Omnibus - anno I - n. 25 - 18 settembre 1937

( ILSORCKIOELVIOLINO) 'iPREN'lrAQ'UAf'FBO &WJ~®ffiil Venezia, settembre. SEI CONCERTI in una settimana. Trentasei composizioni di ogni misura e tendenza. Trentaquattro autori diversi, italiani e stranieri : francesi, russi, ungheresi, tedeschi, austriaci, americani, pobcchi, ccc., insomma d'ogni paese: ecco il bilancio statistico del Festival internazionale di musica contemporanea che si wolse recentemente con piena vivacità e precisione al Teatro Goldoni di Venezia. Quel che conferì gran fervore e prestigio alla Mostra fu anche la presenza, in carne cd ossa, di quasi tutti gli autori, venuti dai loro paesi lontani e dalle nostre provincie; e poi la presenza dei critici più reputati e auto• revoli della stampa internazionale. Credo che in tutto fossero, fra invitati e implicati, un centinaio di personaggi, diversamente illustri e più o meno interessanti. Dinanzi ai quali il pubblico scelto e intelligente che affollava in quei giorni il teatro si comportò con una serenità squisita, mond!m~ e sup~riore : un pubblico, per cosi dire, ali altezza della situazione. Nell'ambiente carico di elettricità e di divertimento, le serate celebrative di questo Festival trascorsero fra l'entusiasmo e l'allegria repressa senza suKitar furie antagonistiche, o vere tempeste d'ilarità, o malumori, o noia, o lazzi, come talvolta avviene in simili circostanze; e durante i processi celebri. Mancarono alla chiamata soltanto due compositori caduti sul campo dell'onore musicale: il polacco Karol Szimianovski, morto di mal sottile il marzo scorso in un sanatorio di Losanna artista raffinatissimo, e capriccioso, si~ gnore senza uguali, e pianista di razn, un vero cavaliere del pianoforte. E una speranza della nostra scuola romana, il giovane Giovanni Salviucci, r-he la falce spiet:tta recis~, all'improvviso, e precipitò nel regno delle ombre, pochi giorni fa, prima che si inaugurasse il Festival di cui parliamo. E per non rimanere nemmeno un ~omento in tema di cose funebri, ag- ~tungeremo che Pizzetti e :Malipier;o invitati dal Comitato sono accorsi a Vene-.r.ia portai1do sì l'uno che 1'3.ltro • n «De Profu,1dii», '-Critlo ,lppo<.t.aper il Festival (e non si \a «! lo scrissero ognuno per proprio conto o invece sul proprio conto), due e De profundis » che il pubblico della Serenissim.l accolse con vera gioia e con indicibili feste. Ci fu dunque un e De profundis » pizzet.tiano, di cui si volle assolutamente il bis, e un e De profundis» di Francesco )..falipiero del quale non si chiese il bis. La gentq si contentò di sentirlo una volta sola. E qui non pretendiamo di scrivere minut.imente, imparzialmente o esaurientemente la cronaca di questa sfrenata settimana concertistica che nel suo imieme $i presentò molto varia e piccante, esponendo in modo chiaro e caratteristico, ,;e non completo, il quadro della situazione musicale contemporanea. Scnn dubbio, per quel che i;iguarda i capintcsta, le cose non sono cambiate; i più forti sono ancora: Stravinski, che predomina e vince sempre qualunque cma faccia; dopo Stravinski, SchOnberg, e Bela Bartok, l'ungherese. Freddamente rivoluzion:.1ri, anche questi due ultimi posseggono, sebbene in misura minore del primo, una perc;onalità solitaria, o acuta o lontana, una fede a\soluta maniaca, e un coraggio strenuo di esplorazione, scevro di vanità, di ambizione, e che non cerca compenso che nel lavoro indefesso. Futuristi temerari, silenziosi e terribili, che son sulla breccia da trent'anni, esposti innanzi tutto agli attacchi volgari e alle minacce degli psichiatri, oggi vincitori, e più nuovi che mai, quc~ti artisti di cinquantacinque anni son paghi di lavorare. Tant'è vero che il lavoro e la pazienza sono le ultime gioie che si n· velano nrlla vita di un uomo. Tali ci apparvero questi due sorprendenti veterani dell'arditezza. Invece i baldanzosi sei della \Cuoia di P;:t rigi che appartengono alla genera~i('J ..,uccessiva son forse in ribas- "° e in rotta, scompigliati, incerti, sbalorditi, come per esempio Darius Milha.ud con la sua e Suite provençale », o muti come Auric, o as~nti, come Pnulenc. In quanto a Honegger, di costoro il più giovane e il più forte, quest'anno non 'si è presentato. Sul tramontare di questo gruppo fa. moso e chiassoso ecco d'altra parte spuntare genialmente, come la prima st_ella serotina, Igor Marchievic, e su. b1to dopo, scintillante d'ironia, l'elegante, leggero, e informatissimo piani• sta compositore Jean Françaix, che ha solo venticinque anni. Altrettanti ne ha Marchievic. Due dei nostri uomini di punta, Pizzetti e Malipiero, si prçsentarono questa volta sonnecchiando, un po' stanchi, un po1 sfiduciati, con l'aria di rinunciare. Del resto essi hanno avuto molto più di quel che meritavano; molto più, fino alla dilata1ione. Adesso s'addormentano vomitando gli onori e la gloria come il lattante che ha tettato troppo. Al confronto son numerosi i loro seguaci, emeriti scimmiottatori di tt:tto questo modernismo : si sforzano di parlar cinese, non importa se non sanno quel che si dicono, cia.scuno al modo proprio, con l'insolet.za stupida, con gli espedienti esteriori e .>rmalistici ~ella mus~ca dell'avvenire, ma lo spinto vecchio, e svasato: tirano innanzi m«!a01cnte come chi ha urgente btsO• gna della cintura emiale. Non sono più capaci d'andare da qui a lì. La mancanza di personalità fa strage, come è naturale, fra le schiere des!i epigoni~ ad eccezion fatta per Luigi Dalla Piccola, e Vittorio Rieti che dispong_ono di un tempcrament~, di v~dute mdipcndcnti, e di lampi; si può dtrc che gli altri, molti altri, han perduto la tramontana, Procedono a Vanvera e cercano a tastoni il proprio io. Di musica inutile e inutiJizzabile ce n'è stata fin che si vuole. Non facciamo troppi nomi, e non citi:l.mo i casi specifici, rimandando per necessità di spazio l'esame dei programmi e dei risultati a un prC"ossimo articolo. Intanto si può dire, con un po' di malinconia, che costoro son già classificati e passati agli atti. Ce n'è per esempio uno che con la ~ua e Morte e deificazion<" -di Dafni » strapp:.1 un grido dal fondo dell'anima, un grido accorato, amorevole, materno: « Antonio, non ti vergo• gni? •· Infatti Veretti si chiama proprio Antonio. La sua musica è una marcia al supplizio, Ìna il supplizio è nostro. Son tutti d'una risma: Jachino, Von Borck, Larson, e il peggiore è Castagnone. E cosa ci volete fare? Fan numero, peso, ingombro e confusione. H..in voluto far correre dei cavalli di rimessa in gara con dei purosangue; di qui questo sbandamento, di corridori sfiancati che han finito per coricarsi attraverso la strada come tante vacche o tanti somari. La sera dell'undici corrente, con un improvviso balzo all'indietro, il Festival ci riporta in pieno clima antic~. Il pa.,;saggio dalle sensazioni acustiche ultimissime alle arcaiche, per certe coincidenze di gusto e orientamenti di stile, è meno brusco di quanto si creda: tant'è vero che il più vicino forse alla nostra semibilità è apparso il più stagionato e remoto dei pezzi eseguiti, la « Pa.ssio Sacra, di Francesco D'Ana. A questa bella pagina quattrocentesca ha fatto seguito una fresca collana di frottole e madrigali fino a ~fonteverdi, e dopo l'intermezzo di un concerto per violino e archi del Vivaldi, il grande affresco corale di An~ drea Gabrieli per l'« Edipo Re». Questo contatto di un musicista del Cinquecento con la tragedia di Sofocle è poderoso e sorprendente per energia e giustezza di accenti, La partitura che Fernando Liuzzi ha ricavato dal• l'originale illumina opportunamente le bellezze melodiche e armoniche di quest'opera singolare. Tra i reviS<fri delle musiche antiche eseguite in questo concerto speciale si debbono ricordare Alfredo Casella per il magnifico concerto di Vivaldi, e lo Stein per una sonata di Giovanni Gabrieli; tra gli esecutori, la violinista Gioconda Dc Vito, e il coro triestino dell' Ac.egat, diretto nella parte madrigale~ca dal M. Antonio Klcsberg. La direzione d'orchestra in Vivaldi, e nell'c Edipo>, è stata brillantemente tenuta da Mario Rossi. Ma piuttosto, d'un nuovo e intelligenti'!Simo direttore che il Festival di Venezia ci ha rivelato, Nino Sonzogno, avremmo voluto parlare, se lo <ipazio cc lo comentisse. BRUNO BARJLLI L'ULTilf:0 NEOOLA88I00 DI VIA KAROUTTA ~~&>a MARGUTTA SULLA GUIDA di Roma, alla voce di via Margutta, si legge: « Centro della vita arti,;tica romana>. Ma una de:inizione più precisa di questa strada, l'ha data un mio amico; ed è che via Margutta appare come una necropoli dell'arte: una necropoli senza fantasmi illustri, senza lapidi o sepolcri venerabili. Via Mar• gutta non ha storia, non ha monumenti e costumi speciali : vi furono soltanto le feste mondane, con paste, tè, orchestrine e liquori, del Circolo Artistico. Vi fu anche una scuola di nudo; ora non c'è più nemmeno quella. e Chi è rimasto? » vien fatto di gridare passando su quei selci deserti. Ma si ha paura che nessuno risponda. Solo la curiosità degli stranieri rende celebre una strada che non ha nulla di straordinario, ma che le organizzazioni turistiche hanno segnato sulle guide con una piccola nota : « Centro della vita artistica della città». Quando si dice e centro della vita artistica > non si possono immaginare i fantasmi che queste parole suscitano nella mente di tanta gente che viaggia e non sa dove fermarsi. Nell'Ottocento i ritrovi e la carriera delle arti venivano considerati come luoghi e situazioni dove era facile perdere la riputazione. Concetto più che naturale in una società borghese di sobrio e soprattutto prudente costume, com'era quella di allora. Prudenza e discrezione erano qualità fondamentali della vita sociale ed erano praticate anche nel vizio; esse rappresentavano i limiti entro i quali si salvavano le apparenze. Il mondo artistico costituiva addirittura l'opposto, ossia la ribellione ad ogni e buon costume ». Fu il dopoguerra. specialmente quello degli ambienti artistici parigini, a dimostrare che tutto ciò non solo era vero, ma era vero nel più inaspettato dei modi. Da allora, i visitatori dei e centri artistici > delle città europee non cercano più il pittoresco e il romantico, ma sperano cl.i trovare qualcosa che assomigli vagamente, magari con un tono più borghese, al famoso e Ballo delle quattro art.i ». Chi arriva in via )..,iargutta si trova in una strada tranquilla, assolutamente priva di suggestioni. ~ una strada all'italiana, con case rosa e gialle, con piccole botteghe di corniciai, formatori di calchi in gesso, falegnami, imballatori, e qualche studio di fotografo mondano. Abitare in via ~1argutta per un fotografo è segno di finezza e rinomanza professionale: perché via Margutta è la « via degli artisti >. I fotografi hanno sempre avuta la smania di credersi un po' artisti e di far parte, per qualche lato, del loro milieu. Del resto i pittori che hanno lo studio qui, hanno anche, press'a poco, gli 'ìtcssi gusti dei fotografi e con loro dividono ideali e clientele. Il cliente del fotografo di via ).{argutta è difficile che non pa~i, l'anno successivo, al pittore o al professore straniero che ha lo studio a pochi passi di distanza. Di solito tale cliente comincia col farsi fare una fotografia a sfondo bianco, con ritocchi di matita colorata, da mettere nell'anticamera o nel salottino, e finisce col dc\iderarc un grande ritratto ad olio per la parete di fondo del ,;alone. La clientela che si reca a via Mar• gutta è gente di riguardo: cardinali e nipoti dt- cardinali; commendatori, mogli di commendatori e figliole di commendatori; aristocrazia bianca e aristocrazia nera. Le lussuose automobili che )Ì vedono ferme ai lati di questa strada, non appartengono certamente agli artisti o ai fotografi. Le famiglie borghesi che abitano qui, e guardano attraverso le persiane, lo sanno; forse per questo provvedono a mantenere lucide le maniglie e le targhe d'ottone della porta di casa, che ogni settimana le donne di servizio pu• liscono con l'olio di lino. li destino dei e centri artistici • come quc-.ti, è quello di non aver nulla a che fare, veramente, con l'arte. Se mai, si tratta di un mestiere come un altro. E chi non fa il pittore per mestiere lo fa, nel più frec1ucnte dei casi, per diletto. Sono se.mpre i dilettanti, infatti, a dare il tono ad ambienti di questa specie, in tutte le città del mondo. Si tratta di dilettanti forestieri, sopr,,ttutto femminili; fra i quali è difficile trovare un italiano. L'italiano non ha certe inquietudini. l dilettanti del nostro paese son tutti figliole che vivono in famiglia e a cui mancano certi sfoghi o certa ~pregiudicatezza \OCiale: allora si dànno alla musica o alla pittura. Yta sempre nei confini domestici. All'estero, sole e lontane dai genitori, dalla loro vita fatta di giornate trascorse telefonando ad amici, prendendo tè e cioccolattini e conversando coi modi appre\i dal cinema, è una cosa che non desiderano :i.ffatto. ?\01 questi dilettanti si mettono a dipingere con lo stesso -.nimo con cui imparano un gioco di società. li loro snobismo è uno snobismo che non esce dalle comodità della famiglia. I dilettanti stranieri volentieri si tra- ,;feriscono all'estero facendo vita indipendente. Il loro interesse verso l'arte e le co~ dell'intelletto non è co,;ì limitato e frivolo come da noi; ma non bisogna poi illudersi sulla sua profondità. Se si tratta di donne, molto ~pc,;,so tale intere\,;e non è che una val• vola di scarico di una loro \ensibilità particolare, che generalmente compen- (a la loro bruttezza fisica. Quando si vedono queste ragazze non si può fare a meno di pensare a qualche e complesso :t freudiano; sulla loro faccia si coglie una stanchezza e una melanconia che quasi commuovono. Di notte via Margutt.a è una delle strade più quiete e solitarie di Roma. Certe fioche lampade a muro sui pila- ~tri di un cancello; le tende bianchicce che si agitano lievemente alle alte fine- 'itre di un nobile palazzo, in fondo a un giardino, e su cui (i stende il chiarore della luna, fanno pensare ancora al tardo Ottocento dannunziano, ai maggiordomi, alle carrozze padronali e ai baffi umbertini. Forse, a mantenere sino ad oggi questo senso di vita retrospettiva e appartata, ha contribuito la presenza dcli' Accademia Inglese1 che fino a qualche anno fa aveva sede appunto nel palazzo del marchese Patrizi. Ad ogni modo, tutto ciò è un'impressione che non dura più di un attimo. Non è difficile, passando davanti all'ingresso di un cortile, udire improvvisamente il rumore di una porta che si apre lasciando uscire il suono di un disco americano mescolato a grida nasali e gutturali. e Sono artisti? » si do. manda. e No; ,;ono americani ». GINO VISENTINI ~~&>a DEL VANTAGGIO I LAVORI in Piaua Navt'/11a rono lmtilsimi; così snnbrano a tutti cola,o cht amano la spltndtda piazza. Comunqut, si ricostruisu. I muratori stanno gtttando lt fonda• mnua dti nuovi tdifici cht prmd"at1no 1/ fx)- sto degli altri abbattuti, in modo cht pi'a:ua Navona abbia di nuovo il suo a,pttto primiti1•0. Eppurt non mant:a chi am'11ira lo rpauo cht. dal dittro di Palazzo Brtuchi, fa ancora vtdert via Zanardel/i t il Palazzo di GiUJti- :z,a. Una prospettiva da grande città, dicono: e a molti vmgono in mtnte lt cartolint di Pa. rigi ottounttsca. Ma abl'tiamosorprtso un dialogo di due Siinori fermi in un bar di quti paraggi: • lo sono ptr la modernità•, af/trmava uno di tui, •giù le t..•tcchit cau; t'Orrt:i cht dal Corso Vittorio a Pontt Umbuto fotu tutta u"a 1trada: una strada modtrna con u" uaffico tnorme •· Quei signori guardavano le demol1.:zio"iallora in corso, rauicurati. La prooudtnza li aiutava: si abbattet-•a, .Wa non si tratta di gtntt. dannosa: inrerprttano ntlla maniera più povera quttlo che vtdono. Quti medtsimi sig"on·. st passtranno do1111Jndia Pia:zza Fimnmttta t vtdranno vnrirt 111, doot tui sptravano una 1trada modernim·ma, un tdifit:io uguale a qutllo di un tempo, converranno che è giusto ridart a Piazza Navona 11suo aspetto 1torico. St lrggtranno che la topografia di piazza Nat;ona è magicamtntt tratta, che non si può tmUJrt di portarlt la minima modifica- :iiont, come mo1tra l'mfelict tentat100 fatto, ptr la Cor1ia Agonalt, si commuootranno. Impadronitisi d~l concetto, t1alttranno la geomttria t l'architttfura, cht ha11noleygi tanto stringmti. ORA CHE IL METALLO è prn1010, ptrchi non si ha un po' d1 coraggio I! buon gmto? Perchi non si .fondt l'orribile San Franusco cht aprt. lt bractin davanti a San Giovanni? IL CORSO dtl Rinascimtnlo, clu partendo da Corso Vittorio Emanutle all'a/tnza dtlla chi~sa di Sant'Andrta dtlla Valle n· diril{t uer10 Piaz:ia J\1adama. comincia ad OfJtrt un suo aJpetto. A proposito, ci preme prtcisart la nostra opinione. Il nome è grouo td tsige una urietà di intmtt senza la qualt si cadrà ntl ridicolo. Ci sono tanti nomi romani cht s~rwno a dare un certo lustro ad tdifici di tantt rtpubbficht sudamtricane. Ogm r,p1,bblichet:a ha ,l suo Pantheon. il suo Colouto, t pud darsi dre abbia andil! il suo Corso del Rina,n·- mtnto. La i,·ita coloniale conduce (Id avnt urti gusti ingmuamntte (lmbfarosi. Afo a Ro• ma le cost stanno divtr1t1mtntt. Il nome di Cor10 dtl Rina,cimmto è legittimo per una nuova strada t:he attraversi q1ullo che è veramtntt il <i_uartitrt dtl Rinascimento roma,ro. Non si tratta di un lustro prtto a prt1tito; ma di una dmomina::iont naruralt. Forse alla nuova strada qutl nomt 1artbbt t,•,nuto porx,larmente. 1\1a le strade modernt nascono ucondo un piano, p1.'ìt pouiM/e razionale. Il COTSO dtl RinaJcimmto wole tutre una t:ia modtrna e semplice. Non falso antiro, non eiprrimmti di n110fJeard,itttturt. Rd1fici u,-i, cht corrispondano ad una utilità immediata. Nt"gO:ZI che sappiano vmdtre la mtrce, caffè cht invitmo a Jrtqutntarli; cìntmatog,-afi I! bllnche. llCorso dtl RlnaJcimtnto lo vedremmo bnii.mmo dtd1cato agli affari: dove Cl sono nffari t111toproctdt ptr il meglio, con una Strlttà e naturalezza che altrimtnll è difficile trovare. 1 BIGLIETTAI dtgli autobu1 romani sono pregali di domandart i d11t soldi rht occorrono ad arrotondart ,I resto con maggiort grazia. L'im.•1to spesso I tonto puttitorio che il pa,uggtro si fruga dispcratamentt i11tasca. L'ABSIDE dtlla chitsa di Cr1rto Rt è di mattoni, in alto, e di tJttri az:urTi, in bllsso. I raiaz:ii,i si sono dit:ertiti a rompere qutl vttri cerulti. Ntl quartiere J\laz:ini tante 1ono le architetture utilitarie: e s'incontrano cmtrmt cht>,anche a non visitarle, dàm10 l'immagine di' ,ma vita srotra, ordinata, comoda. Ma nti riguardi di ima chiesa lt cose stanno diversamente, I vttri a:z11n--ifanno pensare a stabilimen,i balntari, a poltront a sdraio, a rigna,t in costumt, ,,-.3i01.Janothl(alanti. C'è veramente pot:o di mistico. Non bllstano lt tttre poru. di ferro, e ntmmtno la facciata n11da comt quella di un bastione. La Cltitsa di Cristo Re è 1olo 11nritroco tlegantt di grntt che t·a a .Weua comt ad "" appuntamento. \fA$S1MINO PALCHETRTOIMANI N0NCH~ avere ripristinato. Il gusto delle danze classiche e dato largo sfogo all'estetismo e all'1steri,mo dei nostri contemporanei, Isadora Duncan fu anche la sacerdotessa di un culto inteso a restaurare fra noi il modello dell'uomo antico, e a questo fine essa si andava accoppiando con uomini di vario genere, ma che a SI.lo giudizio costituivano esemplari perfetti di bellezza fisica e di levatura intellettuale. Chi scrive, studiava il pianoforte tanti anni fa sotto la guida di un pianista di origine ugonotta, lungo, magrissimo, fornito le mani di enormi zampe di ragno, la faccia di gatto infuriato, il naso minuscolo e quasi inesistente sormontato da uno stringinaso simile a farfallina con ali trasparenti. Passò Isadora, tutta agitata dai furori di Dioniso, e il pianist.1 felino, le sue dita di ragno, il suo stringinaso a farfalla furono spazzati via in un fiato. lsadora, a quanto pare, usava rapidamente con quei valentuomini, dopo di che ti abbandonava come limoni spremuti. Noi ignoriamo quale magnifico esemplare umano sia nato dall'accoppiamento di Isadora col pianista ugonotto, sappiamo per converso che l'idea dell'unione estctogenetica è stata ripresa dalla signora Loys Erland, personaggio della commedia di Denis Alniel: Trt rosso dùpari, ripresa in questo inizio di stagione dalla compagnia Romano Calò-Nella Sonora. Anche la signora Erland (impersonata sulla scena dalla signora Sammuco, o per meglio dire dalle spalle, dalle ascelle, dalle reni della signora Sammarco e dai suoi calzoni df raso bianco) si è servita di tre uomini diversi, per dare alla luce tre modelli di razza umana: Carlo, Marcello e Pietro (anzi Pierrot), sportivo il primo, finanziere il secondo, musico il terzo. E noi, assistendo ai comportamenti di que• sti tre assi e udendo i loro discorsi, pensavamo quanto più conveniente sarebbe stato per la signora starsene con un uomo solo, e sterile per soprammercato. La commedia, come i nostri lettori ricorderanno, si svolge tutta quanta mtomo alla rivalità dei tre semifratelli per la bella Ughetta Dallier - o quanto splendidamente ri\·issuta nella carne della signora Nella Bonora I - e si conchiude con una triplice rinuncia. Ora, se il monumento a Leonardo da Vincì, in piazza della Scala, a Milano, taluni ameni spiriti lo chiamano« il fiasco in quattro,, la conclusione dì questa commedia di Amiel noi la chiameremo 41 il fiasco in tre,. Per• ché poi i tre fratellastri rinuncino alle grazie della bella Ughetta - e lo stesso Carlo che quelle grazie, si può dire, ha toccato con un dito - e tornino a far gruppo intorno alla madre, come tre naufraghi intorno a un rottame, e questo ritorno chiamino 41 tornare a respirare aria pura,, è uno di quei misteri che probabilmente non penetreremo mai. A stabilire un nesso preciso tra Tr~ rosso dispari e gli orrendi fatti che funestarono la reggia di Tebe, noi non ci pensiamo neppure; ma che ci sta qualcosa di tebano nella commedia di Amici, non cc lo toglie dal capo nessUJ)o. Il nostro dubbio non è infondato. Le commedie di Amici, frivole 1n apparenza e imperniate esse pure intorno a quel fatale co11cl,age che sembra voler essere il fulcro di tutto quanto il teatro francese, celano nel loro fondo una specie di tesi, o per meglio dire una ttsi,ia, Questa: gli uomini non riescono a comunicare tra loro, e perciò sono destinati al silenzio. L'esempio che meglio di ogni altra cosa determina per noi la qualità di un'opera d'arte, è l'esattezza e il per cosl dire• sp1• rito, dei particolari. In Trt rosso dispari, ci parlano di Pietro Erland come di un giovane compositore di sicuro av\•enire; onde non si capisce perché, quando nell'atto primo la signora Erland socchiude l'uscio del salotto per farci apprezzare il talento musicale del suo capolavoro numero tre, non ci fanno sentire una composizione del giovane Erland, ma qualche battuta della polacca in la bemol maggiore di Chopin ... Questa gaffe, è vero, non è imputabile all'autore, ma al rc~ista ' della compagnia Calò-Bonora. Ma nell'atto terzo, quando dalla tenera del signor Masson, direttore dell'Opéra-Comiq11e, veniamo a saper che Pietro Erland ha composto un « poema musicale,, che questo poema musicale s'intitola e Le fanciulle fiori ,, e che queste e Fanciulle fiori Pietro Erland le ha mandate in esame al direttore di un teatro, noi ci troviamo di fronte a tre scemenze di calibro diverso, ma rutte e tre in egual modo monumentali. Delle quali non è responsabile il regista, ma lo stesso signor Amici, autore di quel , teatro del silen1.io•, di cui egli si mostra cosl poco propenso a rispettare il titolo. Quanto a colui che ha voltato Trt rosso di$pari in italiano, ci permettiamo di n• cordargli che «seno è la parte del corpo umaJ"'locompresa fra le due braccia, e che perciò non si può dire • i seni, come si dice • le mammelle 1 . A. s. LEO LONGANESI - Direttore re8ponsablle '· A. EDITRKE ,. 0\1:,.ll)l:S,. . \IILA'.\0 Propfictà ,ni•iita t 1~11~r11rÌA ri-~rvi,, RIZZOl.1 &· C • \n. J)"r \'.\rtt '1c11a<.t:rn,ra 'tila11., RIJ'ROl)l ZIO~I F~EGl..:ITE CO!-> \I.\TF.Rl.\1.E FOTO(iR.\Fll'O "FF.RR.\-.;I.\ P_11f,b/,c1la \!,!~ "IÌl (., llrt,chi \lil1110, \'ia .__,hi ,i 10 l ~1. ,,..,~•~ l'~ng,. _;h, R11t Jt t-· ,,.,,..ri: '-~i t·llonM,1

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