso, riesce impossibile. Dall'altra parte, ecco la seconda. ben nota morale: la falsa bontà, la falsa gentilez• za, che coprono malamente lo stato d'ani• mo proprio, non ai veri pacifici, ma agl'imboscati. Il mondo ha vissuto una vita fuori sesto, entro una partita rimasta aperta. Per ciò, molti desiderano che la partita comunque si chiuda, e annunciano ogni giorno, con una misera esaltazione, che l'armistizio di Versailles sta per scadere. A questi ~;,iriti inquieti e disordinati, sembra che un,1 ..:on. elusione debba, in ogni caso, preferirsi a una \·ita sconclusionata. Se abbiano torto o ragione, io non lo so. Ma Va/e,icia non è una bella canzone. Essa è morta dopo avere animato di balli sgraziati un periodo più che sgraziato, e ora lascia che l'unica parola del suo titolo abbia un altro significato p<>co alle,rro. VITALIANO BRANCATI
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