CHI FARÀ la storia del nostro tempo. economica e politica, non potrà trascurare quella forma di lotta per la conquista dei mercati, che si chiama , dumping•· Ecco una delle tante parole d'uso internazionale, il cui significato è, da molti, conosciuto solo approssimativamente, ma che sono caratteristiche della nostra epoca. Si potrebbe fare la storia della civiltà attraverso le parole, e forse ne basterebbero meno di due dozzine per riepilogare venticinque secoli. Si pensi, per esempio, a quanto è rivelatrice di un fondamentale carattere del nostro tempo, sotto il profilo economico e anche sotto quello spirituale, una parola come , standard.-. Anche , dumping• è espressione carica di significati da analoghi punti di vista, benché sia oggi un po' passata di moda, e ne vedremo il perché. Ma è probabile che essa risvegli nel lettore, attraverso il ricordo del tempo in cuì se n'è fatto grande uso, quello della lotta del Giappone per la conquista del mercato mondiale; ora le attuali vicende estremorientali, di cui il Giappone è il guer• riero protagonista, sono in gran parte conseguenza di un insieme di elementi e di un complesso di circostanze immediatamente collegabile al1'aggressiva politica commerciale nipponica. Espansione con mezzi pacifici ed espansione con mezzi beHici sono intimamente connesse nell'azione internazionale del Giappooe: la seconda prende il posto della prima, non appena la prima diventa impossibile. Troppo semplicista, questa s;>iegaiione della guerra nippo-cinese? Ma tutti i grandi eventi decisivi nella storia interna ed esterna dei popoli si risolvono, guardati dalla parte delle loro cause e ridotti al loro significato essenziale, in questioni semplici, in problemi chiarissimi. Sono le loro imprevedibili conseguenze e tanto più quelle che si sfon:ano di trarne illogicamente gli uomini, che li complicano e ne fanno dei grovigli inestricabili. Si tratta, quasi sempre, di urti tra forze elementan, tra interessi primordiali. Per quel che riguarda il Giappone, il problc• ma è di vita o di morte, e formulabile con una sola parola: espansione. Espansione, di popolazioni e di prodotti, dovunque e comunque; altrimenti il Giappone scoppia. Scaricare i vagoncini della duauvilltt rovesciandoli da un lato, si dice in inglese to dump. li t dumping, è, per metafora, lo scaricare d'un colpo una massa di merci in un mercato, ma con questo di particolare, che esse sono vendute a un prezzo inferiore a quello fatto, fino a quel mo• mento, dal mercato medesimo. Il , dum• ping, giapponese, del quale si è tanto parlato in rutto il mondo tre o quattro anni or sono, consistette appunto nella metodica invasione dei mercati stranieri con merci offerte a prezzi incredibilmente più bassi di quelli praticati dai produttori locali. Conseguenza inevitabile: la rovina di questi e il vittorioso affermarsi della produzione e del commercio nipponici. Ma vi sono due specie di , dumping.-, quello in buona fede e quello in mala fe. de. Sarebbe ingiusto dire che il e dum• pir.g .- giapponese rientrasse soltanto in questa seconda categoria. Elementi d'ar• tificiosità non mancavano, si capisce, nella lotta combattuta e spesso vinta dai Giapponesi sui mercati di mezzo mondo e anzitutto su quelli europei; ma per buona parte il , dumping, nipponico - ossia ciò che agli occhi delle vittime appariva come una pura e semplice S\·endita, o vendita sotto costo per rovinare i concorrenti - era il risultato naturale e involontario di una situazione affatto particolare, che gli industriali di altri paesi non avrebbero potuto riprodurre a volontà. I Giapponesi vendevano tanto meno caro dei loro concorrenti europei non perché affrontas• sero deliberatamente una perdita attuale, in vista di un beneficio sicuro o di altri vantaggi, ma semplicemente pc"ché il lo"'O sistema produttivo consentiva prez~i di liquidazione. l n questo senso si può dire Piccolo ocmmenilo 1rtlgi1no In 11.u1r~rl1 di Toklc che il loro era un , dumping, in buona fede. Ma tale invece non fu - per ripetere un classico esempio - il , dumping.- esercitato dal cartello della siderurgia europea ai danni dell'Italia, poco prima della Grande Guerra. Il trust dei siderurgici tedeschi, che mediante un accordo con quelli fran• cesi e belgi aveva riservato per sé il mercato italiano, vendeva in Italia le travi di ferro, o poutrtllts, a un prezzo inferiore non solo al lorO costo, ma anche al costo del ferro da lavorare per fabbricarle. Ai consumatori italiani conveniva, cosl, comperare le travi tedesche piuttosto che quelle nazionali. Si domanderà qual'era lo scopo di questa feroce concorrenza, e com'era possibile, al trust tedesco, di farla senza rovinarsi. Si mirava, evidentemente, ad eliminare i produttori italiani. Non potendo costoro vendere al prezzo praticato da quelli tedeschi, e non riuscendo perciò ad esitare il loro prodotto, avrebbero finito per chiudere le fabbriche. Rimasto cosl padrone del campo, e avendo monopolizzato il mercato italiano, il trust avrebbe potuto rialzare i suoi prezzi, portandoli almeno al livello di quelli praticati in Germania. Perché in questa, naturalmente, il prezzo delle travi di ferro era superiore di più di due terzi a quello praticato in Italia, e cib per effetto della forte protezione doganale concessa all'industria tedesca. Ciò spiega come il trust potesse svendere fuori della Germania: si rifaceva in patria, a spese dei consumatori tedeschi, di gran parte delle perdite, e aspenava il momento di rifarsene ancor più largamente in Italia, allorché avesse potuto imporre un prezzo altrettanto alto ai consumatori italiani. Un colpo analogo aveva tentato, sempre prima della Grande Guerra, il trust americano del petrolio ai danni dell'industria petrolifera della Romania. Per eliminarne la concorrenza, gli Americani cominciarono ad invadere il mercato romeno, cedendo il loro petrolio raffinato a prezzi molto più bassi di quelli praticabili dalle raffinerie romene. A lungo andare, quc• st'ultitne avrebbero dovuto arrendersi, se non fosse intervenuto, a salvarle, il Governo romeno con appropriati provvedimenti. Di solito non ci sono, per i pro• duttori attaccati col , dumping•, che du~ modi di difendersi, ma entrambi non sem• pre facili da attuarsi: il ribasso dei prezzi interni (il che presuppone il ribasso dei costi, cosa non semplice), o provvedimenti doganali d'eccezione, atti a fare aumentare il prezzo del prodotto importato. Ma la difesa più efficace è quella che si è verificata spontaneamente col diffondersi del nazionalismo economico: la restrizione delle importazioni mediante i contin• gentamenti o addirittura la chiusura dei mercati hanno reso impossibile ogni for• ma di e dumping,, in buona e in mala fede. Dietro quello praticato dal Giappone, vi era - o potrebbe esservi ancora - un disegno politico, un piano di lotta con obbiettivi non puramente economici, com'è pur stato detto? Non lo crediamo, per quanto siano formidabili le energie espansive del popolo giapponese, galvanizzato dalla civiltà europea e dalla fede nella propria missione divina nel mondo, e per quanto questa fede dia luogo, talora, a manifestazioni impressionanti, benché di carattere teorico. In realtà, è vero anche • in Giappone il saggio monito: primum vivere, dtti11de/,hilosoplwri, il che significa che è più urgente mangiare, che conquistare il mondo. Si tratta essenzialmente d'imperialismo commerciale; ora questo imperialismo può si preparare la strada a quello politico, ma, per ora, è piuttosto il secondo a servire da strumento per il primo. Dopo aver conquistato la Corea e nipponizzato la Manciuria, il Giappone dilaga nella Cina del nord e sarebbe disposti-.-.imo a conquistnre , pa• cificamente • am.he: quella del centro e: del sud, non già a scopi di colonizzazione e per alleviare la pressione demografica (in realtà sono relativamente pochissimi i Giapponesi che hanno consentito ad e• migrare), iva per Jrovare materie prime e per monoJfolizzare un immenso e sicuro mercato. L'arma cinese di cui il Giappone sente più profondamente la ferita è il boicottaggio delle sue importazioni, or• ganizzato da anni in molta parte della Cina. B quasi certo che se i Giapponesi avessero completamente a loro disposizione quest'ultima, non penserebbero più a invadere a colpi di , dumping• i mercati di rutti gli altri paesi del mondo. ViceveN.a la necessità di regolare i conti con la Cina, di liberarsi dal boicottaggio, di disporre senza concorrenti del mercato cinese, risolvendo una volta per sempre la crisi economica interna, spiega perché la situazione sia precipitata e la guerra dei soldati abbia preso il posto di quella dei viaggiatori di commercio. Europa ed America, nei territori metropolitani e nelle colonie, hanno sbarrato i confini, e la parola d'ordine, nel campo economico, è • autarchia.-. Chiusi i mercati, contingen~ tate le importazioni, la risorsa del , dumping.- è finita. Bisogna cercare un'altra via di sfogo. Il problema, per il Giappone, è indubbiamente gravissimo. Non si può dire, già l'abbiamo notato, che i suoi esporta• tori vendessero a prezzi del rutto artificiali. li , sotto costo• nipponico era tale soltanto a paragone del , costo.- euro• peo. Questo apparente •dumping.- era reso possibile dai bassissimi costi di produzione. Se i Giapponesi erano riusciti a vendere, in Isvizzera, gli orologi a Pt-fO (36 franchi al chilo), in Olanda le lamp'adine elettriche a 21 centesimi l'una, nelle Indie Olandesi le biciclette a 50 lire, in Italia i filati di seta a 38 lire al chilogramma, e via via, in tutto il mondo, prodotti di tutti i generi con ribassi, nei confronti dei prezzi europei, dal 30 al 60 per cento, non è solo in conseguenza dei provvedimenti finanziari e doganali del loro Governo (forte svalutazione dell'yttt, apertura di crediti, sovvenzioni, dazi protettori, ecc.). Bisogna tener conto del fatto che industria e commercio nipponici sono nelle mani di due specie di enormi trust, rap• presentati da due grandi famiglie storiche che posseggono e controllano i maggiori impianti produttori, con un'organizza. zione che pennette sensibili riduzioni delle spese generali; inoltre del fatto che esiste in Giappone un vastissimo e abilissimo artigianato, il quale produce in economia; e soprattutto del fatto che i sa?ari degli operai giapponesi sono estremamente bassi, che non vigono limitazioni ndla durata del lavoro, e che insomt"'la i pesi imposti dalla lei;!:isk,_zione sociale, cosl sensibili in Europa, non gra• vano sulla produzione nipponìca. Abbi2mo cominciato col , dumping.- e finiamo t·ol Giappone, senza però allontanarci dall'argomento. Ma ci sarebbe un'altra osservazione da fare, cd è che accanto al "I dumping, delle merci può essen•i quello delle idee. Deve naturalmente tratta1si di produzione andante e di idee che valgono poco e perciò si diffondono facilmente. La produzione aristo• cratica non si presta al , dumping•, cosl come vi sono idee e dottrine riservate agli spiriti superiori. Ma quando la Russia sovietica o la Terza Jnternazionale, che è lo stesso, esportano ad uso delle anime semplici di rutto il mondo il ere• do comunista, non si tratta forse di un vero e proprio , dumping• spirituale, per cui certe idee di solidarietà, di giustizia, di sacrificio, vengono soppiantate nel cuore delle masse ingenue e ignoranti da altre assai meno alte e difficili, che solleticano istinti materialistici e sentimenti primitivi? f:: questo il , dumping.- che oggi preoccupa l'Europa civile. Si chiudono più facilmente le barriere davanti alle merci che alle idee. W. CESARl'11 SFORZA NELLA STAZIO}IE di Novara trovai il signor Giacomo Csmagna: scambiammo solo poche paTiOle, poi, mentre il treno arrivava, salutai in fretta il mio conoscente, convinto ch'egli avrebbe proseguito il viag• gio in seconda. Invece, ero da poco en• trato nello scompartimento, quando lo vidi giungere attraverso il corridoio centrale: scortomi, rinnovb il suo saluto e si sedette di fronte a me, senza cercar di giustificare con le solite scuse puerili il fatto di viaggiare in ten:a. Giacomo Camagna è il proprietario del principale magazzino di terraglie e casalinghi della mia città: persona che ha quattrini, conosciutissima anche in provincia. Con lui avevo avuto occasione di parlar poco, ma suo figlio fa parte della mia comitiva, e, spesso, passiamo le sere assieme. ~ un giovanotto sveglio, che la gior• nata resta in negozio col padre, lavorando come un commesso, ma che, appena è libero, sa godersi i suoi soldi: è molto elegante, ha cambiato da qualche mese la , balilla siluro.- con la 1500 e, in quanto a donne, dice che lui non va tanto a cercarle ma che, se gliene capita una, non la manda certo da un altro. Diverso tipo del padre, insomma, che è raramente in giro e che non ho mai visto in auto col figlio, benché vadan molto d'accordo. Chiesi appunto a Camagna dove fosse il mio amico. • Lui è ai laghi con· l'automobile, mi rispose. , Tornerà in negozio fra una settimana. Basta che non si ro• vesci anche stavolta"· Fuori, il paesaggio monotono continuava a passare. Il contadino era sceso. Il negoziante guardava con calma, attraverso i grossi occhiali: la catena d'oro, tesa fra l'occhiello e il taschino della giacca, luccicava discretamente. cTra un'oretta sa• remo arrivati .- disse. Cominciammo a chiacchierare, e gli domandai da quanto tempo avesse il ma• gazzino. • Quarantadue anni • rispose , e non mi son mai mosso dal posto dov'è ancora oggi•· Era facile indovinare la sua carriera: prima commesso, poi proprietario. Il negozio non dev'essere mutato un gran che, immagino: il figlio ha fatto degli sfon:i per adeguarlo ai tempi, per modernizzarlo, ha cambiato le vecchie insegne con delle nuove in vetro nero e lettere cromate, la vetrina è stata rifatta col fondo in legno intarsiato e coi riftet• tori Zeiss, ma il resto credo sia tale e quale. Le vecchie scansie solide e polverose, gremite di pacchi di carta grigia pieni di bicchieri e di scn•izi son rima• ste al loro posto, e Camagna padre ha sempre- il suo ufficio arrangiato in una specie di gabbia con le sbarre a colonnina, in un angolo del locale più vasto, lo stesso ufficio del vecchio proprietario, con la scrivania macchiata e la pressa copialet• tere in stile floreale. Con tutto questo, Giacomo Camagna non si è incaponito nelle sue idee, e, so~ prattutto, non le impone a quelli della fa. miglia: purché il figlio lavori, lo lascia spendere e divertirsi a suo modo, e non si oppone che la moglie e la figlia completino con un decoro di loro gusto quella che esse immaginano sia una , posizione sociale.-. Tornava appunto dall'averle condotte in montagna: era arri• vato con loro, la sera prima, in un grande albergo, e mentrè le due donne, disfatti febbrilmente i bauli, si preparavano per In serata danzante, lui aveva chiamato la cameriera, si era fatto dare due coperte di lana, e aveva dormito tutta la hotte, contento di star lontano per poche ore dal caldo della città. Ora tornava per es• sere in bottega in tempo per il mercato del lunedl: non me lo disse, ma compresi che se viaggiava in terza non era né per avarizia né per compensare in qualche modo le spese fatte, ma special01cnte perché gli sembrava logico che un ,;iaggio corto lo si dovesse fare spendendo poco. Moglie e figlia sarebbero rimaste un mese in albergo. • Poi verrà a prenderle Anto• nio con l'automobile• disse, , io non ho voglia di tornare fin lassù .-. Gli chiesi se non intendeva prendersi anche lui un po' di vacanza. , Certo• mi rispose,, più in là andrò a Fiuggi•· Aveva provato anche la-cura Arnaldi ad Uscio, ma ora preferiva Fiuggi, dove ormai aveva degli amici, appassionati bocciofili. , C'è il caso possa conoscere Badoglio• disse con soddisfazione. Si accorse che sorridevo e lo attribui al fatto che non avessi stima delle acque tennali: facevo male, osservò, quelle cure eran tutta salute. Parlava come se avesse la più serena fiducia nelle sue idee terapeutiche e, chiacchierando, mi accorsi che la pensava in tal modo di tutte le cose per le quali aveva simpatia o, per lo meno, rispetto. Parlando della campagna, delle ferrovie, del teatro lirico, persino, in un fugacissi• mo accenno, d'arte, dimostrò un senso di rispetto e di ammirazione specie per ciò che {lo ammetteva) non gli era dato di conoscere che di nome: un linguaggio molto diverso dal tono di ironia mondana del figlio, o dalla guardinga disinvolrura della moglie. In fondo i suoi cran luoghi comuni, la sua non era che la ripetizione dei soliti discorsi, ma lo faceva con tanta innocente convinzione da riuscire simpatico. Era un borghese, insomma, il tipico esemplare di una borghesia rispet• tosa ed educata, conservatrice e candida, trincerata fra i suoi proverbi e destinata a sparire. Nella sua stessa casa, Camagna deve veder giorno per giorno tramontare la sua generazione: i figli vorrebbero forse in lui un padre elegante, sportivo e spre• giudicato come si vedono nei film americani. Ma egli, che sa di non poterli accontentare, continua a vivere a suo modo, nel suo vecchio ufficio, come ha visto vivere il suo antico principale. MASSIMO ALl3ERINI CAMPIONDE 1 ITALIA·~ LAGO DI LUGANO (PP.OV.DI COMO) 26 SETTEMBRXEV GRANCDOERSAUTOMOBILIST . i.~!!!!11-,;'"' ITO DEL MONDO Jf /a.CUVJ da.& ~ Un nnovissimo romanzodi CAROLA PROSPERI AMANTNI EL LABIRINTO È una delle più vigorose manifestazioni dell'arte della feconda sorittrice. 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