Omnibus - anno I - n. 27 - 2 ottobre 1937

LA. TETRA.ZZIHI NELLA "TRAVIATA" (1908) 'V'~~-@ ~-~~"K"V"--~ L!.~ ~t!~[a~22~~a VILLA di Luisa Tctranini è piena di cose strane. Grandi vetrine custodiscono i ricordi e le foto• grafie. Nel salotto, ampio e im. bottito, addossato alla parete centrale, bianco e filettato in oro, come certe cane funebri per neonati, appare il pianoforte coperto da uno icialle veneziano az.zurro pallido, con una frangia che si affloscia sul pavimento. Sopra, una fotografia di Mussolini, datata: ottobre 1923. Quando è stata l'ultima volta che, al• l'uscita di teatro, i fanatici hanno rinno• vato all'artista l'omaggio di staccare i ca• wlli dalla sua carrozza? La vita di Luisa Tetrazzini è un ro• manzo, il romanzo di una oreficeria. Lo Zar le regalò un rubino, Guglielmo II uno smeraldo ltoloual fatto tagliare apposta da un rinomato gioieUiere inglese, il Prc• sidcntc della Repubblica Argentina un brillante purissimo e cosi via. Si scommetteva ·sulla durata dei suoi acuti. A Londra, dopo la guerra, quando sbarcò, gli italiani le ponero in ma11a il saluto, e cinque bande militari britanniche, schie• rate lungo le banchine, intonarono in suo onore l'Inno Reale italiano, seguito da • O' sole mio,. Miliardari americani chic• sero la sua mano e non la ottennero. Verdi era onnai vecchio quando udì la fama della sua voce. Volle conoscerla e ne dette incarico a Leopoldo Mugnonc. • Non posso, proprio non posso, maestro,, rispose la cantante,• sento che verrei meno, forse potrei anche morire per l'emozione. Verdi! Ma scherza, presentarmi a Giu• seppe Verdi, io? No, non posso•· E scop• piò in lacrime. Una sera, a Firenze, nel dicembre del '91, i parenti accompagnarono Luisa an• cora giovinetta alla Pergola. Si rappresenta L'Africana, e la fanciulla è ansìosa di 1111coltarucna celebre cantante. La ula è stipata, ma il sipario resta rigido. Comin• ciano le proteste; si reclama a gran voce l'inizio dello spettacolo; ma ecco che si sparge una voce: la prima donna è ma• · lata. Mentre ancora nella sala il pubblico non sa se andancne o attendere, Luisa abbandona i suoì e si reca dall'impresario e dal direttore d'orchestra. • Se credono, potrei cantare io, stasera,, dice con sem• plicità. Queste parole vengono accolte con una grande risata: e Tu, e chi sci?• le fa il maestro: e Già, chj sci? E poi, ad ogni modo, ci vorrebbe il consenso del papà•· • Sono Luisa Tetrazzini e ho studiato l'Opera,, risponde la giovinetta; e sta per piangere; quando una mano si posa lieve sulla sua spalla. et; vero, potrebbe benissimo cantare•, dice con voce grave il nuovo arrivato. f:: Giuseppe Ceccherini; la Tctrazzini era Ja sua allieva prediletta. La platea della Pergola si fa intanto più rumorosa; gli spettatori rivogliono i sol• di. L'impresario scuote il capo: 1 Siamo pronti? Signorina, vada a truccarsi •· Naruralmentc, la giovinetta ottenne un successo. Gli studenti fiorentini l'attesero all'uscita per acclamarla. Il giorno dopo il nome della Tetrazzini era famoso in tuna Firenze. Dicevano che era una nuova Patti. Poi, Londra. Nel 1905 è al Covent Gar• den. La prima della Traviata segna un trionfo. Anche a Londra i giornali par• }ano di una arti1ta che ben può essere la continuatrice e l'emula della Patti. La Patti, settantenne ma ancora vispa, in questi tempi abitava a Londra. Udito il grande successo, un po' si indispettisce e un po' si incuriosisce. Andrà a teatro. Luisa apprende tutto questo e ha paura. Non conosce la Patti, ma le hanno detto che veste sempre di bianco e porta molti gioielli. Cosi la seconda sera, mentre sta per attaccare l'• Amami Alfredo:,, ceco, una signora tutta avvolta in un ricco mantello di raso bianco apparire in un palchetto di proscenio. La giovane diva è sul punto di smarrire il controllo di se i tessa i e il tenore se ne accorge, e il maestro fende l'aria disperatamente con la bacchetta. Tutti guardano verso la si• gnora in bianco. • La Patti,, mormorano tutti, e Violetta è per svenire anzitempo sul palcoscenico. Ma poi si riprende e canta la celebre romanza con una forza, con un ardore e insieme con tale dolcezza, che tutto il teatro ne è preso. Scoppia alla fine un applauso che par non debba aver più fine. Il giorno dopo l'Adelina scrive alla Luisa: • Brava, il tuo canto è perfetto. Vieni da mc oggi per il tè. Canteremo insieme il disperato grido d'amore di Violetta,. Nel pomeriggio, intorno a un monumentale pianoforte in un salotto di un albergo di Londra, due italiane, una vecchia e una giovane, cantano: • Alfredo, Alfredo,. La fama della Tetrazzini cresce ogni giorno: ella vive come in un romanz:,. Una sera, trova nel camerino una lettera, anonima naruralmcntc, con cui la si mette in guardia: non accetti da chicchessia cioccolatini o confc~i, si guardi bene di ordinar bibite durante le recite. E, sottolineata, a mo' di conclusione: • Una persona ha giurato di sopprimervi·•. La lettera è rimessa subito alla polizia, che fa presto a trovare il bandolo della matusa. Chi aveva scritto, lo si vedeva chiaramente, non doveva conoscer bene l' inglese; il frasario e gli errori rivelavano una mano tedesca. Cosi, per eliminazione si viene, a sapere che la dam, di compagnia di una cantante australiana, scritto• rata quella stessa stagione al Covcnt Garden, è appunto di nazionalità tedesca. •SI•, confessa questa durante l'interrogatorio, , temo che la mia signora sia alla disperazione per i successi ottenuti dalla Tctrazzini ,. TOSOANINI E LO ZAR Nel 1907 la Tctrazzini avrebbe dovuto cantare alla Scala. Gatti•Casazza, impre• sario in quel tempo del teatro milanese, ebbe con lei una intesa verbale sulle opere e sul periodo di scrittura. Ma, al momento opportuno, non se ne fece nulla. Furoreggiavano allora sotto le volte del Pier• marini gli acuti di Rosina Storchio, e Toscanini, che aveva dato alla Tctrazzini la qualifica di• soprano pirotecnico•, non era disposto a costituire alcun pericoloso con• traltarc. Luisa tace. Ed ecco che nel 1913, a New York, il Gatti.Casazza le si presenta di nuovo. e Dovresti impegnarti per il Mctropolitan ,, le dice, • per alcune recite di Rigolttto. t indispensabile sul cartellone il tuo nome,. • Chi sono gli altri interpreti dell'opera?• chiede la cantante. e Oh, tutti degni di te. Un complesso che i tuoi amici di Londra non si son mai sognato. Gilda: la Tctrazzini; il Duca, Caruso. e poi il baritono Rcnant, la mezzosoprano Homer e il basso Didur. La cantante approva distratta; poi:• Ma, a proposito, il Maestro?• « Il Maestro coronat opus. Toscanini, naturalmente! • • Già. Ma allora io non canto•· Non ci fu preghiera che valesse: fu ne• ccssario far dirigere Rigolttto da un altro Maestro. Durante gli intervalli della prima rappresentazione, Toscanini passeggiava nervoso e accigliato su e giù per il palco. scenico, e imbattutosi con la Tetrazzini, senza parlare, fece un piccolo gesto come a indicare che se l'era legata al dito. • A un dito solo?» domandò ridendo la cantante, • ma io mc la son legata a due dita sin da allora, da Milanoi si ricorda?». La Tctrazzini si dà anche ad opere di bene. A San Francisco, appena dopo il terremoto, deve cantare in una specie dì baraccone. Ma come non possono ascol• tarla che in pochi e la miseria è tanta, decide di cantare all'aperto, per tutti. E nella piazza l'accoglie l'entusiasmo di duecentomila persone. t nominata cittadina onoraria; l'indomani, presente l'allora colonncJlo Pershing, si svolge in suo onore una giornata aviatoria. Si librano gli apparecchi volteggiando sulla città, e ognuno reca sotto la carlinga una grande fotografia della cantante italiana. Di più, sulla piazza, dove si svolse il memorabile concerto, le è cretto un monumento. E ancora oggi, in ricordo di quella data, a San Francisco si svolge ogni anno uno spettacolo di beneficenza in occasione del quale il Sindacato degli artisti non dimentica di inviare un saluto alla cantante ormai lontana. Dopo l'Inghilterra e l'America si va a Pietroburgo, Vienna, Berlino, Madrid. A Pietroburgo, durante un invito a Corte, nel 1910, è in compagnia di Caruso. Dopo il primo ballo le si avvicina il granduca Vladimiro. • Lo Zar desidererebbe da lei una canzone spagnola:,. ,i Spagnola?! Ma io sono italiana. E poi non canto canzoni ,. Il Granduca resta interdetto. Interviene, provvidenzialmente tempestivo, Caruso. • Be', Lui, fottctcnnc. Cantiamo insieme Funicoli Funitolà. Fottetcnne ,. E cantarono la canzone napoletana, La folla degli invitati fa ala ed ecco lo Zar, che s'accosta al pianofone, scrio e ieratico, e si mette a far da coro ai due artisti, con voce cavernosa, sul ribno di Volga, Volga. HOLLYWOOD Ora la Tetraz:z:ini vive n.cl suo appartamento di Milano. Recenti tempeste non l'hanno fiaccata. Gran sìgnora sempre, quando il magistrato durante la procedura di divisione coniugale, interrogandola, cer• cò, con qualche allusione, di farle confessa• re le vere ragioni che l'avevano indotta ad invocare il provvedimento, rispose: 1 Non so niente e non voglio saper niente. Dc• sidero dividermi da mio marito per in• compatibilità di carattere. Semplicemente per questo•. Se poi si diresse alla Segreteria di Stato del Vaticano per cercare di ottenere l'an• nullamento del matrimonio, non fu per sé, ma per liberare il marito, giovane, da un inutile vincolo. E non fu asco). tata. Fra qualche mese rivarcherlli ancora una volta l'oceano. A Hollywood vogliono gi• rare il film della sua vita. Un'altra donna interpreterà il periodo della sua giovinezza; clJa comparirà solo alle ultime batto te. Ora la Luisa scrive i ricordi che dovranno servire al regista. F. FRANCAVILLA JoaD Onwford • la rtgitta Doroih1 .Anntr durut.e UDI101\.& dtl Alm II Le. r,!aua di Trl.. t.e 11 ()(, 0,)(,) ~~CD~2 ~2~~ I DDI ISIITBOPI . ~-· 'ERA, giomi or sono, seduta vicino a me al cinematografo, una si~nora di una certa età, che si distingueva tra le altre ,ignorc in quella stessa sala, pel fatto che, mentre le altre tacevano, essa sol:\ parlava, a voce alta, instancabile e autoritaria. Parlava con un signore che stava alla sua sinistra e che sembrava aver l'ufficio degli interlocutori di Socrate, nei Dialoghi di Platone, i quali son messi lì a posta per dar ragione al maestro; con i «certamente>, « è ve• ro >, « giustamente dici•>. Le parole che disse la signora, con quel tono sovrano e indiscutibile, mi sono rimaste nel la memoria. Per la sua bocca, pareva parlasse l'intero pubblico femminile, con i suoi gusti, prefeferenze e aspirazioni. E l'argomento era naturalmente il cinema italiano; anzi il cinema italiano nei confronti del cinema americano. « Purtroppo non ci sono attrici come dico io ,, pontificava la signora, « ha visto come vestono? Si vede che non hanno mai portato un abito da sera. Come i registi, che non hanno mai frequentato un salotto signorile,. « Ah, e pensare che M yma Loy ... > provò a dire ''altro. « Oh, in America è un'altra cosa; non c'è confronto, sanno vestire, san• no truccarsi, hanno grandi sarte, grandi parrucchieri, spendono migliaia di dollari per un abito. E poi, ha visto .gli ambienti dei loro film? Che buon gusto! Quei mobili chjari... E gli uomini, come portano bene il frac ... Quel• le feste da ballo ... ,. « Senza dubbio, ma ... > disse il signore accanto. « In Italia non si potrà far mai niente1 finché non si sceglieranno attori e attrici nella buona società. Gente chC sappia mangiare a tavola, versare una tazza di tè ... >. « Certo, e bisognerebbe ... > sussurrò timidamente l'interlocutore. « Eh, no 1 non è facile >, interruppe la signora, « io per esempio, non lava. rerei davvero nel cinema. Manca tutto quell'insieme chic. Non vede che i nostri parrucchieri non sanno pettinare una donna? >. Il dialogo sarebbe continuato chissà quanto altro tempo, se qualcuno non avesse cominciato a protestare per quella voce insistente che turbava la tranquillità della rappresentazione. Indispettita, la signora continuò a par• lare sottovoce, ma purtroppo non riu• scii ad afferrare nulla. Ero stato fino allora così assorto nell'ascoltare quei commenti, che m'accorsi, nel silenzio improvviso, d'esser giunto alla metà dello spettacolo, senza aver seguito la vicenda. Il film era / due misantropi. Sulla scena m'apparve Maria Denis vestita con un abito da sciantosa millenovecento. Poco dopo la si vedeva saltare sul letto, in un succinto abbigliamento formato da una camicia e dalle mutande che arrivavano a metà gamba. Notai con piacere che i costumi erano graziosi, gli ambienti studiati con una certa cura, l1illuminazione delle scene senz'altro buona. Mi guardai intorno. Poco avanti a me nell'oscurità, scorgevo le grosse spalle di un signore che visto di dietro sembrava dormis• se. Senonché ogni tanto respirava for• te e si agitava sulla poltrona. Il film senza dubbio non gli piaceva, ma non si capiva per quale ragione si annoias• se. Improvvisamente, si alzò, si aggiustò la giacca sulle spalle robuste, e si allontanò mormorando : « Basta con l'Ottocento >. Già., mi dissi, forse ha ragione. Basta con l'Ottocento. Ma perché poi? E rimasi fino alla fine dello spettacolo a chiedermi ragione di quel fastidio. Terminato il film, mentre mi avviavo verso l'uscita, ascoltai i commenti di due giovanotti. « No, no >, diceva uno, « questo Palermi non va : è tutta rer ba vecchia. Se non fossero gli attori, che sono così bravi». « Bravi, non di• rei>, rispondeva l'altro, « anzi... il guaio è invece che questi film sembra• no fatti a pezzi, mentre quel!i arneri• cani scorrono come l'olio >. Non potei seguire il dialogo. Quei giovani avevano affrettate il passo. Mi sembrava però che la folla, che si pigiava intorno a me verso l'uscita, si lamentasse di qualche cosa, e tutti per 'ragioni diverse. « Mancanza di sarti e parrucchieri > mi dicevo, « oppure : basta con l'Ottocento; basta con gli attori cani ... •· Cercavo di pensare quale poteva essere la mia opinione su quei Due misantropi. Ma non ero capace. Pensavo con tristezza al cinema italiano, al gusto degli industriali, a quello del pubblico, ma non riuscivo a formulare nessuna critica. Sull'uscita incontrai un amico, un giornalista. Il film anche a lui non era piaciuto. « Manca il ritmo>, mi spiegò, « il montaggio è fiacco, l'azione statica >. Gli detti ragione. Allora quello s'inoltrò in una lunga disquisizione sul montaggio americano e ~elio russo, e parlò di panoramiche, dissolvenze e carrellate. « Hai notato? I nostri non usano quasi mai il primo piano : raramente le carrellate sono giustificate psicologicamente. Perché il carrello psicologico ... >. Lo ascoltavo senza capire. «Chissà>, pensavo, «per• ché da noi nQn si usano i primi piani. Forse per paura? Paura di che? Nes• sun regolamento lo vieta. Qualche primo piano salverebbe ogni cosa. Se si usassero buoni parrucchieri, facendoli magari venire dall'estero, come si è fatto per il regista Trenker, e se ci si servisse dei primi piani, e dei carrelli psicologici, forse il problema del cinema sarebbe risolto >. E intanto che il mio amico giornalista mi spiegava la funzione del carrello psicologico, mi misi a pensare alla allegra pazzia di quella quarantina di persone, industriali, attori, registi, scenografi, che per un mese circa si mettono insieme a lavorare intorr.o a un film che forse non avrà mai successo, e che passerà di cinema in cinema tra la noia generale. Lo.i11Rahur Del Slm "I taudel1brl dello Zar" (}l, O, lii,) MARIO PANNUNZIO

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