Napoli, settembre. I ,!'..) Ul INTRODOTTO in un salq,. LP ne semibuio. Quando comparve, Sabino Lembo indossa\·a un pigiama stinto, a righe bianche e azzurre. "'.\Iicorse incontro, mi posò una mano sulla spalla: « Venite, parliamo 'nu poco•. Passammo nello studio, una grandt stanza che dava sul mare di Posillipo. Il chi• rurgo, indicandomi con una bacchetta nlcunc fotografie appese alle pareti, mi fece la storia dei casi più interessanti. « Fino all'anno scorso, disse, • io trattavo ìl cancro come in rutte le cliniche e gli ospedali, cioè con le applicazioni di radio o asportando ìl rumore col bisturi. Dopo qualche tempo il cancro si riproduce,,a ,. In principio, Sabino Lembo fu calmo. ~duto alla scrivania, discorreva piano, giocherellando con un tagliacarte. , ~entre parlava, lo osservai: mi parve sui cinquant'anni. Qualche ruga profonda sul volto sembnwa più l'effetto di una esistenza agitata che dell'età. Appresi poi da \lna rivista di chirurgia che era nato nel 1874, a Canosa di Puglia. A un tratto, si entusiasmò: gli occhi lustri ammiccavano continuamehte. Ragionava per sillogismi, puntando il pollicr e l'indice sull'angolo della fronte. Quand'ebbc dimostrato che il sangue e le ghiandole della scimmia, innestate nell'uomo, sono il rimedio infallibile contro tutti i mali e le infezioni ritenute finora inguaribili, dal cancro alla emofilia, si alzò: • Non crediate che io sia pazzo,, disse ispirato. Ebbi un attimo di terrore; ci guardammo negli occhi: vidi nei suoi una fiamma brillare a lungo, poi spegnersi. Continuava a sorridere, un po' di traverso, incerto se la mia attenzione fosse soltanto benevola. Incuriosito, mi misi a interrogarlo. Mi disse che aveva passato la sua vita operando negli ospedali. Comincib a Xapoli, subito dopo la laurea, poì a Bologna, da dove st recò a Pang1. L'uovo di Colombo Vi andai la prima volta nel 1908 •• racconta Lembo, drizzandosi sulla persona. L:na delusione amorosa mi spinse a intraprendere 11 viaggio. Arrivai di sera. Avevo con me poche centinaia di lire. La notte stessa mi capitb un'avventura galante, e ne buttai via la metà. La mattina dopo, uscii dall'albergo, salii su una carrozza e mi feci condurre 1ll'ospedale più \'!CtnO. A qualunque costo, dove\'0 rimanere a Parigi. :--.'onsape\"O una parola di francese, non conoscevo nessuno, ma avevo il mio piano. _..\>l'apoli avevo perfezionato l'operazione dell'erma. Quando fu1 alla presenza del direttore dell'ospedale, tirai fuori il fazzoletto dal taschino della giacca come fanno i prestigiatori: lo tenni so• speso per la punta, in modo che cadesse a pir-amide, e lo infilai tra rìndice e il medio della smistra. li chirurgo mi guardava stupito. Gli mostrai il cono del fazzoletto che usciva di sopra alle due dita, poi mi toccai l'inguine. Capì che parlavo del sacco dell'ernia e sorrise. Approvb con un cenno del capo. La mia innovazione consisteva in questo: dopo il taglio del sacco, invece del legamento, io eseguivo la sutura del peritoneo. Con le dita della destra a forbice, feci il gesto di tagliare 11 fazzoletto e poi di cucire. Dovetti ripetere due o tre volte la pantomima. A un tratto il chirurgo capi: mi strinse calorosamente la mano, e, in segno di deferenza, mi accompagnb a visitare l'ospedale. ~ La mia scoperta era l'uovo di Colombo, ma mi avvidi che a Parigi nessuno ci aveva ancora pensato. Decisi di presentarmi a Paul Reclus, direttore dell'H~pital de la Charitl, una celebrità a quell'epoca. Andai alla nostra Ambasciata per trovare un giovanotto cHe mi facesse da interprete. Il giorno dopo, ero nello studio di Paul Reclus. Mi ero messo d'accordo con l'interprete che, al momento in cui avrei spie• gato l'operazione al chirurgo, doveva far finta di non capire. Reclus era un ometto piuttosto basso, con la barbetta a punta e gli occhiali. Sapevo, per sentito dire, che il suo debole era la curiosità. Non stava fermo un momento. Parlammo. Quando lo informai che avevo modificato l'operazione dell'ernia: " Sentiamo, sentiamo ", disse e andò a sedersi sul bracciuolo di una poltrona. L'interprete re• citb la sua parte. Reclus divenne nervoso, si tolse "gli occhiali: " Domandategli se vuole operare ". Avevo raggiunto il mio scopo. Era un venerdì santo e prendemmo appuntamento per il lunedì seguente. Furore dell'innesto • La mattina operai alla sua presenza. Mi lascib fare senza mai interrompermi. Colpito dalla logica del mio procedimento, volle che ripetessi l'operazione su un secondo ammalato. In fine mi propose di rimanere a Parigi per faI"vi delle ricerche. Accettai. Entrai completamente nelle grazie del celebre chirurgo, il quale mi invitò più ·volte a pranzo, mi presentò ai suoi amici e mi fece fare delle conferenze nella sua scuola. Fui anche nominato membro titolare della Associazione francese di chirurgia. Tornato a Napoli, innalzai il vessillo dell'ernia! Facevo fino a \"enticinque o trenta operazioni alla settimana. Fu così che, in poco tempo, divenni uno specialista delle malattie chirurgiche dello stomaco e potei comprare la clinica di Capodimonte•. Dopo la guerra, Lembo tornò a Parigi. Trovò che vi si discuteva del radium, Poco alla volta, riuscì ad acquistarne una discreta quantità e si mise a curare il cancro nella sua clinica. ~cl 1927 fece la prima operazione di innesto. Trasportò le ovaie da una donna feconda, che sarebbe certamente morta se avesse partonto di nuo\·o, ad un'altra ste;-ile. Quest'ultima vÌ\"Cvaseparata dal marito. Si ricongiunsero ed ebbe due figli. • A,·cvo finalmente trovato la mia strada, esclama il chirurgo con orgoglio; • cominciai ad innestare tutto: i cani, i gatti, il pollame, le piante del mio giardino, i fiori. Passavo mesi e mesi chiuso nella clinica, mangiando in fretta e dormendo poco e a caso quando mi capitava. All'infuori dei miei assistenti e del personale, non parlavo con nessuno. V1\·evo in uno stato continuo di eccitazione, complicando gli innesti fino a!Finvcrosimile. Fu il periodo più bello della mia vita,, confessa il professor Lembo alzando le mani. ~et 1930 Lembo tentò i primi esperimenti nel campo vero e proprio della endocrinologia. Lasciando da parte l'innesto test>colare, i cui risuhati erano ormai acquisiti alla scienza, egli cominciò a trasportare tutte le altre ghiandole dalla scimmia nell'uomo. • Procedevo un po' alla cicca, affidandomi ad oscure intuizioni e qualche ,·olta al caso. La difficoltà maggiore era quella di procurarmi le scimmie. Vi fu un periodo in cui arrivai a sacrifit.arne un11 al giorno. Ben presto la fossa in cui le seppellivamo, in un angolo del giardino, si riempi, e fui costretto a mandare i miei inservienti m campagna, di notte, dove, al lume di una lanterna \·evo andare a Pompei con alcuni amici. L'insonnia mi ave\·a tenuto in uno stato _di dormiveglia fino a poco pnma dell'alba. :\,li alzai e andai nel bagno. Al primo contatto con l'acqua un frammento di sogno mi tomb alla memona: ero di notte in una vasta campagna,• rischiara,a da una torcia infissa m un solco. Tene'"o con due dita una coppa colma di sangue, che versavo nella corolla di ~rn fiore appassito. Il fiore riprendeva le sue tinte, ingrandiva e vigoreggiava. Intanto era apparso il sole e la torcia si spegneva rovesciandosi nel solco. • [mprovvisamente, fui preso da un'idea stramba. Avevo nella clinica un povero vecchio col cancro al labbro inferiore. Era '"enuto da me il giorno avanti e do\·evo curarlo con le applicazioni di radium. Mi feci condurre alla clinica. Albeggiava appena, tutti erano ancora immersi nel sonno; entrai nelle camere e spalancai le finestre: in cinque minuti, assistenti ed inservienti erano in piedi. Catturammo una scimmia dalla quale prelevai con la siringa alcuni centimetri di sangue. ~on so come fu: ma per ottenere il consenso del vecchio a lasciarsi operare con quel sangue gli esposi per filo e per segno quella che poi do\"Cva diventare la mia teoria sulla disfunzione delle ghiandole endocrine. Ero in uno stato di lucidità spaventosa. Il vecchio acconsentì e gli iniettai il sangue a corona intorno al tumore del labbro. Poi raggiunsi i miei amici e partimmo per Pompei. Durante il viaggio mi sembrava di aver sognato. Nei giorni seguenti feci al vecchio ancora due o tre iniezioni. Infine il tumore scomparve e la ferita si cicatrizzò. Avevo guarito il cancro•· La clinica del dottor Lembo è un palazzetto a tre piani, dall'aspetto rustico e trasandato, che sorge in un viale polveroso sulle alture di Capodimonte. En- . trammo in una triste articamera dipinta • ... IL PROFESSOR LEMBO OPERA cieca, eseguivano la funebre incombenza. L:na volta furono sorpresi mentre finivano di riempire la fossa. Uno di essi era ubriaco: invece di scappare via, si lasciò acciuffare dai contadini e confessò di aver ucciso e sepolto in quel luogo la propria moglie insieme con l'amante. Il po\"eretto aveva taciuto per anni, fingendo di ignorare i \·cri rapporti della moglie con il ga1zonc di una panetteria. Quella notte si sfogò. Il giorno dopo \"enne scoperta la beffa, ma il fatto fece scandalo e mi procurò delle noie, sicché dovetti far scavare un nuo\·o pozzo nel giardino, più profondo e più largo dell'altro. In questo pozzo finiscono le scimmie che ora mi arrivano con una certa facilità e con minor spesa dall'Abissinia,. Per Lembo quasi tutte le malatue sono originate dalla disfunzione delle ghiandole endocrine: ipofisi, tiroide, pancreas, testicoli, ovaie, ecc. Una speciale e complicati!sima analisi del sangue, detta enzimoreazione, pennette di sapere quali di queste ghiandole sono disfunzionanti e in quale misura. Innestando le ghiandole del• la scimmia nei tessuti dell'uomo, Lembo corregge le varie disfunzioni. L'organismo, arricchito degli ormoni che le ghiandole non secernevano più nella quantità necessaria, dovrebbe tornare allo stato nom1ale e combattere la malattia da cui è affetto. • Provai dunque a trattare le più diverse malattie cd ottenni i primi risultati. In fine, nel '35, coordinai le mie esperienze e ne feci una pellicola che portai in giro per l'Europa da un congresso all'altro. A Madrid, col pretesto che la mia comunicazione non faceva parte della storia della medicina, mi impedirono di parlare. A Bologna fui zittito e dovetti interrom• pere la proiezione del film. Tornai a Napoli. Ero avvilitissimo. Cominciava ormai a venirmi meno ogni fiducia, quando una mattina, il 9 maggio di quest'anno, mi capitò un fatto più che straordinario. Dodi verde, che prendeva luce da una buia e pesante vetrata. Un grande tavolo al centro e alcune panche lungo i muri ne costituivano tutto l'arredamento. Qualcuno vi attendeva il chirurgo. Era un gio\·ane arrivato pochi momenti prima da una città dell'Umbria insieme col padre. Avvicinatosi a Lembo, senza quasi pronunciar parola, quest'ultimo lo pregava con gli occhi, indicandogli il figlio che ormai rutti i medici si erano dichiarati impotenti a poter guarire. Era affetto dal morbo di Hodghins. Il volto, terribilmente giallo e spettrale del giovane, splendeva fosco nella semioscurità della stanza, Il babbuino salvatore malati della clinica erano circa una diecina. Piccola gente, venuta per lo più dai paesi del :vlcridionale; quasi tutti avevano il cancro cd erano onnai votati a una lenta e inesorabile morte. Gli infelici giacevano nei letn1cci di ferro e i loro occhi si illuminavano alla vista del chirurgo. Una donna sui trent'anni, dall'aspetto dì contadina, aveva il collo leggermente ingrossato sul davanti. t questo uno dei smtomi più comuni che indica l'anormale funzionamento delle ghiandole endocrine, e particolarmente della tiroide. L'enzimoreazione a,·cva infatti rivelato disfunzionanti la tiroìde, l'ipofisi, il surrene e l'ovaio. Le quattro ghiandole do- \'evano venirle innestate dalla scimmia per combattere 11cancro che da un anno le si era manifestato alla mammella sinistra. Questa appariva vizza e rugosa: vi erano state fatte alcune iniezioni di siero di scimmia e la materia cancerosa si era trasformata in pus. Un rivoletto ne sprizzò mentre il chirurgo le andava premendo la parte con le dita, e si \"Crsb sulla coltre. Il giorno dopo assistemmo all'innesto di ben quattt:,o ghiandole, nonché del midollo osseo, di un grande babbuino in un vecchio di sessant'anni. In una stanzena che odorava di selvatico come un pollaio, mani e piedi legati alla tavola sulla quale era disteso, trovammo il babbuino che respir;va con nolcnza sotto l'azione del cloroformio. Sulla depressione del ventre, la cassa toracica si alzava e riabbassa\'a faticosamente come un grosso mantice. La parte anteriore del corpo, dal collo all'inguine, era stata depilata e la pelle vi appariva granulosa, giallo-verdina con riflessi violastri. Di tratto in tratto, come uno che si S\•egli di sépras• salto nel sonno, il bestione era scosso da fremiti e grugniva: qualche goccia di clorofonnio, versata sulla maschera, lo fiaccava di nuovo, mentre l'inserviente stringeva una specie di morso col quale gli teneva la nuca inchiodata alla tavola. Fu introdotto nella sala operatoria. Poco dopo, sorretto dagli inservienti, vi comparve il vecchio. Parlava a stento, in modo incomprensibile, e tentò di esprimere la propria riconoscenza al chirurgo, che lo operava gratis, abbracciandogli le ginocchia e biascicando qualche parola che non capimmo. Lembo era pronto per l'operaz1onc, col camice sterilizzato e i lunghi guanti di gomma: si sottrasse con rapidità al gesto di effusione del vecchio, e tornò ai ferri che toglieva da una scatola di metallo e disponeva in ordine su una tovaglia. Quando il vecchio fu disteso sul letto, lo coprirono con un lenzuolo forato in corrispondenza delle parti da operare. Le quattro ghiandole da innestare• erano la tiroide, il pancreas, l'ipofisi e il testicolo. Si cominciò da quest'ultimo. L'assistente, professor Mannelli, sezionava la scimmia e ne estraeva le ghiandole e il !angue che venne conservato in alcuni barattoli di vetro. Ben presto si stabilì nella sala il silenzio più assoluto, interrotto di quando in quando dai lamenti del vecchio o dal rumore dei ferri che il chirurgo buttava nella secchia quando qualche mosca, posandovisi sopra, li aveva resi inservibili. Cli assistenti si aggiravano intorno ai due letti, della scimmia e dell'uomo, con le braccia in alto, e cercando di evitare ogni altro ostacolo che non fossero i tavoli coperti dal panno sterilizzato, sui quali erano i ferri. Assorto nell'operazione, che eseguiva con una velocità ed energia sorprendenti, il chirurgo aveva il respiro corto e regolare di chi insegue un'idea che può da un momento all'altro fuggirgli di mente. Grosse gocce di sudore gli imperlavano la fronte ·e le tempie: allo?"a, avendo tutta\•ia tra le dita l'intrico dei ferri, porgeva il capo alla inserviente che gli stava accanto pronta a passargli sul volto un grande fazzoletto di lino. Un calore continuo, lento e inesorabile, veniva dalla grande vetrata che occupava un'intera parete della sala. Innesto Trascorsero un paio d'ore. Finito a Primo innesto, il chirurgo bevve un boccale d'aranciata e si accinse all'innesto delle altre tre ghiandole e del midollo osseo. Intanto il babbuino era stato sventrato, per estrarne il pancreas. L'operatore cercò a lungo, con la grossa mano inguantata, frugando come in una valigia tra lo stomaco e l'intestino; smuoveva e rovesciava gli organi brillanti e multicolori che continuavano a vivere e a palpitare fuori della cavità, sollevandosi e abbassandosi secondo il ritmo affannoso del respiro. Lo spettacolo era di una freddezza sconcertante. Quand'cbbe trovato il pancreas, tagliatane una fetta che consef\·ò nella garza, piizicb col bisturi una vena, come la corda di uno strumento; si ruppe con uno strappo che suonò opaco e breve e il sangue allagò l'addome. Il fegato, la milza e gli intestini nuotavano in quella pozza oscura. L'assistente vi succhiò con una siringa il sanfrUe che doveva servire per gli emoir-riest1 Passò quindi al collo della bestia, v1 apri sul davanti una lunga trincea e ne estrasse la tiroide. Resta\"a l'ultima ghiandola: l'ipofisi. La scimmia venne rivoltata. Dette ancora due o tre respiri lunghissimi, poi un rantolo, e parve morta. L'assistente scotennò il cranio; lavorando di sega, vi produsse uno sportello a forma di rombo: fece leva con un ferro e lo aPrì. Solo a questo punto la scimmia, con un ultimo sussulto, spirò. La mano inguantata sì impadronì del cervello, lo soppesò un istante e lo buttò nella secchia. [n fine, con l'aiuto di uno scalpello e del martello, il chirurgo scardinò alcune ossa cd isolò la sella turcica: erano in questa i due lobi dell'ipofisi, non più grandi di un comune fagiolo. L'innesto di queste tre ghiandole fu semplicissimo. Lembo aveva aperta una lunga e profonda ferita sulla mammella destra dell'uomo. Raggiunse il muscolo nel quale incideva delle piccole cavità; dopo averla sezionata, vi introduceva con una pinza la ghiandola e ve la cuciva. In ultimo, l'assistente segò un pezzo d'osso dalla coscia del babbuino, lo scarnificò e spaccò con lo scalpello come una canna: Lembo vi raccolse il midollo che innestò con lo stesso sistema. Richiusa la ferita e fasciato, 11 vecchio venne trasportato a braccia nella sua camera. L'indomani, andammo a visitare il vecchio del giorno mnanzi: era allegro e diceva di sentirsi assai meglio. Il chirurgo gli guardb la bocca: • Fra quindici giorni non avrete più nulla •· Il vecchio rise come un bimbo, rovesciò la testa sul cuscino, e, con un lungo sospiro, chiuse gli occhi mentre sul volto gli si dipingeva una espressione intensa di beatitudine. LUIGI DEZIMO f: in vendita in tu.tte le edicole il numero speciale di Ottobre della lussuosa r:vista mensile LADONNA OLTRE 100 MODELLI IN NERO E A COLORI Tutti gli argomenti per la donna e la casa, tutta la moda autunnale COSTA CiiVQUE LIRE Senia il bisettimanale umoristico ~oldu il martedì e il venerdì sono due giorni fatali. Ma al martedì e al venerdì esce ~oldu e allora anche di venere e di marte si sposa, si parte, si acquista l~oldu si legge, si ride, si ride, si penaa. Questo scintillante giornale umoristico è in vendita a cent. 40 in tutte le edicole. f: il vero tonico ricostituente ricreativo di tuttele per• sone che sanno leggere e scrivere. TRE GRANDI SUCCESSI ITALIANI ALFREDO PANZINI ACCADEMICO D'ITALIA IL BACIO DI LESBIA SECONDA EDIZIONE - LIR.E IO "O~ .. d'.alt.a poai.a" Goffr«lo ~llonci (lfG ...-....1# J'J,,,/,,,) GUELFO CIVININI TRATTORIA DI PAESE PUM!O V!A~EGG!O 19}7 QUAR,TA EDIZIONE • LtR.E IO "' ... 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