ANNO I · N. 17 · ROMA 1 OTTOBRE 1937-XV 11 PAGINE UNA l/RA '\ + ,, ''f!'"""'•~.-.-..-,.,-.,-.,.-,............ Berlino, 29 settembre. ' E IMPOSSIBILE riassumere il viaggio del Duce, dalla visita a .Monaco alla gigantesca manifestazione del Campo di Maggio, in una impressione sola e suprema. Dovrebbc- c~re un'impressione che coglie~c lo spirito profondo dell'avvenimento, il suo senso storico. Basterà a tale scopo rievocare, come prima e immediata sensazione - chiaramente rivelatrice, però, di quel che è la « popolarità » universale di Mussolini -, lo sbalordimento prodotto dall'enorme partecipazione del popolo tedesco al trionfo mu~soliniano? Una specie di orgasmo, di smania incontenibile aveva in realtà invaso tutti. Le popolazioni pili calme e massiccic si erano elettrizzate, non si riconoscevano più. Se Mussolini avesse potuto, per attraversare la Germania dal sud al nord e dall'est all'ovest, viaggiare soltanto di giorno, si sarebbe ripetuto dovunque lo spettacolo delle moltitudini, per la massima parte non inquadrate, che hanno fatto ala al passaggio del treno del Duce lungo i seicento chilometri da Essen a Berlino. Nella capitale, poi, la grandiosità del trionfo lungo la Feststrasse è stata tale da diventare inafferrabile per le immaginazioni singole; soltanto ,Mussolini e Hitler e i privilegiati al loro seguito avranno potuto riceverne un'impressione totale. Nell'oceanico Campo di Maggio, infine, si è provata forse come non mai la sem.azione quasi paurosa dcli' enorme forza che può essere compressa nell'anima di un popolo, si è avuta la visione plastica di un fenomeno mai apparso nella storia con le odierne proporzioni, quello di milioni di uomini le cui volontà fanno massa intorno a un Uomo, si chiami Duce o Fiihrer, e !i è veduto lo spettacolo, inimmaginabile finora, di un Capo straniero, venuto di lontano, figlio e simholo di un'altra razza., che prodigiosamente «comunica> con un popolo che non è il suo, n~ travolge ogni particolarità psicologica, e ne arroventa lo spirito e lo trascina da dominatore. Tuttavia non è solo attraverso emozioni di questo genere, che ci è parso di cogliere il vero senso dell'incontro di Mm\Olini con la Germania. Come d'altronde non lo coglieremmo~ vi vcdt',-.imo soltanto un epi~dio, sia pure ::H importantissimo, dello svilunPO di una situazione internazionale estremamente dinamica. Nel viaggio di Mussolini in terra tedesca non c'è solo della cronaca pittores<'a e della storia diplomatica. Il resto, e il pila, non è facile tradurlo in formule logiche. Ma è quel che, piuttosto, abbiamo sentho - «sentito> - nella pallida piana mccklemburghese e fra i roventi altiforni wcstfalici. PANORAMI DI GUERRA Il Duce e il Fiihrer, l'uno accanto all'altro sopra una breve elevazione del terreno, quasi soli, al di là di una cortina di nebbia e di fumo, contro un vastissimo ciclo nordico pieno di rombi, mentre intorno a loro si scatenava una formidabile forza guerriera... Il Duce e il Fiihrer, fianco a fianco al conspetto delle grigie folle operaie di Essen, contr .J un fantastico scenario di gigantesche officine donde escono senza posa gli strumenti della potenza tedesca, e mentre sulla più alta torre di Krupp saliva il tricolore italiano. Ecco due spettacoli che ci hanno fatto restare particolarmente pensosi per la grandezza degli eventi e degli auspici. Partecipe, quasi come un protagonista, di quelle due affascinanti espressioni della nuova, reale Germania, Mussolini era l'Italia, l'Italia presente dovunque nel mondo vi sono forze in movimento. Questa sensazione di una particolare atmosfera avvolgente il viaggio del Duce (sensazione indefinibile con le tradizionali formule degli esperti in politica estera) abbiamo cominciato a provarla a Monaco, pavesata di stendardi e di drappi che ricoprivano per chilometri le facciate delle case. JI rosso è il colore della Rivoluzione nazi1ta, e .1\lonaco è la città dove ha riso• nato per la prima volta, nella bocca di un oscuro subalterno della Reichswehr, il grido che ora si legge scolpito sul frontone della « C.11a Bruna>: Deutschlarid uwache! A Mona· co la Rivoluzione hitleriana è nata, ha avuto i suoi primi morti. Ivi il Duce è stato ospite del Partito 1 non del Governo tedesco. Vi sono stati momenti di commozione qua~i mistica. Mussolini e Hitler inchinanti!i insieme sulle tomhc dei Caduti per la Causa; ji Ducr visitante il FUhrer nella sua vecchia piccola casa; la sfilata delle formazioni politiche, Qr9anizzazioni giovanili, Reparti d'assalto, Servizio del lavoro, Fronte dt>I lavoro, Reparti neri delle Sturmstaffe1", guardie hitleriane: non soldati nello stretto senso della parola, ma marcianti con severità militare. Il loro saluto, a braccio teso, sembrava l'atto di un giuramento. Le vanghe luccicavano sulle spalle dei giovani dcli' Arbeitsdienst come le canne dei moschetti su quelle delle Sturmabteiluneen. Trentaseimila uomini sono sfilati cosi : era il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi che si presentava al Duce del Fascismo italiano, evocando le comuni aspirazioni ideali. Che cosa si saranno detti, i due Capi, nella lunga conversazione da soli a soli che si era precedentemente svolta nella casa di Hitler, mentre anche il conte Ciano aveva un primo colloquio politico con von Neurath? L'associazione italo-tedesca ha già negli accordi dello scorso autunno una base sulla quale si è solidamente costruito, e si potrà costruire ancora. XRUPPSCREN WERJCE Partendo da Monaco, Mussolini ha attraversato la Germania da un capo all'altro per trovarsi, nella mattina di domenica, sul terreno delle grandi ma• novrc. Cosi, Monaco e il « covo > hitleriano dei tempi non ancor lontanissimi della Germania vinta e avvilita venivano idealmente congiunti alla più alta affermazione di una rivoluzione, che ha ridato al popolo tedesco la CO· scienza della sua dignità e della sua forza, riscoprendo per prima cosa il volto, fiero come non mai, della Germania armata. Ciano, Starace, Alfieri erano ancora col Duce, atteso dal Fiihrn e dai grandi personaggi tedeschi. Uomini e atmosfera di guerra. Le grandi manovre, il cui culminante t pisodio si è svolto sotto gli oc- ~rc~_ift1u~~ac~:;;i~1i ~~dc:~~ !tr~e c:~~ pi d'annata sono stati impegnati per oltre dicci giorni. A che punto e di che qualità siano l'armamento e l'addestramento dell'Esercito germanico, gli osservatori hanno potuto constatare molto da vicino : tutte le armi e gli strumenti di guerra sono modcrnissimi e tecnicamente perfcttij gli uomini sembrano tutti, pur nella loro giovinezza entusiasta, vecchi soldati. La Gennania ha oggi un grande esercito nuouo in ogni sua parte, come non l'ha nessun altro Paese. t questa un'ironica conseguenza del Trattato di pace, che prima ha c01tretto la Germania a distruggere tutto il vecchio materiale, e poi non le ha impedito di costruirne del nuovo. Sui bassi abeti delle f ...r.este mecklemburghesi, donde sbucavano schiere su schiere di soldati dall'elmo di ferro, finivano di stracciarsi le nuvolette bianche della nebbia artificiale; sembravano brandelli del Diktat versagliese, portati per aria dal vento della battaglia. Nella notte fra la domenica. e il lunedì, Mussolini ha attraversato ancora la Gennania, ma questa volta da oriente a occidente, per andare a Essen a visitarvi le Kruppschen Werke.ln compagnia del Fiihrer, il Duce ha per• corso la grande zona industriale e ha potuto leggere, in una enorme scritta tesa sulla via, queste parole in italiano: « Mussolini, la città dei fabbri e del ferro ti dà un benvenuto cordiale>. Krupp, con i suoi centomila operai e i suoi impianti che sono i più grandi d'Europa, simboleggiò in anni onnai lontani l'ascensione del Secondo Reich, e simboleggia oggi ancora l'ascensione del Terzo; formidabile organismo produttivo, senza il quale la rinascita militare tedesca non sa. rebbe stata possibile, e la cui vita ed operosità sono complementari della grande macchina da guerra che :vlussolini aveva visto in azione, ventiquattro ore prima, nella Germania del nord. CAMPO DI MAGGIO :Mussolini è giunto a Berlino nel tar• do pomeriggio di lunedì, nell'ora crepuscolare in cui la luce del cielo diminuisce, mentre quella artificiale non brilla ancora, e tutte le lince della città ingrandiscono e diventano misteriosamente imponenti. Tutta mobilitata, la « Grande Berlino>, con i suoi quattro milioni e settecentomila abitanti. A chi ha voluto descrivere l'accoglienza fatta al Duce sono sfuggiti, per tanta grandiosità, i termini di paragone. Anche in Italia 'ìono risonati, attraverso la radio, le potenti ritmiche ondate SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE degli /ieil con i quali l'immensa folla ha salutato il Duce lungo i dodici chilometri deJla Feststrasse, e quelle forze ancor più impressionanti che hanno accompagnato, col tempestoso coro di un altro milione di bocche, il discorso mu~soliniano al Maifeld. « Campo di maggio >, ricordo delle antiche assemblee germaniche dei liberi e armati, nell'aperta campagna rifiorente, intorno al re e ai capi. Rivivono oggi quelle primitive forme so• lenni di partecipazione collettiva alla vita pubblica. Le grandi adunate, nelle quali centinaia di migliaia di uomini ritrovano un'anima sola e una sola voce, sono espressione necessaria dei grandi regimi di popolo. Ma giammai nulla di simile all'adunata berlinese si era visto nel mondo. Quasi tre chilometri quadrati riempiti di folla facevano nella notte incombente un oceano Se\;lza confini.. Non si poteva pensare che quella sterminata moltitudine fosse venuta da qualche parte e in qualche pa1te dovesse ritornare e dissolversi perché ciascuno riprendesse le proprie occupazioni : non vi erano più persone singole, ma un solo enorme blocco di umanità. Che cosa sia un « popolo > nella sua realtà naturale e sovrannaturale insieme, come entità fisica e purtuttavia spirituale, lo ha mostrato la sterminata massa immobile nel Campo di maggio, distesa sotto la battente pioggia bene al di là dei limiti che la vista poteva raggiungere. Alti, sopra il podio, contro fo sfondo fantastico di tremila bandiere vermiglie, prima il Fiihrer e poi il Duce hanno parlato a quel milione di uomini e agli altri milioni in ascolto nelle vie di Bcrlin0 e in ogni casa tedesca. Con una delle sue frasi più felici, Hitler ha detto che il CamJJO di maggio non era un'adunata di po· ·polo, ma una manifestazione di poooli. Si potrebbero fare molti confronti tra il discorso del Duce e quello del Fi.ihrer, e si risalirebbe alle differenze o ai punti di contatto fra le personalità dei due Capi, fra iJ carattere delle due rivoluzioni, fra l'anima delle due Nazioni. ln entrambi i discorsi si trovano idee generali (anzi ve ne sono di più, non ostante il cosidetto dottrinari'ìmo tedesco, nel discorso del Duce), ma quello che dà il tono storico alle parole dci due grandi guidatori di popoli è un'idea di per sé astratta, ma che pur diventa concreta nelle menti di Mussolini e di Hitler: l'idea della pace. Chi l'ha udito, non dimenticherà il grido del Duce nel dar la risposta alla domanda posta da lui medesimo nel suo discorso, all'ansiosa universale domanda di quel che sarebbe potuto uscire dal!' incontro di Berlino: die Friede! Anche Hitler aveva, prima, parlato di pace, della pace e che nes~un popolo può desiderare più di quello tedesco». Ma ci sarà qualcuno a meravigliarsi di cogliere queste parole sulla bocca dei capi di due popoli che stanno compiendo il ma~simo sforL.Oper affrontare col minimo dei rischi l'eventualità della guerra. Ebbene, non sono le democrazie pacifiste che possono parlare sul scrio di pace. Nori è dai Parlamenti o dai Governi in equilibrio perpetuamente in• stabile, che quest'ultima può essere garantita davvero. Occorre essere padroni della guerra, fortissimi e pronti a scatenarla quando l'ora suoni, per poter essere anche i dominatori della pace, pronti. a difenderla fino all'estremo limite. Solo che quelle della pace e della guerra non sono due idee che si pos~ano tenere una in una tasca e l'altra in un'altra; questa è l'astrazione della quale finiscono per essere vittime i popoli senza nerbo e i Governi senza idee, quelli che rovinano la pace senza saper affrontare la guerra. Puerile è dunque l'osservazione che Gennania e l taha, se fossero veramente pacifiche, non dovrebbero moltiplicar con tanta lena gli strumenti della loro potenza militare. Ma quale altro modo di esprimere la potenza nazionale abbiano i popoli nella realtà internazionale contcmporanea 1 noi non sappiamo. Onde i regimi di rinascita e di ricostruzione tendono necessariamente alla potenza annata. Questa (' la via che hanno battuto Mussolini, il fondatore dell'Impero, e Hitler, il li~ bcratore del suo popolo. Alle immense cose che nella storia d'Europa e del mondo sono la riconquistata libertà tedesca, libertà éreatricc. anch' e~sa d'impero, e la conquistata potenza imperiale italiana, potenza anch'essa liberatrice delle energie nazionali nel mondo, come sarebbe stato possibile non pensare, mirando i due Capi assorti nello spettacolo dell'Esercito tedPsco che sperimentava le sue rinnovate fone, o in quello delle fucine nelle quali queste forze si modellano uell'acciaio? Quel che in Mussolini e in Hitler c'è di comune, e di comune perciò nelle due rivoluzioni delle quali sono i capi, è stato detto dal Duce: Nazismo e Fascismo credono C'htramb-i nella volontà come forza determinante la vita dei popoli, sono cioè dottrine e movimenti spiritualistici : anche solo pèr ques.a ragione, non potrebbero non vedere il peggior comune nemico nel bolscevis~o materialistico. Il risorto Impero d1 Roma e la rinascita tedesca sono, ha detto Mussolini, creazione dello spirito, cioè fede in una idea. Ed è precisamente nella lotta contro il bolscevismo che questa comunità ideale fra Italia e Germania ha trovato la sua pi~ alta espressione. "EUROPA, SVEGLIATI" Ma il discorso di Mussolini è tenninato con l'e~pressione di una grande fiducia : « L'Europa sarà domani fascista per lo S\·iluppo logico degli eventi», e perché « la verità ha un grande potere di penetrazione e finisce sempre per trionfare>. L'ideologia fascista, l'ideologia degli Stati cosidctti autoritari, è stata dunque decisamente, solennemente affe1mata contro l'ideologia del bolscevismo e delle democrazie che coscientemente o incoscientemente lo servono? Senza dubbio, perché è ora di riconoscere che una gran• dc frattura si è aperta, dalla guerra mondiale in poi, nella civ~tà europea e che non sono le formule falsamente pacifiche e le combinazioni diplom:Hichc che possono colmarla e saldarla. Fr:1 una civiltà che tramonta e una che nasce, questi rimedi d'ordinaria amministrazione, con i quali si \'Orrcb• be riparare l'irreparabile, non ·•-luono. Ecco ciò di cui Fascismo e sn:io hanno comune e profonda coscienza, la quale non è contemplativa ma. attiva. Il pericolo per la pace non deriva da chi riconosce coraggiosamente 9ual'è il problema, ma da chi cc:c:, d1 .negarlo per fare meglio i propn affari o per preparare pilt comodamente la guerra. Una importantissima cosa ha detto il Duce alla fine del suo discorso: « Forze oscure ma bene idrntificatc sono all'opera per proiettare la guerra dall'interno all'esterno •· Tutti capi~cono quel che il Due{' ha voluto dire, tutti dovrebbero capire perché Mussolini e Hitler hanno offerto all'Europa di allargare cd estendere il baluardo difensivo che Italia e Germania hanno ~ià costruito per 'ìé. Mentre scriviamo, davanti al Dure e al Fi.i~rcr1 lungo la l'ia Triumplialis, trentamila uomini di tutte le armi in pieno a..,1:;ettodi gut'rra, \filano in 'parata. GIULIO DAZZI
SI POSSONO distinguere, un po' all'ingrosso, gli slavi in tre gruppi : ~uelli dcli' Oriente, quelli dell Europa centrale e quelli del Sud. Gruppi diversissimi tra loro, e che hanno rispettivamente subìto influssi asiatici, germanici e balcanici, e necessario tener conto di queste distinzioni soprattutto parlando degli slavi più tipicamente e occidentali », cioè dei cecoslovacchi. Essi, e più i boemi {céchi) che non gli slovacchi (i quali subirono anche l'influsso magiaro), risentono loro malgrado di una educazione e diciam pure di un'oppressione culturale austriaca e tedesca.. Perfino nei tratti fisici un boemo è più facile scambiarlo magari con un bavarese che non con un russo. Una certa placidità di modi, un buon seqso diffuso e sempre operante, un costante e rigoroso amore per il giusto mezzo, fan sì che anche nel carattere i boemi sian diversissimi dai russi, notoriamente nervosi, instabili, più geniali che ragionevoli, fantasiosi e portati per istinto agli estremi. C'è ancora da notare che nella storia d'Europa i boemi hanno prolungato il loro Riwrgimento fin quasi ai nostri giorni, e che per conseguenza hanno portato il romanticismo a mescolarsi curiosamente col razionalismo oggi imperante. ~fentre l'Italia aveva già esaurita con la ,guerra del '15 la sua esperienza positivistica, nata per rea- · zione alla mentalità quarantottesca, la Boemia si trova ancora oggi impegolata nella smania di ragionare, di distinguere, di rinnegare fe vecchie fedi e di darsi una coscienza estremamente «moderna>, senza tuttavia riuscire a dimenticare lo slancio romantico che la portò all'indipendenza. Le donne, che nelle nazioni sono un po' lo specchio indiscreto dei sentimenti collettivi, offrono un'immagine chiara di quegli influssi contrastanti, di quelle reazioni e di quegli inopinati ritorni. Calme, amanti dell'ordine e della cultura secondo l'esempio tedesco, metodiche più per disciplina impostasi che per temperamento, fanno di tutto per conservarsi sentimentali e appassionate, secondo lo spirito della razza originaria e secondo il modello tramandato dai padri; e nel medesimo tempo si compiacciono di una spregiudicatezza, specie nei rapporti con gli uomini, che collima con l'obbligo di tenersi « al corrente > e col desiderio di « vivere > che hanno ~cmpre i popoli uKiti da un lungo periodo di sacrifici. Il e dopoguerra ::. boemo non accenna ancora a finire, almeno da questo punto di vista; e Praga, con le sue migliaia di locali notturni, è forse la città d'Europa dove più ci si « diverte >. Le~ boeme non soltanto credono all'amore, ma lo afflano, lo vagheggiano, lo sospirano, lo coltivano come un vasetto di fiori, annaffiandolo ogni mattini e ogni sera con lagrimc teneris,ime: lagrime del tutto rettoriche, 'ì'intende, ma dettate da un sincero desiderio di espansione cordiale. .E: un amore, dirci, quasi distaccato dal suo oggetto, è l'amore « in sé», idea e trascendenza, pura immagine e anzitutto simbolo. La predilezione di questa gente per simboli è così grande, che in un film, invece di farci vedere i protagonisti che si baciano, ci hanno mo• strato il corrispettivo simbolico, una stilla di rugiada che cade nel calice di un fiore; e tutti furono entusiasti della trovata. e quindi un amore che non si rivolge necessariamente agli uomini, ma anche alle bestie e alle pian• te, all'arte, alle idee e ai concetti; e quando si rivolge proprio all'uom~, idealizza l'oggetto tenendo conto p1u dello spirito che del corpo. Operando su di sé il medesimo processo di sublimazione, ogni donna qui pretende di e~re amata anche se è brutta e perfino deforme; appunto perché l'amore diventa un'astrazione, una virtù, un'idea che vive anche all'infuori del mondo fisico al quale noi latini - arretrati secondo questa gente - anc:ora crediamo~ Non ci sono donne tristi in 9uesto paese, non ci sono donne umiliate nelle vane attese, nelle forzate rinuncie; tutte possono avere il loro nutrimento spirituale e sentimentale, come in una sterminata cucina popolare dove si distribuisce, con il pane, la quotidiana razione d'amore. Eppure, con tanta effusione ideale che I agita e la commuove, la boema è nel medesimo tempo dispostissima a considerare i rapporti spiccatamente sessuali a mente fredda 1 ad accettarli con sbrigativa indifferenza, disillusa quasi, priva di tutte quelle costrizioni che impone da noi il pudore. Si direbbe che a un certo punto quel ro• manticismo si irrigidisca, il floreale perda i fronzoli e diventi razionale, il sospiro si muti in un gelido abbraccio. Questa disinvoltura, questa facilità di relazioni 1 hanno indotto più di un latino in errore; e infatti bisogna ammettere che le cecoslovacche in genere non godono nei nostri paesi di una fama troppo lusinghiera. Credono molti bellimbusti di nostra conoscenza che ba$ti mettersi a passeggiare per le vie di Praga per innamorare di sé tutte le bionde oassanti, e la sera stessa trovarsele docilmente tra le braccia. Le cose stanno in modo un po' diverso. Bisogna intanto osservare che la boema detesta la vanità maschile; ne ride, si diverte magari a stuzzicarla, ma poi la giudica con un fondo di disprezzo. Questo è un popolo scmplice1 elementare e ostentatamente, ossessivamente democratico. Tutto quello che gli ricoda una distinzione dell'individuale sull'univers.ilc In mette di pc55imo umore. Ammira la modestia sopra ogni cosa, ha una manìa quasi morbosa di proteggere i deboli, non può assolutamente tollerare l'ambizione. Il sospetto che Benes fosse un ambizioso procurò molti nemici a questo statista, anche nelle schiere dei suoi più caldi fautori. e un popolo, insomma, che segue con scrupolosa fedeltà i precetti appresi sui libri della scuola elementare, un popolo dove Pie. rino diventerebbe, anche lui, un simbolo venerato cd esaltato. Aggiungiamo che le donne moderne, un po' in tutto il mondo, preferiscono conquistare che essere conquistate, scegliere più che essere scelte, e che la figura del Don Giovanni ha pc™> ai loro occhi molto del suo fascino. La boema, assetata di modernità, non poteva dunque non essere fra le prime ed attribuirsi il nuovo diritto femminile della I ibera scelta. Non dimentichiamo infine che le boeme hanno bisogno di « atmosfera ». Dicono anch'esse Stimmtmg, alla tedesca. Anche se son disposte a ca• dere fra le braccia di quello che ritengono e~scre il loro « tipo >, vogliono prima cadere in trance, perdere, come dicono, la testa, sentirsi trasportare in quell'ebbreZ1.a, prediletta dalle donne, che è data dalla musica tziga• na, dal vino dolce e dalla lentissima musica a luci smortate. Nelle migliaia dj locali notturni praghesi, O!fni notte decine di migliaia di donne s1 sentono rapire in sogno da altrettanti uomini che, con studiato lan~uore, mormorano loro dolci menzogne e soavi scemenze. E son felici, perché le boeme non fanno all'amore per igiene o per noia o per capriccio come le anglosassoni, ma per raggiungere un e ideale>. Guai dun9uc a rompere l'incantesimo, guai a mostrarsi «brutali>: l'ideale si infrange come un bicchiere gettato a terra da un ubriaco, e la donna sente l'imperiosa necessità di passare ad un ideale più resistente e più duraturo. Se con tanta facilità le boeme divorziano, molte volte è perché il marito ha rotto il cerchio magico, s'è annoiato di dir paroline dolci1 è diventato anche lui « brutale » e, magari per eco~ nomia domestica, vuol fare il marito senza più contorno di violini tzigani, di vino dolce e di tanghi. L'« atmosfera» non c'è più, e tutto appare dunque meschino e disgustoso. t vero, se una boema incontra per la strada un bel giovane bruno, gli sorride apertamente, ma il più delle volte non suppone affatto che in quel sorriso ci sia qualcosa di sconveniente. Perché il bel giovane bruno rappresenta per tutte le boeme (e un po' per tutte le donne del mondo) la oei..Dnifi~ ca:.done appunto dcli'« ideale »; e sor~ ridono a lui compiaciute come sorriderebbero a un bambino grasso e roseo nella cu1Ja1 a un mazzo di fiori fotografato su un giornale, magari a un orrendo conferenziere che parla della tras111igrazionc delle anime. La famiglia sta riunita rarissimamente. Di giorno, appena tornati dall'ufficio, sono i padri che portano a passeggio i bambini, trascinandoli nelle carroz• zelle per i viali grigi e nebbiosi dei giardini pubblici, mentre le madri gi. rellano per i grandi magazzini, le pa• sticcerie e le sale di concerti. Di sera il marito se ne va al suo caffè con gli amici e le amiche, e la moglie sovente in un altro caffè. con le amiche e gli amici. Quanto ai figli, se sono piccoli li mettono a letto al più presto, che non secchino, ~d è impossibile vederne in giro dopo le otto, come avviene tanto spesso da noi; e se son grandi, li lasciano andare per conto loro, anche le ragazze, le quali hanno tutte la chiave del portone nella borsetta, e possono rientrare dopo la mezzanotte senza nessun obbligo di dare la minima spiegazione. Dove vanno? Gene• ralmente con uno dei loro amici, a ballare. Devono, per concessione àei genitori, « vivere la loro vita >, specie se sono studentesse o impiegate. Le serve si contentano del sabato, e tor• nano dai padroni la domenica all'alba 1 gonfie di birra e impregnate del cattivo odore delle taverne e dei balli popolari. Questa indipendenza assoluta è cosl abituale e comunemente accettata, da diventare assai meno pericolosa di quello che da noi si potrebbe supporre. E vero, la signora e la signorina hanno i loro «amici>, e con essi vanno al teatro, al cinema, al tabarin. :'via assai più spesso di quel che si pensi tutto si riduce ad un'amicizia disinteressata o al massimo ad un flirt, Se qualcuno osa meravigliarsi di quc• sto stato di cose, le boeme alla loro volta si meravigliano che da noi non avvenga lo stesso. Anche in Cecoslovacchia, in genere, le donne sono più coltivate e in appa• renza più intelligenti degli uomini. Ho detto e in apparenza>; la verità è infatti che, come in tutti gli stati a ba.si rigidamente democratiche, qui le donne hanno preso il sopravvento e approfittano a man salva della libertà che è loro conccss:a. E siccome sono djsinvolte e invadenti per nanira 1 come le donne di tutto il mondo, sembrano più intelligenti dei maschi anche quando non lo sono affatto. A ben guardare si vede che spesso la loro supe• riorità si riduce a un di più di cultura usata con molta furberia, a un gusto mordente del pettegolezzo, e a quell'ardore che mctton sempre le donne rnodcme nello scimmiottare gli uomini e nell'appropriarsi delle loro usanze e invenzioni. La colpa di tutto ciò è magari degli uomini stessi, i quali si rassegnano per malinteso spirito di ç:iustizia a vedersi soppiantare, dalle inesorabili compagne, in tutte le loro funzioni. Ma resta il fatto che anche in Cecoslovacchia tutto quello che si fa di notevole nelle lettere, nelle arti e nelle scienze è opera di quei troppo indulgenti e troppo diffamati uomini; ~el~soJ;c~sl~~!~~hf:r:11achceul/~~~~i~~ temporanea è assai notevole. Le donne, qui, fanno tutte qualcosa. Sono scrittrici (e in tal ca.so prediligono la psicologia e l'intimismo, com'è naturale), sono pittrici (e cercano invece, come pure è naturale, il decorativo), sono giornaliste, avvocatesse, medichesse o semplicemente poliglotte. Viaggiano molto1 coltivano con somma diHgenza i piaceri dello spirito, spesso con un'avidità tutta femminile, persuase che le nozioni varie sono i più bei gioielli della donna d'oggi; e credono con ciò d'essere esemplarmente modeste, mentre portano quei gioielli metaforici con la stessa vanità con la qL:ale lf' loro nonne porta"-'lno ori e diamanti; e con in più un disprezzo per i meno provveduti che le loro buone avole forse ignoravano. Sono quasi tutte democratiche, e si capisce, perché nella democrazia soltanto è sicuro il loro trionfo; anzi, si può dire che la democraz.ia è utile soprattutto alle donne, voglio dire alle donne « mo• dcrnc >. t difficile dire se sono belle. L'edu- ~zi~n~ fis.ica, affidata a quella mirabile uutuzione che sono i « Sokol », lo sport, le vacanze assai più lunghe di quelle che godono gli uomini 1 hanno fatto sì che il loro corpo si sveltisse e prendesse proporzioni meno abbondanti di quel che è dato vedere nei maschi. Da questo punto di vista se ne trov~no .di bellissi~e1 armoniose, trionfanti di salute. Ma per il viso il discorso deve cambiare. Non bisogna dimenticare che i boemi hanno avuto una borghesia indipendente (e quindi degli alti funzionari, dei militari diP!omatìci, giornalisti, ecc.) soltant~ dal giorno ancora recente della loro libc. razione. E che non hanno, né vogliono avere a nessun costo, un'aristocrazia (J.'odiano, l'aristocrazia, in modo ridicolo e assurdo; tanto che invece di <l'Annu?z.io dicono_ Annunzio, per timore: d1 incorrere 1n peccato di riconosciuta nobiltà pronunciando quella D apostrofata). Insomma, l'Austria volle che i boemi fossero soprattutto dei contadini, e non li ammise mai nei ranghi superiori, salvo qualche rara eccezione per l'esercito e per la polizia. t troppo noto che la condizione SO· ciale influisce anche sulla fisionomia per~hé io debba dilungarmi nella con~ elusione: le facce delle donne boeme sono magari floride, rosee, graziose, e fanno un notevole effetto sotto i capelli biondi spesso ricciuti; ma manc~no troppe ~olte di quella purezza, d1 quella nobiltà e fermezza di tratti che. s'inC:or:itrano~!tanto nei popoli di antica c1v1ltà, o m quelli che abbiano av~llO al_mcno. per un lungo periodo de.i dommaton e una forte classe dirigente. Del resto, anche nel modo di tratt~rc la donna boema è semplice, ~ord1alc, e raramente tiene le distanze; ti. che da un lato è un vantaggio e dimostra la bontà fondamentale di questo popolo in apparenza ancora un po' rozzo; mentre dall'altro lato non è cer!? fatto. per acc<?~tentare un gusto p1u esercitato e p1u esigente. Detto tutto questo, bisogna tuttavia concludere che la boema è ancora una delle poche donne europee che sia pure per un impulso scntimcntal; talvolta artefatto, crede nell'amore e si s~o~a, malgrado tutte le sovrapposiZJOOI moderne, di restare donna. Non è inte~essata, non è frigida? non è si• stemauca. E ha un fondo dt tenerezza di affettuosità e fantasticheria che I~ rende assai mi9liore della sua fama. AMBROGIO SPADARI LETTURE I L CASO, che regola, almeno in parte, le letture dell'uomo medio - intendiamo dire dell'uomo di media cultura e che non sia uno specialista in alcun fftmo dello scibile - ci ha messo sotto gli occhi, in questi giorni, due libri, diversi l'uno dall'altro sotto tutti gli aspetti, e il cui contrasto, appunto, ci ha suggerito qualche considerazione. li primo è una storia qua.si e1clusivamcntc tecnica e militare della e potenza marittima> (l'e1prc.uione inglese ,ea.pow,r non è perfettamente traducibile in ita· liano) dall'antichità ai nostri giorni, dalla battaglia di Salamina a quella dello Jut· land. Il volume, che è un miracolo di brevità e di chiarezza, reca appunto il titolo Sea-Powu ed è opera di due professori all'Accademia navale degli Stati Uniti: W. O. Stevcns e A. Wcstcon. L'altro è un libro di un cinese sulla Cina. Euo è già apparso in inglese sotto il titolo: My Country and my people cd ha avuto un immenso 1ucceuo; ora appare in francese .otto il titolo: La Chine et les ehinois. (Payot, éd., Pa-is, 1937). Pcarl S. Buck. - e non e.sine giudice migliore di Pearl S. Buck in questo campo - lo ha accolto con entusiasmo: e Improvvisamente, come è proprio di tutte le grandi opere, questo libro sorge, colmando tutte le speranze che erano fondate su di esso. t sincero e non teme la verità ; è scritto fieramente, con spirito e con talento, mescola la serietà alla gaicua, capisce e valuta insieme i tempi passati e i moderni; costituisce, a mio avviso, l'opera più vera, più profonda, più completa, più importante, che sia stata scritta fino ad oggi sulla Cina. E, per di più, emana da un cinese, da un cinese moderno, che ha le radici profondamente confitte nel panato, ma la cui ricca fioritura appartiene al presente >. Sarebbe difficile, dunque, immaginare due libri più differenti. Nell'uno, dal principio alla fine, si parla di abbordaggi e di cannonate, di audaci manovre navali e di combattimenti accanitissimi. Nell'altro, invece, della squisitcu.a della cucina cinese, dell'arte cinese di mangiare, di bere, di addormentarsi, di preparare il tè; di corti• gianc e di calligrafi famosi; dei piedi storpi dcllc,,,6onne cinesi e della raffinatczz.a sessuale che si celava sotto quella estetica crudele, ccc. Nell'uno, si apprende come piccoli popoli siano diventati grandi e potenti, e abbiano impresso cosl vana orma nella storia del mondo. Nell'ahro, come un popolo innumerevole e intelligente, ma cieco ad ogni ideale, sia diventato la derisione dell'universo. SEA• POWER: LE ARMI F RA GLI clementi che, nella storia, hanno deciso della supremazia marittima, ora dell'un popolo, ora dcll'al• tro, il primissimo, quello contro il quale coraggio cd esperienza di equipaggi e di ammiragli sooo vani, è l'elemento tecnico. Che in un dato momento storico una marina disponga di un'arma nuova e più potente o di un tipo di nave più perfetto, e l'impero dei mari è suo. Si assiste, talora, nella .storia, improvvisa• mente, a veri capovolgimenti di situazioni: una invenzione, un pcrfez.ionamento, una trovata tecnica basta a rovesciare imperi potenti e, talora, persino a far passare la signoria dei mari nelle mani dì popoli che non sono mai stati marinai. La prima guerra punica è l'esempio classico di questi miracoli: i cartaginesi erano i migliori marinai della loro epoca e i romani erano un popolo di pastori e di a3ric01tori; ma bastò l'invenzione di Duilio per iove1ciare la situazione. Non meno impressionante il mi• racolo di Bi$anz.io, che per secoli tenne testa alle potenti Rotte musulmane grazie all'invenzione del 1iriano Callinico: il fuoco greco, salvando, coli, più vohc l'Occidente dall'alluvione orientale. Da ultimo, quando Bisanzio era in piena decadenza, quindici 1uoi vecchi dromoni distrussero una Aotca ruuo-vikinga di Corse 1500 navi. In tempi più vicini a noi, è la superiorità tecnica che fa passare l'impero dei mari all'Inghilterra. Fino :i. Lepanto (1571) non si erano avute innovazioni importanti nella tecnica delle costruzioni navali. Ma la guerra di c .., che gli inglesi praticavano su larga scala ai danni della Spagna, aveva fatto nascere un nuovo tipo di nave leggera e rapida. Questa nuova nave fece meraviglie contro l'lnuenciblt Armada di Filippo H. I tardi e pesanti galeoni della Rotta spagnola furono vinti e dispersi, senza poter neanche combattere. Flavit Deus et diSJipati sunt. Fu, cosl, deciso il destino dell'Impero spagnolo. Anche nelle guerre contro l'Olanda, l'Inghilterra ebbe al suo attivo un notevole vantaggio tecnico: gli olandesi avevano navi a fondo piatto per poter navigare nei loro mari, pochissimo profondi; ma questo li metteva in condizione di inferiorità fuori di quei mari; e benché foucro ottimi marinai e avessero i migliori ammiragli dell'epoca, non riuscirono mai ad eliminare le conseguenze di questo handicap. Co.sl, a due svolte decisive della storia, l'Inghilterra si trovò in condizione di netta superiorità tecnica di fronte agli avversari. Con la Francia, invece, si misur~ ad armi p:iri; e vinse egualmente, vinse per la sua tenacia, per il valore dei suoi equipaggi, e, in ultimo, per il genio di Nelson. Ma ecco apparire nella guerra mondiale armi nuove e terribili, armi che, per un complesso di circostanze storiche e geografiche, giocano principalmente contro l'ln• ghilterra. I sottomarini tagliano gli approvvigionamenti: e l'Impero è sull'orlo della rovina. Allo Jutland, la maggiore capacità di resistenza al fuoco degli incrociatori tedeschi mette a mal partito la squadra di Beatty; e, alla fine della battaglia, gli attacchi delle .silurami tedesche e il timore di inciampare nei campi di mine· inducono Jcllicoc a rinunziare all'inseguimento. Cosl, per la prima volta nella storia, la marina inglese si batte in modo del tutto contrario allo .spirito e al metodo di Nelson. Per la prima volta la Rotta inglese antepone la propria consc1vazione all'imperativo nelsonfano della distruzione del nemico. Armi nuove cd insidiose - le mine e i siluri - costringono, cosl, una marina - per tradizione ardita fino alla temerità - a diventare cauta. Per quanto riguarda la tecnica, dunque, dal volume di cui discorriamo si trac la scgucn1c conclusione: che è una necessità vitale per una marina da guerra mante• nersi all'altezza del progresso tecnico dei suoi tempi, e punibilmentc di sopravanzarlo, e che: una Rotta in ritardo è una Rotta perduta; ma vi è sempre per I-a marina più debole una possibilità di battere la più forte: non già utilizzando le vecchie· armi, bensl inventando un'arma nuova, che renda inefficaci le vecchie. SEA• POWER: OLI UOM!lll QUESTO l'insegnamento che si trac dalla storia di ieri. <?hc sa~l doma!1i? Mai, forse, l'avvenire dei popoh è stato come oggi pieno di incognite. Armi nuove e potenti sono state inventate, e quelle esistenti vengono perfezionate ogni giorno. La scienza e 1'11-rtedella guerra sono alla vigilia di una rivoluzione; e, forse, lo strumento di questa rivoluzione sarà l'acrcoplano. Torna alla mente la .sentenu di Kair•ed-Oin il Barbarossa, quando Solimano il Magnifico gli affidò il comando della flotta turca: e Signore - disse il vecchio pirata - chi è padrone del mare diventerà ben presto padrone della terra >. E queua sentenza era vera allora, cd è stata vera fino a ieri. Ma domani, forse, bisognerà dire: Chi è padrone dell'aria, è padrone anche della terra e del mare. Quando non vi è una vera e propria rivoluzione nella tecnica, quando non vi è una grande novità nelle armi, il fattore uomo riprende tutto il suo valore. t. un comando abile, una manovra ardita, in una parola il genio di un capo che decide di un~ b~ttaglia e, spesso, del dC1tino di due nazioni. Sotto questo punto di vista, la storia della potenza marittima dell'Inghilterra ha un valore immenso di insegnamento morale. Gli inglesi sono apparsi nella storia mari. nara come corsari e negrieri (Howkins, il parente di Drake, portava in contrabbando ad Haiti e negri di qualità del valore di 160 sterline il peno>); poi diventarono guerrieri; e, in uhimo, son diventati gen• tlemen: ma hanno sempre parlato cd agito con la ferma coscienza - almeno fino allo Jutland - che il mare fosse nato riservato d.a Dio al loro esclusivo dominio. e Che significa questa o quella ragione? > disse Monk all'inizio della seconda guerra con l'Olanda. e Quello che noi vogliamo è una parte maggiore del commercio ma• rittimo, che oggi è nelle mani degli olandesi >. Come si vede, nel '6oo, almeno qualche volta, si parlava chiaro. Con questa sicura COK.ienza del loro diritto, gli inglesi si battono per oltre tre secoli come leoni. Anche quando i comandanti sono inetti, la bravura degli equipaggi salva le situazioni. Ncuun'altra naz.ione nella storia offre l'esempio di una cosi costante tradizione di ardimento marinaro. Da Drakc a Blake, da Hawkc a Nelson, il motto della marina britannica è: e diritto sul nemico>. Con navi legge.re e rapide, Drake corre in lungo e in largo l'Oceano, saccheggia, ruba, incendia, distrugge, batte l'lnveneible A rmada, e alla fine va a tagliare la barba al re di Spagna. Nel secolo successivo, Blake, un uomo che fino a 50 anni non aveva mai meuo piede su un bastimento e la cui ambizione era di diventare professore di greco a Oxford, diventa ammir3glio e, nei sci anni che ancora vive, compie tali imprese, che il suo nome viene subito dopo quello di i\clson fra i grandi ammiragli inglesi. Dopo avere battuto gli olandesi in alcune fra le più accanite bauaglie che la storia ricordi, \iene a ristabilire il prestigio inglese ne.I ~iediterranco: e poiché il bey di Tunisi lo deride indicandogli le sue navi, ancorate nel porto sicuris.sìmo di Porto Farina, e sfidandolo a fargli del male, Blakc entra di sorpresa, dcmoli.scc i forti e affonda tutta la Rolla tunisina, quasi senza subire p<'tdite. In gesti siffaui è tutto lo spirito della marina britannica. Ma l'uomo, in cui la tradizione marinara inglese più fieramente si incarna, è Nelson. Egli è la pietra di paragone della perfezione in tutte le guerre navali di ieri o di domani: perché se cambiano le armi, non cambiano la natura del combattimento e, soprattutto, non cambia lo spirito della guerra. Dal principio alla fine dclii\ sua carriera, egli è e la fiamma incarnata della risolutezza>. Al Capo San Vincenzo, disobbedisce al suo ammiraglio per attaccare l'avanguardia spagnola. Ad Abukir, auacca quando già il sole è tramontato, nell'oscurità: e Il tempo è tutto: cinque minuti fonno la differenza fra una villoria e una disfatta>. A Copcnhaghcn, e, infine, a Trafall!'ar, lo stesso uomo, la stessa risolu• tezza, la .stessa intrepidità: test'\ bassa e diritto sul nemico. e Nessun capitano farà male - egli scrive nelle istruzioni ai suoi dipendemi prima di Trafalgar - se metterà il suo vascello bordo a bordo contro un vascello nemico >. Così hanno parlato e agito gli inglesi per più di tre secoli. Cos) parlano e agiscono i popoli nati per dominare. OMNIBUS ANNO11 N, 27, 2 OTTOBBE 1937-IV _lli~ JMNIBlJS I SETTIMANALEDIATTUALITÀ POLITIOAE LETTERARIA ESCE IL SilATO lN 12-18 PAOTh"E ABBONAMEllTI halla eOolonle:anno L. 461 semutre L. 23 FAtero1a.unoL. 70) aemenn L. 36 0011'1 JIUl!EllO UNl LII\A lh11.01orlttl, dl1eg11le rotograSe, anobe 1e 11.01p1o..bbllcatl, coo. •i r11titul,eo110, DlrHlou: Roma - Via ,!t1l811d1rio,28 Tt1lt1f011N0. 581.636 .lmndnlstrallou: IIUa11.°r;1!fo~! 1N?2tso\ 1 b 11 8 Boe• .I.non. EdJtrlce " OMlflBUI " • )Ultz10 1
E SISTE una contrada intorno a Roma, eh~ va dai ~1fonti :\lbani all'Artemisio, do,·e si ritrova il tipo di quell'indie;cno quale dovette essere pressapoco tremila e pili anni fa : quando, riunito m una confcde:azione sotto l'insegna dell.1 ~cro_fa, poiché era un popolo di pnscon, vide la sottostante pianura, infestata dalle acque, popolarsi di quei pastori nomadi venuti dal\' Asia o mm- ~fughi della montagna che si stabilirono su un colle lungo l'estremo corso del. Tevere; quegli uomini dei monti 1 ficn e per nulla conquistatori, contenti dei loro trentuno piccoli nuclei pastorali e che si dovc\'ano difendere recip_r~~meme cont:o le tribù \'icine più Cl\'lii e ag~uernte, contro i banditi ,cendemj dalle \'alli che li legavano all'Appennino, e contro gli altri spinti daHa ventura che risalivano dalle foci il ·~e:-iere, h:mno lasci:lti quri dall'Artem1s10. nella valle stretta che risale fino ai monti d'Abruzzo 1 un tipo umano qua,;i invariato. Si po\sono vedere an~ora in_comunità pastorali a pachi ch,lon_,etn da Roma, né più né meno ch_e p1ccole-t1ibl1; ricostrui,;cono a ogni pnmavera la capanna dal disegno uguale al modello che si ritrova nelle tombe di _ventisette secoli or sono, la capanna d_1Romolo; gli uomini vanno al lavoro m quella natura che ricorda l'aspra contrada d'un passaggio ance- ,trale d'uomini ; le donne rimangono presso le capanne coi bambini ; una coll~na di coralli distingue la donna n~~ntata dal~e nubili, e una capanna p1u grande il capo. Hanno visi della più antica struttura italica la stessa che si ritrova tra ì pastori <l'ellanostra r1:onta$na, e poi nelle primiti,,e figu11ne d1 creta . .-\Itri, annidati nei boschi dcli' Agro Pontino, quando cominciò il la,·oro di bonifica, sbucarono fuori sbi- ~ottiti dal rug~ito delle macchine e dal rintocco delle scuri, recando ancora i P?rcellini e gli agnelli : trovarono gran- ~h strad~ n.~o~·ee le traversarono per mi.elvan.1 p1u m alto. Sul massiccio dei monti intorno a Roma, un occhio attento . t>uò scoprire tracce di quella umanita che ha sempre respirato l'aria buona i:1 cospett~ della pi~nura greve, che ha 11 geloso rispetto dei suoi beni e della sua _donna, fino al delitto, il più fiero sentimento della sua qualità di uomo; gente che da secolo a secolo i viaggiatori hanno sempre ritrovato la stes~a. con nessuna variazione del carattere, rudi fieri e feroci, con un sentimento esclusivo della loro contrada e 0$gi come tremila anni fa poco in~ cl~na.a _mescol~rsi coi forestieri, orgo- ~hos1 d1 non si sa bene quale discendenza, ancora dopo aver visto un \·illaggio di proscritti grandeggiare e di- . entare Roma. Hanno donne virili l'ultimo tipo di donna che all'aspett~ possa ricordare la donna romana : anch'esse esclusive, anch'esse superbe della loro discendenza e della loro stessa crudezza. Se . v?Sliamo tro,'are un tipo che, poch1ss1mo toccato da tremila anni di storia1 non alterato da mescolanze ser· bi pallidamente l'immagine di q 1 uella che fu l'umanità romana dalle origini fino ai Gracchi, fino alle conquiste, a questo dobbiamo ricorrere. ~ella MoSJra Augustea della Romanità quel tempo, quei visi, quei paesaggi, quel mondo pastorale tra monte e palude tra boschi e acque, che in così brev~ spazio è natura e insieme archeologia '-toria e dimenticanza, gloria e indiffe~ rente eternità pastorale, rappresenta il momento più commovente della gran• dezza romana: essa in questo momento è soltanto umana, stretta come un nucleo familiare, ~closa e superba delle sue modeste virtu e del suo sangue. Certo, vedere a un tratto il discen• dente dei pastori divenuto Dio col capo velato, il corno dell'abbondanza e la patera dei sacrifici, è un momento di orgoglio: è divenuto l'arbitro del mondo e il simbolo della vita civile. :\[a il genio dell'Imperatore quando a diciannove anni iniziò i due secoli f~r~ più ~rosperi e p_ieni che l'uman1ta ricordi d1 aver vissuto, delle cui istituzi~ni vive ·ancora il mondo, do• vette rifarsi a quei principii che ave• vano fatto grande Roma. Che egli ostentasse .certe. virtù per i) pubblico, come vogliono 1 pettegolezzi di Corte, che Ja sua clemenza fosse un sottile accor.s:i~ento politico, che vestire panni tessuu m casa fosse un'arte, che in- ~mma alle sue azioni non rispondes- ~ro le sue intenzioni, che importa? Con l'istinto o con la ragione, e~li indicava nuo".arnente quei principu, quella naturaluà che doveva poi essere nei r;randi momenti il fondamento della fortuna italiana. Perché coi Romani entra per la prima vQlta nella storia lo Stato moderno, non 5acerdotale come presso gli orientali, né teocratico come presso i Greci, né feudale come presso gli Egizi ; esso era affidato all'uomo e alle sue 9ualità umane. Non si trattava di religione né di ragione; i Romani non erano riusciti neppure a mascherare le loro origini, e le fa. \'Ole che vi comrosero sopra sono trasparentissime. D altra parte, se pure i miti religiosi essi li presero a prestito dai popoli ~cini e da quelli conqui- ~tati, dagli Etruschi prima e dai Greci poi, vi immisero quello che doveva es- •"fC il lr,ro fondo religioso e li arricchirono a modo loro. Se per esempio Cerere presiedeva a tutte le operazioni del raccolto, dall'aratura alla mietitu• ra, per tutto il ciclo del grano altri dodici dèi presiedevano: si rompeva la terra e s'invocava il dio scassatore, e poi 9uello radicatore 1 e il legatore e via via fino al mietitore e al raccogli• tore ; fino al dio che bisognava invocare saltando un solco o un fossato. La polemica cristiana ebbe buon gioco in questo mondo così apparentemente cC?mraddit~orio in cui un dio ma~• g1ore presiedeva ad altri infiniti dei minori, per cui non bisognava soltanto placare il nume sovrano, ma scongiurare gli altri infiniti dèi minori che tra cielo e terra potevano mutare le operazioni della vita mortale. ~,fa questo era l'animo italiano, e direi lo è an• cora, panicamente reliçioso, che trasformò in religiosi tutti gli atti della sua vita, i principii delle sue operazioni; questo è il fondamento stesso di quell'osservazione reale e insieme fantastica che brilla nella sua arte quando è grande arte, la base della sua umanità, il tramite di tutti i suoi rapporti e dei suoi legami. r. piutto._,...,il senso della natura, dell'animo uni, c..rsalc,l'oscura intuizione delle leg~ che re~olano le operazioni della vita, è tutt al• tro che un affidarsi al destino: è il propiziarsi la buona riuscita desiderandola come cosa divina e credendovi fermamente, aiutandola con la fede. Ragazzi e donne, cui da tempo immemorabile gl'italiani hanno dedicato un cuJto fedele levato fino agli altari, s~rbano la memoria di questo animo, s1 tramandano quell::t tradizione del ,;angue che nessuno, nato nel popolo e nella natura, tra le necessità della terra e dei fi~li, può aver dimentìcato. Quando si ncorda di questi fatti., il popolo italiano è grande, è antico e moderno è signore e popolano. In questa re: deità alle origini è stata sempre la possibilità della sua grandezza il suo fascino, l'efficacia comprensibil~ a tutti della su~ ci,·iltà. :S-on gli sta bene la figura dt borghese come l'intendono i ~rghesi cosmapoliti. Egli è cosmopolita perché terriero e indigeno. ~ella sua espressione originale, quella che Augusto richiamò alla memoria dei Rom~ni, che cercò di risuscitare, que• sto tipo umano ha l'amore di distinguersi che fu chiamato l'amore della gloria, e che riassllme il culto degli antenati, la fede nei posteri, l'amore della famiglia e dei figli. Ha il senso dell'immortalità e della memoria che dura. Appena vuol superai-e questi caratteri diviene sterile e odioso e incivile. La decadenza di Roma coincide con questa infedeltà. L'immensa fama che circondò Virgilio e Orazio in tutto l'Impero, significa qualche cosa: sono ili . scrittori in cll:i questa religiosità italiana verso ogm aspetto della vita e della natura si fissava in forme perpetuabili all'infinito. :Ma ecco Roma divenuta borghese, cioè materialista, sprovvista di senso religioso e del senso del divino, della sua terra e della sua natura. t. borghese, è colonizzata da tutti gl'i.nAussi che le vengono dalle terre dell'Impero, è sopraffatta dal proletariato inurbato dei paesi conquistati per vivere dei benefici e delle clientele; finito l'irraggiamento della civiltà augustea al terzo secolo, la borghesia urbana si lascia colonizzare dal1~ province, e ne esce il tipo del villan nfatto che portò sen:pre i peggiori danni alla nostra storia : la borghesia sempre più assottigliata. a sua volta dalla costituzione dei grandi capitaGIULIA, PIGLIA DI TITO listi, si fa sparuta e non può più comperare : il proletariato delle clientele urbane è sempre più torbido e prepotente; con la crisi economica nasce già una società che in breve volger di tempo diverrà feudale. Su questa cieca distruzione compiuta dall'avidità della classe dirigente romana, il Cristianesimo egualitario che proclama i diritti dell'individuo trova buona presa e scuote dai fondamenti l'Impero. La crisi, iniziatasi seicento anni prima e raffrenata dalla prodigiosa rapidità della conquista romana del mondo, dall'improvvisa ricchezza, ma che in germe era la prima lotta di classe del mondo moderno, e ì fenomeni del proletariato urbano che la riforma dei Gracchi aveva già intuito e tentato di domare. tra\'olsero l'Impero. Il popolo più umanamente religioso del mondo, e d'una sua naturalistica e inimitabile religione, era divenuto il più scettico; gli ultimi imperatori potevano senza terrore sedersi a mangiare con appetito sugli altari i sacrifici pronti per gli dèi. La religione era divenuta conformismo; i culti formali che si erano stabiliti dappertu,tto, senza sostanza né verità, resero iruensib;tc e scettica il poFolo più disposto a credere ai grandi moventi ui_n:1ni,alla .g~oria, all'onore, alla giust_121aa.,lla c1v1ltà. Nessuno poteva più difenderlo e non trovò più sold:ni. La crisi che schiantò il mondo ro• mano somiglia a quella che travagliò l'Europa in~ustriale del dopoguerra; quando, fallito anche il benessere che l'umanità si prometteva dall'urbanesimo industriale dopo aver abbandonato i lari, falliva la tradizione, e la piccola vita sacra e intima dell'uomo, e delle modeste virtù domestiche. Una civiltà è sprofondata senza gloria, e dopo appena cento anni di promesse. :Ma nessuno aveva coperto più di strade e di ponti e di canali il mondo più lontano come aveva fatto Roma di cui la gente dall'Eufrate alla Pr~venza parla ancora, traversando i vecchi ponti e dissetandosi alle fonti antiche. Nell'Europa disperata di sé e dell'avvenire bisognava che ancora una voce parlasse e dicesse le lodi del pane, della madre, dei figli, di quello che ci lega alla terra e alle origini, e il premio della fatica l'orgoglio del focolare, la voce immor~ tale che parla ancora latino. TESTATOR I ~ A'.\iERlC:\, la professione di confe• renziere è ancora una delle attività più redditizie per gli uomini di lettere. Grandi scrittori come Dickens, inglese, e '.\!ark Twain, americano, non esitarono a ricorrervi per rinsanguare il loro bilancio; e si sa che uno dei più importanti libri di Thackeray:-,,.Composto di saggi critici sui principali Jerittori della letteratura inglese, nacque per l'appunto da un giro di conferenze fatto dall'autore della Fiera delle Vanitd in America. );e! 1907, un ricchissimo com• merciante italiano residente in America ebbe l'idea d'in,•ita.re Gabriele d'Annunzio negli Stati Uniti per una tournle di conferenze che il poeta a,·rebbe dovuto tenere nelle principali città. americane. Tro\·andosi in difficoltà finanz.ìarie, d'Annunzio accettò. '.\(a quando seppe che il compenso era di novantamila lire, senza contare le 1pcsc dì viaggio e il soggiorno, rispose all'organiz.za• tore dell'impresa che sollecitava la firma del contratto con queste parole: e Ero disposto ad attraversare l'Oceano, ma non per un pacco di sigarette. Tuttavia, grazie >. f, ii viaggio del p~t.1, annu:uiatv rumo• rosamente dalla stampa, andè a mont\ BRIAND era un arrabbiato lettore di romanzi polizieschi. Perwna che ebbe la possibilità di conoscerlo nell'intimità del 1uo gabinetto da lavoro, al ~inistero francese degli Esteri, racconta di aver visto uno di questi romanzi accuratamente nascouo tra le carte che ingombravano lo scrittoio del vecehio ministro. Quando i funzionari addetti al suo gabinetto lasciavano gli uffici, Briand si faceva servire una piccola colazione che consumava nella stanza stessa dove lavo..rava, poi si mctte\·a in una poltrona e si immergeva nella lettura del libro. Qualcuno che era a conoscenza di questa su.a panione per i romanzi gialli, un giorno gli domandò se ne aveva letti molti: e Affatto>, rispose Briand, e perché li dimentico subito; perciò leggo sempre lo iteno >. IN UN p~escllo del ~olognese, si rappre• sentava m tempo d1 fiera, una Passione di Cristo. A un dato punto, col mez.zo di una corda appesa al soffitto, discende un angelo, il quale nelle prime parole che de• ve volgere iol cristo, piglia una papera. li cristo, a mez.za voce, bestemmiando se stesso nel più sconcio modo lo aponrofa coi nomi di canaglia, ignorante, asino, e ANTICHE J,!OR! ROl!!NE IN ISTRIA • OOM:MODO simili. L'angelo impassibile gli fiuò un istante gli occhi in volto, poi piano, ma non tanto che il pubblico non l'udine, mormo· rò: e Ah, si~ E io mc ne 1orno in ciclo •· ' E così detto, ria11accatosi alla corda, se ne tornò placidamcnt(: in soffitta, in meuo alle risa degli spettatori de\'oti, e alle nuove imprecai.ioni dd Criuo. MARK n, 1:\li\ aveva 1rovato un sosia di st'raordina?'ia rassomiglianza, ma un giorno, un conoscenfe insinuò che la diversità dei due volti era notevole. '.\fark T"'·ain non cedette: « Mi rauomiglia invece moltissimo >, esclamò. e Fi· guratevi che al mattino mc lo meno davanti e lo uso per farmi la barba senta specchio>. SI R.-\.CCO:'\'TA che il professore Cesare Vivante, la più gr:mde autorità in ma. teria di Diritto Commerciale, quando frequenta,•a da studente l't:'niversità non aveva che una sola ambii.ione: diventare attore. li bello è che l'autore del monumcncale « Trattato di Diritto Commerciale• ha sortito da natura un fisico gracìlissimo, piuttosto minuto, con una testa spolpata che gli anni hanno semplicemente accentuata. ~on importa. Egli era talmente convinto, allora, che il suo avvenire sarebbe stato sul palcoscenico anziché sui banchi dell'Univtrsi:à, che un bel giorno decise di mettersi alla prova. Scoperto un palcoscenico nella sede di un circolo abbandonato che egli prese immediatamente in affitto, riunl alcuni ~o~~:i!;i,d~p:a~;i~~=~ita~:mt}:.~,1~. t~a::i: ralmente, il giovane Vivante vagheggiava. segretamente di misurarsi nella parte del protagonista ; ma non avendo il coraggio di dichiaurlo, si rivolse all'amico Vittorio Scia.loia colla mua di chiedergli un consiglio: se lui, Scialoia, vedeva una parte adaua per Vivante. e Sl •• rispose flemmaticamente Scialoia. « c'è una parte nell'.--iml,io che tu pocresti fare. t quella del teschio di Yorich >. A PARIGI, nel salotto di Isadora Dun-" can, d'Annunzio, con fare pretensio• so, rivolto alla sua ospite esclamò: e Io so anche leggere il pensiero. Potrei dirvi, per esempio, ciò che ora state pensando >. e Oh, scusate! >, soggiunse la ballerina. A '.\{ILA:-,.i'O, r-;icolò Machiavelli volle mostrare come facilmente egli manovrava una truppa di tremila fanti, della quale aveva studiato (su carta) gli spiegamenti e le evoluzioni. Assistevano i Signori di '.\mano, con Gio• vanni delle Bande :-.l'ere, il Bandello, e un codazzo di cortigiani e ufficiali. Tre ore il '.\hchiavelli H tenne a cuoc:cni al sole in piaua d'armi, e la manovra non riusch•a. Egli si ostinava, consultava i suoi appunti '.\{a le cose andavano di male in peggio. .-\Ila fine, seccato, disse Giovanni cklle Bande :-,.i'ere agli astanti: e lo vo' cavar tutti noi di fastidio, e che andiamo a desinare > (è il Bandello che racconta). Pregò il Machiavelli che si ritirasse e lasciasse fare; e con certi comandi ai tamburini, fece manovrare i tremila in una quantità di maniere ed ordine perfetto. Poi le truppe rientrarono agli alloggiamenti. E gli altri, Machiavelli compreso, se ne andarono a desinare tutti insieme, d'eccellente appetito. IL PITTORE Oegas nutriva una profonda antipatia per le cosidette conquiste del progresso meccanico. Egli chiamava la automobile: e Quella maledetta carron.a seni.a cavalli >, e non riusci mai, finché visse, a sopportare il fracasso dei nuovissi• mi \'eicoli a trazione meccanica che inva• devano le strade di Parigi. Un giorno giunse in casa del celebre caricaturista Fouin nel momento 1tesso in cui arrivavano gli operai per collocarvi il telefono. Abituato a una vita di solitario nella sua tranquilla abitazione di Montmartre, dove gli impor• tuni venivano messi tranquillamente e ra• pid3Jnente alla porta, egli rimase sconcertato. E come Fora.in cercava di gìusti6carsi spiegando al pittore la comodità di quel: l'i~novazione che, con un semplice squillo, gh permetteva, senza uscire di casa, di ~enersi in contatto col mondo, Dega.1 lo interruppe fieramente: .« C.:os~,_voi, non appena sentite suonare, v1 precipitate come un cameriere! > LORD arummcl, il celebre e; dandy >, aveva un cameriere che si piccava di essere di nobili origini. ]'lon ammettendo d'essere considerato alla stessa stregua de· gli altri domestici, confessò un giorno ai suo padrone che non gli garbava di essere trattalo con il tu. e ),,'on ho nulla in con• trario a far diversamente - ritp06e il lord. - Vuol dire che io ti darò del lei ma d'ora in poi tu mi darai del tu. Un~ differenu., fra noi due, ci deve pur essere >. S ONO );OTI, almeno a chi è pratico dell'ambiente letterario, i tempestosi rapporti che cotTono fra lo scrittore Vincenzo Cardarelli e un suo amico, che non nominiamò, celebre pittore e più celebre ancora corfle uomo di spirito. Recentemente, approfitcando di una temporanea auenz.a di quest'ultimo da Roma, Cardarelli si abbandonò in presenza di comuni amici ad una violentissima requisitoria contro l'assente, e concluse, tra lo stupore generale, con queste parole: e Del resto, morirà anche lui di cancro •· ~a accortosi di avere esagerato, cercò 1m• mediatamente di riparare agli effetti di quella sinistra profezia e aggiunse: e Ma si sa che quando uno parla in questo modo di qualcuno, è tutta salute per lui•· E subito dopo: e E.d è per questo che io non ne parlo mai! >. UN ~[A TIINO, circa cinquant'anni fa, al collegio Cicognini, dove il giovane d'Annunz.io seguiva i corsi liceali un p:ofesso~ d'umore bit.zatTo, al quaie il biondo adolescente non andava molto a 11 genio, gli chiese, deciso a metterlo in im- ~ra~: - e :Mi può dare una definizione del nulla?> e SI >, rispose d'Annunzio, e un pallone senza l'involucro >. P'\UL CLAUDEL è stato, l'anno scorso ammalato gravemente. Un suo lontan~ ammiratore gli inviò il seguente telegramma: . e Poi~M voi state per morire, non dimcn• t1catem1, pregate per me in Paradiso>. A questo singolare tclegramm~esso al poeta solo quando fu guuito Paul Cl&!.!• del rispose: • e Intesi. Farò un nodo al mio len1uolo >. L'ACCADE).UCO di Francia Abel Her• mant racconta nei suoi e Souvenirs dc la vie mondaìne >, di cui è uscito recentemente il primo volume, che quandc d'An• nunzio arrivò per la prima. volta a Parigi una delle sue prime apparii.ioni fu in casa della signora Strauss. Nel salotto di Madan:ie Strauss, che fu la moglie di Biz.et, si rllro,,avano periodicamente i più celebri let• tcrati e uomir:.i politici della Parigi di quel tempo. D'Annunzio vi era accolto cuine se foue già il Principe di Montcnevoso. Una sera, )..{adame Abernon, alla cui tavola egli era stato invitato, gli chiese a brùciapelo: e Che ne pensate dell'amore? >. E d'Annunzio: e Madame leggete i miei libri e lasciatemi praniare ; .
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