f IL SOFM DELLE musE [~mim ~llltl ~-~tllt l I L PRESIDENTE dell'Accademia d'Italia, in questo principio di autunno, potrebbe ritrarre la sua Roma. Dappertutto i segni che anche settembre è finito; ma non mancano gli attimi in cui la città appare come in una stagione div~rsa. Le stagioni di Roma sono bizzarre. D'autunno, ti sembra che la città torni all'improvviso nella calda estate: d'inverno, all'improvviso il sole e la luce calda rendono tutto primaverile. Roma moderna non è più la Roma di d'Annunzio, e Andrea Sperclli si troverebbe male per le vie della nostra città. Vi troverebbe una vita troppo cruda e rapida per lui. Oggi, d'altra parte, la città non è dato goderla con quella quiete che è necessaria ad un vero amore. Roma ti si svela ad attimi. Una strada, una piazz.1., un colle che intravedi a chiudere l'orizzonte, un palazzo, ti svelano una città che puoi abitare senza conoscere. Abitare Roma, oggi, non vuol dire conoscere i muri e le cose di Roma. Il nostro interesse va alla gente con cui .si è costretti a vivere e a con• trastare, sempre : le cose restano in disparte. Ma è per ciò che esse all'improvviso ti appaiono con una evidenza che quasi spaventa. Il passante, che ha fretta, si stupisce talvolta con smarrimento di trovarsi in Piazza del Popolo. Non ha il coraggio di confessare la commozione di fronte a tanfft bellezza. Va avanti come scontento: non si sa se scontento di sé o di cos'altro mai. t:. per ciò che nella moderna letteratura non esiste una Roma moderna. Alcuni scrittori della Roma moderna ci hanno .scoperto più che altro lati morali. Ma il paesaggio romano è ignorato. Il paesaggio romano resta ancora del tutto quello che vide d'Annunzio. D'Annunzio intese come la grande bellezza di Roma stesse in certe improvvise illusioni. Vengono dal clima particolare della città; dalla sua geografia anche. Roma è una città che ad Ogt"!i passo mostra un chiuso orizzonte. e estate, e ti pare improvvisameme che sia giunto l autunno. E così via sempre. Di questi mutamenti c'è tutta una antologia dannunziana da cui si può cavare, qua e là, specialmente dal Piacere, che è il romanzo, prima che di Andrea Sperelli, di Roma. 0_f)pure, da h~enu~~e~~~ ~o~: e~~~~~ d~~ Tribuna. Il Natale, il Natale del 1884: e Quasi un .soffio primaverile si propaga nell'aria. Il corso, dalla Piazza della Colonna alla Piazza del Popolo, è un lungo fiume solare, un mobilissimo fiure aureo dentro cui i corpi s'immergono con voluttà>. D'Annunzio aveva poc,0 più di vent'anni, e veramente quel Natale era piovoso e triste. Ma non ce ne dette la cronaca veritiera. Ne evocò gli altri : quelli di una sua Roma, che non poteva conoscere la tristezza della pioggia. Roma in d'Annunzio resterà sempre la stessa: « L'anno moriva assai dolcemCntc. Il sole di San Silvestro spandeva non so che te_f)Orvelato, mollissimo, aureo, quasi pnmaverile, nel cielo di Roma. Tutt~ le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio. Su la Piazza Barberini, su la Piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confU5o e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla Via Sistina, giungeva fin nelle stanze del Palazzo Zuccari, attenuato >. E:. l'cNe1f! 0 ti~;id1ed~Annunzio il coÌore del travertino pare che sia un colore del tempo : che venga alle pietre non dalla natura ma dalle stagioni. Roma è una città pomeridiana : e i suoi sono meriggi caldi che illanguidiscono. « L'orologio batté le quattro... L'obelisco era tutto roseo, investito dal sole declinante; e segnava un'ombra lunga, obliqua, un po' turchina. L'aria diveniva rigida come più s'appressava il tramonto. La città, in fondo, si tingeva d'oro, contro un cielo pallidissimo sul quale già i cipres.si del Monte Mario si dise• gnavan neri>. D'Annunzio trascorse anni giovanili a Roma e furono fra i più ardenti della ma vita. Faceva anche la cronaca mondana; ma era mondana per modo di dire. Erano i suoi appunti ; che poi servirono a darci un quadro di Roma che non è soltanto poetico. La poesia dannunziana di Roma riesce ancor oggi comprensibile, come legata a tante cose. Piazza di Spagna, Piazza del Popolo hanno ancora quella luce in cui seppe vederle. L'altra Roma, di cui ci dis.sc la moralità, il costume, è scomparsa. Era una città vivace, aristocratica e popolare a una volta. E d'Annunzio nei suoi romanzi ce ne fermò gli atteggiamenti. Non esiste più; ma basta un gc• sto, oggi sorpreso in una persona, perché la memoria torni a quei tempi. An~ drea Sperelli può starsene nascosto e apparirci un attimo a rammentarci che dura ancora. Certo era una Roma un po' barocca. Si avvisava già nella Pasqua dcli' '86. « La Piazza San Pietro è continuamen. te piena di gente che continuamente si rinnova. Qua e là grandi gruppi si l. l. "-lJ '.\.K: .\ ~ : ~~ .. ,~,' ,., ' ' ; ,, ~ "., \ \ ..... ~ .. ,\ - , K ✓- :- p: ~ .... . . ' b~.. ." ., . ---·---- ...,._ j ", ..pluaa San Piuro• oondnamni.. pltu di g1n\e ohe conW.aamtnt.6 li rillllOT&, Qua• l• gnindi gn.ppl 1I !ormano.. ,11 (O, d'Aua.uio) formano. ~folla B~ilica, intorno alla statua di San Pietro, che campeggia .sopra un mosaico rosso e oro, gira una corona di spettatori apatici i quali re• stano lungo tempo a guardare con un occhio stupido e fuso il piede destro del divino .Apostolo, logorato dalle labbra dei credenti. Passano vecchi, donne belle, preti, monache, e baciano il piede con un atto macchinale. Presso l'altar maggiore, sotto la statua estatica di Santa Giuliana Falconieri, intorno al vuoto seggio del Penitenziere, stanno seduti altri cristiani su panche disposte ~ut~~tt~n~!~ili~a Esi PJftrro~d~nt!~a '1~~~ bianca e fredda j e una zona più vivida attraversa da cima a fondo la nave centrale ... Dalla tribuna di San Pietro alla porta di Antonio Filarete, è un lun$o ed empio passeggiare di uomini e d1 donne ». Che era l'immar.ne vivacissima di un giubileo; ma 11 poeta era soccorso dalla memoria di una Roma di Bonifacio. IJ giubileo del 1886 era intravisto con gli occhi di uno che ha sempre in mente quello dante.KO. La moltitudine dei fedeli pullu1a: la visione del pelle$'rinaggio si fa agli OC• chi di d'Annunzio mostruosa. D'Annunzio ci ha dato una Roma a modo suo barocca. Piena di viSioni lontane: « Sul Monte Mario il cielo si oscurava, le nuvole si addensavano, diventavano d'un color ceruleo cupo di acqua raccolta, si dilatavano verso il Gianicolo, si abbassavano sul Vaticano. La cupola di San Pietro toccava con la sommità quella enorme adunazione e pareva sostenerla ... >. Son visioni che al solito na.scono da un variare di stagioni: « Ieri l'altro tutta Roma, nell'ozio festivo, rideva così apertamente al sole di novembre ed era così tiepida e così popolosa che in verità rammentava i dilettevoli pomeriggi di marzo, quando la piazza di Spagna, fiorita come un bosco di mandorli e di peschi, abbonda di signore belle e di mandarini saporiti>. Il mutare del tempo è rapido da eccitare una fervida fantasia : « La fontana del Bernini brillava singolarmente al sole, come se i delfini, la conchiglia e il Tritone fosser divenuti d'una materia più diafana, non pietra e non ancor cristallo, per una metamorfosi interrotta >. La varietà di Roma è continua : « ... il Pincio riposava tranquillo sotto quel sorriso languido di febbraio. Rare carrozze e rari pedoni interrompevano la pace del monte>, Ogni cosa finisce col vivere di per sé, cd è commosso fino all'esaltazione che d'Annunzio scopre via via quella vita: « Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio, un pieni• Junio favoloso, di non mai veduto lu• me. L•aria pareva impregnata come d'un latte immateriale; tutte le cose parevano esistere d'una esistenza di sogno, parevano immagini impalpabili come quelle d'una meteora, parevan esser visibili d.i lungi come per un irradiamento chimerico delle loro forme. La neve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondev<1 il ferro, compone• va un'opera di ricamo più leggero e più gracile d'una filigrana, che i colossi ammantati di bianco sostenevano come le guerci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva a similitudine d'una selva immobile di gigli enormi e difformi, congelato; era un orto posseduto da una incantazione lunatica, un esanime paradiso di Selene >. Una Roma che, ancora, potrete scoprire, in certe ore che danno improvvisi stordimenti. CARLO DADD TN QUESTO LIBRO, Cornisso (L'iJ. :tzliano errante per ritalia - Fratelli Parenti, Firenze, 1937, L. 10) compie un vasto giro; parte dalla Venezia e torna alla Venezia, da un luogo noto e familiare, ad altro luogo non meno noto e familiare e caro, da Asolo a Gorizia; e in mezzo c'è tutta l'Italia. Ed è composto di prose diverse di tempi diversi, di tono e d'indole diveni. Alcune, sul principio lpecialmente, prendono un fare informativo, diaristico, di pura annotazione; altre, fin dal principio, ritrovano un accento lirico, un timbro propriamente d'arte; e quello e questo durano e variano nel breve capitolo. E quanti sensi, sentori e immagini, nella pagina andante o vibrata o ventilata, o solo modestamente cronistica; con i gradi raggiunti di bella pittura o di musica ariosa o di prosa semplice cor• rente. Anche vi sono pezzi di racconto, con figure da racconto: quel paese di Liguria, con l'Angelina vecchia serva; quel paese dcli' Agordino, con le due sorelle di Fernazza; e quell'alberghet• to di Pompei, con Vincenzino giovane di diciott'anni. Se dovessi fare una scelta per me, subito, non prenderei naturalmente le pagine quiete, quelle che dalla penna di Comisso sono eone via non so se più facili o sbadate, anche se liete (e cc ne son tante!); ma quelle altre, più rare, mosse da un continuo assillo dell'occhio pronto, della retina sensibilis• sima, e moventi verso il nuovo, anzi il più nuovo. Terre e mari, quello che più lo colpisce è il mare, col suo cogni• to e più col suo incognito. Il mare a Comisso dice di più, eccita la sua scrittura, la fa ricca, vibrante, calda, un poco, anche, felicemente malata. Forse per quel suo amore, fondamentale in lui, per lo straniero e per un che di fermentante, lui spirito sensuale, cupido, vagante, smanioso, avventuroso, malinconico. Il mare è moto e vita; e l'occhio suo rifugge dalla morte, da funeree immagini. In visita alle tombe etrusche, a un tratto : e Adesso ho vi• sto abbastanza, voglio ritornare al pac• se, vedere la gente rinata da quc5ta stessa terra, in questa stessa aria, vedere la loro vita>. ln visita alle Cata• combe, per riscuotere l'animo dall'uggia e dal buio del tempo perduto: « Voglio bere per togliermi l'umido delle Catacombe e per mettermi alla pari cogli uomini che parlano assordanti nella osteria, coi bambini che baciano i frate lii più piccoli, colla r._1. ga1,za che accenna a movenze di dan• za, col f)'.ovane che si è ornato di rose, coll'ortolnno che lavora sereno tra lo splendore delle foglie >. Ma la vista del mare, la vita del mnre, oltre ad accendergli l'estro subitaneo1 oltre a svegliargli nel cuore segrete voci, danno alla sua pro~a una meschianz."l di sapori, una smania, un dolce malessere. Questo è il porto di Genova, e questo è un piccolo alpestre paese della Liguria, e questo è il mare di Sicilia, e questa ~ Siracusa, e questa è Chioggia, e questo è l'acquario di Napoli. Il mare lo trova anche dove non c'è, nel ricordo, nel desiderio. Scopre lungo una strada, dopo la.sciato Civitavecchia, certi fiori gialli che somi.~liano alle margherite : « Sono fiori che ho visto altrove: adornavano la terra d'Africa in primavera, quando la vidi per la prima volta, sbarcando ad Grano, e mi seguirono sino a Fez, sino a Rabat, in riva aWAtlantico ». Le e facciate rosa gialline > le « persiane verdi dei quartieri in declivio » nei vicoli del porto di Genova, gli paiono dipinte « con lo stesso gusto per i colori distribuiti sui bordi dei velieri». L'« acuta cuspide d'un campanile coperta d1 ceramiche bianche, verdi e rosse », gli « richiama di scatto le porte decorate delle città marocchine, di là dal n'l.are>. ln queste raffigurazioni, dove s'annida, più che il semplice piacere, il sogno di un modo di vita, la scrittura stabile di Com.isso tocca la definitezza e la felicità dell'espressione perfetta. Ma tocca, altrove, un punto anche più nuovo, per un assottigliamento, un alleg~erimento, dirci, di quelle sue qualità di scrittore 5ensuale. La trama della prosa di Comisso è: lo sapete, dove proprio è più sua, delle più semplici e slogate. Tutta notazioni, tutta veloce e elegantemente disadorna, e girante tutta intorno a certe invenzioni, a certi lampi. Fissare quelle inven1-ioni, fermare quei lampi non gli riesce cosi di frequente 1 e s'è visto in qunli rari momenti gli riesca. Più gli piace, o sa, nel suo annotare leggero, ogni tanto, buttare dove capita quelle pagliuzze d'oro, che fanno can• giante la tessitura. Quella velocità, allora, acquista come una presenza, prende, direi, corpo. Com'aria che circoli intorno a quei punti vivi, e non sai se essa aggiunga loro risalto, o piut• tosto se ne acquisti risalto. Un che di vago resta nella memoria, quasi un ri• corde dell'ora e del tempo, da cui fioriscano solitarie immagini. ~fa basta, a un tratto, che quel discorrere diventi un poco più mosso, che a quelle-immagini sottentrino certe parole e certi modi o inflessioni; e da quelle parole, da quei modi, da quelle inflessioni s'irradia. un che di inaspettato, corre un'onda, un ,1ccc::nto;nasce la musica di Comisso. Il punto più nuovo che dicevo, è questo. L'avremmo giurato che una volta o l'altra quel parlato labile che fa la prosa di Comisw1 quel correre veloce e senza nessi, quel vagante di.scorso, sarebbe di botto salito a un musicalissimo discorso. Leggete, in questo Ilaliauo errante, le pagine su Chioggia. Sono cinque sole pagine, e un tantino forse giustapposte, architettate; ma con le parti che più ariose e leggere non potrebbero essere. Non sono poi nate così all'improvviso! E in questo stesso libro se ne potrebbe seguire la fonnnzione e la storia. Nel fondo di quei vicoli, nel fondo dei vicoli rilu• centi d'umido, che menano al porto di Genova, già la sua attenzione s•era fermata a certe « voci con una caden• za di canto>, che passano da una porta all'altra; e a Siracusa, più di tutto l'aveva incantato una stradetta piena di « bisbigli e cicalecci >, d'una casa di cortigiane maltesi 1 calabresi e di Turchia : « Un gregge di capre venivn avanti ingenuo nella dolcezza del suo sguardo. Dalle finestre attraverso le inferriate, bianche braccia di donne s'allungarono... Una donna alla porta porse un bicchiere. Ne seguirono bisbigE e cicalecci nell'interno. Una bocca rise... Risero ancora e si ritrassero>; e altrove c'è un bel ritorno di .pescatori. Nelle pagine su Chioggia, è dato a dirittura di vedere la musica nascere, e di dove nasce. Dopo il tema dnto: « E sugli ultimi confini del sogno ci riappare un fregio viostoun giorno sulla port:1 d'un convento tutto pomi, pere, pesche ed uva >. Di qui, da questo quasi sostegno, la musica si liber:1, e non tocca ormai più terra; bella, aere:1, variata, e con pittoreschi, sebbene leggerissimi intarsii. Le parole, come scorporate, h3nno ogni tanto appena un poco di commento, per più ~apore, e perché quella dolce inflessione duri nella memoria. Ma che parole? Quelle proprio più familiari, che gli parlano più pronte, con più senso, quelle del bel dialetto della sua Venezia. e Pomi, peri, perseghi, che ua... ». Quanto l'occhio prima più si figgeva nel nuovo, nel più nuovo, per piìt commuoversene, e cercava il raro1 tanto più ora l'anima, cercando la mu• sica, gusta e sveglia dall'antico tempo il parlare che è più suo, il parlare materno; quanto più l'occhio prima era insaziabile, tanto ora l'anima è più romita. Così la sua arte poggia come su due punti estremi. Partita da una pericolosa e rara grazia, arriva a una difficile e veramente incantata grazia. Tra esse grazie, tra essi punti, Comisso è diviso; e c'è il caso che continui ad esserlo tutta la vita. Ma prima di dareli torto, un poco ancora vediamo. Nell'Acquario di Na• poli, oh quanto ha visto e ha goduto! I polipi come pa~liacci i le aragoste come barrocci traballanti; le carpene ros5e con la pancia capovolta, come asinelli nella polvere d'una strada i e pesci non mai prima conosciuti, di color albicocco, con due veli ai lati, come acrobati in maglia o come ballerine; e poi i granchi, simili a elefanti, con sulla groppa legata una portantina fiorita di piume. Ha visto anche pesci senza nome, certi fiori.animali, come egli dice, da far dubitare della realtà delle cose : « Fiori giallini, gialli come zolfo, e altri violetti e altri rosa. Pendono i lunghi petali e pare che il ven• to li muova. E questi, raggruppati come le palme nelle oasi, hanno lunghi steli e su alla fine il fiore rosa, simile a fronde agitate da dolci alisei. :Ma ecco la sera scende, il fondo si inombra, e ad uno ad uno questi petali, questi ciuffi di fronde si reclinano come sfiniti, e a piccoli scatti rientrano dentro al tronco, dove l'animale, l'essere, il fiore, il capriccio di Dio ozioso tiene rannicchiato il suo corpo>. E questo è un Comisso, il più noto a noi; infastidito qui, si direbbe, di quella strana bellezza, e della sua arte ncssa, che non ha ceduto d'un millesimo al suo tema. ~a sentite ora: e Pomi, peri, perseght, che ua... » - e Pomidori da riso, do,ie > - « Pumi, peri, perseghi, fighi, ua, do,1e... lugiana dolse>: a poco a poco,. variando il tema, come vedete, e arricchendolo. Tutta la calle risuona : chiacdtiere, strilli di bambini, gente che si richiama, e le ragazze che di tanto in tanto s'accompagnano al lavoro col canto. Al canto si mescola il riso. La commedia della strada si trasfigura in fantasia, felice quanto mai, ma attenta e fedele. Viene la notte. Quella fim: di festa, e quel canto d'amore, e quelle voci di donna : e Che ora è?> e un'altra trasognata rispon• de: « Le quattro>. Vicino è il giorno, vicino è il vero. Con questo straziante pianissimo termina la musica di Cna calle di Chioggia. Oh decidersi, ora! lntra due cibi, distanti e moventi D'un modo, prima si morria di fame, Che liber'uomo l'u,: recasse ai denti ... Comisso è uomo libero, e si ciba or dall'una or da!raltra parte. E libero uomo M>nio, e fo lo stesso. Per questo temo, come dicc::\'o innanzi, che Comisso duri tutta la vita a esser divi~o tra due punti sì estremi; che sono, tutti e due, bei punti. GIUSEPPE DE ROBERTIS ( ·coRRIEHE TEDE)SC U:3~ '\§/~ UNDBODEN SON LE DUE PAROLE con le qua.li si suol designare la tendeni.a più recente della letteratura tedesca: Janzue e terra, nel senso di determinismo biologico del sangue a.ttraveno le generazioni e di attaccamento alla terra ; in una parola sola: il concetto più concreto di uirpe. Di questo concetto è naturale fondamento l'altro che faticosamente si è fatto urada nelle uhimc - o penultime - correnti \et· ter.uie: il superamento dell'individualismo impressionista, frammentista. e egocentrico. Naturalmente, $C si dovesse anche solo tentare la storia di queste tre parole o idee (sangue, terra, superindividualismo) nel mondo tedesco, 1i andrebbe molto lontano. Per non use.ire dal campo letterario e ri• ferire solo qualche ricordo tra ì meno pc· rcgrini, nello nesso tipico movimento tedesco, che quasi aprl l'èra moderna dì quella letteratura e che vale come la rivendicazione e la celebrazione dell'individuo (dico il romanticismo), l'io tedesco, attaccato alla tradizione nazionale e perfino riscopritore del Medioevo tedesco e l'io, < cittadino del mondo :,, s'affacciarono insieme, cozzarono e più spesso cercarono di armonizzani nella stessa persona (per es. in F. Schlcgel e in Novalis); e ne)la coscienza comune è tut· tora rimuto come classico esempio, ma in fondo non esatto, il contrasto fra il co• smopolitismo di Goethe e il nazionalismo di Schiller. Nello stesso e naturalismo> della fine del secolo scorso, il carauere wcialistoidc a sfondo internazionale e quello più propriamente tedesco, si confusero, con molla eloquenu e afflato poetico se non con altrettanta chiarezza, in Gerhart Hauptrnann e in altri. Ma meglio è Corse rilevare che l'a»ert.pre più assoluto, radicale e battagliero dell'c indh•idualismo >, che ormai dominava da più di un secolo la letteratura tedesca, è stato, in tempi recenti, un movimento quanto mai lontano dal < rea.li,mo >, dal « razzismo >, dal nazionalismo integrale delle nuove tcn_denze: l'< esprcuionismo > idealista, umanitario, cosmopolita. Come pure è curioso notare che la prima idea di una < individua.Età collettiva>, come già. allora si amò chiamarla, e cioè, se non sbaglio, di un popolo e di una mas.sa, sia venuta dalla nne Sachlichkeit, i cui principali rappresentanti militarono nelle file dei partiti socialdemocratici e alcuni dei quali vivono tuttora fuori della Germania. Un altro postulato importante e caratteristico la nuovissima letteratura ha derivato dalla neu, Sachlichkeil: l'importanza del contenuto etico, di un contenuto morale < concreto >, non teorico e vago, come si accusi> fosse quello dell'espressionismo, 'fla studiato e visto, anz:i viuuto, negli altri e, piò che in personaggi d'eccezione, dalla complicata. p~icologia di intellettuali, in gente comune, tipica della < massa >: epperò la. rinnovata importanza del fattore ambiente, di quello sociologico, economico ccc. Senonché avvenne poi facilmente che il < contenuto>, che la neue Sachlichkeit reclamava in senso generale, umano, senza rescriz.ione di frontiere e di razze, fu trasformato in un contenuto assai determinato, visto in un senso esclusivamente e radicalmente nazionale: ani.i nazista. Son le cosl det:e ironie della storia, ma che dimostrano una continuità e una logica quando meno ci se lo aspetterebbe. Non è però da dimenticare che la nuoviuima letteratura, in quanto a teorica del e sangue t della zolla >, e.on la sua brava metafisica biologica in uno e con la crea• rione dei personaggi attraverso il e pae• saggio :t e la e terra > tedesca in un altro, ha avuto· due scrittori che, a parte la discussione sul loro valore come realinatori d'arte, son giustamente considerati oggi quali rappresentativi o almeno anticipatori delle ultime tendenze: Erwin Guido Kolbcnheyer e Hans Friedrich Blunck ; sebbene né l'uno né l'altro siano più giovani (nato il primo nel 18781 il secondo nel 1888) e le loro opere più significative siano apparse parecchi anni fa. Ma di Kol~nhc:fyer e di Blunck diremo qualche cosa nella prossima nota. BONAVENTURA TECCHI UN AMICO di d'Annun,!'.io, attualmente fun{iona,io dell'Accademia d'IJalia, ci racconJava che, all'cpota in tui d'Annun- -!':io ded.s, d'entrare nell'ordine dei frati minori, un autentico frate francestano andò a visitarlo. Il poeta lo colmò di re1ali, tli fete fare il tiro del Vitto,ìale e, prima di rongeda1lo, lo condusse in una stanca addobbata come un refettorio, doue un servi· tore, da lui chiamato col nome di uno dei compagni di Scn F,ancesto, struì all'ospite la colaci::,,nein un superbo seruicio di piatti d'ar1ento _sbalcato, col motiuo del cordìtlio Jrane#scano impresso nell'orlo. Terminala la colacione, d'Annuncio sa abband0nò alla lirica glo,i{tcacione d,el Poverello di ÀSJisi e fini il distorso stabilendo un parallelo Ira il Santo e se siesso. e SI>, disse a questo punto il fraticello, < in. qu,sto almeno Lii somigliate: San FrantelCo aveva le stimmate e Voi avete le mani bucale >. LA DIFFERENZA. tra Ma,ineui e d'An• nun.cio - dic,ua un 1iorn'> Cotleau - consi.He in questo: che per Marinttti la vittoria di Samolracia l un.a locomolwa in torsa e per d'Annuncio u,ic, locomoftua ir. corsa J la Vit1orin di Samotracia.
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