r l ~©~2 ILBANDDITEOLCLASBAH I REGISTI FRANCESI cercano di mettersi al pa~'IO con la letteratura, come la giovane letteratura francese di vent'anni fa cercò di mettersi al passo col cinematografo. Se in quel tempo non lontano, alcuni scrittori di Francia ringiovanirono le loro invenzioni ispirandosi alle nuQvc prestigiose fortune del cinema, e rinnovarono certi schemi, snodarono la c:intac.si 1 sveltirono e precipitarono la loro prosa; oggi sono i registi, sia gli anziani come i giovani alle prime armi, che s'ispirano chiaramente agli scrittori, e traducono in immagini le scoperte, le intenzioni e il 'lignificato di una recente letteratura. Quanto dovevano al cinematografo 'ICrittori come Morand, Blaisc Cendran, Soupauh, ~facOrlan? E quanto, invece, oggi, debbono ali:\ letteratura registi come Feyder, Chcnal, Renoir, Duvivier? A quest'ultimo, Duvivicr, non ~i può negare l'impegno tenace che mette ogni volta nelle sue opere. Si sente in lui la costanza, la volontà, l'accuratezza di un uomo esperto e affc1.ionato alla sua arte. Senonché i motivi da cui trac ispirazioni, insomma la « letteratura> che gli lega la font:isia e l'ingegno, sono di scarto, consumati da due o tre generazioni almeno di scrittori. Altra volta, a proposito di questo regista, ci venne fatto il nome di Zola e Maupassant; aggiungiamo adesso i nomi di Céline, e magari di Malraux. Ma il risultato è sempre il medesimo. Una specie di romantica rivalutazione del « fuori legge >; un realismo torbido e cieco. ~frl cinema, può succedere qualche volta che una trama ben congegnata dia vita a personaggi privi di significato: così è avvenuto, quattro o cinque volte, in certi film americani di gangstus, dove la rapidità e brutalità dell'azione, la spietata documentazione dell'ambiente, permetteva uno spettacolo serrato e intenso. Così è avvenuto a Duvivier stesso, nella Bandera, dove si narrava una vicenda che permetteva a un solo personaggio, lo spione, di agire con coerenza e verità. N('l Baudito della CaJbah le cose invece non vanno affatto bene. La ragione è che la « letteratura > a cui il regista s'è rivolto è della peggior specie. Abbiamo letto che l'autore del soggetto è un poliziotto. Ci si aspetterebbe almeno un racconto veritiero. Ahimè, nemmeno i poliziotti dicono più la verità. Invece di una conoscenza ,ic11ra e documentata, ecco che mostrano un'immaginazione arbitraria e sconvç,lta. La vicenda si svolge ad Algeri, r,:.r lo più di notte, nef quartiere arab· , in un ambiente di ladri, spioni, ricettatori, poliziotti, prostitute arabe e mondane francesi. Il protagoni,ta è un bandito sentimentale, nostalgìco e annoiato. Pépé-le-Moko, che s'è rifugiato in quel quartiere per sfuggire alla polizia. Sempre i personaggi di Duvivic-r 'iaranno dc3tinati a fuggire all,l polizia? f:: una 'itrana insi'itcnza. La ,toria del bandito, che sembra annoi;.1.to di fare il bandito, i suoi amori. drlu,;ioni, rimorsi, noie e violrnzc, ci son raccontate c:on un fare lento, f.ttico'iO, opaco. La polizia francc,;c ha mc,;,;o alle calcagna di Pépé un poliziotto ambo, perché lo induca ad ab• bandonare la Ca.sbah, dove in quell'intrico di viottoli o,;curi, difficile e pericoloso è tentare di arrestarlo. !via prima che Pépé si decida ad u- ,;cire dalla Casbah, per correre dietro a una donn,1, di cui s'è innamorato ballando il /ox trot, e finiS<'°acosi tra le manette della polizia, quanti viottoli, stambugi, caffè, tcrrauc. 'icalcttc, dinrni orir-ntali e delinquenti, lo spettatore dovrà vedere. La novità dovrcbb'es,;ere l'aver rapprc~cntato un' Algeri grigia e brulicante, invece che arsa., calcino!--3 e disumana, come s'aspcttcrC'bbe. Novità che a,ç,,;omiglia a quelle di Trcnkcr, che vede nuvole dappertutto, in Svizzera, a Roma e in California. 1,[a per Duvi• vicr lo ,;copo è diverw. Forse gli è parso cht\ per narrare una vicenda buia, gli occorrc-ssc rappresentare un'Africa .:ilrrcttanto buia. Sennonché, in tant.l o~urità, difficile è rinvenir:-i. La foto• grafia è caliginosa: in ogni angolo, il quartietc arabo è o,;çurato da brume nordiche. :\Calviventi in maglietta hanno, a volta a volta, la fronte, una spalla. un ginocchio, illuminati d;1 tremuli riflr,ç,~i. I viottoli della Casbah <;011 rio;chiarati da bagliori sat.1nici. Tra nenie algc-rinc, le cortig:iane Muovono i fianchi alla danza, e rammentano i ~iovanili amori di Parigi. L.1 d('o;crizionc di questi ambienti e foTurc è meticolosa, analitica, tetra e s, :mcertante. A ogni gc'itO dei suoi J>< rwnaggi, Duvivicr vuQlc a~t~ibuir~ si.l,nific~ttì reconditi. Quei banditi? qu~1 rkC'ttatori, quelle ml'gcre che st ag1t.rno sulla ~rena, cono tutti segnati d,1 u11 destino cupo e noioso. Carichi di allusioni incomprensibili gli sguardi, le parole soppesate, piene d'intenzioni e di ghigni segl'eti. In un'atmosfera così satura di misfatti, minacciosa e viscida, ci si aspetterebbe un delitto ogni cento metri di pellicola. Invece, di grosso non succede quasi nulla. Appena un delitto a metà del film, e un suicidio in fondo. Tante facce patibolari, tanti ambienti sinistri, che invitano al delitto, alla grassazione, allo stupro, e poi soltanto un delitto, è una vera delusione, per chi è abituato agli stermini dei gapgsters. E: che Duvivier vuol sopr:ntutto che i suoi banditi e le sue prostitute parlino, o meglio, chiacchierino. Sono banditi e prostitute intellettuali, che vengon fuori dalle pagine della Xouuelle Reuue Française. Per conto loro, gli attori aiutano Duvivier sulla via degli errori. Prima di recitare ognuno di loro deve aver meditato sulle atTennazioni del famoso medico Coué, che fa della persuasione interiore il metodo per la guarigione. « Io sono un ricettatore, un ricettatore, un ricettatore>, deve e~crsi detto uno, lungamente, fino a crederci. « Io sono una prostituta araba>, deve ,..~ rsi detta un'altra. E messi insieme a recitare, si vedeva lontano un miglio che 1.1110 era un vecchio gigione, che guadagn:\ a malapena il pane col cinema, l'altra un'attrice che spera d'essere chiamat:\ a Hollywood. Io non so davvero dove gli Americani prendano i loro gangster.s, con quelle faccie spaventose e reali; ma è certo che questi delinquenti, Duvivier non è davvero andato a cercarli nei bassifondi di Parigi. MARIO PANNUNZIO ELEGANZA DI OLAUDETTE OOLBEBT 1ì 111111111] 1ì1'1'I I l]'f .. i, ì, I 1 , , I, 1, 1 J f. , . : ( I,, /~, /r~ LI ATTORI e le attrici di Hollywood amano, allorché racconta- \ (' / no la propria vita, dipingersi un ~ passato di sofferenze e di stenti. Ben · aramente udirete raccontarvi che nacquero in un castello o si nutrirono di frutta candita, o che studiarono a Oxford: qui, a Hollywood, si è ormai creata la rettorica dei miseri natali e della stentata esistenza che, come nei romanzi di Dickens, si conclude con il benessere, l'onestà e la gloria. Ogni attrice è una Becky Sharp e ogni attore un Oliviero Twist. Chi non ha avuto genitori poveri, infreddoliti, scarni, ammalati, o dediti all'alcool? I genitori, le madri, i padri e gli zii degli attori, sembrano uscire tutti dalla penna di Zola. E ciò si spiega: ciò ha la sua tagione sociale, il suo segreto commerciale: cd è che agli americani, ai protestanti degli Stati Uniti, piacciono gli eroi stlf-made.«La povertà•,mi diceva un giorno \\"ili Rogers, «è l'odore nazionale degli Stati Uniti. Ogni miliardario vi mostrerà, appena lo con<<1cete,le sue scarpe sfondate di quand'era senza un dollaro, disoccupato, in un quartiere di New York. .E: un'ambizione postuma di tutti i ricchi, quella di essere stati poveri •· Guai se 111 pubblico americano, voi dite: •La stella A. B. sa il latino, dipinge all'acquerello, ed è figlia di ricchi commercianti•! Esso ama gli eroi che salgono alla gloria dalla strada: vuol esser certo ch'essi, un giorno, erano degli anonimi e che, in un domani non lontano, a tutti potrà. capitare la stessa fortuna. Occorre lasciare a milioni di spettatori l'illusione che tutto quel che a un attore è accaduto può ripetersi. Ecco perché ogni casa cinematografica, quando presenta i propri campioni, si affanna a dipingere le loro modeste origini e la loro ostinata virtù. La madre ammalata, che la figlia aiuta a costo dì ogni sacrificio, è infatti il tema prediletto a cui più spesso ricorrono i giornali. Nella rivista This Week, mesi fa, ci accadeva infatti di leggere questo brano: , Marlcne Dietrich, nata Maria Maddalena von Losch - raccontano infatti i giornali - era figlia di un luogotenente dei granatieri prussiani, ucciso all'inizio della Guerra mondiale. Con sua madre, discendente di una antica fami~lia, essa si trasfcri m una povera abitazione, nei dintorni di Berlino. La fanciulla era ambiziosa di divenire concertista di violino e studiò fino all'età di diciassette anni. Una ferita al polso le rese impossibile continuare la sua carriera. Decise allora dt lavorare in teatro. Benché la f~rtuna della famiglia fosse da tempo svamta, la madre si fece promettere dalla figlia che non avrebbe usato sul teatro il nome di famiglia. Fu allora che Maria Maddalena von Losch divenne Marlcne Dietrich. e Dopo essersi iscritta alla scuola di arte drammatica di Max Reinhardt, fu costretta a lasciarla dopo un mese per mancanza di mezzi, Le fu data subito una parte meschina nella Bisbetica domata. Il suo nome vero poteva ritornare intatto in famiglia. « Spesso, quando non v'era più cibo, l'orgogliosa moglie dell'ufficiale prussiano non mangiava, per conservare il cibo alla figlia. Quando sua madre alfine si ammalò, Marlene d.isperata andò da un dottore militare, amico del padre. Questi le disse apertamente che la prima causa del male della mamma era la mancanza di nutrimento. «Marlene pensò a un raro violino, dono di suo padre nei giorni di abbondanza, come alla sola possibile salvezza rimastale. Quella sera lo portò a impegnare. e Ottenuto il danaro, ella disse alla mamma che aveva ottenuto un contratto per un mese allo "studio'\ e che l'avevano pagata anticipatamente. E preparò in cucina subito qualcosa da mangiare•. Come non commuoversi alla storia di questo violino? · Chi non sa, ad esempio, che la Crawford era dattilografa e viveva in una soffitta? In omagsrio a questo suo passato, la stella infatti si atteggia a laburista, e, carica com'è di milioni, ostenta idee sovversive. Negli ultimi scioperi di Hollywood, fu la prima a sospendere il lavoro. Tutti i giornali pubblicarono la sua fotografia come quella di un ltadtr politico, e qualcuno perfino pensò davvero a una diversa carriera di questa stella. Ecco un'altra stella dagli infelici natali: Clara Bow. Nei suoi primi anni, non vide che scene luttuose e malinconiche. «Anche quando mi affacciavo alla finestra•• raccontava un giorno, e il paesaggio mi ammalinconiva: una fabbnca, il fumo, un ponte nero•. E l'idolo della folla americana, la cinquantenne :Mary Pickford, come poteva non essere una povera bimba? Suo padre era un certo signor Smith, che abitava con la famiglia a Toronto, nel Canadà, e aveva tre figli. Per mnntenerli esercitava il mestiere di commesso di bordo: s'incaricava, cit1è, di vendere e di ritirare i foglietti di passaggio ai viaggiatori. L'infanzia quindi di Mary Pickford, ch'era la più piccola e si chiamava Glad}'1, fu triste e disagiata. Eppure di quei tempi, dicono i giomahsti, conserva un ricordo gradito, e quando parla del suo vecchio padre, gli occhi le s1 inumidiscono. Chi immaginerebbe che la tenera, dcli~ cata, tranquilla Silvia Sidney ebbe un'infanzia agitata e tumultuosa?. 1 suoi primi anni li trascorse a Odessa prima della ri,·oluzionc russa. La sua famiglia aveva nobili origini, ma l'antica agiat("zza snniva di giorno in giorno: la mamma e la nonna non riuscivano a nascondere la loro agitazione. Il babbo era sempre pensieroso e cupo. Un bel giorno, mancò il fuoco e il pane. Un altro giorno, brutali soldati rossi vennero nella casa e la misero a soqquadro, rovistan,to nei cassetti e a~p~rtando biancherie e oggetti prcz1os1. ,. Mi sovviene•• racconta Sih,ia Sidnev quando la interrogano sulla lqptana in~ fanzia, che. una notte fui svegliata bruscamente: la mamma mi raccomandò di star zjtta, di non pian12ere, di non parlare; altrimenti i soldati rossi mi avrebbero presa e uccisa. Poi mi ravvolsero d1 panni fino a farmi diventare tonda e goffa come un fagotto. La mamma mi prese in braccio. Il babbo carico di valigie sosteneva la nonna: essi avevano le lagrime agli occhi, ma non piangevano. Ci avviammo zitti zitti nella notte. La discesa della scalinata che dalla città conduce al porto mi parve interminabile ... Trovammo, infine, qualcuno che ci attendeva e ci condusse in una pieco:a barca. Il mare era mosso, e la nonna sospirava mormorando pian piano che il meglio che poteva capitarci crn di essere presi a fucilate dalle sentinelle di guardia o d t-sscrc in~hiottiti da un cavallone più grc., o. Il barcaiolo remava in silenzio. Mamma batteva i denti per la febbre, il babbo aveva gli occhi sbarrati nella grande oscurità, e ccrca\'a di distinguere le grandi ombre che si addensavano intorno a noi. !\'avigammo cosi molte ore. Ma io mi addormentai pnma di vedere come finisse la nostra drammatica fuga: quando mi svegliai, mi trovai in un piroscafo. Poi non ricordo pii1 o, meglio, le mie memorie si confondono: scp.pi più tardi che, dopo qualche giorno, eravamo sbarcati in Rumenia, e che dopo eravamo passati a Costantinopoli. :\1a rammento che un giorno salimmo su un altro grande piroscafo e camminammo molto tempo fra cielo e mare. Poi un nome m, divenne familiare: :--:ewYork I tristi natali, i genitori con la tosse, vecchi, nelle case senza vetri, mentre ,;offia il vento della miseria: ecco la rettorica dei milionari di Hollywood. JA~IES W. IIELL (CopJri.çlrl b.)· •'Jloll>,u~,J .\'~ fr,c 1, ptr r1ta1,(I, "' ··o,.,..,,.,
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