Omnibus - anno I - n. 31 - 30 ottobre 1937

t ,,_. I I='lANZI alla mia casa, nel suburbio della città1 c'è un vecchio giardino. Apparteneva a una famiglia del luogo, di cui ricordo, con poche figure, soltanto il favoloso parlare che se ne faceva nella mia infanzia. Allora la città era più lontana, non si faceva ,;entire; molti prati e un diverso mondo la separavano da quell'a.ggregato un po' contadino. Infatti, i proprietari del giardino e della villa, ch'era forse la più importante del luogo, venivano chiamati, in dialetto, con un accrescitivo in fondo riverenziale come fosse, invece di 1'(creghctti, i :vt:ercghettoni. Ed erano infatti vecchi au- "-tcri, con solenni capigliature bianche, e l'incedere maestoso e nobile. Erano state le persone più autorevoli del luogo nella vita pubblica e nel fasto privato. Ebbene, sempre, al sopraggiungere della primavera, dagli alberi di quel giardino dinanzi a casa mia giungev..l ogni sera, e continuava per tutta l.t notte, il c,into di un usignolo. Ricordo che molti passanti si soffermavano ad ascoltare e dicevano : « 8 l'usignolo dei ~[ereghettoni >- Dire che facessi gran caso a quel canto, mentirei. Proprio non me ne importava nulla, non riuscivo a capire perché quel tiò tiò dovesse apparire addirittura sublime alle persone adulte, alla gente che veniva per casa, ai parenti e ai passanti che si fermavano ad ascoltare. 1 ~{ereghettoni passarono alJ'altro mondo, che l'usignolo cantava ancora. I funerali della vecchia, l'ultima di quel casato, me li ricordo. Furono veramente imponenti, impennacchiati, con grandi corone, molta gente venuta dalla città, su certe alte carrozzl tirate da belle pariglie, un corteo di preti (almodianti, sicché agli occhi dei ragazzi a.5sunsero tutte le attrattive di un avvenimento eccezionale. L'anno successivo a quei funerali fu inaugurato il tram. Doveva essere il 1913. Il sindaco ch'era successo a un nobile, conte o marchese che fosse, il quale a sua volta aveva preso il posto di un Mereghettone, era un uomo venuto dal nulla. Me lo ricordo. Era un uomo straordinariamente moderno. Colitruiva case. Aveva una barba lieve, roo;siccia, su un volto sanguigno e forte, la persona atticciata, e andava ogni giorno in città, dove curava le sue imprese. S'era fatta una villa che gareggiava con quella dei Mereghettoni, ora passata ad eredi più semplici, con un gran giardino, ruscelli, fontane e enormi gabbie per uccelli _esotici. S'era arricchito con le sole sue fone e, com'è naturale di questi lottatori, ostentava una fortuna appariscente e un bril• lante tono di vita. Andare per casa \Ua, era solo degli eletti. Dire il suo nome, significava nominare, ora, il più ricco del luogo. Infatti, il sindaco era molto temuto e riverito, e il giorno dell'inaugurazione del tram diede nella sua grande villa un ricevimento a cui intervennero personalità in tuba e marsina. Pochissimi lo conoscevano di nome, ma s'erano stampate persino delle cartoline illustrate a colori che venivano spedite ai parenti con orgoglio. Col tram fu tutt'un'altra co~a. La città parve a due passi. Un mtc, che teneva lo o;tallazzo per la diligenza, mi\c a riposo i suoi cavalli stanchi. Ora s'andava in città con un soldo e in pochi minuti, sul tram che girava innanzi e indietro dal mattino n. mezzanotte. Quei non molti operai che do• \'evano misurare a piedi la strada per recar-;i alle officine, tirarono un gran \◊'>piro : finalmente il tram era venu• to. Ad uno ad uno, si formarono nuovi operai, dei quali la città aveva bi- -.ogno più che di pane; e in breve tempo questa ma,.sa nuova prese contatto con una diver,a vita. Il sindaco. tuttavia, non resisté a lungo. Qualche mese dopo ci furono le elezioni comunali. Quegli operai che b 2:cnte definiva e spregiudicati >, i quali •/erano riuniti in una cooperativa e facevano comizi tremendi negli angoli più impossibili in sere che la gente per bene si tappava in casa, si butta• rono con \'eemenza nella lotta. Le li- ~te erano quella dei e paolotti » e quella dc,i « socialisti ». Siccome non era mcialista, il sindaco che aveva fatto venire il tram fu neces~ariamente paolotto, o clericale. Fu verso la fine di ~iugno che gli operai socialisti vinsero alle elezioni. Dalla cooperativa si incolonnarono e si diressero verso il ~1unicipio. Gridavano, forse perché nentavano ancora a credere alla loro vittoria redentrice, cantavano inni furibondi e recavano la bara per i funerali del sindaco borghese e codino. Con questa scenografia funebre ini• ziarono a governare. Era un giorno di festa, verso il tramonto, l'aria era calda e forte, piena di polvere e di sentori di campagna. Io gun.rdavo, tra le stecche delle persiant!\ chiuse, quella folla ebbra e scomposta che, sotto, gridava contro i ricchi e crocifiggeva il sindaco paolotto. In casa, er:\ silenzio e costernazione; infatti, si doveva festeggiare l'onomastico di mio padre. e la piega degli avvenimenti non era favorevole alla serenità. Ero, dunque, arrampicato dietro le persiane, eludendo un preciso divieto, e seguivo attentamente la manifestazione, spinto da una grande curiosità. Come la casa del sind.1co \icco, così quella strana manifestazione di scamiciati diventati d'imprn·viso potenti, mi attraeva. In fondo, non odiavo gli scalmanati di sotto; cercavo piuttosto di capire come e p~rché fossero giunti a quella inattes.."\vittoria, e che cosa avrebbero fatto. C'erano molte minacce per l'aria, e tutta quella gente dava l'impressione di voler svincolarsi da un giog_o odioso, di volerla finire con il pao;sato: era gente che aveva imparato a salire in tranvai. Più tardi 1 dopo il pranzo onomastico a cui mancò ogni allegria, badan• do a non alzare le voci, a non aprire le persiane, spegnemmo la luce e ci mettemmo al balcone. La sera appariva profonda e calda, ma anch'essa sembrava stanca ed eccitata. Poche per- ,;;one pas~avano in istrada; i socialisti. dopo la parata, s'erano riuniti alla cooperativa, all'altra estremità del paese, mentre i paolotti s'erano tappati in ca(a, Il tram giungeva vuoto ogni quarto d'ora, senza offrirci distrazioni. Appoggiato al balcone, guardavo nella ,;trada, senza osare interrompere il silenzio dei miei, e non sapendo che fare. Quando, a un tratto, l'usignolo dei Mereghettoni prese a cantare. Finalmente una voce, e mi parve che sollevasse un po' tutti, come uno che avvii un discorso in un momento penoso. Tutto era tranquillo e semplice; solo quel canto, a pause, a zampilli, percoteva la grave immobilità della sera. Impossibile non seguirlo, non lasciarsi prendere dal ritmo spiegato. Fu quella la prima volta che_ mi sorpresi ad ascoltare il piumato cantore, e for- ~ tentai di capire la maestria decan• tata del suo gorgheggio. Fu una grande distrazione, un piacere sconosciuto e sottile; e mi pare che incominciassi allora a pensare. Passarono anni durante i quali socialisti e paolotti, codini e rivoluzio• nari, borghesi e mangiapreti, tutti soggiacquero alla legge comune delle trincee. Le donne avevano preso il posto degli uomini nelle officine, sui tram e nelle piazze. Partecipavano agli scioperi, gridavano alla rivoluzione contro gli interventisti, i pescecani e i borghesi, e incominciarono a \'estire alla moda. I primi matrimoni con gente della città ebbero la risonanza di una lieta avventura; la « rossa » aveva sposato un capo officina, per la Fiora ::.'era sparato un fornaio. Poi questi scambi divennero usuali, e sembrò a tutti d'esser passati di rango. Tuttavia un vecchio avviso avvertiva ancora : « ~lilano Km. 4.800 >. Quelli ch'erano tornati dalla guerra, sobillati dagli operai imboscati e dalle donne, alimentarono i vecchi rancori. Alla domenica, era divertente vedere la fiumana di folla scendere dal tram e incanalarsi nella strada principale. S'incominciava già a fare una certa confusione fra città c campagna, tutti erano presi dall'euforia del e cittadino >, che significava in sostanza il predominio ormai netto dell'elemento operaio. La domenica era la festa di ► ~ . I ... ~; ~: . l ,. ,,. \._ ..,...\ • •• w ••• 41\ r Questa domanda mi balenò nel cervello la sera che scrivemmo sul muro di cinta del giardino, dinanzi al Municipio, con caratteri tinti a tricolore che (i distendevano per una decina di metri, la nostra protesta : « Abbasso il Comune rosso>; e per non lasciare alcun dubbio sulle nostre intenzioni, invece del grammaticale punto escln.- mativo, disegnammo la sagoma di un manganello. Era entrato allora, con grande successo, nel ciclo delle glorie nazionali questo antico arnese paesa~ no. Sebbene a denti stretti l'ultimatum fu accolto da quei \c. rossi > del Co- " .. ,APPOGGIATO AL BALCONE GUARDAVO NELLA STRADA ..," questi operai, che venivano in compagnie scanzonate e spenderecce a metter su boria nel suburbio, con le cma~iostrine> candide, gli abiti blu e le idee avanzate. Quelli del Comune caddero, travolti dalle rivalità di partito, 1;uperati e addirittura sommcr-;i dalla foga degli estremisti, e lasciarono il posto ad altri di colore più acceso. Si videro allora, in ritardo di vent'anni sul pionierismo sportivo, i primi ragazzi in mutandine, con i primi palloni di cuoio, occupare la piazzetta per le con• tese calcistiche. I vecch, politicanti però non amavano queste cose nelle quali, con poca fantasia ma forse ron incosciente intuizione, vedevano il distacco dei 'giovani dai circoli vinicoli, ch'erano le fucìne della piccola politica popolare paesana. Tuttavia, con le eleganze femminili, i giornali poli• tici, il predominio estremista, la coscienza di dasse, la nascente passione sportiva, pareva proprio che la civiltà e l'emancipazione fossero discese trionfanti dal tranvai giallo in quel dopoguerra inquieto. Ma, ostinato rappresentante di un mondo semplice e rurale, tradizionale e paesano, nel giardino dei vecchi Mercghettoni l'usignolo non si stancava di riempire il silenzio delA: notti di primavera. Era o;empre lo stesso? Oppure, dalle covate che si sparpagliavano, un rampollo era rimasto a so-;tituire il vecchio cantore dell'anteguerra? munc; ed anche per loro, come per i defunti ~lerc1?;hettoni, come per il ~indaco co-;truttorc ch'era stato forse la prima vittima del suo spirito d'iniziativa. era pas~ata la gloria terrena, e l'usignolo C"Ontinuava a cantare dai platani del giardino dinanzi al Municipio. Sotto questo aspetto, l'innocuo gorgheggiatore era un testimone obiettivo degli avvenimenti, una specie di storico rionale, che riassumeva e commentava i fatti della giornata, di pri• mavera in primavera, con quel supe, riore concetto che il Leopardi riconosceva agli uccelli. Come la cronaca faccia luog'o alla storia è cosa che solo il tempo può dire. Infatti « le masse> (giacché così si chiamavano allargando i polmoni), che -;i erano consegnate alla città e fatte ambiziose di se stesse, non stettero subito chete. Capitò come dappertutto un momento di livido abbandono agli istinti ed ai rancori, a cui successe un periodo torbido, e quindi una passività ostile, come di chi aspetti il momento di risorgere e di colpire. Un fatto morale aveva però già superato la stessa volontà umana, ci aveva già fusi e affratellati per l'avvenire, lavorava già per noi tutti senza che si vede,.se ad occhio nudo, giacché i fatti morali operano pazientemente e incoscientemente dal di dentro. Co5tÒ un , .. ,.LA SERA ORE SCRIVEMMO SUL KOR0, .. 11 po' di fatica mutare le abitudini domenicali, cambiare il t"epcrtorio dd canti, smetterla d'insultare per le strade, finirla di parere i padroni di quel mondo che, con un po' di prepotenza, sembrava facile preda dell'arbitrio scamiciato. Ma mentre questa maturazione avveniva, sempre più il borgo perdeva i suoi contatti con il passato. Se un ottuso e conservatorismo latifondistico > aveva impedito che si sviluppasse in un senso industriale, quella che era la sua sorte segnata di satellite della città si dové compiere ugualmente : e famiglie; il loro attaccamento al paese era, perciò, stretto e con,ervatore. Invece, gli uomini nuovi furono disinvolti; gli intraprendenti, in pochi anni, ebbero l'automobile. E la ebbero jl barbiere di Cerignola e il mercante della «bassa» che s'era messo un negozio a tre luci : piccole macchinette di seconda mano che non facevano spicco in un agglomeramento che s'era messo ormai su un tono monotono. Anche quella resistenza morale opposta all'inizio ai trapiantati di ogni re~ gione, venne a cessare e molti di questi nuovi ora parlavano benissimo il di.lletto locale. E poi era accaduto un fatto anche più importante, che costituiva come la conclusione, il coronamento dell'iniziativa di aver condotto il tram: la città aveva assorbito il borgo. Tutti divennero cittadini. Brano di storia compiuto: chi aveva Quella vanità era soddisfatto. Ora, su quell'aggregato ancora immerso nel verde dei prati, in attesa che lungo le rotaie del tranvai, pom• posamente numerato come una linea cittadina. il congiungimento con la città sia operato da una doppia fila di edifici, si è disteso un ideale reticolo in filigrana da guai dare contro luce. Il Piano Regolatore. Entro queste linee, si forma il nostro destino urbanif stico che non tollera budelli né catapecchie, rimpianti o nostalgie nelle sue mire di « miglioramenti » in geometria. Che nessuno ci pensi è tropDO logico, ma a parlarne tutti hanno da fare delle riserve, anche i trapiantati che pure hanno più esigenze degli altri e sono corrivi alle riformr e ai mutamen:i. Entro queste linee planimetriche, che recano lo stemma del grande comune, si forma il destino che seppellirà la cronaca riona!,~ passata, di cui nulla, neanche i muri, sono probabilmente destinati a restare. Se non ci si pema, non importa; ma la nostra vita ha anche una faccia sedentaria, o affettiva; questa è ormai consegnata all'urbanistica che ci mrtte in uno stampo l~~ico e ferreo come una legge. In esso lottano, come in ogni cosa del mondo, i due eterni temi dello stilita e del viandante, della conservazione e della rivoluzione. fu, perciò, rinunziando cocciutamente a quei benefici che portano le fabbriche, i quali compensano i danni. In dicci anni la popolazione raddoppiò; la più umile migrazione urbanistica, richiamata a ondate da ogni provincia, si insediò alla periferia; le favelle si frammi~hiarono con tutte le gamme dei dialetti; crebbero case a un piano, a due, a tre, dritte e storte, sulle strade e nei prati. Nacquero, allora, quelle congerie di vie cosiddette private. specie di c.cnticri che un'urbanistica cittadina riconobbe e sanzionò, in attesa di rettificare con sventramenti e incisioni quando sarebbe stato tempo, cioè chissà quando. A poco a poco, la popolazione originaria fu sommersa da questa crescenza caotica, che a ben guardare conteneva un capovolgimento completo di prospettive spirituali. A uno a uno, di fronte a questo allargarsi e mutare, scomparvero tutti gli uomini di un tempo « personale > e circoscritto. Fu uno degli episodi più tOC• canti vedere come questa gente, che aveva spiccato sulla cronaca locale, lasciasse la scena ch'era diventata così diversa. In pochi anni, come per un destino comune, tutti conclusero il loro dramma locale, il che era ancora miglior destino di essere sorpassati dagli avvenimenti. Erano piccole o grandi persone, ma conoscevano la storia delle generazioni, gli afTari e le vicende di tutte le Antico testimone di un mondo pas- ,.ato, anche l'usignolo pareva prrso nel gioco che insensibilmente si svolgeva, senza averne probabilmente una precisa coscienza. Sembrava imperturbato e ~icuro. Questo maggio cantava come un o,.,eli)O. Picchiettava il lungo -;ilcn• zio delle notti. disturbando i sonni con il suo gorgheggio in1,istito. Si frapponeva nei 50gni, riempiva gli spazi, os• sessionando i dormenti dal sonno leggero. Improvvisamente, dopo queste notti di pazzo cantare, un cantare alto e tri~te come uno sfogo. il gorgheggio ce~sò. Dissero alcuni che l'usi~nolo in tempo di cov:l si raccoglie nel nido; altri affacciarono invece un'ipotesi « gialla » : che, cioè, i gatti che si dànno convegno nel vecchio giardino l'avessero catturn.to, o che fo(se finito preda delle civette di cui ora, a notte, si udiva giungere dai platani il mesto strido. Fatto sta che il canto pili non riprese. Anche questo postumo elemento del paese è scomparso, prima che gli annosi alberi dei Mereghettoni siano abbattuti per far luogo ad una strada che dovrà tagliare in due il giardino. Ma se è scomparso da· sé, prevedendo lo sfratto al punto giusto, è stato un gran fìloliOfo; oppure sono stati filosofi gatti o civette che l'hanno soppresso al momento buono. Non ridete della sua fine, o passeggeri; essa è piena di malinconia, come gli anni che pa1;sano anche per i giovani. GIANNI CALVI

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