IL SOFM DELLE musE Ill1 rP&unn~ IliPINOCCHIO Oollodi, settembre, N EL giardino di Collodi si sve• gliano le civette. Tra lusco e brusco, Giovanni il custode si avvicina a noi con passi d'as• sassino, ci susurra all'orecchio: e Ho trovato! L'ingegnere Frateschi è U:l.to più che un amico per Carlo Lorenzini : un fratello. L'ho fatto chiamare. Eccolo che ci viene incontro>. Dal fondo di un vicolo, un'ombra pesante viene avanti a passi di lumaca. e t sordo >, ci avverte il custode. No: l'amico di Lorenzini è anche cieco. Ci porge un guantone rugoso che è la sua mano. Gli occhi velati di bi;;mco guardano in alto, a cercare Dio nel cielo. Sotto l'orbita destra la pelle precipita sulla guancia, e all'altezza della narice si raccoglie in una goccia nera. Entriamo nello studio dell'ingegnere. La luce giallastra della lampadina ri- \'ela una confusione tra l'alchimista e il rigattiere. Dalla parete in penombra, Margherita di Savoia sorride fra le perle. Frateschi siede davanti alla scrivania Come un masso. Da una cartella polverosa, le sue dita a zampa di tacchino tirano su delicatamente dei foglietti. Il custode si china sull'orecchio enorme del sordo, fa conca con le mani, gli scaraventa dentro una colonna sonora: e Raccontj a questi signori quello che lei sa del Carlo Lorenzini >. Frateschi lascia cadere il foglietto, guarda il soffitto con gli occhi squagliati, la sua voce a ruderi sonori si sparge nel silenzio. Figlio di due padri Il marchese Ginori e il marchese Garzoni erano stretti di amicizia vivissima. Tra Doccia, residenza dei Ginori, e Collodi residenza dei Garzoni, essi e loro famiglie ripetevano spesso quella figura delle quadriglie, che consiste a dividersi in due gruppi, a muovere gli uni verso gli altri, ad attraversarsi e a ricominciare la stessa manovra in senso inverso. Il marchese Garzoni aveva un cuoco: Dorrien.ico Lorenzini; il marchese Ginori un gastaldo, Onali, il quale a sua volta aveva una figlia: Angiolina. Un giorno Domenico e Angiolina s'incontrarono nel giardino di Collodi, e il cuoco s'infiammò come una omeletta al rum. Quantunque cuoco, Domenico non mise Angiolina in çucina, come vuole la canzone, ma la fece sua davanti a Dio e davanti agli uomini, e senza por tempo in mezzo ini2iò con lei quella dolce collabora.tione, che a conclusione dell'opera aveva dato dodici figli tra maschi. e femmine. Degli undici non mette conto parlare, come di gente passata senza lasciare tracce : ma il primo vuol essere ricordato : quel Carlo Lorenzini detto Collodi, il quale figli non lasciò nati dalla sua carne, ma uno ne lasciò nato dal suo spirito, e immortale : il burattino Pinocchio. Perché, su origine così tersa, è caduto il veleno della calunnia? Il fatto si è che al piccolo Carlo non fece da padre Domenico Lorenzini, ma il marchese Ginori e il marchese Garzoni. E poiché l'amore di un padre, e a maggior ragione di due, tende ad avvicinare i figlioli a Dio, il piccolo Carlo fu messo in Seminario a Colle Valdelsa. La censura sul diva~o Tre anni dopo Carlino torna a Firenze, butta la tonachetta alle ortiche, si dà anima e corpo a gran partite di tamburello in piazza dell'Indipendenza. Di sera, dentro i portoncinj ospitali di via Taddea, s'incontra con coetanee comoiacenti. Sbocciava in lui il ribelle di· domani, e assieme l'uomo che, sui divani della prefettura dj Firenze, doveva far provare a tante illustri rappresentanti del!' arte drammatica italiana gli spasimi e le dolcezze dell'amore. Poiché di teologia Carlo non ne voleva sapere, i genitori lo misero agli Scolopi, dove continuò a studiare retorica e filosofia. A 18 anni andò commesso alla libreria Ajazzi, conobbe i principi delle lettere, D' Alberti, Ferdinando Martini, Jouaud che firmava ._:Giotti ». Un prete ellenista, Zipoli, presso il quale abitò per alcuni anni, gli mobiliò la testa di cognizioni. Ma che valgono le cognizioni quando la patria soffre? A diciott'anni Carlo Lorenzini risponde all'appello della studen,~ca toscana e, arruolatosi nella legione Leonida Giovanetti, combatte da Icone a Montanara. Può chi allo squillo della tromba è andato all'assalto, tornare alla vita del commesso di libreria? Di ritorno dalla campagna infelice ma gloriosa, Carlo Lorenzini entrò in prefettura come censore teatrale. e L'àmbiente crea il tipo >, insegna una teoria darviniana, oggi ribadita da biologi di grido. LoCa.rio Lor10.Jiitl dnto Oollodl renzini, che non si era mai sognato di scrivere commedie, nell'ufficio della censura teatrale ne scrisse tre: L'onore del marito, Lll coscienia dell'impiego, Gli amici di casa, le quali malgrado il successo enorme che le salutò al loro esordio alla ribalta, sono scomparse di .poi senza lasciare traccia. Quanto alle sue mansioni di censore, Lorenzini le praticava meno sui copioni che sulle attrici destinate a rappresentarli; e sul divano di tela cerata che mobiliava il suo ufficio a palazzo Martelli, e onde attraverso larghe fenditure sboccavano gl'intestini di crine vegetale, non c'era neo, incrinatura o segno caratteristico di quelle drammatiche rotondità, che, al cospetto degli attj archiviati e delle pratiche da evadere, sfuggissero all'occhio attentissimo di Lorenzini censore. Preso amore alle lettere, Lorenzini cominciò a collaborare all'Opinione, al Naiionale, al Fa,l/ttlla. Trovò modo di farsi pensionare dalla prefettura e impiantò un giornale proprio, Il Lampione, repubblicano e mazziniano. Interruppe Il Lampione per arruolarsi v?lontario nel Cavalleria Novara, e undici anni dopo, nel 'Go, ripreso Il Lampione, cominciò l'articolo di fondo così : e RipiglianJo il filo del discorso interrotto dalle voci alte e fioche della Reazione ... >. Fondò Lo Scaramuccia, giornale teatrale. Ottimo cuoço e figlio di suo padre, imbandiva cene luculliane in casa sua, s'ubriacava con gli amici, particolarmente con un altro celebre fiaschettaro: Giuseppe Rigutini. Questi, assieme col libraio Paggi, indussero Collodi, che si credeva desti~ato alla polemica giornalistica, a scrivere per i ragazzi. Tra gli amici, ce ne sono che sono falsi. Uno di noi domanda: e E quella storia che si racconta, del Pinocchio scritto in una notte per pagare un debito di gioco? >. e Fandonie!> risponde la voce ca~ vemosa di Frateschi. e Lorenzini cominciò a pubblicare il Pinocchio a puntate, nel Giornale dei Bambini, editò dal Perino e diretto da Ferdinando Martini >. Un pazzo Lorenzini era musicista finissimo, leggeva a prima vista ch'era una rneravi• glia. La musica nessuno sa dove l'aves• se imparata né quando, ma sta di faito che la conosceva in ogni sua sfumatura e modulazione. Nel quartierino in cui Lorenzini confondeva i culti fraterni di Venere e di Bacco, un piccolo pianoforte, nero e collocato di sghembo, riempiva di sé un angolo del salotto. Popolavano il coperchio, sul quale le foglie piovevano mestamente di un asparagus sterilizzato, fotografie di primedonne dalle capigliature a vascello, dal petto a pallone e con la dedica vergata in diagonale. Là, nell'attesa dell'amante che fra poco sarebbe entrata fremente di frufrù e quale piovra gli avrebbe avvinghiate le braccia intorno al solino inamidato, il padre di Pinocchio, l'occhio revulso, il baffo irrorato di saliva che sgorgava assieme col canto, si abbandonava a lunghe improvvi!lazioni arpeggiate che si spandevano fra i turcacci che fumavano il narghilé 'iUi L1ppeti, e le poltrone tracagnotce disposte intorno al tavolino tondo, come madame riunite a giocare a quadrigliato. Poteva un intenditore eo5Ì fine, al cui giudizio tutta Firenze era sospesa, mancare alla prima della Caualleria rusticana a Livorno? Dopo la fine trionfale dello spettacolo, il cielo aprì le sue cateratte. Lorenzini tornò a Firenze ìn mezio ai tuoni e alle saette. Gli amici lo aspettavano in stazione, entrarono tutti assieme da Doncy. e Be', che t'è sembrato? P. veramente quel gran capolavoro che dicono a Roma?». e C'è della stoffa >, rispose Collodi, e ,na è un pauo. Figuratevi che a principio dell'opera, il tenore canta la sua romanza a s.ipario chiuso!>. Prima del cinquantanove, Lorenzini vestiva come gli affiliati alla Giovine Italia: grande solino arrovesciato, cravatta nera svolazzante, panciotto mezzo sbottonato, calzoni larghi sui fianchi alla francese e accollati al ponte del pied~. Di poi, la foggia del vestire la ricalcò su quella del direttore del circo ove Pinocchio fu messo a e lavorare~ quando si trovò trasformato in ciuchi.- no. I suoi completi, irrimutabilmcnte marroni, variavano soltanto nei disegni, dai rigoni ai quadrelloni. Eleganza Il pomeriggio lo consumava al caffè Falchetto, di fronte all'attuale Bottegon<', al e canto dei lavoratori >, ove si riunivano i ~iù celebri sfaccendati di Firenze. Là, in compagnia di Pier Coccoluto Ferrigni detto Yorick e di altri capiscarichi, Carlo Lorenzini beveva a sorsetti l'assenzio e tagliava i panni addosso ai passanti, a imitazione di quei cinici dell'antica Atene, che erano chiamati e sali » perché i loro commenti erano salati. D'ir.verno portava il tubino di feltro, d'estate il tubino di paglia. Lo portava sulle ventitrè, calato sugli occhi, ributtato sulla nuca. Il tubino era un quinto arto nella persona di Lorenzini. Lo teneva anche a letto. Come molti uomini grandi, anche Lorenzini ebbe un vero culto per la propria madre. Non andava a letto se prima non aveva ricevuta la benedizione dalle mani di lei. La mamma per parte sua non si addormentava, se prima non aveva sentito rincasare il suo Carlino. Ma perché CarJino tardava a rincasare? La benedizione Carlino era bevitore e giocatore. Le partite a terziglio si prolungavano tardi nella notte al casino Borghese di via Ghibellina. I campanili battevano tre rintocchi, quando, dal letto a baldacchino ove se ne stava in angustia e con l'orecchio teso, Angiolina Orzali in Lorenzini sentiva scricchiolare la porta di casa. Finalmente! e Sei tu, Carlino?>. e Sì, mamma! >. Le gambe a fisarmonica e il tubino di traverso, Carlo Lorenzini traversa le camere, si va a inginocchiare davanti al letto della mamma. e Sii benedetto, figliolo! >. Hoòp! ... Hoòp! ... I vapori del chianti fanno groppo nella gola di Carlino, si risolvono in piccole esplosioni gutturali. La benedizione materna non era la sola obbligazione alla quale Lorenzini si sobbarcava prima di andare a letto. La candela nella sinistra e nella destra il pistolone che gli era rimasto dal suo passaggio al Cavalleria Novara, il fo- ' CADUTA IN VOLATA coso polemista faceva il giro delle stanze, guardav:i sotto i letti e i divani, apriva gli anna<li e la madia della cucina, e solo quando era sicuro che nessun maljntcnzionato era nascosto in casa, deponeva il pistolone sul comodino accanto al fiasco del vino, e, la gota sul braccio come un Endimione al quale sono cresciuti i baffi, si abbandonava alle seduzioni dei sogni. Morte e trasfigurazione Ottimo figlio, quando la mamma gli morì, Carlo Lorenzini aumentò di bere. Il novembre del t890 fu particolarmente freddo a Firenze. Carlo Lorenzini abitava al numero 7 dj via Rondinelli, assieme con Paolo, il fratello e serio>. Questi aveva la famiglia ancora in campagna, ma qu_el giorno lui era venuto in città a prendere delle coperte e degli indumenti di lana. In piena notte, Paolo Lorenzini si svegliò di soprassalto. Il campanello squillava disperatamente. S'affacciò alla finestra, e nel vento che sibilava nella stretta gola della via, udì due volte : e Muoio!. .. Muojo! >. Trovarono Carlo Lorenzini appoggiato allo stipite del portone, e col capo girato da una pane, con un braccio ciondoloni, con le gambe incrocic• chiate e ripiegate a mezzo da parere un miracolo se stava ritto>, e la mano rattratta sul campanello che continuava a squillare lassù nella casa vuota. Lo portarono di sopra, stecchito come un grosso burattino. Ma questa era una finzione per la famiglia, per gli amici, per la gente. Il vero Carlo Lorenzini, colui che firmava e Collodi> e aveva scritto quel Pinocchio che gl'intenditori hanno definito la e Bibbia del cuore >, era arrivato intanto in fondo a via Rondinelli, aveva preso a destra in via Cerretani, aveva iniziato la sua vita immortale. ALBERTO SAVlNIO NDIIIZl 9 ARIIITD I N ITALIA non si può dire che vi sia una letteratura sportiva an~ che se di tanto in tanto escono romanzi sportivi. Ultimamente si sono letti perfino dei versi atletici; ma non sono che esercitazioni letterarie. Del resto, quando un romanzo viene detto fino dalla copertina sportivo, porta già il segno dell'eccezione. La let• teta.tura sportiva è un poco come la letteratura coloniale. Non può s9rsene a sé come genere : a rigore, è limitata ad una bibliografia tecnica se non si vuol giungere a fare questione di contenuto. Quando accenniamo a una letteratura dello sport, dobbiamo ac• cordarci almeno su di un punto : ci ri~ feriamo all'arte, alla poesia che può es• sere cavata dallo sport; e -niente più. Proprio in Italia, dove la passione sportiva spesso è ardentissima, non è cosa normale che un libro parli di pugilato, di ciclismo, di calcio, di cavalli o di automobili. Appena qualcuno si azzarda a quei temi, subito si guadagna l'attenzione di tutti, come per un fatto straordinario. Tutti lo stiamo a vedere, come se tentasse una pericolosa acrobazia. t stata un po' la. sorte dei romanzi di Orio Vergani, di Alessandro Pavolin.i e di qualche altro. E furono lavori fuori re,ola anche per quegli autori, sebbene sia conosciuta la loro passione per le cose sportive. La passione sportiva li ha condotti a tentare un liI. bro : ha ravvivato per un momento la loro immaginazione; ma solo per un momento. Al contrario, non basta essere appassionati agli sport, come del resto ad ogni :tltro mo<lo di \'Ìta. quali la colonia, il mare, la montagna, per poi scrivere hbri coloniali, marinari, montani. Occorre qualcosa di pill: che lo sport, la colonia, il mare, la montagna diventino un'ossessione, o qua-. si, per la fantasia. Che la fantasia non abbia riposo: che viva di quei fanta• smi fino a stancare le tempie. Si arriverà, magari, ad una monotonia di temi qua.si esasperante, ma strade per scoprire la poesia delle cose non ve ne sono altre. [n Italia, semmai, abbiamo un krio giornalismo sportivo. Si è forma• to via via, attraverso i servizi e le cronache. t un giornalismo che ha i suoi tecnici, i suoi scrittori di varietà : ma tecnici e scrittori di varietà hanno in comune una certa segreta abnegazione al loro mestiere, che può dare risultati non soltanto cronistici. Tutto il mondo è per essi ciclismo, automobilismo, pugilato e gioco del calcio. Sono del mestiere; e manca poco che non ne corrano i rischi come l'arbitro nelle partite di calcio. Vivono tutto l'anno in mezzo a gente candidamente e1,altata. Gente che grida e che muore di passione. Lì, forse, un principio di letteratura sportiva; quando che sia. Tanti cronisti sportivi pare che non scrivano, ma che detdno la pagina parlando con un megafono, in maniche di camicia, su di una automobile in corsa attraverso nuvole di polvere e squadre di corridori. Costoro nello sport ci restano quasi sepolti. Ma ce n'è altri di cronisti sportivi: più quieti e tranquilli; guardano corse e gare come un bello spettacolo, per trame la nota poetica. Sono due modi di ve4 dere lo sport. Bruno Roghi ed Enrico Emanuelli si sono messi, ultimamente, insieme proprio perché seguono due strade diverse. Hanno compiuto il· loro Giro d'Italia facendo il servizio a coppia. Uno tutto vòlto ad esaltart i garretti di Bàrtali, di Vicini, di .Olmo, di Mealli, di Bizzi, di Trogh1; e dire le parole più grosse perché i lettori possano avere all'incirca un'immagine di quegli atleti; l'altro pronto al commento arguto e lirico. Roghi è un cronista sportivo che quando lo leggi ti pare atteggiato come un oratore popolare. Ora, rivolto ai lettori cerca di potere dire con vivacità popolare quello che i suoi occhi videro; ora, vòlto ai corridori li incita. «Avanti, miei bravi >, sembra gridare. Ema• nuelli invece è il signorino del servizio. Osserva senza troppa foga e poi commenta con un certo melanconico distacco. Emanuelli e Roghi hanno riunito e stampato in volume le corrispondenze del maggio scorso per un motivo sen• timentale : onorare il Giro al suo venticinquesimo anno. [n fondo, lo sport italiano è sentimentale: sentimentali sono i protagonisti dello sport, senti• mentali gli altri che stanno a vedere le loro prodezze. La vita italiana è tanto alla buona che anche lo sport, anzi lo sport prima di tutto, finisce col risentim~. .€. bastato sapere che Bàrtali crede in Dio, che porta sotto la maglia lo scapolare della Madonna per commuovere tanta gente. Bàrtali ha fatto correre sui margini delle strade piccol.i parroci, monacelli e donne pie. Pregavano per lui; poi· se lo sognavano la notte. C'era stato sempre qualcosa di diabolico in questo sport fatto da gio\'ani spavaldi e impolverati. Bàrtali ha dato il colpo di grazia : lui, buon ragazzo timorato, ha avvinto gli ultimi distratti. Uno sport popolare, com'è il ciclismo in halia, non poteva, questo è certo, fare a meno dei santi. Anche i frati d'ora in poi leggeranno la e Gazzetta >, alla fine legittimamente rosea. Emanue!li e Roghi vogliono con la loro antologia fare festa al Giro che è alle sue nozze d'argento. Niente di più popolare: il giro fa le nozze d'argento. Emanuelli e Roghi sono come un duetto che racconti grandissimi avvenimenti. Roghi parla ad alta voce, è bravo nel declamato: Emanuelli sottovoce, è bravo nel falsetto. Roghi predilige l'iperbole. La nascente letteratura sportiva, quella delle cronache, è piena di marinismi nuovbsimi, o comunque di frasi che se non addirittura barocche hanno del pittoresco in una maniera rudemente vivace. I corridori più famosi sono detti e grandi firme >; i corridori in genere «stradisti>, e aquilotti, e cacciatori>, e moschettieri>- Aggettivi non equivalenti : ognuno ha la sua sfumatura. Lo sportivo vuole e varcare la porta dorata della fama atletica >; il gruppo « si sbriciola, si sgretola, si sgrana >; il Giro e è una caldaia bollente >; tutti i corridori del Giro sono e il gruppissimo >; la corsa è e al rosolio o all'arsenico>; il mare è e una tavoloua d'argento>; ma il meglio è toccato ai ciclisti più celebri. Guerra è e la locomotiva umana >, Mealli è e Meallino >, Olmo è e il purosangue >, Bàrtali e il principe della montagna> i Di Paco e Raffaele il faceto >; e domani quei nomi li ritroveremo segnati sopra i muri o sull'asfalto. Tutto sommato, le cronache sportive sono una fabbrica di frasi popolari, e ancora una volta si vede quanto il mondo deve alla letteratura. Così nasce un vocabolario sportivo che. avrà domani una sua naturalezza popolare. Roghi non fa certo calcoli, vuole essere efficace; ma sulla pagina la sua frase non ha eh~ lontanamente il segno dell'efficacia che ebbe, di giorno in giorno, sulle colonne della < Gazzetta>. La sua è una letteratura povera, ma è pur sempre letteratura; se non fosse altro, perché inventa immagini e parole. Roghi si domanda ogni tanto : e Dovremmo sciogliere i nastri dell'iperbole per addobbare la " classe " di Giuseppe Olmo? >. E poi : e Amici lettori, amici sportivi, è sempre bene imporre un freno all'ecce!-so delle iperboli e controllare col metro della riflessione ogni abbandono romantico>. Ma di abbandono non si può fare a meno quando uno sport diventa tanto importante da accende• re la fantasia. ln quanto ad Emanuelli gli va discretamente dietro. F. più cauto nel vocabolario: il suo compagno direbbe che bada troppo agli e inchiostri meticolosi>. Par quasi che certe immagini e certj aggettivi lui li prenda con cautela. Aspetta che siano già diffusi e sulla bocca di tutti; che siano popolari, insomma. Emanuelli sa, da buon letterato, che certe fra.~i di pessimo gusto possono giovare quando sono ormai impoverite dall'uso generale. Emanuelli segna, di volta in volta, la fortuna di certe parole e immagini che altn suoi colleghi buttano là nel calore del momento. Per Roghi .il Giro è una caldaia; per Emanuelh uno spettacolo dal quale si po'isono tirare fuori effetti letterari. ARRIGO BENEDETTI
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