Omnibus - anno I - n. 28 - 9 ottobre 1937

( PALCHETRTOI MAN) I @®Wil e OMPITO dell'attore è creare l'evidenza. Mediante il gesto, la parola, il trucco, l'atton:. riproduce sulla scena 1ipi di uomini, i cui modelli originali stanno seduti in platea. I..'intclligcnza e b. capacità dell'attore stanno nell'accentuare b. realtà del tipo preso a modello, portare cua realtà alle sue conseguenze estreme. L'attore d'intelligenza e capacità eccezionali riesce a portare la realtà del tipo riprodotto a quello stato surreale, che è condizione necessaria di qualunque forma d'ar1c. I seguaci del· l'artd sana accus:ino il surrealismo d'innnia e di eccentricità. t dunque ncccuario riferire i pensamenti degli scemi? L'arti: sono ha acquistalo autorità di dogma. Danno gravissimo per l'arte, motivo per noi di grandis~imo Konforto. L'a,u sana è più che rane mediocre, più che l'arte ralsa, più che l'arte senza vita: è il grido di guerra, l'ordine di distruzione, la volontà di potenza degli inetti. Vivere senza arte 1i può, e magari felici. ~fa una per• iistente nostalgia ci ripete che al!.:,.felicità ddl'ltalia l'arte è neceuaria: e nonché alla ..,.a felicità, al suo decoro. C'inganniamo forse? Quando manca alJ'3rtiu.:,. ìntclligenza e capacità, si colma ìl vuoto con la < sxxsia ,, con l'c equìvoco _. della poesia, con ciò che e egli , scambia per poesia. L'artista non riproduce la real• t¼ esprime un e .suo , ideale. Per mollo tempo l'Ju.lia è stata in balla degli artisti e con l'ideale >, dei < cultori del bello>. La convalcsc::enz.a è lunga, e tanti si ado· prano a prolungarla. Qucll'c ideale_. che Bistolfi esprimeva nel marmo, Ruggero Ruggcri lo esprime nella declamazione. Chi poteva immaginare che anche tra gli attori ci fosse il poeta? L'attore e poeta > ha il gomito attaccato all'anca, cammina di tre quarti come il gambero, ha un accento circonflcno tra sopracciglio e sopracciglio, arrotonda I.i bocca a cui di gallina e parla e.o) naso: E t,ii bOmbini ... Questa citazione, t3luni al 50Ji10la imputeranno alla no• Hra g1alui1a malva.rilà. Poveri innocenti! Quale .animosità in noi contro gli attori, in noi vecchi lettori di Platone? Ma un desiderio sì, un grande desiderio, e forse l'illusione di portare e anche > di là dalla ri• •balla non fosse che l'immagine di quella che per noì è verità. < Le tliédtre, atte porrie d~s bdles•lett,es si mipriJI, qu.and ell, est mldiocrt, contribue à la :loire d'un itat quand elle est perfectionnie > "(Voi• 1.1irc: e Vie de AfoliJre >). A con1es1arc a Rug"ero Ruggcri, il quale da noi, e mal \'Olentieri, è preso unicamente come c.sem• pio di un determinato tipo d'auorc) i titoli < po<:ta • e « pensoso> non d pensiamo nt'mmeno. Solo che, per noi, e quella > poesia e < quel > pensiero sulla scena non conuno un fico; mentre manca a quel e tipo > d'attore, che l: appena un fumo profumato di carta d'Armeni2, la .sola fa. colti che per noi importa: la facoltà di creare l'evidenza. E gli attori creatori d'evidenu? Molti ne abbiamo concsciuti, i quali hanno impresso in noi indelebili ricordi. Più che nelle scene madri, la facoltà di crea.re l'evidenza brillava nelle minutaglie del gioco scenico, ; . uno sguardo < girato >, in un muovere di dita. Candidato al matrimonio, Ferravilla ritagliava un neonato in una carta ripiegata, e spiegandola delicatamente la moltiplica"a in dicci nt'onati; precettore, Ermete Novelli manifeslava con sospiri risuc• chiati a fischio, con gesti !!i cicogna, il proprio sussiego alla mamma di e Bebé , ; commendatore in una commedia di Saba1ino Lopcz, Virgilio Talli. saliva una scala col corpo a 'torre di Pisa, il pancino bur• banzoso, le braccine a triangolo, le gambette a martelletti di pianoforte. Gesti che il• lustravano il e tipo • meglio di qualunque declamazione con voce di capu., meglio di qualunque ,guardo con l'occhio frittellato. Ai tre nomi citati, Gilberto Covi ra da quarto. Covi non ci mette a parte del mon• do poetico che gli palpita dentro, ma fa da specchio - specchio concavo, specchio con· vesso, specchio a onde - agli .spettatori che dalla platea, dalle gallerie, dal loggione lo seguono col bianco stupore dei sonnambuli. Spettatore, per singolare che tu sia, veni la volta che anche te ti specchie• rai nella faccia di Gilberto Covi. La sera in cui questo maestro dell'imitazione, queuo daguerrotipo vivente iniziò la sua presente stagione all'c 1\rgen1ina >, incarnando il personaggio dell'armatore e commenda1ore Giovanni Bevilacqua nella commedia Colpi di timone di E. La Rosa, un tale seduto accanto a noi, tra,•olto dall'e,•idenza e perduto il controllo di sé, gesticolava e si dimenava sulla sedia come un pazzo, pcrcht anche lui si sentiva armatore, anche lui si 1cn1iva commendatore, ~nche lui .si sentiva Giovanni 8evi12cqua. Mercé l'evidenza creata da Gilberto Covi, il palcoscenico torna a essere ciò che csSo è per definizione: specchio della realtà. Se fossimo attori e ci chiamassero: e: scimmie superiori >, ringrazie• remmo per la lode. Quale compagnia e nazionale > può com• peterc per omogeneità, buona volontà e capacità di auori, con le compagnie dialet• tali? Amarissima constalazione ! Grande na· zione, non è dunque ancora degna !'!tali~ di un teatro nazionale? La compagni.a d1 Gilberto Covi ribadisce brillantemente questa verità, peraltro sconfortante. Intorno all'ottimo protagonista, la signora Rina C_ovi, i .signori Parodi, Peytrìgnct, <:armi, P1ttaluga, compongono una collana dt collaboratori coloriti e e redditizi >. La buona tradizione del teatro italiano è rispettata, grazie a quel tanto di burattinesco che salva talune compagnie dialettali d.al generico, dallo sciatto, dal e: gagaista >. Che più? La stessa commedia ci è sembrata briosa e non priva di carattere. Colpi di timon#, ci dicono, è un po' che Gilberto Covi li va portando di palcoscenico in palcoscenico. Con tutto ciò, il nome dell'autore d. era i~noto. Non si offenda E. La Rosa: c1 oc• cupiamo cosl poco di teatro! Rifinita, voi• tata in agghindati martelliani, questa comrnediola potrebbe esser firmata Giobatta Poquelin, e figurare tra le opere minori. ALBERTO SAVINIO O ■ NIBUS ,,llAGINA Il TRIPOLI . S1darioned,11, p11bblicuicu1I• Jttptn•• LACROCIERA DELVLEASPUCCI Napoli, ottobre. LLE tre e mezzo del pomeriggio vanno a terra gli uomini franchi. Sono una quarantina di ragazzi spazzolati, stirati da cima a fondo, inguantati di bianco. Aspettando l'ispezione alle divise, dànno un ultima lucidata ai bottoni d'oro della giubba e stringono il nodo della cravatta; poi, se rutto è in regola, sbarcano e si avviano verso le avventure di terra a gruppeui di tre o quattro amici. Sul barcarizzo salutano la grande bandiera che sventola a poppa e dànno un'ultima occhiata alla nave: fino a questa sera alle otto, i fischi imperiosi del nostromo non li riguarderanno più. • Però•• mi diceva un allievo del primo corso, • quando rivediamo i pennoni della nostra Vespucci e rimettiamo i piedi a bordo, ci si allarga il cuore. ~ una cosa difficile da spiegue: succede come quando, dopo una lunga navigazione, si rivede finalmente un pon-o italiano•· La Vespucci, poi, è un:i nave speciale. ~ un tre-alberi, completo dalla chiglia ai controvclacci; ricorda, ·con i.I suo scafo dipinto a fasce bianche e nere, e il suo castello di poppa decorato di arricciolature dorale, i tempi gloriosi della vecchia marina sarda e le storie meravigliose dei brigantini e delle golette che ospitavano i fanciulleschi eroi di Emilio Salgari. Ma, invece di una ciurma di pirati e di pit1oreschi corsari, c'è a bordo un equipaggio di ragazzi ventenni che, tra qualc.he anno, presteranno giuramento e riceveranno le spalline e le insegne da guardiamarina. Eccoli a Napoli. Dopo tre mesi buoni di scorribande mediterranee, hanno ri• toccato le coste italiane Fra qualche giorno finirà la loro •campagna•• cosi in marina si chiamano J~ crociere con le tradizionali gare nautiche di Piombino e il non meno tradizionale pranzo. Poi, dopo due settimane di licenza, riprenderanno la vita intensa dell'Accademia di Livorno. Cinquemila miglia di mare Cinquemila miglia non sono poche, specialmente se la maggior parte di esse sono fatte a vela. t appunto questa la distanza percorsa dagli allievi dcli' Accademia Navale nella campagna di quest'anno. Tre mesi esatti di Mediterraneo: Italia, Jug<r slavia, Albania, Grecia, Dodecancso, Egitto, Libia e Tunisia. Otto paesi. Un porto dopo l'altro, con bonaccia assoluta o con mare grosso, un po' aiutandosi col motore, e un po' con tutte le ,·ele spiegate, gli allievi, dal primo all'ultimo, si sono fatte le ossa robuste e lo stomaco resistente. Hanno preso, come si usa dire, il piede marino. Adesso, parlano tutti come vecchi nostromi e guardano, come se fosse un uccello raro, il borghese che càpita a bordo. Hanno uno stile cosi particolare e differente da quello di tutti gli altri giovani, che con loro riesce difficile conversare e farsi intendere: si avverte che si stanno formando un'altra tempra, che vivono una vita molto differente e molto più seria di quella che viviamo noi, cosl bene ormeggiati alla terra e alle nostre noiose abitudini. In fin dei conti, però, sono ragazzi mol• to simpatici e che non si dànno arie. Eccone uno, per esempio; un mio vecchio amico. L'ho trovato irrobustito, serio e pieno di vita. • Ecco, vedi ,, mi dice, • ho imparato per prima cosa ad amare di più l'Italia. Ti assicuro che quando abbiamo rivisto i volti degli italiani e abbiamo riudito le loro voci e le loro grida, è stata una grande gioia per noi. ln tutto il Mediterraneo, e credo in tutto il mondo, non c'è posto più bello dell'Italfa. I ricordi che mi hanno accompagnato per tan\i giorni di navigazione, svaniscono davanti a questa bella e sicura realtà che ~ il nostro paese. ~ Tuno il resto del mondo è bello, si, è pittoresco; dovl.lllque si trovano dei nazionali pronti ad lt.ccoglierci e a farci festa, ma è un'altra cosa. Anche a Rodi e a Tripoli non m.i trovavo veramente a posto come m.i ttovo qui. U, nelle colonie, ci si sente oonquistatori, si è pieni di orgoglio quando si guarda la bandiera issata sul palazzo del Governatore e si vedono le divise dei soldati italiani, ma rimane sempre il desiderio di rivedere casa nostra,. Il discorso del mio amico, è spesso interrotto da qualche ordine sccc-o <iell'vfficiale di picchetto e dal fischio acuto del nostromo, musica giornaliera della nave scuola. Alti, bassi, trilli, ogni nota e ogni fischio ha un suo significato speciale che solo i marinai intendono. A bordo, fischiare diventa un'arte. Vita di bordo • ~ il nostromo Del Fiume•, mi spiega il mio interlocutore, • un uomo in gamba che avrà una ,·entina di campagne sulle spalle. E non fa solo quelle estive del• l'Accademia, ma anche quelle della scuola nocchicrì. D'inverno, in crociera, c'è di bello soltanto il vento che soffia sempre gagliardo. Il resto è brutto: mare, ciclo e fatica•· Ora c'è da alare due imbarcazioni. 11 nostromo Del Fiume dà fiato al suo fischietto: gli a1Jievi si attaccano a una cima e corrono per il ponte lavorando con molta allegÌ-ia. Pare proprio che con le mani in mano, a bordo di una nave scuola, non ci si stia mai. Immobile per un paio d'ore sta soltanto la guardia al barcarizzo. Quelle sono le ore più dure per tutti gli allievi. Quando ulgono « a riva• per bordare le belle vele bianche si divertono e ridono; il marciapiede di corda non è comodo, ma è molto bello trovarsi lassù a lottare contro il vento. Si vede al disotto la nave che freme nella corsa veloce, un largo giro d'orizzonte, le onde verdi e spumeggianti sotto la prua che le taglia d'impeto. Bisogna lavorare reggendosi in equilibrio con i piedi sopra una corda che oscilla e con il corpo appoggiato al pennone scric.chiolante, su di una nave che cammina e che rolla. Non è un lavoro da tutti. Ma per futuri ufficiali è una cosa tanto normale che non merita nemmeno il conto di parlarne. E le notti di guardia sul ponte, sotto l'ampio palpito delle vele! Si dorme sdraiati in coperta su di un pezzo di tela che serve da materasso e da coperta. La campana ogni mezz'ora batte i suoi rintocchi e dalla coffa del trinchetto scende la voce del marinaio di guardia: • Buona guardia al trinchetto, fanale bianco spento•· Dalla poppa e dai due bordi della nave, rispondono le altre guardie. Sono momenti che rimangono nel cuore per tutta la vita. E poi c'è il lavaggio del ponte, la mattina, le ore di srudio nel quadrato ca.Ido cd afoso, gli esercizi col sestante, le gare di vosa e le sigarette fu. mate in pace con le spalle appoggiate al bastingaggio nei rari momenti di riposo. L'incidente di Tunisi Quando si scende a terra, inoltre, non si sa mai quello che può capitare. Gli ufficiali raccomandano il portamento, dànno con il loro esempio lezioni di stile e di dignità. marinara; ma per un italiano di Mussolini ci solo tante cose di cui bisogna tener conto. Non basta esser irreprensibili nella divisa da uscita e netl'cducazione. Qualche volta bisogna tener a posto anche i propri nervi e reprimere gli impulsi. • Quando sbarcammo a Tunisi>, mi dice il mio amico, « tutti I fuorusciti e gli elementi sovverstVJ di cui la città è piena, si misero in movimento. I giornali pubblicavano ceni articoli da far ridere. Io ne ho letto qualcuno. Ci trattavano con moira p1e1à e compassicne. Secondo loro, noi eravamo schiavi tanto abbrutiti da non accorgerci neppure della nostra triste condizione. Ci davano anche qualche coniglio di disciplina democratica verso i superiori. Dapprima ci facevano soltanto ridere, ma poi ci venne un po' di nervoso, quando, durante la franchigia, ci vedevamo mettere in mano, come se fossero stati dei foglietti réclame di qualche cinematografo, dei manifestini, per i quali non «rn :t ~precare degli aggettivi. Secondo il loro compilatore, non ci restava niente altro da fare che disertare. Ci prudevano terribilmente le mani, ma riuscivamo a contenerci. I marinai imbarcati con noi, anche se non sanno adoperare il sestante, hanno •1c reazioni prontissime e non si lasciano pregare per menare un po' le mani. Non vogliono .perdere nessuna occasione, ecco. Quello che è avvenuto, lo sai anche tu. Dopo il ferimento e tutto il resto, le minaccic dei sovversivi arrìvarono alle stelle. Strillavano che sarebbero venuti di notte a tagliarci i cavi d'ormeggio, a sabo1are la nostra bella nave. C'era fermento per tutta la città e tirava aria da asso di briscole. Quella none io ero di guardia a poppa e vedevo sotto di me il porlo, male illuminato e deserto. Avevo i nervi tesi e stringevo il moschetto, come se tutta la sakczza della nave fosse dipesa da quello. Ti confesso che pregavo lddio che venisse qualcuno a tentare di tagliare i cavi: mi avevano dato un caricatore di buone cartuccie, e la prima ombra che avessi veduta vicino alla Vtsp11cci mi sarebbe stata un buon bersaglio. Ma non successe nulla. Non vidi nessuno neppure da lontar "I. E il mio moschetto rimase inoperoso. 11 giorno dopo, partimmo regolarmente come già era stato stabilito. Ho letto, poi, sui giornali che gli scaricatori del porto di Tunisi se la rifanno cogli equipaggi dei piroscafi mercantili italiani. Li boicottano; ma vedrai che troveranno pane per i loro denti. _ Ricordi, non rimpianti • Da Tunisi a Napoli, siamo venuti con un buon vento e con mare piuttosto agitato. Abbiamo corso molto bene. La nave si piegava tutta colte sue vele tese e gonfie. t stato un bellissimo andare: e se non troviamo la solita burrasca di fine crociera sarà questo uno dei viaggi più fortunati che l'Accademia abbia compiuto. Vento, più o·meno, ce n'è stato sempre. Anche in Adria1ico ove è facile trovare delle calme piatte che durano giorni e giorni. « Riccione, a proposito, è stata l'ultima città italiana che abbiamo visto. C'è stato un ballo a bordo e ci siamo divertiti tutti. Non ti dico però del nostro malumore quando venivano a bordo i visitatori: quello che ci indispettiva di più erano gli zoccoletti di legno dei " gagà " delta spiaggia. Ma, in complesso, sono stati anche quelli dei giorni molto belli. Da Riccione siamo andati in Albania e in Jugoslavia. Ricordo le cattive strade alba. nesi e i bei paesaggi di Ragusa. La sponda jugoslava è veramente meravigliosa: tutta isole e canali. Il mare lambisce delle vere montagne e forma insenature profonde. E anche le ragazze sono belle e simpatiche a Ragusa. Sono bionde e parlano quasi tutte il veneziano. Quelle sono state forse le più belle giornate di tutta la campagna. Ma, come ci disse il nostro ammiraglio quando lasciammo a poppa, Livorno, l'ufficiale di marina deve avere soltanto dei ricordi e mai dei rimpianti>. MARCO CESARINI W®l?® IL DILUVIO Perugia, ottobre. t }MODO, regolare, e :iufficentemcntc n1agnifico 1 il teatro Mor• \ l_n lacchi di Perugia, pur non essen- ~do troppo vecchio, ha tuttavia l'.1spctto d'un'Arca. L'Arca di padre Noè. Forse perché sta lì in bilico su una montag,_na: incastrato definitivament.e e rimasto sulla rupe, come la nave b1• ljlica quar1do cessò di piovere e venne Ja secca. Forse perché riman chiuso e vuoto quasi dodici mesi all'anno. O forse perché appare, in gran parte, costruito in legno. Il legname dei palchi panciuti e delle colonnette storte, d'un barocco, che, senza esser rozw, fa pensare a qualcosa di rurale, bucolico e assai venerabile, a qualcosa salvato dalle acque, con quel suo emerso e lussuoso loggione a scomparti che potrebbe anche un giorno venir riempito di fieno. E con quel vestibolo a volta, verniciato, dorato e illuminato, tondo come un gran uovo; e con tor• nato di tozzi divani d'un rosso stinto come la macchia di vino sulla tovaglia; e le decorazioni al soffitto d'un Ottocento antidiluviano. Del resto che bel teatro, caldo, riparato e scricchiolante, quasi da far pen• sare che ancora stia viaggiando sulle acque. L'interno, un luogo p_cr banchettare, chiusi, trenta o quaranta giorni, fin che il Diluvio non cessa, per rimescolare tiepide lettiere, per governare la Noia, per vegliare e dornùre a vicenda. Intorno al teatro c'è la valle delle mille colline scoperte, ci son le foreste, cupi tappefi di foreste. E ci son le go• le b:bliche dove, guardando il cielo, vedi gli abeti, piegati dal vento, salire in ginocchio le rocce a picco. Ci sono gli immensi conventi, serbatoi di frati e di suore. Poi qua e là i castcllacci nudi, arcigni, miserabili, ancora abitati talvolta dalla cap:ubictà degli credi. E laggiù verso Assisi : paesaggio francescaho. Territorio rigorosamente riservato ai Santi anacoreti. Tutto quel che qui arriva di lontano fa naturalmente un grande effetto. E così fu della Sagra musicale Umbra. Dalla terrazza del Municipio di Perugia si domina tutta la vallata. Nell'ora del tramonto si gode di quassù la vista di un panorama così bello da togli ere il fiato. Le montagne si addormentano le une appoggiate alle altre, via via digradando fino all'ultimo orizzonte. L'aria è tersa. Una vallata, lunga chilometri e chilometri, affonda do). cemente tra le montagne con curve delicate come la schiena di un violino. Un istrumento che vibra, questa vallata, un istrumento sapiente che vibra per un soffio d'aria. Ogni voce, ogni suono, anche il più debole e ba.sso, si ripete infinite volte, s'allunga, diventa una cantilena. ~fa la Sagra musicale è finita. L'ul• tima nota è volata in cielo come una prece, questa terra di santi è tornata come prima, silenziosa, sognante e mo• nacale. E quando il centro di Perugia donne tutto, nell'ombra tu vedi splendere soltanto le vetrine della sede cen• tra.le della cioccolata Perugina d'uno sfolgorìo stonato, assurdo, nella notte medioevale della piccola città etrusca che aspetta in tutte le connessure delle sue pietre il grigio assideramento invernale. Fu nel teatro Morlacchi che nelle serate di sabato e domenica scorsa si diedero due recite della Rapprese,ita• ciont di Abramo e Isacco di Ildebrando Pizzetti. Qui siamo d'un balzo lontanissimi dallo stile convenzionalè; della vecchia montura melodrammatica non è ri• masto un lembo, delle viete congiun• ture e giunture meccaniche non vedi più traccia. Le esigenze teatrali furono per una volta evitate e superate. 11 sacripante tutta voce e boccacce, gonfiamenti e cadenze, e poplessie melodrammatiche, l1infallibile, l'incontentabile, lo stentoreo e l'impronto personaggio era introvabile quella sera sulle scene del teatro Morlacchi; e noi non rimpiangiamo davvero la tregua che ci diede, non rimpiangiamo l'ombra, la frescura e lo spazio che ci fece godere la musica di Ildebrando Pizzetti. Nel suo lavoro non c'è enfasi, non inurbano crescendo di vuoto rumore; non c'è mai il commediante che esagera, né l'istrione che si di.sonora. . Pizzetti scrisse quest'opera vent'anni fa, e fu quasi il suo migliore saggio. Qui ha raggiunto e chiarito con la sua .ute di musico le sue teorie, a volte as• sorto in una altissima calma lirica che non esclude la drammaticità, anzi la fissa in una composter.la che somiglia alla vicenda digradante di un bassorilievo su di un frontale greco. La sua orchestra di suoni ha una trasparenza e una inclinazione equorea che cinge in un serto liquido continuamente rinnovellato le parole e i versi del testo e li fa rinverdire e oscillare sul picd~ ritmico come ciuffi erbosi che bevano sommessamente la vita da un rivolo di sorgente. Dobbiamo aggiungere che ben di rado ci fu dato dj riconoscere vicino alla bontà d1un'opcra simile a questa, l'f'rrrllenza d'un interprete come il :Maestro Franco Capuana, che diresse da grande artista e con immenso successo la Rapprtsental,ione di Abramo e Isacco, insieme agli altri due oratori: Giona del Carissimi, e .\1aria Egi· l,iaca di Respighi. E con quec;ti spettacoli scenici si con• chiudeva a Perugia la Sagra, mentre ad Assisi nella Cappella della Chiesa di San Francesco veniva eseguita per la prima e unica volta un'inedita com• posizione del M. Don Lorenzo Perosi : In Tra,1situ $aneti Patris nostri Francisci, ascoltata, e festeggiata lunga• mente. BRUNO BARILLI --)- ~~&>a DEL VANTAGGIO VIA dtl Banco di Santo Spirita luna chlle più Iuli~ di Roma. Chi paua frettoloso t distratto per il corso Vittoria Emanuele ~ darsi che la trascuri; ma ap~na, quasi a cmo, la imboccherd, non potrd eh~ trOtJarla armo• nica col ponte Sant'Angelo. Non è cht una_ 1trada fra popolart e borglitse: ci sano dtunt1 abitazioni, /)Ucolt lMttorie, qualche n,go:10. All'uscita, tul Lungotn;r,e Tordim:ma, 1ono due palauatti. {)iullo a dntra di citi guarda il CtUttllo, è ,ettecenttsca ,d è in condizioni dectnti: l'altro, a sinistra, mostra ancora una volta quali sono i c,ittri can cui si riordinano a Roma le vtcchit arcliitttture. V tniva• thia• mato popolarmente • la cOJa dtl boia•: t la ragione dtl nome tra ntl ,aggiorno ch~ vi /tee l'ultimo boia romano. Costruzione quattrocentesca, tra constrtJnta non mrno di quanto tutt'ora la siano molti altri antichi edifici romani. Tutto al più occorrn;a un poco di pu/i'::ia. ;Via i nccaduta quello ch~ accadd~ per l'Albtrgo drll'O,so. C'i tuttQtJia qualtosa in più cht me• rita una particolar, 1tgnala::iont. In alta sono ltatt rtstauratt lt fintstrt ad archi; in bauo vi sono im;rct piccole finestre razionali. La j(U.ciata i stata dipinta a colori "antichi• con crrtt vtnature clu vogliono rutrt le m.accl1it di tudicio fatte dal tnnpo. Falso sudicio t falso antico; insieme a falso modtrr10. Dll QUALCHE TEMPO, alln ,unione di Rama, e1i1· pr,nd,_ il bigli~tto e attende il trtno, dilfici/m('.ntt riuscird a di.Jutn,si con comodo. Gli tocca accontentarsi di una bibita presa in pitdi, ,e non add ..rittura della bouiglia di gassaJtJ. In t11ttt lt sta:iioni di quttto monda, il caffè è fatta tur chi attet1de il treno, ~ i viaggiatori i,uom,ria, ~ non ttclusivammte Ptr la gentt di fuori. PwJ dar,i tht t·i siano ragioni d'ordine intn-no; comunque resta l'inconvtnitnt"- di chi, a11ttata, dtNt brrt con mr:ui quasi di fortuna. ROMA non i città aurtuata alla cattiva stagione; quando vi pi~ la t;ioltn:a dtll'acqua è tanto forte da trasformare lt Jtrnde in torrenti. Occorre quindi badare taprattutto ai 1e/cù1ti. Spesso, finita la pioggia, restano qua e ld vastt po::::a11ghn-e.Le automobili passar.o t rouesciano addo110 ai pananti /anghi;JUa liquida. Non si tratta d'un gran fm:oro. Soltanto occorre cht. gli assùtmti ttcnici de{ Govr,natorato si rt.ndano conta, coi /o,a occhi, dti bisogni tlie la pavimrntazion"- romana ha, di mt1t i11 mtst. DI AUTUNNO, Roma hn una ma mt.fan. tonia. Il sol~ pomt,idiano rtndt più vi• vau il rouo dtllt tase e dd trm;er1ino. J\ila là dO'f.Jfeu la Spina altro che mt/anconia. Al tramonto c'è. addirittura tristt::::a; t non c'è t;Oglia di aV1Jtntu.rarsifino a Piaz:za San Piuro. GLI ARCHITETTI pi,~ avvtntu.rosi s1 1ono sfogati alla JUriferia di Roma. Se i matniali rni.Juuero, fra due secoli Ror,IQ avrrbbt intorno a sé 11nacintura molto bi:narra. I terrazzi stmbrano portasapo11i,lefint.stre d01,•e abitane tanti funzionari govtrnatpli e tante mogli di /un:,ianari paiono piuttolta grate di ptnit,n:iiari. Tanta gente gitmifita lt fantasie dtll'architetllira ra:zionalt affermando cht è come il simbolo dtlla n11dae ausura vita ,nodtrna. Cl:~ la vita moderna sia nuda ~. qua,i ptr poverld, austera, lo ammttliamo tutti,· ma chi ha il gusto dei prop,i mali di rado arrit:a alla guarigione. Quello cht guaita è al solito la smania dti simboli t dti sensi mttafisici; mtnlrt, quando i muri dt/lt t:.ast parlano, è per gli evviva, ptr gli abbasso, ptr lt paroline languide e licenziose che -Ci scrivono i ,aga,uaui e la gente olltgra. MASSIMINO LEO LONGANESJ • Direttore re.,ponsabllc ~- \. El)ITRICE • 0,1:-.wcs • • ).11•1. ,so Pn>pt"icliri arii,1ka , lcucr■ria ri5rru1.111. RIZ7.0LI ! <.•:• • \n. per l'Ar1t dcl11 S1:tmpa . \hbn,, kll'ROf)l'ZIOSI ESl,;u;nE co-. MA1ERIAU~ FOTOGR.,rrco • FF:RR \:-;'I.\"· Pw!J/11,c,td ARCr.1ia G. Urcl<'hÌ • \Mano. \'11 S1t.hi~t. t Td. lo-lJO~ • Puigi. 16. Ruc dc FAu~rg Sain1-H,..Mrl

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