IL SOFM' DELLE mu&E DESANCTIS LE RACCOLTE parziali di lettere o si giustificano con l'eucrc un provvisorio saggio epistolare, o servono per definire un particolare momento d'una biografia. Le < Lettere dall'Esilio> edite da Latcna e curate da Benedetto Croce hanno il pregio di c11crc ordinate in modo che ne salti Cuori un particolare ritratto di Francesco Dc Sanctis, ~e Sanctis va esule in Svizzera, appena uscito dal carcere napolctal\Q; e, ritrova- ::'! :,;~;::: ~na ~:/:;f a:~~tcr:~c~~a!:~ Scrive ad amici per conwlani: a Angelo C~millo Dc Mcis soprattutto, che era stato pnma 1uo 1eolaro a Napoli, poi suo compagno d'c1ilio nel breve soggiorno torinese. Gli altri corrispondenti sono Diomede Marvasi, Benrando Spaventa, Pasquale Vii• l:.1ri, Giuseppe Montanclli, le scolare di Torino e qualche altro. Tutta gente cara cui si scrive non sohanto per comunicare avvenimenti; anzi per ragionare e discutere. Dc Sanctis non è tuttavia un importante scrittore di lettere. Scrivere agli amici è ravvivare ricordi, sfogarsi secondo la variabilità dell'umore. E sl che quelli furono anni non vani per lui. Ma è che si maturava qua.si inconsapevole. Scriveva ad un amico: < Hcgel mi ha fatto un gran bene: ma insieme un gran male. Mi ha seccato l'anima. Almeno me la prendo con lui! Ho letto giorni fa una pagina di Quinet. Dice delle corbellerie; ma le dice tanto bene! >. Eppure i suoi nudi seguono una strada diritta: te: la prende con Hegcl, poi di sfuggita onerva: < Almeno mc la prendo con lui >; che è una nota lievissima bastante a dimostrare qual era al di là del variabile umore la coscienza di De Sanctis. Legge Quinct e si diverte; ma sa che sono corbellerie. De Sanctis scrive ai suoi amici un suo diario non intimo. Si permette degli sfoghi, accenna al variare del 1uo animo, ma non scopre mai l'animo suo, per un con· tinuo pudore. A Zurigo non ci si trovava bene, e lui, meridiona.lc, in casa del signor Bcrt è veramente in pena. Ci si mangia male, e si lamenta; come potrebbe !are un ragazzo ute.ito di ca.sa. Con grande viva• cità sa mettere in risalto il ridicolo delle persone. Cominciò a Torino, descrivendo l'Elettore e l'Elettrice, due magistrati che dovevano decidere 11.11 suo soggiorno; e a Zurigo continua col padrone di casa e coi colleghi. Si lamenta per la vita familiare: < ... il pasto in casa Bcrt è principesco, rispetto al pasto di questi bravi svineri. Il padrone di casa tiene presso di sé il pane e ne distribuisce una feuolina >. Ma il padrone di casa oltre che affamare annoia: legge Molesc.hott, prende appunti, si dà arie di studioso. De Sanctis pare e~urini nella sua vivacità giovan.ile; ma c'è da prendere abbagli. Il suo era un temperamento che proprio per l'intima vivacità aveva apparcnic te.oncertanti. Pareva un uomo di buon senso, un po' melanconico e variabile, e sotto c'era una ferma coscicnu. Il suo candore è tutto nel capitolo dc• dicato alle corrispondenze con le scolare. Virginia, Lia, Giacinta, Grazia, Eleonora, Teresa, gli ,c.rivono, e lui si lamenta quand'cuc sembrano dimenticarlo, C'è molta ingenuità nei suoi rapporti con es.se, e l'editore a maliiia ha curato un capitolo a parte. Sono scolare capricciose e sentimentali. Lia s'innamora del .uo maestro di musica, e Giacinta lo scrive al professore. Ma va a fi. nire che è Dc Sanctis a innamorarsi. Clic.ne era rimasta una nel cuore; poi la vita solitaria: di Zurigo gli mette in moto l'immaginazione. Secondo la moralità del sceolo, il matrimonio era un negozio ponderabile: un secolo di ccc.essi sentimentali aveva gente capace di guidare i suoi sentimenti ; men• tre oggi, che di sentimento c'è pochissimo sl)reco, le tene si accendono in modo che l'amore confina con la follla, Ma cib non riguarda De Sanctis. Lui si innamora ve• ramcntc di Teresa De Amicis, che aveva conosciuta scolara a Torino, e incarica De ~ieis per i primi approcci. Dc Mcis forse fu un confidente troppo giovane, che se da una parte voleva il bene del pr<r !cuore, dall'altra non poteva rare a meno di e.tscrc crudo e sbrigativo. Prima tenta. Parla lui a Teresa: < Vedete bene che il professore vi ama molto >. E Teresa: < L'amo io pure, ma come un padre #. Teresa sa schermini anche se Dc Mcis scriveva al professore di non volerla disturbare tanto, parcndogH < un'anima tenera, vergine, infantile >, Ma alla fine <."tn cru· detta Dc Meis dà la notizia: Teresa non ne vuole sapere; poi seguono prccisaiioni: Teresa sfoggia eleganze, frequenta ritrovi, legge i romanzi di Paul Dt Kock. Ha ahro da fare che pensare a un professore di lettere; alla fine, sposerà il conte di Barbavcra. Dc Sanctis non era scrittore da aver fortuna con le signore. Lo tratteneva una sua genuina riscrvateua; la. sua galanteria, in• fine, era di quella misurata che gli uomini poco awcni ai rapporti mondani hanno con le donne. La stessa sua amicizia con Matilde Wcscndonck ha poc6 di romantico: Dc Sanctis non aveva il segreto del JUCCeSJOmondano e otteneva appena qual• cosa di più della stima. Non aveva ciò che lui aborriva in Wagncr, come ebbe a dire quando, per mczw di Matilde, si incontrò con lui. Era uno studioso, che viveva un pochino da artis.a, anzi dirci da dilettante. Ma sono le solite apparcnz.c della sua singolarissima vita. Ogni tanto si lamenta, teme di encre abbandonato dagli amici più cari, e sono come smarrimenti; illusioni di smarrimenti. In fondo non sapeva smarrini, cd è per ciò che non affidava. alle lettere che molto poco di sé. Chi le legge si diverte per i fatti che rievo-- cano tempi lontani; sorride, comparando le sue cure di allora, con quelle pili gravi che gli serbava la sorte. Dc Sanctis a Zu. rigo pare che attenda qualcosa di là da venire. Ma era il suo destino di apparire sempre cosl. Apparteneva a quella 1ingo-- lare razza di scrittori che non rivelano niente di eccezionale fino al giorno in cui non dànno una pagina dalla quale sono lontaniuimi i casi minuti della loro vita. ARRIGO BENEOE'ITI &.pbud.1 • 11mogli• 1 l'irnu, appna dopo 11 ncuo SULLA scrivania della signora, sono allineati cinque pezzi gialli di matita, accuratamente appuntiti e di eguale grandezza. Cura meticolosa, retaggio di lunghi anni di insegnamento. A portata di mano il telefono, ultimo mezzo di collegamento con amici e conoscenti, e un apparecchio radio. Alla parete un ritratto in cornice di Giovanni Verga, uno della Contessa Lara, bionda e avvolta in veli neri : il passato, ricordi graditi, ricordi molesti. La si~nora Giselda Rapisardi, nata Fojancs1, abita a Milano in un picco• lo appartamento del quartiere Mon• forte, sopra un viale alberato. Ir, un florilegio di elette donne italiane del secolo scorso, pubblic..1.toverso il 18901 abbiamo letto sotto il suo nome : e ... scrittrice fiorentina maritata al celebrato poeta Mario Rapisardi di Catania. t collaboratrice e corrispondente di vari giornali politici e letterari, certo della Gaa.etta Piemontese cliret• ta da Bersezio, ed ha pubblicato varie novelle e racconti lodati dalla stampa: Cose ehe suecedono~ Maria, e un volume di novelle. Scrive con un certo buon gusto ed è donna di molto spirito e di singolare bellezza ». A ottantasei anni la signora. conscr• va molte di queste virtù. e Ma non è esatto che abbia collaborato alla Ga4,,eettaPiemontese», mi dice. e Scrissi sul Fonfulla, sul Colf aro, sul Fracassa e sul Don Chisciotte. Dopo la morte di Rapi.sardi pubblicai ancora un volume di novelle intitolato In Toscana e in Sicilia». Quando la signora Rapisardi parla, nella calda e ~orrevole pronuncia to• scana che gli anni catanesi e le peregrinazioni susseguenti in tutta Italia non poterono alterare, traspare il suo temperamento vivace, morso da una punta d'ironia. Sorprende la giustezza lucida e attuale dei suoi giudizi. Cara signora Giselda! A diciotto anni in casa Dall'Ongaro, a Firenze, aveva conosciuto Giovanni Verga e le era subito piaciuto. In quei giorni le fu offerto un posto d'insegnante in un collegio di signorine, a Catania, e con l'entusiasmo dell'età, forse con un sogno segreto, partì ac• compagnata dalla madre. Verga tor• nava anche lui nella sua città, e così fecero insieme il via~io. Poi il destino s'incaricò d'imbrogliare la matassa: A Catania, lo .ste~ Giovanni Verga presentò Rapisardi a Giselda Fojanesi. 11 poeta, alto, sparuto, coi grandi OC• chi un poco allucinati e i capelli lunghi sul collo, era, a ventiquattro anni, già circondato dall'aura di gloria fabbricatagli soprattutto dai concittadini. Il primo poema, La Palingenesi, gli 'aveva valso grandi onoran7,e1 ricevi• menti in municipio, meda~lia d'oro, e l'appellativo di e vate catanese». Non piacque, sul momento, alla giovane Giselda pronta piuttosto a cogliere il ridicolo di certi atteggiamenti, ma la poesia e la suggestione di tutta la città e le esagerate manifestazioni d'amore del focoso siciliano, la resero a un tratto titubante, poi consenziente, finchf nel febbraio del 1872 ella fece il suo ingresso in casa Rapisardi, ricevuta del resto con estrema freddezza dai familiari. Era un lunedì, e la suocera, con infinito tatto e senso di opportunità, enunciò un proverbio siciliano in cui è detto çhe ogni matrimonio di lunedl è destinato ai maggiori disastri. Proprio in quei giorni Mario Rapisa.rdi era stato nominato professore all'Università di Catania, e per quanto la cosa sarebbe comunque accaduta, certo lo stimolo decisivo era venuto da Firenze, ove i numerosi amici della fa. miglia Fojanesi si erano adoperati a sollecitare l'evento. Bisogna pensare che il poeta non aveva nessun titolo di studi. S'iniziò in tal modo la vita coniugale di Gi1elda col poeta irrequieto e malato di petto, di cui fu infenniera e segretaria a un tempo. Vivevano sotto l'imperio della suocera autoritaria e volgare, insieme alla sorella di Rapisardi, sposata anch'essa. Come succede nei chiusi ambienti delle case meridio• nali, ogni piccola questione prendeva proporzioni gigantesche, ogni parola veniva vagliata, ogni gesto giudicato. Il signor genero, essendo addetto alla spesa quotidiana, ebbe qu:ilche attenzio~e di ordine, diciamo così, gastronomico per Giselda: le piacevano i calamaretti, lo disse, ed egli qualche volta li inserì nel menu. Questo bastò per scatenare una gelosia quanto mai assurda nel petto robusto della sorella Rapisardi. Disse a cavola in un trasporto d'ira : e Se vedo ancora i calamaretti, li faccio volare dalla fi. nestra! ». E calarnaretti non ne mangiarono più. D'altra parte, il grande amore di Mario Rapi.sardi per Giselda, il grande amore che non gli aveva dato pace finché 0011 l'aveva ottenuta in sposa, decadde ed egli cessò d.i dedicarle le sue poesie. A dire il vero, già nel pe• riodo di fidanzamento aveva scritto un sonetto il cui oggetto era una fan• ciulla che si era recata con lui nei prati in cerca di lucciole. Giselda sapeva bene di non aver mai partecipato a una simile impresa, ma nella sua mente di e'iovane romantica aveva pensato a una trasposizione poetica. Più tardi seppe a chi la poesia era dedicata. Fu durante t'cstate del 1875, trascor~ sa a Firenze, che Rapisardi conobbe la Contessa Lara, già nota negli ambienti letterari e mondani, come scrittrice e bellissima donna dal passato tumultuoso e dal presente ognor più < fatale». Jn realtà era una creatura debole e sola. Non è vero che divenisse l'amante del poeta catanese e, come si di,se, la.causa dei dissensi fra i coniugi Rapisardi, poi della loro se• parazione. Fu per loro una tenerissima amica, ricambiata dall'affetto generoso di Giselda; certo non mancò di trarre profitto dall'innamoramento improvviso, eccessivo e ostinato di Rapi.sardi, facendo per mezzo suo accettare le sue poesie a vari giornali. ottenendone presentazioni a persone importanti e perfino dandogli i suoi Gnppo di f1mJgl11,Al centro 11 1ipor1 Gll.tda, b. plodl Il Potta manoscritti perché li correggesse; ma i loro rapporti non oltrepassarono questi limiti. Dopo la separazione dei Rapisardi vi fu qualcosa di più con• creto, ma anche di breviMima durata. Ma prima di ciò, i rapporti fra Giselda e Rapisardi avevano avuto già mille ragioni per tendersi sempre più. La gelosia di lui, senza cause, né peraltro giustificata da un sentimento di amore, i tradimenti e le passioni frequenti per questa o quella, pesavano sulla giovinezza intelligente e leale della mo~die, finché dopo la pubblicazione del Lucifero, scatenatasi la famosa polemica Carducci-Rapi~ardi, egli la considerò quasi una nemica. Già gli aveva manifestata la sua disapprovazione durante la composizione del poema. Assisteva alle conversazioni di lui con gli amici, ove si fa. cevano le più matte risate sulle allu• sioni ai personaggi più noti della letteratura del tempo contenute nel Luci/ero, e quando il libro fu pubblicato, e Rapi.sardi ebbe l'impudenza di spedirne a Carducci un esemplare in omaggio, e quando alla lettera di questi che, dei versi che lo riguardavano, gli chiedeva ragione, il poeta siciliano ri!.rX>sefacendo il nesci, sca. gionandosi d:t qualunque accusa, essa non mancò di rinfacciargli la mala fede. Allora Rapisardi incominciò ad accusarla di essere d'accordo con i suoi nemici, e dì averli informati uno per ~no delle su.e,intenzioni aggressive. La hte che agno per qualche tempo il mondo letterario italiano ebbe tristi riflessi sulla vita coniugale del e vate»; E se, indegna di mc, fia che mi volga La sposa infida e la ru prole il tergo Solo starò, come solingo sasso. La verità è che al buon gusto e alla sincerità di Giselda ripugnavano i termini e gli scopi di questa polemica. Stimava Carducci e sapeva le manchevolezze poetiche e civili del marito. Ma la debole voce femminile nulla poté, scagliati che furono uno contro l'altro quei due leoni dal ruggito di• verso, aizzati dagli amici e discepoli. Rapisardi aveva scritto d.i Carducci, nel famoso ca.nto undecin10 del Lu~ ci/ero: Idrofobo cantor, vate da lupi, Che di fiele briaco e di lito, ccc. « Non si conoscevano neppure », sospira la signora. e Un giorno ero con Rapisardi a Firenze, quando in Borgo Ognissanti gli indicai Carducci che passava in carrozza, in compagnia di una mia conoscente. Penso che nello stesso momento la mia amica gli ,vrà indicato mio marito. e I tentativi per farli riconciliare furono S<'mpre vani. La prima volta il professor Pasquale Papa invitò Rapisardi a tenere una lettura dantesca in Orsammichele, a Firenze, dove si sarebbe trovato il modo di farlo incontrare con Carducci. Poi il professor Pullé dell'Università di Bologna, in occasione dei festeggiamenti a Carducci, volle ritenta.re e invitò mio marito a man• dare un suo scritto qualsiasi, che naturalmente sarebbe bastato allo scopo. Tutto andò sempre a urtarsi contro l'ostinazione dei due. Le voci però un giorno finirono. co~ l'acquetarsi, ma fu per una specie d1 stanchezza ». Intanto i dissensi coniugali si erano fortemente inaspriti, finché sconfinarono nell'incompatibilità assoluta. Una lettera di Giovanni Verga, intercettata, fomi a Rapisardi la migliore occasione per rompere la vita in comune. < Non vidi il contenuto di quella lettera, e del resto mi mancò il tem~ P? per qualunque ~ppello. 1:,o stesso giorno, dopo avenm messe m mano trecento lire, mi spinse fuori di casa. Mentre ero ancora :sulla rrta ebbe U\1 momento di pcrplcssit , forse di pentimento, mi afferrò il braccio qua• si a volermi riprendere; ma s'interpose mia suocera : " Lasciala andare, lasciala andare, la vedrai ritornare fra qualche giorno! " ». e Invece non misi più piede a Catania, non ebbi più notizie di mio marito, né ebbi mai da lui alcun sussidio. Giunta a Firenze con pochissimo danaro, ripresi a vivere con mia madre, diedi delle lezioni, poi presentando una tesi sulle poetesse italiane del Rinascimento conseguii il titolo di professoressa in lettere. Ho insegnato in molte città italiane, sono divenuta ispettrice, e infine ho presa la pensione. Avevo molta passione e gusto per la letteratura, ma durante la mia avventura matrimoniale dovetti trascurarla, assorbita dalle cure a Rapisardi e dalla strettissima collaborazione al suo lavoro, e anche perché egli mi aveva scoraggiata in tutti i modi. Il giorno in cui mandai la mia prima novella a un giornale di Na• poli mi diede della sfacciata. Eppure, poco dopo, la novella incriminata veniva stampata e lodata da tutti. A un certo momento però dovetti io stessa rinunciarvi, messa di fronte a necessità materiali ben più M"SiJlanù•· « E Giovanni Verga?» le chiedo. e Rimase a Catania per otto giorni a disposizione di Rapisardi, ma questi non si fece vivo, prendendo il SO· lito atteggiamento sdegnoso, e non tardand◊ del resto a consolarsi della mia assenza con le avventure e le relazioni amorose che tutti sanno. Amelia Sobcrnich-Poniatowsky, venuta da Firenze a Catania per sostituirmi in qualità di segretaria, amplificò presto le sue mansioni e rimase con lui fino alla sua morte. < Fui presentata a Carducci, a Firen• ze, molti anni dopo. Ma udendo il mio nome, contrariamente a quanto temevo, non chiese, né fece commenti. L'indomani nel tram di Fiesole discorremmo ancora a lungo, ma di tutt'altre cose. « Al momento della separazione da mio marito, ebbi naturalmente contro di me tutto il partito isolano, e mi si accusò di aver tradito Mariu Rapi. sadda, di aver avvdenato per lunghi anni la sua esistenza. In conseguenza tutte le biografie del poeta dcdican~ sempre alcune righe alle sue disgrazie coniugali. Cosi si scrive la storia». e Che fece poi, Giovanni Ver$"a? >. « Non bisogna parlarne::., mi nspon• de dolcemente. L~ signora Rapisardi nata Fojanesi sornde al suo segreto e con le dita tormenta il bottone della radio: tanto tempo è passato da allora, e l'amore degli uomini di lettere rimane fra le pagine dei libri, schiacciato come un fiore. L'addetto nlle schede ( CORRIERCEÈCO) ffiil(g ®illffi® DI VRCHLICKY I N QUESTI giorni Praga e la Cecoslovacchia celebrano con grande solen• nità e profonda devozione il vcnticin• qucsimo annivcrurio della morte del pi~ grande poeta di lingua cèca, Jarotlav Vrchlicky, morto il 9 settembre 1912 e se• poho nel sacrario della nazione, a Vyschrad 1 sulla mitica collina degli antichi re di Boemia, che 10vra1ta la città e si 1pecchia nelle acque della Moldava. I più grandi ingegni p'rodotti dalle let• tcraturc minori nella tradizione nazionale assumono quasi sempre un rilievo cecciio• nale, raro nelle civiltà letterarie pi~ ma• ture cd antiche, e la figura di Vrchlicky è l'incarnazione più integrale e perfetta di questa regola. In genere la loro vocarione è quella del canto spiegato, e la loro pri• ma dote è la fecondità: e Vn::hlicky cantò e crcb con un'abbondanza e una vena ra• pinosa, che all'infuori di Victor Hugo non trovano altri esempi nell'Onoc.ento curo• peo. Un'altra norma complementare delle letterature arrivate in ritardo è quella cli suscitare all'improvviso dal loro seno 11pi di creatori che riassumono, traducendo, imitando e rifacendo, le esperienze degli altri secoli e delle altre letterature: cd anche in questa speciale missione Vrchlicky è un esempio più unico che raro. Emilio Frida era il suo vero nome: e il duplice pseudonimo suona come < gloria chiara > e e uomo delle cime >. Egli nacque nel '53 in una cittadina di provincia, e 1tudiò lettere a Praga. Come per Goethe, il viaggio in Italia rappresentò una vera svolta nella sua arte e nella aua vita, an• che se venne nel.nostro paese in una forma rara e curiosa, sotto le vesti di precettore in una nobile famiglia. Ed è dall'Italia e dalla latinità ch'egli doveva trarre, in terra slava ed inAuen:u.ta dalla cultura germanica, il più e il meglio della sua ispirazione. L'oocra sua, immensa e variopinta, gli valse presto il successo e la fama: dap• prima diventò profeuorc di letterature comparate all'Univenità cèca di Praga, poi Francesco Giuseppe in persona volle nominarlo senatore alla Camera Alta di Vienna. Gli ultimi quattro anni di vita fu. rono come un sonno o un delirio, perch~ l'eccesso di lavoro aveva stroncato la fibra di colui che fu indubbiamente il più prolifico di tutti gli scrittori del secolo scono. I suoi meriti furono grandi in ogni campo, a cominciare da quello di te.opritorc spi• rituale, di cercatore di nuove vie. Per primo egli liberò la poesia cèca dal patriot• tismo tendenzioso e di maniera, e dal romanticismo religioso e pietistico : nel re• gno della lingua e della forma fu il 1usc.i1atore di un'incomparabile magia verbale. Non ci fu genere ch'egli lasciasse inten• tato: gareggiò, 1uperandola in mole nei suoi Frammenti P'Epopea, con la Ugdldl dei SiJcles vic.torughiana; emulò i roman• tici polacchi nella poe,ia mistica e visionaiia; fece vibrare tutte le corde della li• rica, in cui il suo primo cd ultimo eU:m• pio furon due poeti italiani, Leopardi e Carducci. Volle provarsi anche nel teatro e nel dramma, come pure nel genere cri• tico, dove vale la pena di citare un suo grosso libro sul poeta di Recanati. Ma U: l'insieme della sua opera originale raggiunge la bella cifra di cento volumi, quella di traduttore la supera in mole, im• portanu e varietà: e in que..1tocampo il primato va dato senz'altro alle fatiche spese per volgere in cèco i capolavori della nostra letteratura. Egli tradusse infatti qu:ui tutto Dante (la Divina Commtdia, la Vita J,luoVa e il Can:oni,re), tutto Petrarca lirico e i due grandi poemi dcli' Ariosto e del Tasso. A ciò va aggiunta una vasta antologia poetica di tutti i nostri Sècoli, in due volumi, e krandi scelte di Leopardi e di Carducci. Quest'ultimo era il suo poeta d'elezione: e alla fine del1a sua vita ebbe a dire che la poesia e la cultura europea di quel secolo non contavano un solo nome grande come quello dell'autore delle Odi Barbar,. Dal francese tradusse Victor Hugo,' Lccontc dc Liste (altra sua grande passione) e Baude!airc: dallo spagnolo il Romançero e Caldcr6n, dal portoghese i Lu- ~iadi di Camoens, dall'inglese i grandi li• rici dell'Ottocento, dal tedesco il Faust e dal polacco gli Avi di Mickiewicz. Come se non bastasse, collaborò perfino con dei linguisti e degli eruditi per tradurre i poeti • esotici cd orientali. Può U:mbrarc che i gusti dominanti ai nostri giorni, che assumono in Cecoslovac• chia una forma di modernismo tendenzioso ed esacerbato, siano tali da provocare il tramonto d'una gloria come questa, fatta d'esuberante \'trbalità,, di titanismo eccessivo, di faciloneria ottocentesca: e in rcaltl la fama di Vrchlicky conosce ai nostri giorni qualche ombra. Ma quello chr. il suo astro ignorerà sempre sono le t'clissi, per• ché la luce ch'e»o di.Tonde sulla letteratura e dal genio della latinità, che, grazie e vasta. E forse il suo merito pili grande consiste nell'aver brillato d'una luce ri• flessa, quella emanata dalla nostra letteratura e dal genio della latinità, che, grazie alla sua mediazione, poterono trionfare in un paese d'Europa con uno splendore raro nel secolo scorso. R. P. "OMNll!,UB" ha aperto a t.u\.U 1 11101 let.t.ori un Concono permanente per 1& na.rras1011e 41 U.ll fat.to qual11ut, N&lment.e accaduto a ehi scrive. Queato ta1llando è da tncoll&n 1n111. busta. del dat.t.Uoacrlt.t.1 che "Yengono 1nT1at.1. CONCORSO PEIM.lNENTE Alla. Direzione di I !.!!!!!SI ROMA!
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