Omnibus - anno I - n. 25 - 18 settembre 1937

ANNO I· N. 15 · ROMA 18 SfrTEMBRE 1937-XV RAGAZZE .. E COSA innegabile che la donna it~lia~a da almeno cinquant anni cercasse, senza trovarlo, un suo particolare modo di e~serc, una sua maniera caratteristica di apparire agli uomini, un mod~ di vestire, di muoversi, di organizzarsi, cercasse in una parola una sua forma. Veramente per i cronisti esteri la. formula d'identificazione per la donna italiana era già trovata : un temperamento superficialmente passionale e chiassoso, una fierezza còmmoven"te nel balenare degli occhi, e dei capelli neri. Le parole delle canzonette di Picdigrotta servivano da falsariga. ~ all'interno la donna italiana non c~isteva c?e come nom_e. C'era, sì, un tipo part1cobre per ciascuna regione a cui facili romanzieri e giornalisti affibbiavano un certo numero di qualità, molto spesso simili a difetti, che servivano egregiamente a distinguerlo dagli altri. Esisteva una specie di formulario bello e pronto; avevamo la bolognese elegante, la napoletana, al solito, bruna cd ardente, la fiorentina e la senese bionda, longilinea e lievemente stile rinascimento, la siciliana enigmatica, e la veneta gaia e triste, fatale e mi~tica : il tipo e fascino-slavo > ad Uso dei lettori italiani. Per rendersi conto di tutto questo basta ripensare alle <.'roine di Salvatore Di Giacomo, di d'Annunzio, di Fogazzaro e, più tardi, del giovane Panzini. Poi, lasciando da parte la letteratura, c'era una cosl netta distinzione fra le cJa.s5j sociali, che era impossibile attribuire a una di esse tutti gli attributi dell'italianità e fame il modello ?Cr parecchi milioni di donne. La duchessa, la principessa, nobile ed altera, pencolava pericolosamente verso le sue cugine in nobiltà di oltre-Manica, cavalcava, frequentava le corse, viveva in una villa con molti ospiti; la borghese, al contrario, prendeva come suo m dello la parigina e non di rado, quando riusciva ad abbandonare la nativa cafoneria, sapeva eguagliarne le virtù e i difetti, eleganza e taccagneria. Le provinciali erano soltanto buone ragazze provinciali j le operaie si formavano, sui romanzi di Sue e della Invernizio, dove storie di atroci im;iustizie erano narrate, una mentalità socialista e perfettamente ouvrière. .\fa forse di aver creato questa confusione, di aver impedito la formazione di un vero carattere nazionale alla donna italiana, la colpa va all'uomo. All'uomo italiano che, si è detto e ridetto, per cinquanta anni almeno non è esistito. Così il romagnolo, il milanese e il romano, tutti divisissimi in un feroce provincialismo di idee, di costumi e di abitudini, consideravano le loro donne come i geni tutelari di questo particolarismo e di queste abitudini. Poi l'uomo ha incominciato a muoversi, ad agire in un campo più vasto e veramente nazionale e la donna lo seguì. Anzi, ad onor del vero, è riuscita anche a precederlo. Sono state le mogli degli industriali che seguivano i mariti nei loro giri d'affari, le mogli dei maestri trapiantate in tutta Italia che assimilavano un po' delle abitudini locali, le mogli dei funzionari dello Stato che, di sede in sede, perdevano quei caratteri o meglio quei difetti, che le fa.cevano, a seconda del caso, calabresi, piemontesi o siciliane. Esse riuscirono a fare una piccola rivoluzione familiare, smuovendo, con la loro facilità ad adattani a una nuova vita e ad un nuovo ordine di idee, le intangibili abitudini degli uomini tradizionalisti e gelosi. Da queste borghesi silem:io.-;amente ribelli e lente riformatrici di costumi nacquero delle ragazze, le ragau..e di oggi, quelle a cui sorridiamo tutti i giorni per le strade e le piazze d'Jtalia, che amano lo sport, i viaggi, la scuola e la casa. Sono studentcs.sc ed operaie che hanno trovato un loro modo di vita e un loro spiccato carattere, differente da quello di tutte le altre donne del mondo, perfettamente italiano, moderno e fascista. Hanno ri~lto di punto in bianco il loro problema, hanno tagliato corto e hanno imposto agli uomini la loro nuova personalità. E per di più, hanno saputo trovare un giusto m<'no fra i due termini così distanti e antitetici della donna di casa e di quella, diremo cosl, all'americana. Le polemiche che anni fa riempirono qualche colonna di giornale sul nuovo problema educativo della donna e sulla convenienza di uno sport femminile, per esempio, le questioni che pareva dovessero essere risolte perlomeno da un congresso di senatori e di ginecologi, sono state sbrogliate dalla donna italiana. 11 fascismo, molto giustamente, ha lasciato fare alle donne, in cam• po femminile. Le ha organizzate, ha aperto tutte le porte e le ha messe in grado di vivere come' desideravano. Con molta semplicità, allora, le studentesse hanno studiato e poi, con altrettanta serietà, hanno provato a correre sulle piste degli stadi i le operaie hanno scoperto che dopo il lavoro non c'è soltanto il cinematografo e le passeggiate in com...,agnia per i viali periferici e che lo 5port femminile non è riservato alle donne vestite di bianco sui campi geometrici del tennis. Tutte le ragazze d'Italia si sono mosse verso quella che è ormai la nuova vita femminile. Non manca, però, in que• sto nuovo costume femminile una netta separazione fra quelle qualità e quella serietà morale, che è sempre stata il fondamento ultimo della donna italiana, e la novità degli atteggiamenti. Rimangono intatti gli elementi base della eticità e della morale latina anche se l'aspetto esteriore si è fatto più sciolto, più vivo e più simpatico. Rimane ancora, però, per nostra fortuna, quella tintarella di romanticismo, quel poco di debolezza e di abbandono femminile che amiamo ritrovare e riscoprire anche nella donna più sinceramente moderna. E questo è il complimento più grande che si possa fare alle ragazze venute a Roma in questi giorni per i loro campionati atletici. Erano tutte belle, eleganti, allegre. Rispecchiavano tutte la chiarezza e la femminilità della donna italiana, nei gesti e nelle parole. E, grazie a Dio, non c'è la paura che fra qualche anno possano cambìare di sesso, come è accaduto a <JUakh(' campionc\.-;a straniera. MARCO CESARINI 11 PAGINE UNA LIRA I NESSUNA VITA E'. STATA sottoposta ad un'indagine così minuziosa quanto quella di Adolfo Hitler e nessuna riesce ancor oggi altrettanto misteriosa. Tutto 5j sa di lui, dalle origini al trionfo. La cronaca è precisa e uniforme : negli ammiratori fanatici come negli avversari irriducibili, come negli storici imparziali. I dati esteriori sembrano immutabili, gli episodi salienti concordano in tutte le narrazioni, la stessa analisi psicologica. che tenta di penetrare nel profondo della coscienza, non presenta sostanziali discontinuità. Chi vuol conoscere la storia di Adolfo Hitler può indifferentemente rivolgersi alle pub• blicazioni ispirate dal dottor Gocbbcls od ai pamphlets di Conrad Heiden. Eppure, quando si è tutto letto, tutto appre\o, tutto notato, la figura par come oscurarsi e dissolversi e in suo luogo sorgere un'ombra enorme che a poco a poco prende forma e rilievo : la nuova Germania. Nemmeno l'autobiografia riesce a rivelarlo. Vi si cercano invano i segni annuncialOri della futura grandezza negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Uno \Olo sembra talvolta schiuderci le vie di un'int;ma comprensione: le sue disposizioni artistiche, la sua sensibilità estetica. e A dodici anni intesi per la prima volta il Guglielmo T ell e qualche mese dopo il Lohengrin. Ne restai come fulminato. Il mio entusiasmo giovanile per il maestro di Bayreuth non conobbe più limiti e da. quel giorno non mi ha più abbandonato •· Questa sensibilità è un tratto caratteristico e costante del suo teffipcramento naturalmente timido e ri'iervato. Esisto• no due fotografie del giovane Hitler fra i suoi comp~'lli della scuola privata di pittura del professore Trober, e in entrambe la sua figura si distingue per l'aspetto calmo, modesto e contegnoso. Furono gli anni più lieti quelli trascor.-;inella scuola del professor Trober nella cittadina di Linz, in un ambieme rimà'itO in tutto fedele ai costumi del primo Ottocento. Le delusioni e le amaren.r di ogni gene-re dovevano sorprenderlo poco dopo, quando passò a Vienna dove per due volte bussò invano alle porte di quell'accademia. e Disegno insufficiente•, gli fu risposto la prima volta. e .;on ammesso>, la seconda. Sentenza inappellabile. Per guadagnarsi il pane non gli restava che l'umile lavoro degli operai. Fu una esperienza estremamente penosa perché era malfermo di salute e perché non disponeva di nessuna speciale capacità. Nel Mein Kampf l'autore sorvola su quegli anni di miseria e di oscurità, ma i diligenti biografi tedeschi lo hanno raggiunto anche là e ci hanno raccontato le sue angustie e le sue disperazioni. [ suoi compagni si occupano di politica, leggono Marx nelle divulgazioni di B0hm-Bawerk e si abbandonano a discussioni senza fine, nei caffè suburbani o nell'asilo notturno di :Meidling. Egli pure prende in mano questi opuscoli di propaganda spicciola, ma non riesce ad appassionarsi. Non ha curiosità scientifiche perché in lui la fantasia prevale sul ragionamento e sulla riflessione. A Marx prcfcri• sce Wagner, alla mitologia del proletariato, in marcia verso la redenzione per la stessa fatalità del capitalismo, le favole della Tetralogia, che lo riportano alle origini della razza germanica. La utopia non lo ridusse mai, la ribellione anarchica non lo tentò nemmeno nelle ore della più oscura miseria., nemmeno quando l'estrema indigenza lo portò, in una tetra serata invernale, a chiedere soccorso ad un signore sconosciu• to, che lo respinse col bastone. Chi sono i suoi amici, i suoi compagni? Sono dei miseri, degli sperduti, dei refrattari. C'è Hanisch, che colloca i suoi quadri e si tiene il cinquanta per cento come mediazione; c'è soprattutto Naumann, un ungherese che non si perde mai di animo e che rimedia a. tutto con le risor;e di una iniziativa inesauribile. t .Naumann che un giorno gli propone una risoluzione 'ardita· partire per la Germania. A Vienna .-;imuore di fame. Un momen!o di SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE esitazione e la decisione è presa. Si parte per Monaco. .e anche una liberazione morale. « Ero disgustato >, scriverà dieci anni dopo,~ di quel conglomerato di razze disseminato nella capitale dell'impero. Ero disgustato di quel miscuglio di céchi, dì polacchi, di ungheresi, di ruteni, di serbi, di croati, fra i quali sentivo l'eterno fermento che dissolve ogni consorzio civile : gli ebrei e sempre gli ebrei ! La gigantesca metropoli mi pareva riassumere tutto il sudiciume della razza umana >. Monaco, r 913. La fortuna, nonostante le speranze del buon Naumann, non si annunzia. Deve vivere di un lavoro ingrato e aleatorio : di acquerelli che riesce a smerciare nelle cartolerie della periferia, di magre ordinazioni che gli vengono dai piazzisti delle ditte di pubblicità. Non ha casa. L'ospita nella propria camera d'affitto un ingegnere viennese, che gli cede l'uso di un sofà in attesa di tempi migliori. Monaco è un centro artistico europeo, una città incantevole. Vita facile, seduzioni innumerevoli. · Egli aspetta impaziente la sera, perché è l'ora del ritrovo alla birreria Hofbrau, dove s'incontra con l'ingegnere viennese e con alcuni altri amici austriaci ad un medesimo tavolo. Si cena e si parla di politica. Ci sono, fra gli altri, un architetto che incomincia a farsi conoscere e lo scrittore Lindmann. Hitler tiene cattedra. La sua personalità si delinea e interessa. e A prima vista non riesce simpatico, ma a conoscerlo ci guadagna ». Questo il giudizio degli assidui al tavolo della birreria Hofbrau. Qualche volta l'ingegnere viennese osserva che il suo amico Adolfo si OC• cupa troppo di politica, che la politica lo distrae dal lavoro e gli su(!gerisce bonariamente di pensare piuttosto ai casi suoi. Qualche distrazione domenicale gioverebbe a dissipare le nubi dello spirito, a restituirgli un po' di serenità. Egli ha un'amica. Perché non fa altrettanto? Hitler s'inalbera. e Con quale diritto prendete in giro queste povere ragazze che s'illudono e finiscono per trovarsi tradite? >. Questo rigorismo, questa severità di costumi, al• !argano la sua solitudine. Passa così poco più di un anno. Nell'estate del r9t4 è la guerra. Al suo annuncio Hitler è preso da una spede di delirio. e Quelle ore mi apparvero come la redentione dalle penose impressioni della giovinezza. Lo dico anche oggi senza rossore : in preda ad un en~ tusia.smo furibondo caddi in ginocchio e ringraziai il Cielo, il cuore gonfio di gratitudine infinita >. Non perde tempo e si avvia verso il Consolato austro-ungarico; improvvisamente avverte in sé qualcosa che non sa intendere, qualcosa che non gli va, e ritorna indietro. Non partirà per l'Austria, ma domaf'lderà di arruolarsi volontario nell'esercito bavarese. In meno di quarantott'ore è accontentato e parte per il fronte. I suoi nemici hanno cercato di sminuire il valore di Hitler come combattente, ma invano. Il suo colonnello ebbe a dichiarare che egli aveva in ogni momento assolto il suo dovere di ufficiale di collegamento « non solo volonterosamente, ma con particolare distinzione>. Una citazione all'ordine del giorno per un notevole atto di valore, la croce di guerra di terza classe, il distintivo dei feriti e la croce di guerra di prima classe non consentono dubbi, non permettono sofistiche interpretazioni. Nessuno può seriamente contestare le motivazioni che gli valsero le decorazioni al valore. Si pensi piuttosto ali' estrema solitudine di quel combattente. « Durante tutta la guerra, Adolfo Hitler non ha mai ricevuto un solo pacco», ebbe a dichiarare J. Berchtold, un suo vecchio compagno d'armi. « Nessuno si ricordò mai di lui. Egli si batteva per un paese che l'ignorava •· All'indomani dell'armistizio ritorna a ~fonaco. Non viene congedato. Freq~ent~ i corsi di. cultura politica orga~ mzzau dalla Re1chswehr. Nel gennaio del 1919 assiste ad una conferenza di G. Feder, uno dei capi del nuovo partito operaio tedesco, e che lo infiamma •· Idee fino allora oscure gli diventano improvvisamente chiare: razza ariana, Gobineau, Chamberlain, i teorici del razz.ismo, l'antisemitismo la missione del popolo tedesco, tutt~ si concatena nella sua mente. Ne parla

con gli ufficiali della Reichswehr che sono più di tutti disorientati, li conquista al nuovo verbo, e a tal segno• che gH affidano l'incarico di tenere i contatti col nuovo partito in formazione. Questo partito ha un gran merito ai loro occhi : dà una spiegazione della disfatta. La causa pr1roa della catastrofe va ricercata nel veleno ebraico, che ha dissolto la compagine nazionale mentre l'esercito vinceva al fronte. Sarà questa l'idea di domani e sarà più fortetdi qualsiasi ragionamento. Durante una di queste riunioni settimanali un oratore bavarese si pronunziò in favore del separatismo, Gli argomenti in suffragio di una tesi particolarmente cara al Quai d'Orsay parvero impressionare l' uditorio. Nessuno domandava di replicare. Fu allora che prese la parola Hitler, sconosciuto come oratore. Improvvisò e fu travolgente. L'assemblea ne restò come soggiogata. I capi del partito locale, Drex• ler, Eckart, tutti gli altri minori, si assiepano intorno a lui e ne richiedono l'isc_rizione. Sarà uno dei dirigenti: il settimo membro del consiglio direttivo. Nel febbraio del 19~0 il nuovo partito diffonde il suo programma e affida a Hitler la direzione della propaganda. Incomincia da quel giorno la sua attività politica regolare, continua, instancabile. La sua popolarità si propaga con una rapidità vertiginosa, gli stessi fondatori scompaiono di fronte a lui, nessuno più li conosce. Egli solo grandeggia e domina. Passa un anno ed egli è il Fiihrer del partito nazionalsocialista. Il programma del nazionalsocialismo è per tre quarti socialista, ma non è la teoria che importa, è il suo valore strumentale. Al disopra di tutto c'è la riunione di tutti i tedeschi in una grande Germania, la lotta senza quartiere agli ebrei, ritenuti responsabili della disfatta, il ritorno allo spirito leggendario dei cavalieri teutonici che deve giustificare la lotta contro la Russia. Sono ancora degli interessi prettamente germanici, ma Hitler colma la lacuna bandendo la crociata contro il bolscevismo, che è un pericolo universale. La Germania presidio dell'ordine millena- · rio contro l'eresia comunista. Ecco il mito che concilia la dottrina della razza con le aspirazioni nazionali e identifica la rivincita con le stesse necessità dell'Europa. La e missione> della Germania si presenta come un interesse di ordine universale che comporta la rarità di diritto, il riarmo, l'espansione, la restituzione delle colonie, la distruzione dell'iniquo trattato di Ver• sailles. Intorno a questo mito, di cui non si possono negare i fondamenti storici, si muove tutto un popolo. Hitler ne è la coscienza e, più ancora che la co- ~ienza, l'istinto vitale. Questa finalità in un'Europa armata che .si ostina a tenere soggetta la Germania fino ad invadere la Ruhr presuppone, e non sembri un paradosso, la pace delle relazioni ordinate fra gli Stati. Hitler ne ha così viva la coscienza.1 che non accenna mai alla guerra come strumento di rivincita, perché la rivincita deve avvenire per la forza stessa delle cose. Sotto questo aspetto il suo pacifisz:no è sincerissimo e nessuno ha il diritto di dubitare dei suoi accenti eloquenti in onore della pace. Fu cotesta una intuizione profondissima di ordine interno e di ordine internazionale. Il popolo tedesco soffriva sotto la mortifica~ione del trattato di Versailles, ma non voleva sentir parlare di nuove guerre, memore dei sacrifici inauditi della conflagrazione moncliale che gli portò coÒtro tutto il mondo. D'altra parte l'Europa avvertiva nel trattato di Versailles un'ingiustizia impossibile a perpetuarsi. Solo così poteva diffondersi quell'ideoloj?ia revisionistica che ha così potentemente giovato a mitigare le catene che opprimevano la Germania, poi a logorarle, infine a spezzarll\ Era la stessa idea di Stresemann, se bene si riflette, ma Str~- mann aveva il grave torto di praticarla come una <tecnica>, che poteva dare dei risultati anche eccellenti, ma unicamente di sostanza, mentre il popolo tedesco voleva, insieme con quei risul• tati, il ripristino della propria autonomia, la riabilitazione del proprio onore. La differenza è tutta in quegli imponderabili che fanno la storia. Una politica estera di questo genere e di tali proporzioni presupponeva la e legalità> all'interno. Hitler non poteva consentire deviazioni rivoluzionarie o insurrezionali che avrebbero fa. talmente giovato al socialismo. Egli sapeva perfettamente che la rivoluzione di strada finisce sempre, presto o tardi, per deviare dai metodi e dai fini 11111 ANNOI, N, 2!, 18 8ETTEKBRE1937-IV Ili bMNIBU!• SETTIMANALEDIATTUALITA POLITIOEALETTERARIA ESCE IL SABATO IN 12·18 PAOIN'E ABBONAMENTI It&llaei)(,lonle11uo L, 4.61 .. meatre L, 23 S.\.&NI anno L. 70, .. mHtrt L, 38 0011 IOIU'&O 01U LIRA Xno,orlul, dlugnt e foto~• 1 111cb1 •• non po.hblloatJ, 110:1 11 reatltv.11000.0, Dlrnlou: Rom• • Via del 811darlo, 28 Telefono N, 681,836 .lmmiafttrulone: aman-o Piana Carlo Erha1 8 Ttlerono N, 24,808 IN . .boa. Ed.ltrl~ .. OIUflBUS" • N.Uuo DOOUXENTA.ZIONI RUSSE PER GINEVRA 11 Rlootdawrl oh• t To1trl •old dtbhouo eommuottrt qurut1 111do11I 11 che i capi si illudono di assegnarle e di imporle. Non v'era poi da illudersi sulle capacità di resistenza dell'esercito, minuscolo ma agguerritissimo, sul quale convergevano tutte le simpatie del~ la Germania reale, del capitale, del lavoro, della cultura e della scienza. Non si riesce quindi a comprendere come nel novembre del 19'23 egli abbia potuto cedere alla tentazione di una sommossa, del famoso putsch nel quale parve sommergersi la stessa gloria del generale Ludendorff. Errore incomprensibile, al quale, peraltro, seppe rimediare con una straordinaria abilità. Furono ammirati i suoi interrogatori al processo di Monaco per l'energia con la quale seppe difendere le idee del suo partito, e giovarsi del banco degli imputati come di una tribuna. La massima abilità, Hitler la spiegò nella dignità con la quale seppe riconoscere il proprio errore - « un minuto di follla > - e non perdere le simpatie, così scosse, della Reichswehr. e Quando seppi che era stata la polizia verde a tirare sopra di noi1 mi parve di rinascere. Dio ha voluto, pensai fra di mc, che non sia stato l'e~ercito. Verrà un giorno in cui la Reichswehr sarà al nostro fianco>. Sono b:utute da grande artista. Occorreva rassicurare l'esercito, la polizia, l'industria, gli uomini d'ordine, il presidente Hindenburg. Fino nel carcere - la condanna a cinque anni si ridusse, di fatto, a un ritiro di dicci mesi - egli seppe conquista.re, rassicurare, sedurre. Il medico della fortezza di Landsberg il professore Brinstciner, redige una Perizia che lo descrive come un esempla• re di equilibrio mentale. All'uscita dal carcere, quasi per misurare la propria forza e la propria popolarità prepara un nuovo Congres- ~o, un congresso monstre. La sede dovrà essere Weimar e dovrà mostrare ai e marxisti ebrei > che il nazionalsocialismo non teme di prenderli di fronte i:-ielloro stesso feudo. Il governo di Berlino non sa se concedere o no la autorizzazione, é incerto, tentennante, indeciso, preso ~om'è fra i timori e gli scrupoli democratici. Alla fine cede, concede. Il Congresso riesce secondo i piani prefissi. t. un successo grandioso, senza precedenti e senza uguali. Ora si tratta solo di ~fruttarlo fino alla con• sumazione. In qual modo? Ancora una volta Hitler dà prova di un intuito psicologico che stupisce. Passa una parola d'ordine a tutte le sezioni del partito perché nelle riunioni che fara.nno seguito al congresso di Weimar il Governo democratico sia tacciato di < vigli;.'lccheria>. Può parere cinismo.Senza dubbio lo è. Ma sotto questa taccia di viltà che lo insegue dovunque, nelle strade, nelle piazze, nelle case, nell'aria, e che pare, talvolta, rendere l'atmosfe- ~:eài~~sp:rf:il~f!,9~~C:r~E-tr~c~~! ~1C~~~a C~~t~~p:~~n?n1a~\\til~rode~{~ psicologia collettiva il condottiero aveva compreso che bastava },ronunciare ad alta voce la parola che era nella coscienza di tutti, e definiva lo stato d'a• nimo popolare. E per un processo di inversione psicologica comunissimo, milioni di uomini ripeterono quella pa• rola con una specie di furore fino al• lora contenuto. Si assistette come ad una leva in maua : fu una gara ad iscriversi al nuovo partito, a seguire il nuo• vo capo che pareva circonfuso da una aureola di infallibilità, In due congressi successivi tenuti a Norimberga, la Mecca del partito, si definisce la dottrina ne uarielur 1 poi si riprende la lotta ad oltranza per la conquista del potere. Per tre anni con- ~ecutivi non si parla più di congressi. Il Capo non li vuole, li teme. Non per sé, non per la propria posizione personale, intangibile, ormai, ma per la compattezza ideale del partito. Non vuole dissensi, tendenze, riserve, sia pure su questioni di dettaglio. Ed è que• sta la ragione apparente. Quella più profonda è un' altra. I veri pad~ ni della situazione sono i ni.ilitari e i grandi industriali, i signori della guerra e del danaro. Essi plaudono, ma con riserva. In realtà sono ancora perplessi. Hitler li sopravaluta, senza dubbio, ma di fronte ad essi non sa tenere diverso atteggiamento: gli manca l'esperienza del socialismo e della lotta di classe. t onnipotente e non lo sa. Esercito1 grande industria, alta finanza, proprietà terriera non potrebbero nulla contro di lui tutte insieme coalizzate, ma e$,li le teme, persuaso com'é che senza 1I loro consenso. il loro aiuto, il trionfo é impossibile. Nei suoi discorsi, pur così eloquenti, nessuna di quelle minacce magnanime nel nome di umi. superiore giustizia, che squillavano nei discorsi di Mussolini nelle ore della vigilia. Mussolini aveva legittimato degli scioperi fascisti e nel discorso di Udine aveva perfino fissato i compiti storici della Monarchia. Hitler si fermava davanti a Hugenberg e ai generali. Decisa la legalità sempre e dovunque, bioe:.ognavarassicurare i militari, gli industriali e i proprietari terrieri, e egli seppe assolvere questo compito in modo incomparabile. Mette la sordina alle enunciazioni programmatiche più ardite e punta unicamente sull'onore del popolo tedesco. Non è il tempo di pensare alle riforme sociali. Nessuno più dubita di lui, il popolo come la borghesia. Ciascuno scorge il « vero , Hitler nel proprio sogno. Ad ogni elezione i suffragi si moltiplicano IL PiiHRER A :BEROHTESOADEN fino ad assumere nel 1933 una imponenza plebiscitaria. Ha conquistato la maggioranza; impos.sibile negargli il cancellierato. Il vecchio Hindenburg s'inchina e trova un estremo soffio di energia nel proprio senso dell'onore affermando in pari tempo la propria fe. deità alla Costituzione. Nell'estate del 1934 il presidente Hindenburg soccombe sotto il peso degli anni, dei malanni e della gloria. Come risolvere il problema della successione? E. una domanda angosciosa. Per tutti, ma non per Hitler, che decide di convocare a Norimbe~a il Congresso del partito. Pare un'irriverenza a quanti, e sono i più, pensavano a un rinvio in segno di lutto nazionale. Ma non la pensa così il Cancelliere, che accelera i tempi. Egli sa quello che fa. Aspira alla suprema investitura e vuol mostrare al mondo che ha con sé tutta la Germania. Così avviene. La legge gli consente di domandare al popolo la nomina di Capo dello Stato a vita, e il popolo gli risponde senza esitazioni. La causa è vinta. Non tutti i problemi 50no risolti. Uno sopra tutti gli altri urge e s'impone come una fatalità. Che fare delle Camicie brune? Sono più di due milioni e mezzo. Sono molti, sono troppi, e non si possono accontentare con gli stessi sistemi coi quali si sono placati gli industriali e gli agrari prussia.ni. Nessuna Osthfield è possibile di fronte a una simile moltitudine. Qualcuno, come R0hm, pensa di fondere le Camicie brune con la Reichswehr. La Reichswehr si allarma per sé e per il paese. Forse che Hitler sta per venir meno agli impegni? Sotto il na• zionalista sta per spuntare il socialista? Egli deve decidersi. L'esercito o le Camicie brune? Il segreto del 30 giugno è tutto qui. Non vale indagare se ci fu o no congiura da parte delle S.A.. Il duello era inevitabile, il compromesso impossibile. Prendere l'iniziativa, prevenire, era la condizione sine qua non della vittoria. Dicono che tutta la forza di Hitler è nella parola, nelle sue incomparabili virtù di oratore. I fedeli giurano sul suo genio, gli avversari gli negano per• sino l'ingegno. Esagerazioni. t insensato vedere in lui un uomo comune, un semplice strumento del destino. Sono incomparabili i servigi che egli ha reso alla sua patria, che ha liberato d_allccatene. Questo basta alla sua gloria perenne. La grandezza di Hitler non consiste nella dottrina, che è un'elaborazione universitaria, ma nell'azione immensa che ha saputo promuovere e impersonare. L'uomo è sen;r,adubbio superiore alla metafisica del partito. Il suo compito è di essere pari alla rivoluzione. GIULIO VENTURI DIPLOMAZIAGIAPPONESB A 881AM0 già avuto occasione di trat- ~ teggiare su queste colonne la figur:i di uno dei principali protagonisti del dramma orientale: il Premiu giapponese, il Principe Konoye. Questo sta1ista, che i suoi connazionali considerano come discendente dagli d~i, appena salito al potere ha incamminato risolutamente il suo paese per la via delle conquiste violente ; ma ciò non ostante, non ha mai smeuo di sostenere con un candore, di cui la più consumata diplomazia occidentale sarebbe in• capace, che il Giappone vuole conquistare soltanto l'amichevole cooperazione della Cina, e non già i suoi territori, e che la Cina nulla ha da temere dal Giappone, anzi non ha da attendersene che benefici, purché si persuada a collaborare con esso. Tutto ciò, detto mentre i giapponesi conducono contro la Cina una cosi terribile guerra per terra, per mare e per aria, in· vadono iotere regioni cinesi, bombardano città cinesi, può s~brare, a noi occidentali, crudelmente ironico. E, forse, non è che orientale. Alcune settimane or sono, il Principe Konoye pronunziò alla Dieta un discorso, al quale la nostra stampa non dedicò molta attenzione; e a torto. Prima di tutto quel che fa o dice il Principe Konoye è tempre degno di nota, appunto perché chi lo (a o lo dice è il Principe Konoyc, cioè; il Capo del Governo di uno dei più po• tenti imperi del mondo ; e in secondo luogo, quel discorso c.hiarl ancora una volta, oltre che il caratteristico atteggiamento della politica giapponese di fronte alla Cina, anche il pen,iero della classe dirigente.: nipponica circa il pericolo del comu· nismo. CINAE COMUNISMO l o credo>, disse il Principe Konoye, e che ci siano molte persone nel Governo cinese che capiscono il Giappone, e fra esse è incluso il Generale Ciang-KaiScek. [o penso che la nota fondamentale della politica del Giappone in Cina dovrebbe essere que1ta: far tornare la razza cinese e il Governo cinese alla loro originaria natura orientale >. E, dopo avere spiegato che il comuni• smo è, per 1ua natura, non-orientale (unori,ntal), il Principe Konoye aggiunse: e Per la Cina, danzare su una siffatta musica {quella comunista), e mettere a soqquadro l'Oriente, ~ equivalente a indebo• lire l'Oriente con le proprie mani. Jo spero seriamente che la rana cinese si sveglierà al più presto per rcaliuarc la sua natura di rana orientale e coopererà con quella giapponese, che proviene dallo stesso ceppo orientale... JI Giappone non ha bisogno di territorio, ma di cooperai.ione. Se- noi avessimo avuto siffatti disegni (ter• ritoriali), l'intero territorio della Cina set· tentrionale s.arebbc staio da lungo tempo occupato dal nostro invincibile esercito imperiale •· Più recentemente, in un messaggio ai fum:ionari e alla nazione, il Governo giap• ponesc dichiarava, ancora una volta, che « il Giappone desidera addivenire acl un.i cooperazione con la Cina allo scopo di 'atgiungcre la comune prosperità e di cn:1tribuirc, per ques1a via, alla pace del mondo>, E, prima di tuico, il lettore sarà alquanto stupito di apprendere che il Giappone considera il bolscevismo come un prodotto non orientale. Sarebbe, dunque, occidcn· tale? Evidentemente, niente ~ più rd:i.ti• vo dei punti cardinali. Mosca ~ oriente per noi cd è occidente per il Giappone. Ma non è questo il punto più notevole del discorso del Principe Kono)'e, 11 punto s.·\licnte è quello in cui si proclama lo sco• po della nuova impresa giapponese in Cina. Jl Ciappone intende impedire alla Cina di diventare comunista, o, come si suol dire, vuole salvare la Cina dal pericolo comunista. Solo qucno. Come è noto, il generale Ciang•Kai-Scck ha consumato la sua vita e le sue forze a combatlert" il comunismo. Ed ecco che il Giappone, nel lodevole intenlo di impedire alla C'ina di dh•cntar comunista, a chi fa la guerra? Al generale Ciang-Kai-Scek. Ora, checché pensi il Principe Konoyc, sembra che, in questi ultimi tempi, la Ci~ na non corresse alcun rischio di diventare comunista li pericolo ci fu; ma, ormai, era pasiato da un pezzo. La tona roua si era notevolmente ristretta ed era ragionevole sperare che la prc$$ione del Go• verno di Nanchino l'avrebbe ancora ridotta. Ma la ~cena è cambiata appena s.ono scop· piate k ostilità col Giappone. I comunisti cinesi ham1f) fatto causa comune col governo di Nanchino: e una loro armata si è mcua in movimeMo per prendere parte all'uione, spiegando al ven10 b bandiera dd Kuomintang, con un nastro ros~ le· gato all'asta. li governo di Nanchino ha concluso con Mo~ca un patto di non aggressioné e l'Agenzia Oomei, anzi, ha già lanciato I:,, notizia, noi\. sappiamo quanto fondata, di un'alleanza segrt':la cino-sovietica. Cosicché, per ora, la conclusione è che ìl Giapp.>nc, partito in guerra per salvare la Cina dal comunismo, la spinge violentemente fra le braccia del comuni• smo. ~fa se questa è la conseguenza immediata dt"ll'azionc nipponica, ciò non to• glie eh(' le conseguenze lontane potrebbero essere ben divene, e cioè conformi alle idee del Principe Konoye. E:. possibile, in una parola, che la Cina in flvvenire si pieghi a collaborare alla grande politica panasiatica del Giappone, alla politica che è espressa nella formula: e L'Asia agli asiatici >. Il giorno, in cui questo accadesse, sarebbe assai grave per gli imperialismi europei e americano. IL RISVEGLIODELLACINA Qualche cosa di sorprendente, qualche cosa di veramente paradossale sta accadendo in Cina sotto la pressione delle armi giapponesi. Sta accadendo semplicemente questo: che il popolo cinese, di fronte all'uulto nipponico, va acquistando senso della patria, attitudine alle am1i, disciplina mili1arc: in una parola ritrova in M" stesso virtù che sembravano spente per ~mpre o che, addirittura, esso non aveva ma.i possc-dute. Noi, su queste colonne, abbiamo già avuto occasione di esprimere la nostra ammirazione per la nobile nazione giapponese, per la grandiosità della sua politica, per il senso religioso che essa ha della aua missione storica. Possiamo, percìò, con per• fetta obiettività constatare che i cinesi oggi si ba1tono ben diversamente da come si battevano una volta. Quel che in altri tempi valessero i cinesi in combattiMento, si vide nella guerra col Giappone del 1 895, e nella guerra dei boxers del 1900. E, difatti, cosl l'Europa, come il Giapp0ne, in fatto di politica cinese, par-tivano dal pre1upposto che la efficienza militare della Cina fosse perfet• tamente nulla. J lunghi anni di guerra ci• vile, di brigantaggio, di anarchia, che la Cina aveva attraversati, avevano ribadito ques1a opinione. Improvvisamente, in occasione del conAitto per il Manciukuò, si ebbero i primi sintomi di un risvtglio militare cinese. Anche allora, come adcss.o, i giapponesi agirono su Sciangai: e sbarcarono, in principio, esigui contingenti di marina. lna• spettatamente, questi primi reparti si trovarono di fronte a una poderosa reazione cinese e corsero, più volte, il rischio di essere sopraffatti, Furono raffonati; ma la resistenza cinese continuò più che mai accanita. Alla fì.ne i giapponesi dovettero sbarcare un vero corpo di spedizione, armato dei meui tecnici più potenti; e po· terono, co!l, conseguire successi locali, ma non riuscirono ad annientare del tutto la resistenr.a cinese. Il conflitto fì.nl nel modo ben noto: e ciot col distacco della Manciuria dalla Cina. Ma la nuova Cina aveva per la prima volla scritto nella storia una pagina di gloria: una divisione di cinesi male armati, mal yestiti, mal nutriti, aveva tenuto testa a un corpo di spedii.ione di uno dei più potenti eserciti del mondo. Fra gli stranieri residenti a Sciangai, e che furono testimoni del miracolo, non manca• rono spiriti particolarmente penpicaci, i quali pensarono che da quel momento una nuova storia comincìuse per l'Estremo Oriente. L'episodio di allora ha, oggi, una continuazione su vasta scala. Da per tutto i cinesi si battono e resistono valorosamente. J giapponesi riportano dei succ"ssi e avani.ano, ma devono da per tutto combattere duramente e, spesso, son ridotti a conqui• stare il terreno palmo a palmo. Tutto questo è un fatto nuovo, di cui non soltanto il Giappone, ma il mondo dovrà tener conto. Finora la Cina non si batteva Era, forse, il paese più pacifico del mondo: pacifiche le sue religioni, pacifica la sua civiltà, pacifica la iua storia. I suoi saggi avevano deplorato e maledetto la g·uerra con parole ,·cementi. Così la mora• le politica confuciana, come quella taoista, non erano che teorizzu.ioni di un basso opportunismo. e L'opportunismo è il segno che distingue il saggio >, aveva insegnato Confucio. E Lao-Tse: e Vuotate le teste e riempite i ventri... Istruire il popolo è rovinare lo Stato >. Religioni e morali di simil genere non sono certo fatte ~r educ:ire un popolo alla lotta e al sacrificio. Il popolo cinese, dunque, viveva in pace e vo• leva vivere in pace; odiava e temeva la c:i;uerra e spregiava il mestiere delle armi, al quale non si dedicavano che abietti mercenari a scopo di lucro. Tutto ciò è mutato. Lord Litton, il quale fu presidente di quel famoso comitato che la Lega delle Nazioni mandò in Estre• mo Oriente a dirimere il conflitto per il Manciukuò, lo notava in un articolo recente. L'atteggiamento morale del popolo cine5e di fronte al problema della guerra, è completamente mutato ; esso non disprezu \'esercito, ma lo stima e lo ammirl'I E come è mutato il paese, cos} è mutato l'e· scrcito. Una buona parte delle forze e.i~ ne.1i non è più un'accozzaglia di predoni e di mercenari, ma un e~rcito, un ,,ero esercito, risoluto a difendere la patria. Que,ta profonda trasformazione è solo in parte opera di Ciang-Kai-Scck. Per una parte ass.'li più grande è opera del Giap• pone. t il Giappone che ha costretto la Cina a diventare guerriera. Il cas.o non è nuovo nella storia. Furono le guerre napo· leoniche che destarono in Germania, in Ispagna e ahro,·c, quei sentimenti nazionali che dovevano, poi, abbattere ì'-apolcone. E a chi di ciò attribuiva il merito a Napoleone, Treiuchke rispondeva con iro-- nia: e Oh! certo! il cavallo brutalmente fru~tato, che s'impenna e si gt-tta al largo, deve la libertà all'imprudenza de-I cavaliere>. Torna all:i. mente il mito di Demetcr, che c~ponc,,a all'ardor<' del fuoco il figlio dcll\1omo affinché divcn1aue pari agli di-i , wlo nella ,offer<'nz:i e nella lotta si tcm· prano così c:i;liuomini, come i popoli IL GIAPPONEVINCERA Q uali conscguenz(' possa averr nel !on• tano avvenire questo riwe11;lio dì un popolo di milioni di anime non è possibile prcvrderc. ~la le conv-c:i;ucnze sul conflitto in cono sono già in parie manifeste. Il Giappone vincerà, ma a costo di una lotta severa. Del che., del resto, lo stesso Governo nipponico ha mo~rato di render· si perfettamente conto, invitando l:i na1ionc a prcparani per una guerra dì lunga durata. J..a Cina è ricca di molte materie prime ; ma di nessuna è cosi ricca romt' di uomini. Questo materiale umano, ieri, sul grande mercato internazionale della guerra, valeva zero: perché il soldato cinese non. si _batteva, Oggi, invece, eS50 è, come s1 d1reb· be in termini commerciali, e rivalutato >. Il soldato cinese si batte cd è stato promosso al grado onorc"o\e di ~arne ~a. can: none. Perciò questo popolo dt cenuna1a di milioni di anim(': può essere uno strumento formidabile nelle mani di un'abile politica antinipponica: o che il tirafili sia inglese, o che sia russ.o.. La forza di _resistcn• z:i cinese, se convenientemente ahmenta1a da rifornimenti stranieri di anni e di mu· nhioni può diventare praticamente incsau· ribile. 'La tentazione, quindi, è troppo for• te perché i Sovieti non ne profittino, ten• tando di rendere eterno il conflitto. E fonc non solo i Sovieti. t questo il pericolo. Il conflitto attuale può aprire la via :i più vasto incendio. Non a caso, recentemente, un pubblicista giapponese scriveva che il suo paese solo in apparenza è in conf\itto con la Cina, ma che in realtà la vera lotta è in'{all;'{Ìata con l'lnghiltrrra.

I j R If J ~ 1 'Jt 1 :~l1 L é:f>.a~~rn 24 ANNI 24 U-o> re~u©&5l&>a~u© APPARECCHI ABBATTUTI Parma, settembre. ELLA PICCOLA stanza da J pr::mzo, molti parenti e cono• scenti. Ci sono tre ragazze con i vestiti a fiori, donne con lo scialle, due bambini e alcuni uomini. Mantelli mi è vicino, seduto su di un basso canapè rosso: ha il volto abbronzato, gli occhi rotondi, la mascella robusta. Intorno, c'è un silenzio imbarazzato, e alcuni stanno osservando le fotografie con dedica di grandi personalità appC''-C alle pareti. Riconosco, fra Jc tante fotografie, una piccola di Adriano Mantelli: è un bambino di pochi anni, coi calzoni corti, gli occhi vivaci e fissi; lo stesso sguardo della m:i..dre, che mi siede vicino. Entra in quel momento un signore con due bottiglie: è il padre. Ha due grandi baffi neri, un panama bi.mco in te• sta; poiché le sue mani sono impaccia• te fa un inchino e dice : « Buona sera a tutti>. Questa ~ la ca.sa dello sparviero di Spagna, terrore dei Rata, dei Potez e dei Curtiss. La nonna sta combinando con una ,ìgnora un pellegrinaggio al Santuario di Fontanellato, e parla sottovoce fa. cendosi ripetere le parole. L'ambientt! è piccolo borghese; dappertutto i segni d'una modesta agiatezza. La madre racconta un episodio dell'infanzia di Adriano; il padre a~colta in disparte con molto compiacimento. La prima impres\ionc è che questa gente ignori tutto di lui e che egli tenga per sé i suoi tremendi segreti. Ma la madre, visto che il figlio tace, ~i mette a raccontare lei le imprese di Spagna : gli altri ascoltano, in silenzio e \l.!nza e,clamazioni; l'aviatore intan• to disegn,l ~u una cartolina un profilo di ala. PRIMI VOLI Rinuniamo ~li. Adriano Mantelli di solito è taciturno, ma appena gli si di• scorre di voli s'accende. « A quattro anni ho irrigidito le ali a una gallina, con stecche di filo di ferro, e l'ho librata dal solaio. f:. ca• duta male, gridando. Ma ho pensato che forse non potevo pretendere da una gallina spirito di pilota, e del resto la natura Je aveva dato le ali per sbat• tcrlc. Poi, mi sono costruito le prime ali per me. Penne e penne di poli~ piantate in gambi di melica, tenuti da fili di ferro. Quindi, con un om• brello, son disceso dall'architrave del fienile; era un ombrello lavorato, co~ tiranti e prolungamenti. La stessa dt· scc~a l'ho · fatta molto meglio con un lenzuolo. M'ero attaccato alle bretelle del paracadute, a sette metri da terra, e un compagno era salito su per l'ar• chitravc a tagliare la corda. Sotto c'era il fieno. A\·evo fiducia in mc, ma conos<"cvoi limiti della mia possibilità >. e Come mai, vivendo in campagna, a cinque ;mni, vale a dire nel 1918, si sentiva attratto dall'a.viazione? ». « Non Jo saprei dire. Dalla gallina in poi, non mi sono mai stancato, men• tre so che i bambini cambiano spesso gioce;. « Gli aeroplani erano per mc una -:-osa soprJnnaturale, lontanissima. A forrile ne cadde uno e mi portarono .Jn pezzo d'ala; dissi: "è legno ... ", non volevo crederlo. Cercai subito di costruirne uno, stupito dalla novità della centina. « Avevo la mia officina su di un ro• vere e lavoravo intensalT'ente con tela e canne. Ogni tanto libravo un mode). lino fra il fogliame. « M'interessava solo la parte tecnica del mio gioco. Quando verniciavo un modellino, ad e:sempio, era solo per aumentare la resistenza e non facevo ca~o al colore. Nemmeno una bandic• rina ci dipingevo. « A tredici anni, finalmente, ebbi il mezzo per volare. Con l'aquilone Saccone. Poi mi buttai alla modellistica. 1 lo <:ostruito centinaia di modelli, ma il primo resterà sempre la mia più gr,rndc soddisfazione. Non ne avevo mai visti .tltri; era una creazione mia e vola\·a. Aveva il motorino a elasti• co, un'clichctt~1 sagomata e un corallo pc, imJX'dirc l'attrito. LA S.D.A.M. « Poi ~no paso,ato alla bicicletta vo1:lntC",1ipo Chanute. Ci si infilava dentro, e le gambe facevano da carrello. Tutta una notte abbiamo fatto le- pro• ve di rcsi~1en1a, caricando le :ili di ~ahhia, tanti chili per centimetro qua• . Adriano llautelll 111,nlo aliante. (Alla ,o.a du\ra, In dirla& d'nangurdiata 1 A.lenaudrlul, altro auo d,ll'niuiou leglouarla) drato. Inutile dire che non abbiamo dormito dall'emozione. Alla prova, vo• lai a 2 metri d'altezza per 50 metri. Tutti sembravano impazziti. « Intanto il volo a vela entrava in Italia. Il 29 novembre 1929 fondam• mo la S.D.A.M. (Sirocchi Dino e Adriano ~{antelli): avevo 16 anni. Preparammo i registri dell'amministra• zionc; lo statuto era questo : nelle ore libere si lavorava, si risparmiava a più non posso; niente cinema. Requisiti speciali : un certo numero di prove di coraggio, come saltare dalle scale una quantità esagerata di gradini e cam• minare con i tl"lmpoli fra gli spazi di una scala a pioli orizzontale, messa a mezzo metro da terra; questa prova era tremenda. J n otto siamo entrati 1 in otto siamo rimasti e tutti otto en• trammo in aviazione>. A questo punto Mantelli s'intcrrom• pc, e ci mostra un piccolo quaderno di tela cerata, ch'era il registro della S. D. A. 1-L: « Qui c! sono i nostri nomi d'arte: io ero Maddalena; Alessandri• ni, che è ancora in Spagna, Baracchini; Barilla, Donati, eccetera. Mia madre faceva da cassiera; le ultime 300 lire le ha rimesse lei, economizzando sulle spese di casa. « I progetti erano già pronti, e il modello A.M. 1 {Adriano Mantelli 1), ricavato da modelli nostri, portava dei perfezionamenti. e difficile perfeziona• re cose così semplici, eppure il nostro longherone cavo è ora adottato in lta• Jia. Costruito l'apparecchio, si fondò la scuola di volo a vela. La manìa di vobre divenne frenetica. Occorreva un campo : ci associammo ali' Acro Club. Quante adul1anze fece la S. D. A. M. ! Ma al Club si davano troppe arie. Il presidente non aveva mai me$SO il sedere su un aeroplano. Come emozio• ne di volo, raccontava che una volta, con un idrovolante sul lago di Como, I.& •quadriglia di lh11telll eel olelo •pagnolo, 011.lont.&11.&111& gli app&r&C<luhiiamloi) a 4000 metri, vide il lago così piccolo che ebbe l'impressione di non poterci ritomarc. Non capiva niente e non si riuscì mai a convincerlo della sicu• rc7.za del nostro velivolo. « La nostra creatura rimase dal '30 al '33 nella vecchia chiesa di San Leo• nardo, che il prete, l'unico che ci se• guiva e aiutava 1 ci aveva prestato. « Non persi tempo. A Cantù, c'era una scuola come si deve. Per tre mc• si, ottobre, novembre, dicembre, una volta la settimana, facevo i 1 70 chilo• metri da Parma in bicicletta. Quelli che come mc venivano da lontano, erano forse i più. Ora sono tutti cam• pioni. Ma adesso basta con questi par• ticolari che stancano, le parlerò invece di quello che si è fatto ad Asiago, in questi giorni, col volo a vela; son cose che entusiasmano chiunque >. « Ma mi dica, prima, come è entra. to in aviazione>. « Come ufficiale di complemento. Avevo il brevetto di pilota premilitare. Dopo un po' che ero al campo, arrivò il nuovo C. R. 32 Fiat : 350 orari e 150 per staccarsi da terra. Avevano discusso se si doveva o no affidare ai giovani l'apparecchio. Scelsero mc. Andai su e feci un po' di acrobazia. Da quel giorno non ci sono più dubbi : è senz'altro l'apparecchio più docile e sicuro: si capisce, coi dovuti riguardi. L'aviazione da caccia è una famiglia di ragazzi in gamba e senz'arie. Ci si vuol bene e non si !etica mai; quando si va su1 non si è mai certi di riveder• si vivi. Tutto il giorno si provava; ci si sorvegliava, ci si correggeva a vi• ccnda, come se ognuno fosse il tenero maestro dell'altro. Eravamo c.-sigcntis• simi; sulle fotografie degli stormi in volo si discuteva per nn.:; il loopirig e il tonneau lento dovevano essere lavorati al tornio. « Eravamo maturi; appena si sentì della Spagna, partimmo. « In Spagna c'erano le colonne di Varcla da scortare. In principio 1 si faceva un po' d'acrobazia 1 per diver• tirc i soldati 1 quasi tutti nuovi alla guerra. Domandi a qualunque reduce se, con la propria aviazione sulla te• sta1 non si sentiva dicci volte più forte. Per noi era il maggior orgoglio. « Fin dai primi scontri aerei, i sol• dati assistevano come a una corrida. Da tutte le parti, uscivano fuori e, matado e/ toro, si mettevano a balla• re. Da allora, fummo la Cucaracha. LA "CACCIA" « In principio, eravamo in pQChi da una parte e dall'altra. Poi i rossi crcb· bero enormemente con l'arrivo dei russi. Il lavoro era tanto che si stava più in J ria che in terra. Sempre allarmi. « La nostra tattica preferita era quel• la della sorpresa : si andava su in po• •chi, tre o anche uno, a nascondersi in alto. Convogli da bombardamento, scortati da caccia, venivano dai loro campi e passavano sotto di noi. Allo• ra, col sole alle spalle, piomhavamo in picchiata. E ognuno di noi puntava sul suo avversario dentro il collimatore delle mitragliatrici. Dai 100 metri ai 30, un attimo 1 poi fuoco. Poi, una vi• rata a sinistra, e via, tutti e tre in for. mazìone. Di solito, gli apparecchi ne. miei precipitavano o scapp:\Vano da tutte le parti, come tortore spavcn• tate>. « Ma questa tattica non era seguita anche dai rossi? >. « Preferivano uscire in tanti, scbbc· ne, a loro spese, ne avessero vi"itO i ri• sultati. Non hanno neppure imitato la no~tra ala che era mimetica nella par• te superiore, di modo che dall'alto, contro terra 1 non si vedeva niente>. « E il suo primo scontro?>. « Eravamo in un cielo tempestoso, dentro e fuori dalle nubi. Quasi di• strano, pensavo alla bellezza del volo, quando vedo tre apparecchi in basso che volavano tranquilli e sicuri. Noi tre, in alto, volavamo ala contro ala. Eravamo nuovi al combattimento: avevo la preoccupazione del comando e non pensavo ad altro, come in una esercitazione. Col sole alle spalle, ve. nuto il momento, " sbatto le ali ". t un avviso. Un colpetto agli alettoni e le ali oscillano. Gli altri miei compagni preparano i! collimatore e sorridono. Andiamo bene. Alzo una mano e si scende. Ta-Ta-Ta. Per un attimo, ve• do le palle traccianti investire l'appa• rccchio nemico; e poi su, in gràn voi• ta. Dall'alto, vedo il mio avversario che precipita con una coda di fumo; un altro che scappa, il terzo che si abbassa come un uccello ferito. Solo allora ho pensato: questa è la mia prima vittoria, un uomo ucciso da mc. Sperai che uscisse un paracadute, ma niente. Scesi a vederlo : era là, in mezzo ai resti; un fr<.1ncesc.La prima ìspi• razione fu di piantar tutte, di tornare a casa mia e di non pensare più alla guerra. Ma in guerra non si fa in tcm• po a commuovrrsi che subito è pron• t..'l. un'altra emozione. L'tissillo era tale che ci metteva in una specie di esalta• zione, invece di abbatterci. Voli notturni, di scorta, di esplorazione, di an• nehbiamcnto, eravamo sempre occu• )Jati. Per uno che ne incendiavi, dicci ne uscivano fuori; un ambiente da Davide e Golia. IL PRIMO"BOMBER" « Quanti geroglifici nel ciclo! l;na volta, sul fronte di Madrid, in tre, ci siamo imbattuti in una cinquantina di apparecchi, fra caccia e bombarda. mento. Al solito, sole alle spalle e sbat• tuta d1.1li. Eravamo così vicini, che ve• devo le espressioni di meraviglia dei compagni. Giù in picchiata: era l'uni• ca cosa da fare. Ecco, non speravo tanto: proprio come una folla presa dal panico, si sono sparpagliati tutti e infilati nelle nubi, con i loro trenta chilometri di velocità in più, che tan• te volte li hanno salvati. « Si partiva con la certezza della bat• taglia a oltranza. Il più bcll'csempio l'ha dato Boccolari: "Se resto senza palle, gli salto addosso ''i e lo ha fatto L'avversario cadde, lui si salvò col paracadute. Questa sembra una temera• rictà inutile, perché è un apparecchio per un apparecchio, e forse un uomo per un uomo; ma gli avversari si tro• vano così a dover lottare contro qualcosa di implacabile, di diabolico, e al• !ora for7_aalle manette! « P. incredibile come le notizie, alle volte, siano deformate, diventino leg. gcnda e tutti si spaventino, Una voi· ta, uno scende dal ciclo e ci de!-:rive un nuovo tipo d'apparecchio, lungo, affuo,olato, con gli alettoni rotondi 1 ve• loci,,imo. Un tipo Martin Bomber da bombardamento leggero. Si sparge la notizia: ;\1artin Bombcr qui, Martin Bomber là, micidiale, un incubo, te• lefonatc, i comandi preoccupati. In uno di quei giorni fui d'allarme con un genovese, uno dei diciannove della Squ:l.driglìa Folle di Campoformido. All'orizzonte, contro un ciclo giallo, ri• cordcrò sempre, appare la sagoma di un ~artin. "Si va a vedere, signor tenente?" dice il genove~e. Si parte e ci avviciniamo in quota. Quello, senza vederci, forse cercando un posto da posare le bombe1 ci viene incontro. Al!a priml raffica, ho visto chiara• mente le palle incendiarie che sulle ali sprizzavano scintille bianche; poi la fiamma, come una coda, dall'ala si• nistra investe la fusoliera e l'ala destra. Precipita a terra: entusia-.mo. Una ba11dera passò in territorio nemico per con,;tatarc la caduta del drago e riportò gli al"ttoni che spedimmo in ltalia. Da quel giorno, il Bomhcr, con la stessa facilità con la quale era entrato nella leggenda, ne uscì e fu considcrato 1 né pili né meno. cc.mc un Potez o un Rata. « Fu in questo combattimento che ai tre aviatori rossi si strappò il paracadute. Era tale la velocità, che, puf, l'ombn•llo rimase per aria. « In guerra difficilmente si odia l'av• vcrsario. Quando lo si è disarmato e mco,so in istato da non nuocere, ba~ta. Sembra strano, eppure, quando gli avi..~tori toccano terra, diventano ami:i. "MUCBOS OJOS" « Quando c'era la luna, di notte, andavo in cerca di apparecchi all'ormeg• gio. Calavo giù a motore spento fino a terra, mitragliavo e via. Una volta, non se n'erano neppure accorti e ho potuto ripetere il colpo su un apparec• chio vicino; un'altra volta, c'è stata una sparatoria pana d" hatteria quan• do ero già lontano. E.;i un modo comodo per far danno >. « Non è mai stato colpito seria. mente?». « Altro che, le pallottole traccianti volavano intorno come mosche, e spcs• so si tornava con le ali a setaccio. Una volta, nel cielo di Almeria, d buniamo · in due addosso a tre russi da bombardamento. li mio avversario è colpito1 si impenna, e, con la mi• tragliatricc di torretta, mentre passo, mi grippa il motore. La mia elica gira ancora, cioè le mitragliatrici possono sparare dal b:isso in alto; tiro contro il terzo app;1rccchio e faccio danno ai timoni, ma non posso far altro che ~ccndczlt:,convinto d'essere in casa no• stra. Tocco terra in un campo e mi trovo vicino due miliziani. Per fortuna non avevo neppure una pistola, perché avrei fatto una sciocchezza. « E',u ruso? > fanno quasi gentilmente. Perdio se ero russo! e quei cani dei nazionali, sempre fortunati, mi avevano beccato. Chiedo: « Sus lì,1eas estan vuinas? Porqué ,10 que• ria chocharmc en ellos ahora que estoy a pié! > Si mettono a ridere e mi spiegano benissimo le posizioni. Ringrazio, offro le sigarette e mi c.ic• cio in una piantagione di canne da zucchero in riva al mare. « M uchos ojos! >. Molti occhi, mi ,gridano. Dopo cinque ore sono a casa. Quella passeg• giata mi è costata un paio di ~carpe nuove, e un aeroplano, s'intende!>. « E Guadalajara? >. « Sono o,tati i giorni più spaventosi. I fanti non hanno avuto mai tanto bisogno di noi, e mai noi abbiamo potuto aiutarli di meno. I1npantanati ·come rospi nei C.lmpi d'aviazione coi rossi che sparavano sullt' colonne di viveri. Non_ ne potevamo pili. A co-.to di tutto, volemmo partire. Un paio di buoi trascinò i nostri apparcrchi vicino a un tratto di strada di cento metri, quasi diritta e tutta buche. A pieno motore, e col freno, ho alzato la coda per vedere av:rnti, poi ho la- ~ciato. Su ottanta metri cc l'ho fatta. In soli cinque su dicci, ci siamo stac•

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