Omnibus - anno I - n. 29 - 16 ottobre 1937

. PRIMI GIORNI dell'anno ritornai a Parigi. Alla partenza tre uomini avevano occupato i sedili con valige, pastrani, pellicce, ma solo due si erano -seduti. Il terzo ricomparve dopo molte ore, quando il treno si fermò alla frontiera. Non avevano detto una parola cd io mi ero addormentato. .Quando, dopo la verifica dei passaporti, ritornai per riprendere il viaggio cd il sonno, trovai I miei compagni intenti a mangiare salsicce. Me ne offrirono e cominciammo a discorrere. Erano tedeschi, dicevano, della Prussia Orientale; mercanti di quadri e di gioielli; diretti a Parigi per assistere ,ad alcune aste. La coincidenza della loro professione con quella che io allora cercavo di esercitare, servl ad avviare una conversazione che durò molto· tempo. Avevano sottomano non più di dicci pittori, e avrebbero desiderato venderli a misura o a peso come i diamanti. Le fotografie che mostrarono rappresentavano una parte dei tesori che avevano in deposito a Berlino e in Francia; troppi, dicevano, per poterli vendere facilmente. Osservai che avrebbero potuto rivolgersi al vecchio Oppenhcim della Rue Royale. Om,ai, Parigi doveva esser vicina. I tre, usciti nel corridoio, si misero a parlare sottovoce in una lingua che non conoscevo. Quando rientrarono, mi offersero di occuparmi della vendita dei loro quadri; e anzi vollero darmi subito alcune fotografie, pili un indirizzo. Vollero anche il mio e lo trascrissero su un taccuino. Ogni volta che ritornavo a Parigi portavo qualche specialità paesana a un conoscente, salumaio in Ruc Mouffetard, che ricambiava il mio dono con un invito a pranzo. Era, costui, un emigrato da moltj anni in Francia, dove aveva preso moglie e messo su bottega in quella piccola via del quartiere popolare nei pressi della Piace d'ltalie. Nel suo retrobottega si incontrava gente più affamata che strana, la quale approfittava della liberalità del salumaio. Qualche volta, aveva servito anche a mc; fu in simili circostanze che conobbi Giovanni Hasscl. In realtà quella bottega non era sola• mente un rifugio di stranieri disoccupati. Al di là degli scaffali. colmi di scatole di conserve, dalla piccola cucina magazzino una scaletta di legno conduceva ad uno stanzino buio - apparente dormitorio del garzone - dove, la sera, Giovanni si ritirava per fare i conti della giornata, diceva. Cosa vi facesse veramente, l'avevo forse intuito una volta che, attratto da un sommesso bisbigliare, ero salito lassù e avevo scoperto una porta mascherata da un finto armadio. Ma questa è un'altra storia. Mi recai, dunque, anche questa volta da Giovanni. Stava cenando, con la moglie ed una ragazza bruna sconosciuta. • Si chiama Luisa,, mi disse. La ragazza raccontava storie licenziose, e Giovanni rideva ammiccando alla moglie che, assonnata. taceva. Alle pareti, su sino alla volta, i barattoli ed i prosciutti, coperti di polvere, sudavano per il calore del fornello acceso. Si parlò del mio viaggio: e fu cosi che raccontai l'incontro fatto in treno. Pen- ,avo che Giovanni si sarebbe: interessato all'affare. Fu, invece, la ragazza che si offerse di aiuranni, presentandomi al suo amico: un russo. Con lei avrei potuto trovarlo la sera stessa alla Jungle, Boulevard Raspai!. La ragazza era bella e, all'apparenza, facile. Quando uscimmo indugiai per la via, per tenerla più a lungo sotto braccio; ma la valigia mi impediva i movimenti e la stanchezza del viaggio aggravava la diffidenza per quell'affare cosi poco chiaro. Fu per ciò che preferii ri• mandare l'incontro alla sera successiva; nel frattempo Luisa avrebbe mostrato le fotografie all'amico. Giunti alla Borsa ci separammo. L'aspetto consueto della mia stanza, i gesti macchinalmente compiuti, il battito dell'orologio, poi il sonno calmo: ogni ricordo dileguò facilmente. Ma un improvviso bussare, avvertito prima dal cuore che dall'orecchio, mi destò nella notte. • Aprite; due signori desiderano par• larvi •, gridava la padron:\ di casa. • Chi sono?• domandai. Fu difficile ritrovare le pantofole e in• dossare una veste. Poi bisognò riacquistare la calma e sorridere come per uno scherzo d, amici nottambuli. • Fateli salire•, dissi con calma. Il tempo che impiegarono mi parve in• terminabile. Quando aprirono la porta e si presentarono militarmente, pronunciando nomi ignoti di russi, mi alzai m piedi. • Vl"'gliate scusarci, si tratta d1 cosa, per noi, estremamente grave ed urgente•. :\tossi loro incontro come ad amici. Avevano \ isto le fotografie date a Luisa. Da chi le avevo avute? In che modo? Alcuni loro aimici ci anendc,·ano per parlare di quell'affare. Accostandomi alla finestra, vidi che a,·cva cessato di ne• vicarc, ma il freddo doveva essere intenso. Allo specchio, mentre annodavo la era• vana, osservai i due signori. Quarant'anni, barba bionda, abiti comuni. Ora che avevano avuto il mio affrettato consenso, tacevano. La leggerezza con cui avevo accettato l'invito ad accompagnarli mi irritava. Ma non c'era speranza di sfuggire o anche solo di ritardare. In silenzio i due signori mi porgevano la giacca, gli oggetti deposti sul comodino. Inutile fare delle domande per aver maggiori particolari. • Più tardi, signore. Vogliate scusarci,, dicevano. Fuori trovammo molto freddo. • Do~ vremo andare a piedi sino alla Torre Eiffcl; là ci attende l'automobile•, mi dissero. In silenzio attraversammo il piccolo giardino del Trocadero cd il ponte sulla Senna. Ma, nel piazzale della Torre, non v'era l'automobile. I russi non ne furono sorpresi; dissero che il tassi, guidato da un loro compagno, era impegnato in un servizio all'l1toile e che bisognava aspettarlo, passeggiando lungo la riva del fiume. • Non è un giuoco, signore. Il vostro intervento può salvare la vita di due uo• mini che temiamo siano stati attirati in un tranello da agenti sovietici•· Mi dissero tutto questo con grande severità. Commcrce è uno dei molti quartieri che, uniti dalla metropolitana e da alcune strade, costituiscono Parigi. Qui la metropolitana esce di sotterra e, all'altezza dei balconi delle case, sorpassa vie e boultvards prima di attraversare la Senna. Più che di quartiere popolare, ha l'aspetto di una città della provincia francese. Bettole, bistrò, piccoli alberghi discreti, rendono meno monotona l'esistenza dei piccoli borghesi e dei bottegai; mentre, nei cinematografi, Janet Gaynor e Charles Farrell realizzano, per m'dam' Dupont e per la p'tit' Simone, le dolci fantasticherie cui è propizio compagno lo sciacquio dei piatti e l'alterno moto dello spazzolone sul pavimento. Ad uno di quei bistrò, in un boulevard nei pressi del1' tcole ;\'l1litaire, mi condusse l'automobile dei russi. li locale era deserto; mi introdussero in una stanza laterale ove alcuni uomini stavano seduti attorno ad un tavolo. Al mio apparire si alzarono in piedi e, uno alla voha, dissero ad alta voce il proprio nome. Mi sed~tti accanto alla porta perché non v'era spazio sufficiente per passare tra il muro e le sedie, e, cosl disposto, mi pareva di assistere da lontano ad una strana rappresentazione. Il russo, seduto all'altro capo del tavolo, cominciò a parlare. Era una intricata vi• cenda di quadri, già appartenenti ad un La 110au Vera11 1 a pochi chilometri dt. Parigi, uilo di Tl?ltlnon gennall ruul bianchi principe russo, nascosti all'inizio della rivoluzione e poi fatti uscire segretamente dalla Russia. Qualcuno, dall'altra parte, andava e veniva, raccogliendo i bicchieri e le bottiglie vuote. li calore della stufa, l'aria satura di fumb, l'odore del vino rovesciato mi intorpidivano. Alle pareti erano quattro cartelli riclame Dubonnet, un ritaglio di giornale incollato, e un avviso: • I signori clienti sono avvertiti che questa sera il candidato del circondario offrirà lo spumante•· Riuscii a capire che i quadri dovevano essere venduti, cd il denaro ricavato (speravano in una somma ingente) servire al finanziamento del CO· m1tato d'azione antibolscevica. Ma a Praga non era st:ito possibile trovare un compratore. Per ciò il Capo aveva deciso di traspor~ tarli a Parigi dove vi erano maggiori possibilità di venderli. Ma i quadri erano scomparsi durante il viaggio. Un colpo di Janovich. • Janovich? • esclamai. • Era il nome di uno dei miei compagni di viaggio•· • Capite ora di che si tratta?• mi chie• sero. • Abbiamo cercato invano di recuperare i nostri quadri, e neppure la polizia è riuscita. Quand'ecco, due giorni or sono, si presenta al generale Kutiepoff un certo Selsner, una spia dell'am• basciata russa che siamo riusciti a corrompere, e dice che i quadri si trovano in una villetta nei pressi della porta Vincennes. Li custodisce un vecchio ebreo che è disposto a lasciarseli rubare. Due dei nostri, con Sclsner, sono partiti ieri sera per verificare l'informazione e trattare col vecchio, ma non sono ancora tornati,. Le mie fotografie rappresentavano quei quadri e ~u di esse era scritto il nome di un piccolo paese della Champagne, presso Soissons. Lo ricordavo benissimo: in treno avevo scritto l'indirizzo datomi dai tre viaggiatori sul verso di una fotografia. Quale tranello si preparava? Poco tempo prima un russo bianco era scomparso e circolavano molte storie tenebrose sull'ambasciata di Rue de Grenclle; morti, cadaveri carbonizzati entro enormi stufe. Finalmente compresi chi era l'amico di Luisa. Lo chiamavano Paolo; un omino esile, con gli occhi celesti, che parlava lent:imente. , Anch'io',, dissi, • ritengo si tratti di un tranello e che si debba avvertire la polizia•· • No, signore , mi risposero. • Non vogliamo dare l'allarme; si può compromettere ogni cosa senza riuscire a mettere le mani sui quadri. È meglio tentare di sbrigare da soli la faccenda, recandoci alla villa dell'ebreo. Volete venire con noi? Ormai sapete troppe cose •· Era tardi per andarmene: avrei dovuto decidermi prima, là sul ponte. Salimmo in sette sul tassl che era ancora alla porta. Cosl pigiato, durante tutto il lungo tragitto non riuscii a vedere nulla. Una breve sosta alla barriera, e dopo poco ci fermammo. Potei finalmente distendere le gambe. Si era ad un crocevia della strada, dove il sobborgo si perde nella campagna. Per l'accresciuta distanza dei fanali, lunghi rratti della via rimanevano nel buio. Siepi, muriccioli, cancelli, alberi radi. Era difficile leggere il numero delle case; so• ventc il cartello era collocato nei punti più impensati o mancava addirittura. • Ci siamo; dev'essere la terza,, disse uno. Il capo del gruppo ci fece cenno di accostarci.• Dobbiamo procedere con cautela; se nella casa si trovano degli agenti bolscevichi non dobbiamo farci scorgere prima del momento opportuno. Accostiamoci isolatamente. Io e Paolo andremo al cancello. Quando sarete ai vostri posti non muovetevi senza un mio ordine,. A me disse di ritornare all'automobile per avvenire l'autista di avanzare e di tenersi pronto a partire immediatamente in caso di ritirata. Ritornai indietro e feci spostare l'automobile sino al punto indicato. Là dentro si stava meglio. Sul sedile anteriore, il russo, appoggiato al volante, forse sonnecchiava. Gli altri erano scomparsi nel• l'ombra. C'era un grande silenzio; la strada appariva deserta; ai due lati, sul terreno leggermente ondulato, piccoli orti sotto la neve. • Adesso gli dò un colpo sulla testa e scappo con l'automobile•, pensai.• I pioppi, là in fondo, devono essere carichi di vischio e tra poco qualche gallo cantertl •. Ad un tr.lttO, improvvisamente, un urlo ruppe il silenzio; seguì l'abbaiare furioso di un cane, un colpo di rivoltella, e vidi i russi giungere di corsa. • La casa è vuota. Vassili, che aveva scavalcato il muro, è stato assalito dal cane e ha dovuto ucciderlo. Partiamo prima che si sveglino i vicini •· Ricordo vagamente che, durante il ritorno, i russi parlarono a lungo tra di loro e che promisi di accompagnarli il giorno seguente a Soissons. Ero disposto a far qualsiasi promessa pur di dormire. Quando, dopo un lunghi~simo tempo, l'automobile si fermò e mi fecero entrare in un portone a me sconosciuto, non protestai. Dal cortile entrammo in un locale ingombro di mobili. Doveva essere il magazzino dell'amico di Luisa. Disteso su un vecchio sofà, mi addor• mentai. La panenza per Soissons avvenne verso il mezzogiorno. Questa volta mi accompagnavano solamente Paolo e l'autista. Prima di panire, il russo si era scusato, anche a nome del generale e dei suoi compagni, per la diffidenza dimostrata nella norte. Avevano avuto informazioni sul mio conto e potevo considerarmi completamente libero. Anzi, mi facevano sapere che, qualora avessimo ritrovati i quadri, mi sarebbe spettato il premio promesso dalla loro associazione. L'automobile, attraversata Parigi, si di• resse velocemente verso il nord. Durante il viaggio Paolo mi informò di quanto era avvenuto mentre io dormivo. I due uomini non erano ancora tornati, ma si era presentato Selsncr ad avvenire che essi erano partiti con l'ebreo per il luogo ove i quadri erano nascosti. Tutto ciò pareva confermare la mia informazione. Ma, forse, Sclsner mentiva e tradiva i bianchi come altra volta aveva tradito i bolscevichi. Appena aveva saputo del nostro viaggio a Soissons aveva insistito per accompagnarci; non vole,•a perdere il premio promesso, aveva detto. Domandai al mio compagno quali potessero essere i piani di Sclsncr. Ne parlammo a lungo. Selsner aveva insistito troppo su di un punto: i quadri sareb• bero stati consegnati, ma era bene che venisse il generale in persona. C'era molto sospetto in giro: in quegli anni ora era un russo bianco a passare dalla parte dei bolscevici; ora era un bolscevico a tra• dire. I quadri non potevano essere che consegnati al generale. • E verrà il generale?• domanda,. 11 mio compagno mi guardò. • Non ha importanza•, disse. Il generale non verrà; non deve esporsi; poi, in ogni modo, oggi non sarebbe potuto venire. ila a Parigi un colloquio con gente ve• nuta da Pra~a ,. Sapevo bene che a Praga esisteva un centro antibolscevico potente quantp quello di Parigi e tacqui. • Selsner si stupirà,, mi disse ancora il russo. • Lui ha .voluto prendere il treno, dice per non dare sospetti. J bolscevichi lo sorvegliano sempre . .\ta è un bell'im. broglio questo. Proprio ha fatto bene il generale a non venire., In quei tempi, a Parigi il gcncrak Kutiepoff stava sotto una continua minaccia. Anch'io ammisi che aveva fatto bene a restare: tutto l'affare dei quadri aveva l'aria di essere un tranello, e Sclsncr era certo un traditore. A Reims trovammo il tedesco che ci attendeva all'ufficio telegrafico, come a,cvano convenuto. L'assenza del generale non parve sorprenderlo, ma si informò con insisten7,.'\ ucgli altri che erano rima• sti a Parigi. Secondo lui era imprudente andare in pochi a quella fattoria che a\e\·a saputo trovarsi in una località a qualche chilometro da Soissons, in direzione d1 Compiègne. Pranzammo in un piccolo ristorante dell'ampia via che conduce alla stazione; poi riprendemmo il viaggio. Alle quattro del pomeriggio attra,·crsammo ~oissons. Poiché era domenica, tutti i negozi erano chiusi; il freddo teneva la gente nelle case o nei caffl·. La città, cosi ·deserta, in molti punti ancora diroccata dal tempo della guerra, mi pan e triste. Ma in breve ci ritrovammo in campagna. Un bimbo ci indicò la strada. Dai campi cominciava a levarsi la nebbia ed il crepuscolo era ormai prossimo, quando s;tiungemmo alla fattoria. La casa, posta alla sommità di un mon• ricello, a un centinaio di metri dalla strada principale, era circondata da piante e cespugli di robinie. Le finestre chiuse da imposte di legno; l'aia deserta; un carro con le stanghe alzate; oltre i cespugli spinosi, i vigneti bassi nella nebbia. Spento il motore dell'automobile, il luogo parve deserto e la casa abbandonata. Ma il clacson ripetutamente suonato destò un cane nascosto in qualche parte; poi una porta si aprl e comparve un vecchio che acquetò il cane e ci invitò ad entrare in una cucina illuminata dal fuoco del cammetto. Sì, quella era la proprietà del signore tedesco. Ma il padrone veniva raramente. I signori avevano certamente notato che la parte civile della casa era chiusa; essa serviva piuttosto come deposito di casse e di quadri, che ogni tanto arrivavano o erano portati via. Ciò avveniva da due anni; i campi ed i vigneti, attorno, erano stati ceduti in affittp, ed egli era lì, solo, con il cane, come custode. • Sentite, il vostro padrone ci ha proposto l'acquisto di quadri che debbono essere nella casa. Siamo venuti per vederli, sperando di trovare anche lui. Ora non vorremmo aver fatto il viaggio mu• tilmente. Potete condurci a visitare la casa? Forse vi troveremo quel che cerchiamo•. Ma il vecchio non aveva la chiave. Anche altre per!onc erano venute, altre volte; ma accompagnate dal padrone. Saremmo dovuti tornare. E il vecchio si alzò per congedarci La stanza era oramai tutta buia; la legna nel caminetto s'era spenta. Selsner, dt.• rante tutto il colloquio, era rimasto pres• so la finestra a guardare fuori. Quando si accorse che il vecchio volev.t farci uscire si voltò: • Non possiamo andar via; fol"Se il padrone ritornerà•· • No, è troppo tardi. Andatevene•. disse il vecchio minacciosamente e aprì la pona. Dal mio posto vedevo solo confusamente la sagom.a dei presenti, mB mi accorsi che Paolo e l'autista, che prima mi erano accanto, si allontanavano senza far rumore. Fui preso dalla paura. Sempre guardando verso la porta, ;lllargai le braccia per toc~ care i compagni, ma, col braccio disteso, la mano muoveva sempre nel vuoto. Allora mi lanciai in avanti. •Fermi!• gridò Selsner. Urtai contro qualcuno, ma riuscii a liberarmi e a ,·areare l'uscio. Gli altri lottavano nel buio, gridando. Due colpi di pistola, poi un terzo. Ed ecco aprirsi un'altra porta della casa cd uscir degli uomini correndo. • Selsner, Sclsncr, che fai, imbecille! Fermati!•. Qualcuno aveva portalo una lampada elettrica. li tedesco era fermo sull'uscio, Paolo e l'autista a pochi passi da lui. «: Sei un imbecille. Selsner •, disse la voce di prima: • lasciali andare. Ormai non ci servono più •· • Sì, padrone•· Poi la luce si spense e ci fu ordinato di partire. Col buio s'era fatto un gran silenzio. A tastoni ra~giunsi l'automohile e i compagni. • Siete ferito?•. • No ·. Avviato il motore, l'autista accese i fari per la manovra del ritorno. Nell'aia era rimasto solo un uomo. Quando gli passammo accanto ci disse: «: Cercate di dimenticare questa passeggiata,. Appena discesa dal monticello, l'automobile si inoltrò nella nebbia. Tutto ciò era avvenuto nel giorno di do. menica 26 gennaio 1930; lo stesso in cui. a Parigi, era misteriosamente scomparso il generale Kutiepoff; rapito su una grossa automobile grigia, all'angolo della via Roussdct, come pubblicarono i giornali. La nostra testimonianza non giovò all'inchiesta e di lui non si seppe più nulla. Solo più tardi, mentre ero in Germani: lessi sui giornali che Sclsner era stato a restato e che un giornalista russo aYe, scoperto l'origine della lettera inviata al generale. :"via anche questo fu presto d mcnticato. CARLO CRAMER

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