Omnibus - anno I - n. 25 - 18 settembre 1937

I j R If J ~ 1 'Jt 1 :~l1 L é:f>.a~~rn 24 ANNI 24 U-o> re~u©&5l&>a~u© APPARECCHI ABBATTUTI Parma, settembre. ELLA PICCOLA stanza da J pr::mzo, molti parenti e cono• scenti. Ci sono tre ragazze con i vestiti a fiori, donne con lo scialle, due bambini e alcuni uomini. Mantelli mi è vicino, seduto su di un basso canapè rosso: ha il volto abbronzato, gli occhi rotondi, la mascella robusta. Intorno, c'è un silenzio imbarazzato, e alcuni stanno osservando le fotografie con dedica di grandi personalità appC''-C alle pareti. Riconosco, fra Jc tante fotografie, una piccola di Adriano Mantelli: è un bambino di pochi anni, coi calzoni corti, gli occhi vivaci e fissi; lo stesso sguardo della m:i..dre, che mi siede vicino. Entra in quel momento un signore con due bottiglie: è il padre. Ha due grandi baffi neri, un panama bi.mco in te• sta; poiché le sue mani sono impaccia• te fa un inchino e dice : « Buona sera a tutti>. Questa ~ la ca.sa dello sparviero di Spagna, terrore dei Rata, dei Potez e dei Curtiss. La nonna sta combinando con una ,ìgnora un pellegrinaggio al Santuario di Fontanellato, e parla sottovoce fa. cendosi ripetere le parole. L'ambientt! è piccolo borghese; dappertutto i segni d'una modesta agiatezza. La madre racconta un episodio dell'infanzia di Adriano; il padre a~colta in disparte con molto compiacimento. La prima impres\ionc è che questa gente ignori tutto di lui e che egli tenga per sé i suoi tremendi segreti. Ma la madre, visto che il figlio tace, ~i mette a raccontare lei le imprese di Spagna : gli altri ascoltano, in silenzio e \l.!nza e,clamazioni; l'aviatore intan• to disegn,l ~u una cartolina un profilo di ala. PRIMI VOLI Rinuniamo ~li. Adriano Mantelli di solito è taciturno, ma appena gli si di• scorre di voli s'accende. « A quattro anni ho irrigidito le ali a una gallina, con stecche di filo di ferro, e l'ho librata dal solaio. f:. ca• duta male, gridando. Ma ho pensato che forse non potevo pretendere da una gallina spirito di pilota, e del resto la natura Je aveva dato le ali per sbat• tcrlc. Poi, mi sono costruito le prime ali per me. Penne e penne di poli~ piantate in gambi di melica, tenuti da fili di ferro. Quindi, con un om• brello, son disceso dall'architrave del fienile; era un ombrello lavorato, co~ tiranti e prolungamenti. La stessa dt· scc~a l'ho · fatta molto meglio con un lenzuolo. M'ero attaccato alle bretelle del paracadute, a sette metri da terra, e un compagno era salito su per l'ar• chitravc a tagliare la corda. Sotto c'era il fieno. A\·evo fiducia in mc, ma conos<"cvoi limiti della mia possibilità >. e Come mai, vivendo in campagna, a cinque ;mni, vale a dire nel 1918, si sentiva attratto dall'a.viazione? ». « Non Jo saprei dire. Dalla gallina in poi, non mi sono mai stancato, men• tre so che i bambini cambiano spesso gioce;. « Gli aeroplani erano per mc una -:-osa soprJnnaturale, lontanissima. A forrile ne cadde uno e mi portarono .Jn pezzo d'ala; dissi: "è legno ... ", non volevo crederlo. Cercai subito di costruirne uno, stupito dalla novità della centina. « Avevo la mia officina su di un ro• vere e lavoravo intensalT'ente con tela e canne. Ogni tanto libravo un mode). lino fra il fogliame. « M'interessava solo la parte tecnica del mio gioco. Quando verniciavo un modellino, ad e:sempio, era solo per aumentare la resistenza e non facevo ca~o al colore. Nemmeno una bandic• rina ci dipingevo. « A tredici anni, finalmente, ebbi il mezzo per volare. Con l'aquilone Saccone. Poi mi buttai alla modellistica. 1 lo <:ostruito centinaia di modelli, ma il primo resterà sempre la mia più gr,rndc soddisfazione. Non ne avevo mai visti .tltri; era una creazione mia e vola\·a. Aveva il motorino a elasti• co, un'clichctt~1 sagomata e un corallo pc, imJX'dirc l'attrito. LA S.D.A.M. « Poi ~no paso,ato alla bicicletta vo1:lntC",1ipo Chanute. Ci si infilava dentro, e le gambe facevano da carrello. Tutta una notte abbiamo fatto le- pro• ve di rcsi~1en1a, caricando le :ili di ~ahhia, tanti chili per centimetro qua• . Adriano llautelll 111,nlo aliante. (Alla ,o.a du\ra, In dirla& d'nangurdiata 1 A.lenaudrlul, altro auo d,ll'niuiou leglouarla) drato. Inutile dire che non abbiamo dormito dall'emozione. Alla prova, vo• lai a 2 metri d'altezza per 50 metri. Tutti sembravano impazziti. « Intanto il volo a vela entrava in Italia. Il 29 novembre 1929 fondam• mo la S.D.A.M. (Sirocchi Dino e Adriano ~{antelli): avevo 16 anni. Preparammo i registri dell'amministra• zionc; lo statuto era questo : nelle ore libere si lavorava, si risparmiava a più non posso; niente cinema. Requisiti speciali : un certo numero di prove di coraggio, come saltare dalle scale una quantità esagerata di gradini e cam• minare con i tl"lmpoli fra gli spazi di una scala a pioli orizzontale, messa a mezzo metro da terra; questa prova era tremenda. J n otto siamo entrati 1 in otto siamo rimasti e tutti otto en• trammo in aviazione>. A questo punto Mantelli s'intcrrom• pc, e ci mostra un piccolo quaderno di tela cerata, ch'era il registro della S. D. A. 1-L: « Qui c! sono i nostri nomi d'arte: io ero Maddalena; Alessandri• ni, che è ancora in Spagna, Baracchini; Barilla, Donati, eccetera. Mia madre faceva da cassiera; le ultime 300 lire le ha rimesse lei, economizzando sulle spese di casa. « I progetti erano già pronti, e il modello A.M. 1 {Adriano Mantelli 1), ricavato da modelli nostri, portava dei perfezionamenti. e difficile perfeziona• re cose così semplici, eppure il nostro longherone cavo è ora adottato in lta• Jia. Costruito l'apparecchio, si fondò la scuola di volo a vela. La manìa di vobre divenne frenetica. Occorreva un campo : ci associammo ali' Acro Club. Quante adul1anze fece la S. D. A. M. ! Ma al Club si davano troppe arie. Il presidente non aveva mai me$SO il sedere su un aeroplano. Come emozio• ne di volo, raccontava che una volta, con un idrovolante sul lago di Como, I.& •quadriglia di lh11telll eel olelo •pagnolo, 011.lont.&11.&111& gli app&r&C<luhiiamloi) a 4000 metri, vide il lago così piccolo che ebbe l'impressione di non poterci ritomarc. Non capiva niente e non si riuscì mai a convincerlo della sicu• rc7.za del nostro velivolo. « La nostra creatura rimase dal '30 al '33 nella vecchia chiesa di San Leo• nardo, che il prete, l'unico che ci se• guiva e aiutava 1 ci aveva prestato. « Non persi tempo. A Cantù, c'era una scuola come si deve. Per tre mc• si, ottobre, novembre, dicembre, una volta la settimana, facevo i 1 70 chilo• metri da Parma in bicicletta. Quelli che come mc venivano da lontano, erano forse i più. Ora sono tutti cam• pioni. Ma adesso basta con questi par• ticolari che stancano, le parlerò invece di quello che si è fatto ad Asiago, in questi giorni, col volo a vela; son cose che entusiasmano chiunque >. « Ma mi dica, prima, come è entra. to in aviazione>. « Come ufficiale di complemento. Avevo il brevetto di pilota premilitare. Dopo un po' che ero al campo, arrivò il nuovo C. R. 32 Fiat : 350 orari e 150 per staccarsi da terra. Avevano discusso se si doveva o no affidare ai giovani l'apparecchio. Scelsero mc. Andai su e feci un po' di acrobazia. Da quel giorno non ci sono più dubbi : è senz'altro l'apparecchio più docile e sicuro: si capisce, coi dovuti riguardi. L'aviazione da caccia è una famiglia di ragazzi in gamba e senz'arie. Ci si vuol bene e non si !etica mai; quando si va su1 non si è mai certi di riveder• si vivi. Tutto il giorno si provava; ci si sorvegliava, ci si correggeva a vi• ccnda, come se ognuno fosse il tenero maestro dell'altro. Eravamo c.-sigcntis• simi; sulle fotografie degli stormi in volo si discuteva per nn.:; il loopirig e il tonneau lento dovevano essere lavorati al tornio. « Eravamo maturi; appena si sentì della Spagna, partimmo. « In Spagna c'erano le colonne di Varcla da scortare. In principio 1 si faceva un po' d'acrobazia 1 per diver• tirc i soldati 1 quasi tutti nuovi alla guerra. Domandi a qualunque reduce se, con la propria aviazione sulla te• sta1 non si sentiva dicci volte più forte. Per noi era il maggior orgoglio. « Fin dai primi scontri aerei, i sol• dati assistevano come a una corrida. Da tutte le parti, uscivano fuori e, matado e/ toro, si mettevano a balla• re. Da allora, fummo la Cucaracha. LA "CACCIA" « In principio, eravamo in pQChi da una parte e dall'altra. Poi i rossi crcb· bero enormemente con l'arrivo dei russi. Il lavoro era tanto che si stava più in J ria che in terra. Sempre allarmi. « La nostra tattica preferita era quel• la della sorpresa : si andava su in po• •chi, tre o anche uno, a nascondersi in alto. Convogli da bombardamento, scortati da caccia, venivano dai loro campi e passavano sotto di noi. Allo• ra, col sole alle spalle, piomhavamo in picchiata. E ognuno di noi puntava sul suo avversario dentro il collimatore delle mitragliatrici. Dai 100 metri ai 30, un attimo 1 poi fuoco. Poi, una vi• rata a sinistra, e via, tutti e tre in for. mazìone. Di solito, gli apparecchi ne. miei precipitavano o scapp:\Vano da tutte le parti, come tortore spavcn• tate>. « Ma questa tattica non era seguita anche dai rossi? >. « Preferivano uscire in tanti, scbbc· ne, a loro spese, ne avessero vi"itO i ri• sultati. Non hanno neppure imitato la no~tra ala che era mimetica nella par• te superiore, di modo che dall'alto, contro terra 1 non si vedeva niente>. « E il suo primo scontro?>. « Eravamo in un cielo tempestoso, dentro e fuori dalle nubi. Quasi di• strano, pensavo alla bellezza del volo, quando vedo tre apparecchi in basso che volavano tranquilli e sicuri. Noi tre, in alto, volavamo ala contro ala. Eravamo nuovi al combattimento: avevo la preoccupazione del comando e non pensavo ad altro, come in una esercitazione. Col sole alle spalle, ve. nuto il momento, " sbatto le ali ". t un avviso. Un colpetto agli alettoni e le ali oscillano. Gli altri miei compagni preparano i! collimatore e sorridono. Andiamo bene. Alzo una mano e si scende. Ta-Ta-Ta. Per un attimo, ve• do le palle traccianti investire l'appa• rccchio nemico; e poi su, in gràn voi• ta. Dall'alto, vedo il mio avversario che precipita con una coda di fumo; un altro che scappa, il terzo che si abbassa come un uccello ferito. Solo allora ho pensato: questa è la mia prima vittoria, un uomo ucciso da mc. Sperai che uscisse un paracadute, ma niente. Scesi a vederlo : era là, in mezzo ai resti; un fr<.1ncesc.La prima ìspi• razione fu di piantar tutte, di tornare a casa mia e di non pensare più alla guerra. Ma in guerra non si fa in tcm• po a commuovrrsi che subito è pron• t..'l. un'altra emozione. L'tissillo era tale che ci metteva in una specie di esalta• zione, invece di abbatterci. Voli notturni, di scorta, di esplorazione, di an• nehbiamcnto, eravamo sempre occu• )Jati. Per uno che ne incendiavi, dicci ne uscivano fuori; un ambiente da Davide e Golia. IL PRIMO"BOMBER" « Quanti geroglifici nel ciclo! l;na volta, sul fronte di Madrid, in tre, ci siamo imbattuti in una cinquantina di apparecchi, fra caccia e bombarda. mento. Al solito, sole alle spalle e sbat• tuta d1.1li. Eravamo così vicini, che ve• devo le espressioni di meraviglia dei compagni. Giù in picchiata: era l'uni• ca cosa da fare. Ecco, non speravo tanto: proprio come una folla presa dal panico, si sono sparpagliati tutti e infilati nelle nubi, con i loro trenta chilometri di velocità in più, che tan• te volte li hanno salvati. « Si partiva con la certezza della bat• taglia a oltranza. Il più bcll'csempio l'ha dato Boccolari: "Se resto senza palle, gli salto addosso ''i e lo ha fatto L'avversario cadde, lui si salvò col paracadute. Questa sembra una temera• rictà inutile, perché è un apparecchio per un apparecchio, e forse un uomo per un uomo; ma gli avversari si tro• vano così a dover lottare contro qualcosa di implacabile, di diabolico, e al• !ora for7_aalle manette! « P. incredibile come le notizie, alle volte, siano deformate, diventino leg. gcnda e tutti si spaventino, Una voi· ta, uno scende dal ciclo e ci de!-:rive un nuovo tipo d'apparecchio, lungo, affuo,olato, con gli alettoni rotondi 1 ve• loci,,imo. Un tipo Martin Bomber da bombardamento leggero. Si sparge la notizia: ;\1artin Bombcr qui, Martin Bomber là, micidiale, un incubo, te• lefonatc, i comandi preoccupati. In uno di quei giorni fui d'allarme con un genovese, uno dei diciannove della Squ:l.driglìa Folle di Campoformido. All'orizzonte, contro un ciclo giallo, ri• cordcrò sempre, appare la sagoma di un ~artin. "Si va a vedere, signor tenente?" dice il genove~e. Si parte e ci avviciniamo in quota. Quello, senza vederci, forse cercando un posto da posare le bombe1 ci viene incontro. Al!a priml raffica, ho visto chiara• mente le palle incendiarie che sulle ali sprizzavano scintille bianche; poi la fiamma, come una coda, dall'ala si• nistra investe la fusoliera e l'ala destra. Precipita a terra: entusia-.mo. Una ba11dera passò in territorio nemico per con,;tatarc la caduta del drago e riportò gli al"ttoni che spedimmo in ltalia. Da quel giorno, il Bomhcr, con la stessa facilità con la quale era entrato nella leggenda, ne uscì e fu considcrato 1 né pili né meno. cc.mc un Potez o un Rata. « Fu in questo combattimento che ai tre aviatori rossi si strappò il paracadute. Era tale la velocità, che, puf, l'ombn•llo rimase per aria. « In guerra difficilmente si odia l'av• vcrsario. Quando lo si è disarmato e mco,so in istato da non nuocere, ba~ta. Sembra strano, eppure, quando gli avi..~tori toccano terra, diventano ami:i. "MUCBOS OJOS" « Quando c'era la luna, di notte, andavo in cerca di apparecchi all'ormeg• gio. Calavo giù a motore spento fino a terra, mitragliavo e via. Una volta, non se n'erano neppure accorti e ho potuto ripetere il colpo su un apparec• chio vicino; un'altra volta, c'è stata una sparatoria pana d" hatteria quan• do ero già lontano. E.;i un modo comodo per far danno >. « Non è mai stato colpito seria. mente?». « Altro che, le pallottole traccianti volavano intorno come mosche, e spcs• so si tornava con le ali a setaccio. Una volta, nel cielo di Almeria, d buniamo · in due addosso a tre russi da bombardamento. li mio avversario è colpito1 si impenna, e, con la mi• tragliatricc di torretta, mentre passo, mi grippa il motore. La mia elica gira ancora, cioè le mitragliatrici possono sparare dal b:isso in alto; tiro contro il terzo app;1rccchio e faccio danno ai timoni, ma non posso far altro che ~ccndczlt:,convinto d'essere in casa no• stra. Tocco terra in un campo e mi trovo vicino due miliziani. Per fortuna non avevo neppure una pistola, perché avrei fatto una sciocchezza. « E',u ruso? > fanno quasi gentilmente. Perdio se ero russo! e quei cani dei nazionali, sempre fortunati, mi avevano beccato. Chiedo: « Sus lì,1eas estan vuinas? Porqué ,10 que• ria chocharmc en ellos ahora que estoy a pié! > Si mettono a ridere e mi spiegano benissimo le posizioni. Ringrazio, offro le sigarette e mi c.ic• cio in una piantagione di canne da zucchero in riva al mare. « M uchos ojos! >. Molti occhi, mi ,gridano. Dopo cinque ore sono a casa. Quella passeg• giata mi è costata un paio di ~carpe nuove, e un aeroplano, s'intende!>. « E Guadalajara? >. « Sono o,tati i giorni più spaventosi. I fanti non hanno avuto mai tanto bisogno di noi, e mai noi abbiamo potuto aiutarli di meno. I1npantanati ·come rospi nei C.lmpi d'aviazione coi rossi che sparavano sullt' colonne di viveri. Non_ ne potevamo pili. A co-.to di tutto, volemmo partire. Un paio di buoi trascinò i nostri apparcrchi vicino a un tratto di strada di cento metri, quasi diritta e tutta buche. A pieno motore, e col freno, ho alzato la coda per vedere av:rnti, poi ho la- ~ciato. Su ottanta metri cc l'ho fatta. In soli cinque su dicci, ci siamo stac•

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