Omnibus - anno I - n. 29 - 16 ottobre 1937

I lllll[ISllllSl IIIII SI FESTEGGIA in questi giorni uno storico anniversario nella repubblica hollywoodiana del cinematografo: si compiono dicci anni da quando lo schermo imparb a parlare. A dire il vero, se si considera come data di nascita del sonoro quella della prima visione del • Cantante Pazzo• - e i più sono di questo avviso - allora esso ha soli nove anni di vita. Se invece lo si fa nas.«-rc, come pretendono alcuni pionieri di questa grande rivoluzione nella storia del cinema, il giorno della presentazione di • Don Giovanni• con John Barrymorc, Mar-y Astor e Helen Costello (il film introduceva per la prima volta un breve br:mo musicale sincronizzato), allora gli anni sono undici. Non riuscendo i due partjti a mettenii d'accordo, i giornalisti e gli uffici di pubblicità hanno fatto la media fra nove e undici e hanno proposto di festeggiare il decennale dell'invenzione. L'idea è stata accolta con entusiasmo e già i giornali pubblicano fotografie, aneddoti e interviste dei personaggi più famosi di questo settore dell'industria cinematografica. Il piò famoso di tutti è forte il maggiore Nathan Lcvinson, capo del reparto sonoro della ditta dei fratelli Warncr. Il nome di questi grandi capitani d'industria è scritto ormai nell'albo d'oro del progresso cinematografico perché furono essi i soli, fra lo scetticismo generale, a credere nell'avvenire del sonoro e a incoraggiarne per anni le esperienze di laboratorio. A capo di questi labontitori i Warner misero il maggiore Levinson che oggi essi decantano come e l'uomo che inventò il sonoro . Ma l'ottimo Levinson si schermisce: e No, no, per carità, io non ho inventato nulla, Centinaia di persone lavorarono con mc e il mio solo merito è di aver infuso in ognuna di esse la fede nella vittoria finale, anche quando più scoraggianti erano i risultati. Non ho inventato nulla. Il sistema che oggi si usa negli studi rapprcsenrn, in realtà, la fusione d·infinite altre applicazioni e principi, elettronici, acustici, ottici, meccanici e fotografici. Noi abbiamo lavorato liberamente e audacemente sul ricchissimo fondo d'esperienza di migliaia di oscuri operai e lavoratori•· Forse ancora oggi il cinematografo si chiamerebbe arte muta e Charlot non maledirebbe , il verbo degradante• e i registi non si ammalerebbero di fegato per la pronuncia da mercato del pesce di creature belle come la bella addormentata, se una quindicina d'anni fa, in una ripresa di massa, il compianto !Srncst Torrence, incespicando in una trave, non fosse caduto e, malgrado i gridi e i cenni :.sperati del regista, non fosse stato sul procinto di essere travolto dalla turba di comparse che lo seguivano. Si trattava d~lle scene dell'assalto alla cattedrale di Notre.Oamc, per il famoso film in cui Lon Chaney aveva la parte principale. Nucosto nella folla dei curiosi c'era anche il maggiore Lcvinson, che per la prima volta assisteva a una ripresa in studio. Egli era a quei tempi un modesto funzionario della e \Vestern Electric Company •; impressionato dall'incidente che stava per costare la vita ad un ottimo attore, Levinson propose ai \Varncr un sistema di segnalazioni semplici e rapide durante le riprese. Furono questi i primi contatti fra Levinson e l'industria cinematografica. Dopo poco eglj prospet• tava l'idea di studiare un sistema di sincronizzazione del suono con l'immagine. I Wamer titubavano. Ma l'onesta e fiduciosa faccia del maggiore li rassicurò; comunque, per mettersi le spalle al si• curo, essi firmarono un accordo con la e Western Electric • e il laboratorio fu impiantato. • Utopie•, dicevano i più esperti volponi di Hollywood: , significa buttare i soldi dalla finestra•. Ma Levinson sorrideva modestamente. ,Lo so, è una mania; ma lasciatemi fare•, sembravano dire i suoi sguardi e di Il a poco nessuno si curò più del vecchio pazzo e dei suoi esperimenti. Dai quali esperimenti il vecchio pazzo e i giovani pazzi suoi assJStenti uscivano ogni volta con aspetti cd espressioni che facevan realmente pensare a quelli degli alienatL In camerini poco più grandi di una cabina telefonica venivano ammassati meccani• smi di prova, macchine da ripresa e tecnici, per fissare dei rumori delicati e chiari che poi risultavano poco dissimili da quelli di un camion in corsa, carico di ferraglia. In quelle scatole la temperatura era altissima e spesso ci entravano, oltre alle macchine, non meno di otto persone. In media ne sven.ivano due ogni ora; la tortura durava otto, dieci e anche dodici ore al giorno. Gli esperimenti si facevano non diret• tamentc sulla colonna sonora come ades• so, ma su dischi di cera, il che comporta\'a mfinitc complicazioni e perdite di tempo. C'erano delle settimane•, dice 1I mapgiore Levinson, e alla fine delle quali io mi vergognavo della paga presa come di un furto e, arrivato a casa, m1 buttavo sul letto e piangevo per ore, perché il lavoro, invece di progredire, mi sembrava s'imbrogliasse sempre più. ~ una sensazione che tuttj gli esperimentatori hanno provato, specialmente alla vigilia del succes!lo. E infatti nell'estate del 1926 avevamo finito di sincronizzare il pezzo musicale per " Don Giovanni ". Per rendere più solenne l'avvenimento avevamo invitato \Vili Hays a pronunciare qualche parola al principio del film e le avevamo incise a mo' di prefazione, nei primi metri di pellicola. Col cuore in gola ci recammo in sala di proiezione, e quando io sentii e riconobbi la voce di Ha)'l che cominciava il suo discorsetto: "Amici miei ... " l'emozione mi impedi di udire il resto, il suono si confuse nelle mie oreccrue, e scoppiai in singhiozzi. Intorno a me quasi tutti i miei assistenti avevano gli occhi rossi. E in realtà qual• cosa di molto importante, molto più im~ portante delle nostre povere persone, era nata in quel momento•· Ma i padreterni dell'industria non si commossero. Ingegnoso, essi ammisero, ma che c'entra con i nostri affari? Effettivamente se n'erano visti tanti di tentativi di sincronizzare il suone e l'immagine che non c'era da stupirsi di q,,,. •o atteggiamento incredulo e ostile. ~cl 1880 Edison aveva cercato di adattare alcune immagini in movimento al l$UO fonografo. :--.lei 1895 lo stesso Edison immaginò un congegno, il e K.inctophone •: applicandosi all'orecchio una cuffia e guardando attraverso due lenti in una specie di trap• pola si vedevano delle immagini muoversi e si udivano dei cLiscorsi, che vagamente si riferivano a quelle immagini. Edison costrul una cinquantina di queste mac• chine, ma non riusd a venderle tutte. Al• tri tentativi in seguito non avevano avuto miglior successo. Perché dare pill credito a Lcvinson che a Edison? Ma Levinson e i suoi amici erano ormai sulla buona strada e nei primi del '28 scoppiò la bomba del • Cantante Pazzo•· La sera della prima di questo film, in una grande sala cinematografica di New York, nascosti nell'ombra c'erano tutti i pezzi grossi di Hollywood 1 i loro accoliti e alcuni fra i numi di \Vali Street. Se la cosa andava era la rovina per molti e l'inizio di una colossale speculazione per altri. Quando si fece la luce, molti di quei visi erano più bianchi del lenzuolo dello schermo; i più furbi e i più sensi. bili avevano capito che un'èra si era chiusa e un'altra si era aperta nella storia della tecnica e quindi dell'industria cinematografica. Ai giornalisti che si pre<:ipitarono sui pili famosi produttori e banchieri le• gati alla produzione di film, questi natu• ralmente fecero dichiarazioni piene di riserve. Ma in cuor loro la partita era perduta. Ceno è che il 1928 vide un uragano di proteste e di acclamazioni pro' e contro il sonoro. I fatti erano U a provare la vitalità della nuova invenzione: i Wamer, fratelli di quel Samuel Wamer, un produttore di ter-z'ordine che circa un anno prima si era ucciso dopo aver tentato invano d'imporre il nuovo sistema, era• no, graz.ie al e Cantante pazzo•, entrati a far pane dei potentati del cinema, e, un anno prima, \Villiam Fox, l'uomo pili potente dell'industria, si era convertito al sonoro. Ma gli intelletruali e i puri - non sempre disinteressati 1 perché die• tro il loro sdegno spesso c'erano le s6v• venzioni dei magnati di Hollywood - levavano alte grida. E non soltanto gli intelletnmli; anche uomini reputati per la finezza del loro fiuto fecero gli scetticoni e persero un'occasione d'oro di fare una belJissima figura anticipando gli eventi. Persino Cccii De Mille, la cui spregiudicatezza è pari, se non superiore, al suo cattivo gusto, assunse un atteggiamento reazionario di fronte al sonoro e consigliò prudenza e riserbo; e l'uomo più intelligente e spiritoso di tu.tta la colonia holly• woodiana, e cioè Sam Goldwyn, non si comportò divenamente: , Una brutta pellicola sonora•, egli ebbe a dichiarare, , passata la curiosità del momento, sarà infinitamente più irritante di una brutta pellicola muta•; un altro volpone, Joseph Schenk, disse che , il parlato era un capriccio passeggero•, mentre Cari Laemmle, più remissivo, ammise che alcuni suoni sarebbero rimasti nei film, ma che il pubblico si sarebbe presto stancato delle voci: Max Reinhardt definl la faccenda poco pratica e, non prevedendo la possibilità del doppiaggio, disse che il parlato non poteva durare perché era • handicappato• dalle lingue nazionali e mancava, come il muto, di un gergo universale come è quello dei gesti. Le reazioni in tutti i paesi civili d'Euro• pa furono vivacissime; e l'indignazione contro quella che fu chfamata e la minac• eia del film nasale• raggiunse l'estremo quando si capì che, sotto la pressione dell'opinione pubblica specialmente americana, l'industria si decideva ad attrezzarsi per passare dalla fase sperimen• tale a quella commerciale. Ma anche da parte del grosso pubblico le proteste non mancarono. Le lettere più significative sono conservate da William Hays, in una specie di Museo storico del film, e costituiscono una delle più ammonitrici documentazioni dello spirito conservatore e reazionario delle masse: , Avete voluto copiare Dio, dando la parola a quelli che non l'avevano, e Dio punirà questo diabolico sacrilegio•; e Andavamo al cinema per sfuggire all'infernale eterno gracchiare della radio e ora dobbiamo sentire anche li quegli orribili suoni che voi vorreste gabellarci per voci umane •· Ma la lettera più bella e apoca.littica è di un'ammiratrice fanatica di Charlot: e Se obbligherete a parlare anche lui, io verrb a Hollywood e vi ammazzerò Ntti; ma sono cena che non oserete perché avete paura dell'inferno, dove il fuoco sarà ali• mentato, per voi, da tutte le pellicole che avete rovinato e rovinerete con questa invenzione di Belzebù •· A. o. L018E lLl.DlEB. E FR.lll BOBZAOEDUlUBTEUNASOSTADE II LAOBABDE omA" (1(,0,11,) , .,. . ~ r:~~~-. OARY OOOPER IN ONA SOSTA D:EL P!Lll "ANIMI: SUL JURE" (Nl!Ol'I FILJI) ILMAGGIORD F INO a qualche anno fa, gli Europei s'eran fatti degli americani un'immagine ironica e caricaturale. L'americano era una figura cbe appariva sovente nelle operette e nelle riviste comiche, e il pubblico rideva alle sue stra• nezze, al modo bizzarro di vestire e di parlare. Che gli americani poi fossero tutt'altra cosa, nessuno se ne dava pensiero: il tipo dell'americano er.t diventato una maschera come tante altre, ed era facile, agli attori o ai generici, storpiare sul palcoscenico qualche parola di inglese mettendo i verbi all'infinito, fumare grossi sigari e portare la bombetta grigia e grossi brillanti alle dita. Oggi, sono gli americani che cominciano a prendere in giro se stessi, servendosi delJa facile maschera ch'era di moda in Europa. Fingono di credere che, poniamo, venti anni fa, l'americano era quell'essere candido e pieno di danari e di sigari nel ta'schino, che partiva con moglie e valigie alla scoperta dell'Europa, e tornava poi _ con una collezione di falsi quadri del Rinascimento e di oggetti ricordo. Per aver un'idea un po' meno approssimativa e comune, bisognerebbe ricorrere alla letteratura. Chi ha letto Dodsworth di Sinclair Lcwis rammenta forse il contrasto abbastanza profondo che v'era descritto tra costumi europei ed americani. L'americano pc .. Lewis è l'uomo sem• plice, dalle abitudini casalinghe, dagli af. fctti sicuri e tenaci; messo di fronte alla raffinata e inquieta civiltà europea, si sente turbato, perde ogni sicurezza, diventa debole e infelice. E più di lui la donna che, secondo la sua natura curiosa e impressionabile, invano si sforza di apprendere e imitare le usanze del vec• chio mondo. Nel film Il Maggiordomo, il ritratto dell'americano in Europa è dipinto secondo la nostra tradizione teatrale; la satira quindi è molto lieve. Così lieve che non sembra nemmeno una satira. L'ameri• cano, qui, è il solito ricco turista che, venuto in Europa sulla fine dell'Ottocento, si fa notare solo per il suo curioso modo di vestire e di parlare. Ma, a differenza di Sam Dodsworth, non appare affarto turbato; anzi, è allegro e intraprendente. Gli piacciono i grandi cappelli e gli abiti a quadrettoni; e corre per Parigi come in casa propria, senza badare a visitar musei e gallerie. Una cert'aria di satira, invece, si respira, quando appare un lord inglese, che beve, s'innamora delle ballerine e gioca. E giocando con l'americano, perde gran parte delle sue sostanze, e infine il suo cameriere Roger, il quale dovrà ora servire il suo nuovo padrone e accompagnarlo in America. Roger non si mostra troppo soddisfattQ; per lui, inglese, l'America è senz'altro il paese della schiavitù. Ed ecco che tutto il film vuol dimostrare invece come sia proprio l'America il paese della libertà, e come soltanto nel nuovo mondo un uomo possa diventare se stesso, e, insieme, uguale a rutti gli ahri. Giunto infatti in America, il carne• riere, per uno sbaglio di un cronista, è scambiato per un colonnello inglese. Tot· ti gli si fanno intorno, e una vedovella, che fa la cucina in un locale della città, s'innamora di lui. Dopo varie vicende, il cameriere colonnello abbandona non solo i suoi nuovi padroni d'America, ma anche il vecchio lord ch'era venuto a riprenderlo. Diventato finalmente libero, apre un ristorante che dirigerà insieme alla vedova cuciniera. La tesi delle libertà americane è dunque dimostrata: cd è un po' buffo che lo sia proprio in un film come questo, che non ha pretese, e che a prima vista può sembrare soltanto un film comico; ma sem• pre gli americani cercano nei film di di• fendere qualcosa che sta loro a cuore; e lo fanno senza che quasi ci se ne accor• ga, con molta grazia e molta leggerezza. Quando il cameriere inglese, a un certo punto, unico fra tanti americani a ricordare, pronuncia con voce commossa e grave le parole di Lincoln sulla libertà, lo spettatore apprezza il pudore e la discrezione d'averle messe in bocca proprio a un inglese; il quale però, per acquistare la sua libertà, ha dovuto attraversare l'Q. ceano. Charlcs Laughton interpreta la parte del cameriere inglese. E: la prima volta che questo attore recita in un film comico. Finora lo si era visto protagonista di vicende oscure e terribili, eroe malvagio e maledetto. La sua maschera, infatti1 si presta alle interpretazioni tragiche e disumane; gli occhi piccoli e liquidi, le guance cascanti, le labbra tumide e molli, tutto. la persona grassa, dinoccolata e flaccida, fanno di lui una figura repellente e insieme espressiva. In questo film, lo vediamo invece far qualche sforzo per apparir sorridente, allusivo, discreto. t un cameriere perfetto; anzi, il tipico cameriere. Con quanta esattezza, calcolo e malignità Charles Laughton studi i suoi personaggi, si è visto in tutti i suoi film. Forse, gli si può rimproverare un compiacimento a colo• rir troppo le sue naturali espressioni. f:: un attore che trent'anni {a avrebbe avuto probabilmente maggior Successo di oggi: infatti è viziato da una recitazione che sa troppo di palcoscenico. Tra la nrità e l'artificio il passo è minimo. Per ricercare la verità, Laughton finisce spesso per cadere nell'artificio o addirittura nel• l'affettazione. MARIO PANNUNZIO

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