IL SOFM DELLE musE ':.~!BRA CIJRIOSO che la letteratura italiana moderna abbia fatto così poca impressione in Europa. / Promessi Sposi di .\1.anzoni, quando apparvero cento anni fa, incontrarono subito l'applauso europeo. Con \Valter Scott e con Byron, ~fanzoni rappresentò il romanticismo per tutta l'Europa. Eppure che n'è di Manzoni, adesso, anche a paragone di Scott e di Byron? Praticamente, dico. Teoricamente, I Pro.messi Sposi è un'opera classica; è considerata come il romanzo italiano classico. Se ne parla in tutti i « corsi di letteratura·,. Ma chi lo legge? Anche in ltalia, chi lo legge? E tuttavia, secondo me, è uno dei migliori e più inte- ., ressanti romanzi che siano mai stati ~ritti; senza dubbio più grande di luanhoe o di Paul et Virginie o è.i Wcrther. Perché dunque non lo si legge? Perché Jo si trova noioso? Quando una volta ne diedi un'ottima tradu1.ione inglc'le alla defunta Katherine :Man.-ifidù, essa mi disse con mia meraviglia: e Non ho potuto leggerlo. t troppo lungo e noioso>. Lo ste™>accade per Giovanni Verga. Egli è il più grande romanziere italiano dopo Manzoni. Eppure nessuno gli fa caso. Passa generalmente per l'uomo che ha scritto il libretto della Cavalleria Rusticana. Mentre il racconto ch'egli ha scritto dello stesso nome ha sulla facile musica di Mascagni la superiorità che può avere il vino sull'acqua inzuccherata. Verga è un grande maestro del racconto. li volume Novelle Rusticane, e il volume intitolato Cavalleria Rusticana, contengono alcuni dei migliori racconti che siano mai stati scritti in tutto il mondo. Ve ne sono di brevi e avvincenti come quelli di Cekov. Io, J.nzi, li preferisco a quelli di Cekov. Eppure nessuno li legge. Sono e troppo deprimenti », dicono. E non deprimono la metà di quanto deprime Cekov. Non capisco il gusto del pubblico. GIOVANNVEI RGA Verga scrisse parecchi romanzi, tutti diversi, come genere, l'uno dall'altro. Nacque intorno J.1 1850 e morì, credo, ~ul principio del 192 1. Dunque, è un moderno. E, nello stesso tempo, è un classico. Ed è anche un autore all'antica. I suoi primi romanzi sono sul tipo di quelli che scrivevano i francesi verso il settanta: Octave Feuillet, con una punta di Gyp. C'è la deprimente storia di un giovane siciliano che sj spos..1. a Napoli e che, all'ultima pagina, lascia andare un tardivo schiaffo sulla faccia della moglie. E c'è Tigre Real.e, il fosco libro della contessa ru.ss.a - o principessa che sia - che viene a Firenze e rende pazzo d'amore il giovane siciliano con tutte le conseguenze che ne derivano; lei, donna fatale che va spegnendosi di consunzione, e lui funestamente infatuato nella sua cupa maniera di italiano del Sud. t un po' nel genere di Matilde Serao. E, per quan~o sgradevole, fa UnJ. certa impressione. Verga era siciliano, di uno dei soJitarii paesi agricoli che si trovano nel .sud dell'isola. Era di buona fa.miglia, un signore, ma non ricco, credo; con qualche soldo. Andò da giovane a Napoli, poi lavorò nel giornalismo a Milano e a Firenze. E, alla fine, si ritirò a CataniJ., in una appartata esistenza aristocratica. Era un uomo piuttosto di bassa statura e tarchiato, con grandi baffi rossi. Non prese mai moglie. La sua fama è legata ai due lunghi romanzi di arpbiente siciliano, I Malavpglia e Mastro Don Gema/do, nonché ai volumi di racconti, Cavalleria Rusticana, Novelle Rusticane e Vagabondaggio. Sono tutti di ambiente siciliano, come anche il breve romanzo Storia di una Capinera. Di quest'ultimo romanzetto, uno dei giovani capintesta della nuova lett<!ratura italiana mi disse l'altro giorno a Roma: e Ah, sì, Verga! Ha qualcosa! :Ma la Storia di una Capinera, noJ è ridicola!>. Ma perché? t piuttosto sentimentale, non lo nego. Ma non più sentimentale di Tess [Tm o/ the d'Urberuil/es di Thomas HardyJ. E un sentimentalismo che appartiene, mi sembra, ai tipi siciliani raffigurati nel libro, è del vero raffigurato, né più né meno come il sentimentalismo del Christmas Caro! di Dickem, o del Si/as i\1arner di George Eliot, opere che potete chiamare e ridicole > se volete, ma di cui non potete cancellare l'esistenza. 11 primo romanzo d':trnbiente siciliano di Verga, / Malavoglia~ è considerato come la sua opera maggiore ed è un grande libro, ma scritto parti pris. e unilJ.terale. Risente del suo tempo. Vi è troppo il tragico fato del povero. Vi è come un voltolarsi nella tragedia : la tragedia dell'umile. Appartiene ad un'epoca in cui e l'umile> era, si può dire, la cosa più alla moda. E i Malavoglia sono umilissimamente umili. Siciliani della costa; pescatori, piccoli commercianti la loro umile tragedia viene ;, fare I un tal mucchio che diventa quasi di$3strosa. Il libro è stato tradotto in America coi titolo The House by the .\1/edlar Tree, e non è ancora esaurito. t un grande libro, un grande affresco della vita dei poveri in Sicilia, sulla costa a nord di Catania. ~fa ha qualcosa di caricato, di eccessivo nel senso della pietà. Come la pittura intrisa di dolore di Bastien-Lcpage. Pur nondimeno, è un qu,1dro soprattutto vero, ed è diverso da ogni altra cosa fin qu.i scritta. Nella ·maggior parte dei libri del secolo, anche in Madame Bovary, per non dire del Lys dans la Val/ée di Balzac, c'è un venti per cento di tragedia di cui si J.vrebbe potuto far benissimo a meno. C'è in Dickens, c'è in Hawthorne, c'è in tutti i grandi scrittori: perché non dovrebbe esserci in Verga? Sottraete il venti per cento di tragedia dai A1alauoglia, e vedrete che grande libro esso resta. La maggior parte dei libri che vivono, vivono malgrado il calcarci la mano dell'autore. Pensate a Wu.thering Heights Ldi Emily' BrontC-]. Per un italiano è certo un libro non meno impossibile di quanto J Malavoglia lo sia per noi. Ma è un grande libro. Il guaio del verismo - e Verga era un verista - è che lo scrittore, quando si tratta di uno scrittore veramente eccezionale come Verga o come Flaubert, si sforza di vedere il proprio senso della tragedia in creature più piccole di lui. Un irrefutabile appunto critico da muovere a Madame Bovary è che creature come Emma e suo marito Charles sono troppo piccole per portare tutto il peso del senso tragico di Gustave Flaubert. Emma e Charles Bovary sono dei piccolo-borghesi. Flaubert no. Ma sic. come è verista e non crede agli e eroi>, Flaubert sì accanisce a riempire della propria amara coscienza tragica la pelle vile del medico condotto o della sua irrequieta consorte. Ne risulta un'incongruenza. Madame Bovary è un grande libro e una pittura meravigliosa di vita. Ma ci irrita che la grande anima tragica di Gustave Flaubert si consumi entro la carne volgare di Emma e Charles Bovary. t come un abito che fa difetto. E, per rimediare al difetto 1 bisogna ricorrere ad ogni sorta di cuciture di pietà. Cuciture di pietà che non si possono nascondere. La grande anima tragica di Shakespeare prende a prestito persone di re e di principi, non per snobismo ma per affinità naturale. Non si può mettere una grande anima in un corpo di persona comune. Le persone comuni, hanno anime comuni. Né tutta la nobile simpatia di Flaubert e di Verga per i Bovary e i Malavoglia può impedire che i Bovary e i Malavoglia siano persone comuni. Sono stati scelti proprio in 9uanto persone comuni non eroiche. Gli autori credevano n;I « tesoro degli umili >. Ma si sono trovati a dover prestare agli umili quasi tutta la miglior parte del loro tesoro personale di autori, perché i detti umili potessero sfoggiare qua). cosa del proprio. Così, se / Malavoglia risentono del loro tempo, anche .\1adame Bovary risente del suo tempo. Entrambe le open• appartengono al periodo di emozione democratica e « tesoro degli umili > del secolo diciannovesimo; e tale periodo finisce giusto ora di esser di moda. Ancora noi sentiamo, e non poco, l1oppressione del « tesoro degli umili>. Quando ne saremo del tutto liberi, potremo accettare Madame Bovary e / Malavoglia con lo stesso distacco e la stessa scioltezza di spirito coi quali accettiamo Oickens o Richardson. Mastro Don Gesualdo però non è affatto e tesoro degli umili , quanto I ,\1alauoglia. In Mastro Don Gesualdo, Verga non si interessa al disastro della povertà e non lo chiama tragedia. Anzij appare piuttosto stanco della povertà. Ha bisogno di avere un personaggio che la vinca, che faccia il suo gruzzolo, e soccomba sotto il gruzzolo. Mastro Don Gesualdo entra nella vita da moccioso contadinello scalzo, niente affatto da e don». Poi diventa ricchissimo. Ma non altro ottiene dalla ricchezza che un grande tumore di sofferenza, un amaro tumore che lo uccide. Verga deve aver conosciuto, nella realtà della vita, il prototipo di Gesualdo. Tale è, ci sembra, in un meraviglioso racconto veri5tico di Caval· leria Rusticana, quel grasso contadino che accumula ricchezze su ricchezze sfruttando i suoi cperai, per infine ammalarsi e morire. Codesto personaggio non ha nulla di eroico. Ha l'indomabile voJontà vorace, ma nient'altro del carattere appassionante di Gesualdo. Gesualdo è appassionante e, in un certo senso, è un eroe. Tuttavia, non gli è concesso di eccellere nel vecchio significato eroico, con vanto, con nobiltà, con staturJ. che sovrasti ogni altra cosa. Gli è concesso di avere qualità eccezionali e, soprattutto, una forza eccezionale. Ma questo non basta a fare di un uomo un eroe. Un eroe deve esser tale per grazia di Dio. Anche gli antichi Paladini avevano una grande opinione di loro stessi come uomini esemplari. E anche Amleto. « O cursed spite that ever I was born to set it right >. Amleto non riuscl a mettere a posto nulla, ma sentiva la propria missione. Non può esservi eroe che non senta la prooria missione. Ma a Gesualdo, come a Jude (personaggio di Thomas Hardy] e a Emma Bovary, non è concesso di provare simili sentimenti. Per quanto riguarda ìl destino, lssi non sentono nulla più degli altri. E questo perché appartengono al mondo realistico. Così, Gesualdo è un uomo comune, dotato di energia eccezionale. Tale è, naturalmente, nell'intenzione. Ma egli è siciliano. E qui salta fuori la difficoltà. Perché l'epoca democratico-realistica ha risolto astutamente il problema della mancama di eroi col fare di ogni uomo l'eroe di se stesso. Questo è raggiunto per via della cosiddetta intensità soggettiva, e nell'esplicazione de1l'intensità soggettiva di ogni 'uomo eroe di se stesso i russi ci hanno portato sino alle conseguenze estreme. Grazie ai russi, il più volgare borsaiolo è ormai un tale fenomeno di consapevolezza interiore che noi non possiamo non inchinarci dinanzi agli immaginarii lampeggiamenti che avvengono in lui. Quasi tutta la letteratura russa ci dà questo: fenomenali lampeggiamenti d'anima di persone volgari, comuni. Naturalmente, se voi c1 credete, la vostra anima lampeggerà. Per guesto i russi sono così popolari. Non il'Tlporta quanto spregevole e misero siate, voi potete sempre imparare da Dostoievski e da Cekov il modo di avere la più delicata, originale, lampeggiante anima della terra. Così, vi renderete interessante a voi stesso. Il che è lo scopo segreto di tutti gli uomini. L'eroe mirava apertamente a questo scopo. La persona comune vi mira in segreto, nell'interiorità della sua anima, anche se al di fuori dice : « Ma io non sono migliore di nessun altro, naturalmente!>. Così dice, e non lo crede nemmeno un minuto, come dimostra il fatto stesso di dirlo, di affermarlo. Tutti i personaggi di Dostoievski e di Cekov si considerano unici al mondo, nella loro interiorità. I siciliani sono tutto l'opposto. Un siciliano non ha la minima idea soggettiva della propria anima, né dell'anima di un altro. A parte, naturalmente, quel buffo, piccolo alter ego di un'anima che a forza di preghiere si può far andare dal purgatorio in paradiso, ma che è una cosa oggettiva quanto la più oggettiva possibile. Il .siciliano non ha affatto anima nel senso nostro della parola. Non ha nulla della nostra coscienza soggettiva, non ha idea spirituale di se stesso. Per lui, le anime sono soltanto dei piccoli esseri ignudi che saltellano penosamente su mattoni roventi finché non viene loro concesso di ascendere a un giardino pieno di musica e fiori e popolato di gente pia, il paradiso. Gesù è un uomo che fu crocifisso da una masnada di farabutti stranieri e che oggi può aiutare voi contro i farabutti, come contro le streghe e via di seguito. Gesù, interiormente tormentato, il tormentato Amleto non esistono per il siciliano. e Perché un uomo dovrebbe tormentarsi da sé? > chiederebbe stupefatto Gesualdo. e Non ci sono forse abbastanza bricconi a questo mondo per tormentarlo? ,. Certo, io parlo dei siciliani contemporanei di Verga. i siciliani di cinquanta o sessant'anni fa, di prima della grande emigrazione in America e del grancfe ritorno con i dollari in tasca, e con la c9scienza di sé, almeno come coscienza politica di sé. Ma in Mastro Don Gesualdo si ha, ad ogni modo, l'antitesi più assoluta di quello che si ha nei Fratelli K aramQ{ov. Nulla si può immaginare che sia meno russo di Verga; salvo Omero. Pure Verga è pieno di pietà come i russi. f:. verista come i russi. E come i russi non vuole avere eroi, né avere a che fare con divinità, siano di sopra che di sotto. Sembra che i siciliani siano quanto di più vicino ai greci antichi esista oggi; siano cioè i discendenti terreni più diretti degli antichi greci. In realtà, gli abitanti della Grecia odierna non sono greci. I discendenti più diretti degli antichi greci sono i siciliani, specie quelli che vivono nel sud e nel sud-est della Sicilia. E, se ci riflettete, Gesualdo ~lotta potrebbe essere veramente un greco adattato ai tempi moderni, a parte il fatto che non è un intellettuale. Ma non tutti i greci erano intellettuali. E Gesualdo ha l'energiaj la vivacità, la vitalità dei greci, la loro viva passione per la ricchezza, la loro mancanza di scrupoli, il loro stesso modo bizzarro di giocare scoperto, pur senza mai compromettersi. Non è per nulla segreto, come in genere lo sono gli italiani. E astuto però, fin troppo astuto e greco e non si lascia condurre per il naso. E ha una certa franchezza. Il suo ardire, e il suo strano coraggio, come la sua indipendenza virile, sono caratteristicamente siciliani. EgH è greco soprattutto nel non avere un'anima, né sublimi ideali. I greci inclinavano assai più a dare un'impressione di splendore e di audacia che ad adempiere qualche nobile proposito. Amavano la bella apparenza di una cosa, la bella risonanza delle parole. La tragedia stessa non era per loro che una questione di gesti grandiosi, non già un fatto su cui meditare. Essi non volevano farsi cattivo sangue, e non si davano pena per i loro peccati, i loro e quelli degli altri, che quando entravano in ballo le persecuzioni delle Furie. Non erano tanto sciocchi da lasciarsi opprimere dal peso dell'<\n,ima. Ma oggi, ahinoi, è il teM'po dell'anima, il tempo in cui l'anima fa le spese; e, per un giovane, avere un'anima ha la stessa importanza che ha per un .invalido il 1passatempo del solitario. Che razza di uomo si può essere se non si ha il sentimento della propria anima? Gesualdo non aveva ,nessun sentimento della sua anima. Egli era oggettivo senza rimorso e senza remissione, come lo sono tutti coloro che vivono nelle terre del sole. Al sole si è oggettivi, nella nebbìa e sotto la neve si è soggettivi. La soggettività è in gran parte una questione proporzionale allo spessore del pastrano che si porta. Quando si va a Ceylon, ci si rende conto che per i bruni cingalesi anche il buddismo è una faccenda puramente oggettiva. Poi abbiamo l'ambiente, quello che circonda il protagonista. L'ambiente siciliano del sud che inquadra la figura di Mastro Don Gesualdo è fo~~c quanto di più autenticamente medioevale esista nella letteratura moderna, più medioevale anche della Sartkgn~ di Grazia Deledda. t la Sicilia dei Borboni 1 la Sicilia del Reame di Napoli. L'isola• è intredibilmente pover~ e incredibilmente arretrata. Non v, sono veicoli a ruote di nessuna specie, né calessi, né carrozze, fuori delle città. •Tutto viene caricato sugli asini e sui muli. Gli uomini viaggiano in .1rcioni o a piedi, o, se malati, in una lettiga adattata sul dorso di un mulo. La terra è nelle mani dei grandi proprietari terrieri, i contadini sono quasi schiavi. Tutto è insomma altrettanto povero e selvaggio e, nelle case ducali di Palenno, altrettanto splendide di ostentato splendore, che nella Russia di prima della rivoluzione. Ma che differenza dalla Russia. tut• ta\'ia! Invece delle selvagge imm~mid nordiche, vi è la chiusa vigilanza dell'antico Mediterraneo. Per secoli e se• coli i popoli del Mediterraneo hannc vissuto all'erta, intensamente all'erta in guardia, guardinghi, sempre guar dinghi e circospetti, e sempre tenen dosi isolati. Così è anche oggi, ne paesi• ogni individuo si tiene i~olato appartato, interiormente isolato dagl altri, malgrado i reduci dall'America Mentre in Russia la gente, almem nei libri, è sempre occupata a fars confidenze, a versarsi l'un l'altro ani ma e tè per serate intere; in Sicilia appena cade la notte, ognuno si bar• rica in casa. Salvo d'estate, poiché allora, col gran caldo, la notte è più o meno tramutata in giorno. Tutto questo sembra in genere tetro, squallido, brutale, tedioso. Non vi è anima, non vi è cultura. Non vi è una sola persona colta. Se vi fosse stata, sarebbe scappata da tempo. Non avrebbe potuto restare. Il tedio è insopportabile, per chi cerca culture. Ma se uno ha un po' di sentimento fisico che non sia quello nervoso dei russi, se uno è in qualche modo portato ad apprezzare il modo di vivere del Mezzogiorno, quale strano e profondo fascino avrà allora per lui Mastro Don Gesualdo! Mai ho provato una nostalgia più profonda di quella che ho provato per la Sicilia leggendo Verga. Per la Sicilia, dico; per la splendida Sicilia che penetra profonda nel sangue. Splendida Sicilia, cosi limpida nella sua bellezza, così vicina alla bellezza fisica dell'antica Grecia! Pure, l'esistenza che la gente conduce sembra così squallida, gretta, miserabile : quasi uno strisciare da scarafaggi. Ma, appena uscite dalle squallide mura grige del villaggio, che meraviglia la terra stesa al sole! E, pres uno per uno, anche gli uomini hann, qualcosa della particolarità noncuran te e ardita dei Greci antichi. f. nell, stare insieme come cittadini che diventano gretti. In campagna, sonc prodigiosi e di cervello fine come i viandanti dell'Odissea. Curiosi e imme9iati~ oggettivi nei loro rapporti. Così poco consci di sé, e tanto intelligentemente consci di quello che fanno. Tutto dipende da quello che cercate. La· relazione amoro,.a di Gesualdo con Diodata, ·che dura tutta la vita, è, secondo le nostre idee, quasi impossibile. Gesualdo non dà nessun valqre al sentimento; o quasi nessuno; è, anche in questo, un vero greco. Eppure, il suo amore con Diodata ha una strana, solitaria bellezza imperw• nale che fa venire in mente Rachele e Rebecca. f. una cosa del vecchio, an tico mondo, di quando l'uomo era in tensamente conscio di quello che gl apparteneva, ma non aveva che um coscienza confma di quello che sentiva. E i sentimenti di cui non si h.: coscienza non esistono. Sembra così potente, così pieno d vigore, Gesualdo. Pure nulla emerge di lui, e nulla egli dice. t !'esatte contrario del russo che parla e parla. per impotenza. Alla fine, vi trovate dinanzi a una miserabile tragedia di genere veristico. E voi pensate che il libro sia forse privo di significato, che la fatica di Verga sia stata sprecata. Ma questo succede perché siamo tanti mobs spirituali e riteniamo degno di attenzione solo quel personaggio che può uscirsene in fumo con e C"!ierco non essere>. Il povero Gesualdo non seppe mai nulla di e essere o non essere > e, se qualcosa ne avesse saputo, non vi avrebbe certo fatto caso. Egli vis5e ciecamente, sotto l'impeto del sangue e dei muscoli, con l'astuzia e la volontà, e mai ebbe coscienza di sé. Sarebbe stato migliore se l'avesse avuta? Nessuno ouò dirlo. O, H. LAWRENCE (trad. di Elio Vittorim) NOTA. QueJto sa1tio fu scritto dal l.awrenct come p,efa(.ione alla 1radu(.ione eh.'e1li fece del Mastro Don Gesualdo; ma non fu mai pubblicalo. la lradutiont compari,, p,eceduta Jolo da una b,eui;;ima nota info,matiua.
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