ETTAI [ DADI nel bu,.,,olotto e di~si ridendo al biscazziere : « Lei non sa che fortun.\ ho io! Guardi che numero faccio! >. [I numero era quattro; uno dei più difficili. Intanto scuotevo il bm\Olotto e ridendo pensa\-◊ che avrei perduto, f' che me ne 5arci andato altrove, in un',lltra città, a perdere ancora, continuando così di luo(!o in luo~o, ~cmprc perdendo e sempre tentando di vincere, fino alb morte. La porta d'ingresso ~i aprì lentamente cd entrò una ragazza, fumando una sigaretta. « Guardate che faccio .ancora quel numero!,. dissi. « Voi non sapete che fortuna ho io!». In quel momento sapevo infatti che non avrei potLHo farne uno diverso, come pure sapevo che ciò sarebbe avvenuto gra:iic a quella r.igatza. < Il tuo numero è quattro, e tu lo farai; tu lo farai per lei! > dicevano tutte le cose intorno a me. :"\eero pcr:-.uaso. ~on lo di-.i.i.~on lo pcmai nemmeno, lo ,cntivo. E fu così, mentre dia camminava lentamente \'Crso il tavolo, con aria triste, lasciando u~cire il fumo d..1.llcn..i.rici e guardandomi. Gcuai i dadi; uscirono due e due. Prc,:,i i dicci dollari e pensai di andannl'ne. perché è inutile sfidare la sorte ~ i numeri. ).(a rimasi; continuai a ripetere a me \te.;,so la medesima cosa: rrti dissi che sarci stato sciocco se fmsi andato via, nel mondo, tra le co5e estranee, mentre tutto qUl·llo che era là, intorno a quc-1 tavolo. mi spettava di diritto. « Oatfmi i wldi >, dic;si. Il bii.c:1.zzierc~uardò la ragazza, continuando a far girare il sigaro tra le labbra. Poi guardò mc. Ci era\'amo capiti. Egli sapeva benissimo quel che '>t:\\';\accadendo e non gli piaceva affatto. La rac:,,zz., ">C ne ,:,tava tranquilla, ma io sentivo chc satcbbe tornata subito nella Mrad.1 se non accadeva quel che entrambi attendcvamo 1 quel che doveva avvenire. Ed ecco perché non mc ne andai col danaro. Prima che una ragazza, venuta da una piccol..1.città di provincia in una metropoli. si decida a battere la strada, si diffonde nel mondo un senso di pietà, di ficr('zza e di umiltà; e nes- ,;una donna è tanto bella quanto quella che ha deciso di vivete, pur non tcrm•ndo la morte, secondo il proprio dr-..idr-rio; cd allora attende pavida qualcosa che le conceda la sua vita. \\•dc\O bcni-,simo thc la ragazza aveva fame; ero certo che un giomo si ~arcbbe rivelata molto peg~iore di quanto non si potesse attendere i sareb• be stata collerica. fiera e umile, innocente e fedele alla sua fede nella naturale bontà delle cose. Xon parlo della fede in Dio; parlo della fede nelle cose create; ma forse non vi è alcuna differenza. II biscazziere era come tutti quelli ddla c;ua specie: b.bbra ~igillate e molta astuzia. ~(i guardò; guardò la ragazza, e poi dcci,c di non poter for nulla. Sapeva bt·nc che avrebbe perduto; non poteva evitarlo, il mio non era barare, quantunque vi wmigliasse molto. Avrebbe potuto allontanare la· rngar.ta; ma era un g-iocatore e amava spiare, seguire il corso degli avvenimenti. Fra i presenti vi erano cinque spettatori, uno dei quali era ubriaco; e qu<.•~ti,oltre il bic;cazzicre. era il Solo eh::- ca1>i-.seciò che accadeva. Rideva tr:mqu~o e frlicr; l'alcool aguzza l'istinto e fa veri i più profondi e sc- ~teti ordini delle cose. ~'li,i i dicci doll,1ri sul tavolo e cominciai a scuotere il bu11:solotto,certo cht· -.arehbc uscito il numero sette, purché ave,!'ii fede e ricorda~si che la rae:azza attendeva per sapere se poteva vi\'Crc la ~ua vita, e non un1esistenza di ra-.scgnata tric;tezza davanti al pericolo che è in ogni attimo. S<'ttc. Se in iz:ioco non avessi messo ,olo il mio danaro. ma avessi pensato a lei. a qi1ella ragazza ... E così accadde. 11 biscazziere mise i dicci dollari sui d!<.·ciche avC'vo puntato 1 e girò il sigaro tra le labbra, ripctut:'lmentc. Finl'J allora la fortuna m'era stata ver.uncnte a\'versa; non avevo avuto altro da perdere che il mio danaro e null'altro da vincere, e avevo sempre perduto. « Scommetto sul venti :., dissi, « !'iC \·inco mc ne vado, e se ocrdo mc- ne \·ado ;,. L'ubriaco rise. ~rcnur a,·(•\'O !,{ià piegato il braccio, e ~t•tt,wo i dadi. la ragazza si allont:inò dal tavolo e andò verso la p0rta. ~li fermai di <:ratto.. \vrei avuto ancora il tempo di chiamarla al tavolo pcrch.; ~uardrissc ciò che volevo fare: non mi fu po"-,ihilc; la vidi uscire e riuscii ,olt~rnto a pem.\re: « Ella non sa, non capi\r-C. che ora mi sforzo di pre~are: non ~ntc che voglio credere in Dio>. .\cccsi una. sigaretta e risi, pur sapendo che l'inc.-.1.ntcsimoera rotto. « Xon sa >. dissi a mc stesso. « Ora ,e ne va lungo una strada buia, in una città ~tranicra, e non sente ch'io voglio aver fede in ogni cosa: fede nrllo sconfinato univcr<:01 fede nella bontà della materia organica e inorganir..i... Ell,t è assente, lontana 1 ancora un;t \'Olta perduta nel mondo; ne~suno farà n1ai nulla pcr lei ed io perderò .. ». L'ubriaco aveva cessato di ridtrc. Pregai fddio senza far parola: e Ella non è qui >, dissi, e ma è stata qui; ed io credo, credo in ogni cosa. Fate, mio Dio, che venga il mio numero ed io correrò nella strada, la ritroverò, le darò il danaro. Mio Dio! Ve ne prego. Aiutatemi voi a far questo; non lasciatemi in mano alla mia sorte, perché la mia sorte è distratta ed io perderei; e questa notte, no, io non pos:;o perdere. Non l'ho mai vista prima di ora 1 ma so che ella viene da una piccola città di provincia e attende di sapere se vi è qualcosa di buono nella vita. Io, io so che vi è del buono in ogni cosa, e non voglio che ella si inganni e sia delusa >. I.1ubriaco mi venne vicino e disse: « Sci! Sci! Sei! Dev'essere sei!>. Feci il gioco e uscì il nove; poi otto, poi ancora otto, poi cinque. E io mi dissi: « Un sei! Un sei! Mio Dio, che io non possa uscire nella strada. con il" danaro, rincorrerla, darle il mio danaro ... >. Ed uscì un sci: due volte, tre. Pre~i la vincita e fuggii. L'uomo dell'edicola stava leggendo. « Dov'è andata quella ragazza? > gli chiesi. Egli alzò gli occhi e disse : e Quale ragazza? >. Allora mi misi a correre e le sole donne che vidi erano prostitute: era il loro quartiere. Dadi ed amore. Una mi disse: e Perché ti affanni tanto, bamboccio mio? >. e Cerco una ragazza », le risposi. « Ed allora resta qui >, disse. e Una ragaua che è venuta da.Ila provincia>. e Anch'io sono venuta dalla provincia :t. « Non capisci >. « Ho capito benissimo>, mi ribattè. e Sarà per un'altra volt.:"l »1 le risposi e ripresi .t correre. Entrai in un risto~ rante. Ella non c'er..k Tornai nella casa da gioco e non la trovai. L'autobus, che dove\'a condurmi a New York, partiva dopo dicci minuti, e fino alle otto del mattino seguente non ne venivano altri. Presi un tassì e mi feci condurre .l!l'autobus. Proprio un minuto prima che l'autista mettesse in marcia la vettura, saltai giù e mi feci condurre nella casa da gioco; ella non c'era. Passai buona parte della notte cercandola in tutta Kansas City; inutilmente. Andai in locali di ogni specie e di ogni grado. Infine, presi in affitto una stanza per il resto della notte. Passai i giorni successivi a cercarla e non la trovai. Non credo che tutto ciò conti mollO; avrei desiderato che una piccola cosa come quella vivesse e si svolgesse tutta intera, invece che morire cosl, come muore ogni cosa. Avrei voluto ch'ella sapesse come non tutto nella vita è abbietto; ch'ella sapesse come talvolta vi sia del buono. Suppongo ch'ella abbia trovato il modo di vivere; ma avrei preferito che non se ne andasse così, lasciandomi nei guai. Sprecai due giorni a Kansas City, sperando sempre di ritrovarla. Volevo dirle che avevo vinto unicamente perché avevo capito cosa c'era nel suo animo, ed avevo desiderato vincere del danaro, tanto, da lasciarle vivere la sua vita. Per un attimo, mentre ella era nella casa d.i gioco, noi avevamo avuto l'intero mondo cd ogni idea di Dio dalla nostra parte; io avrei voluto, però, che ella non se ne andasse così e non mi lasciasse con in tasca un inutile mucchio di danaro, invece della vincita vera e ricca che ero riuscito a fare. WILLIAM SAROY AN (tradu,. di G. B.). PBOOESBIONE .l ROOOA PRIORA ( COLLEGIO FEMMIHILE 1011) , l 1A VOLLE andare in collegio e dovetti seguirla; dovevo seguire o la sorella più grande o la mi- ~ nore. Ero in parte contenta e lo scri,,i nell'agenda; avevo nove anni. I.a casa di Enne era grande, la vedevo sempre oscura 1 non mi ricordo dei miei giochi, ma Dedi sarebbe rimasto solo e gli dispiaceva. Non uscivo mai. Non ricordo d'essere stata in villa. Mi sedevo sulla terrazza di fronte al piccolo giardino murato e mi curavo le unghie. Gli amici del giardino non mi interessavano molto : Maria dichiarava che, appena compiuti i diciotto anni, si sarebbe sposata, e si stupiva che il fratello non si sentisse barone; gli al• tri erano molli e insignificanti, qualchevolta dispettosi. Il giardino odorava di muffa; a sinistra, era una caserma : per la prima volta sentii bestemmiare da un soldato e fui perseguitata da quella bestemmia. Dal secondo piano scendevano viU1J.n1i,co.1 le voci flessuose, le ragaz-.teDialli; Marina aveva la faccia affinata, i riccioli neri; mentre scambiava segreti con Lia, tra la nostra camera e la stanza oscura. io pensavo ch'era una bellezza e la prima che io avessi veduto. Uno dei segreti fu quello dc] collegio (così si fanno morire o intristire le piante trapiantandole da un clima all'altro per farne un dono). Pensai su• bito al lato pratico e il trapasso poteva significare una cosa che si dimentica. Dopo qualche anno Marina impazzì. Vagamente mi sembra di ricordare che l'unico uomo che veniva a trovarci a casa, e che fu nostro ospite per molto tempo, mentre sua madre era pazza. s' infilasse sotto i letti invitandoci a qualche gioco amoroso i egli crebbe con occhi celesti larghi e divenne assai buono con le sorelle: le aveva sempre prese a calci. Ufficiale di cavalleria. spinto dall'ambizione paterna, si consumò come un fuoco. Un giorno sono passata per piazza dei Santi : era il suo funerale. Nella nostra infanzia, tra le due camere sulla terrazza. e nel piccolo corridoio smaltato bianco è la sua testa lunga con gli occhi chiari, e quella voce fles.suo-.adelle sue sorelle mentre inventava piccoli nomi per chiamarci. La rampa del collegio; per la prima volta mi è parso di salire; le salite in bicicletta, in campagna, erano un trionfo. Le note d'un pianoforte cominciarono a tormentarmi, a ogni svolta la rampa ricominciava; per la prima volta mi parve di sentire le note nell'aria e battermi contro. Un senso di desolazione. Tutta la mia infanzia era passata nella musica. Quando sentii cantare Lilla Olio per la prima volta 1 mi colpì la voce umana : schiudeva le labbra e nel fondo del palato sembrava che rimanesse una bolla sonora che le desse pena. Non mi sono mai avvicinata a lei, non le ho mai offerto la mia amicizia. Aveva capelli neri e occhi chiari; era orfana 1 capricciosa, solitaria, appariva di rado in classe, stava sempre con le suore ... forse perché era orfana del terremoto. Anch'io avevo una bella voce, ma quelle canzoni di collegio mi facevano vergogna : mi mettevo a girare con le altre, poi mi sedevo sul panchetto e guardav<l. A noi più piccole ci facevano gioe.are dentro il collegio, e in tre mesi non_ci hanno mai condotto tSU alla vigna. Qualche volta siamo giunte sino alla terza o quarta rampa, verso la strad;:i:. non potevamo affacciarci perché al di là del Bambino in pagoda abitava un uomo invasato dal diavolo. Fuorché Lilla, Carmelina e Luisa, tutte le altre mi sembravano stupide e ripugnanti. Non soffrivo di entusiasmi. Le grandi, le mezzane, le mezzanelle le vedevo al refettorio: nessuna mi sembrava interessante. Qualche faccia larga, simpatica, qualche bella treccia sbiadita. Le monache non mi piacevano; volevo bene alla madre Lasch, del « tedesco>, ma senza impegno; era l'unica dal carattere uguale e dolce. Dopo la rampa, con le note sospese che io pensai non mi avrebbero più lasciata, ci introdussero in una saletta alta, una specie di bclvedei-e; eppoi nCl salottino: la nostra classe. Così vidi quelle cose con gli occhi della prima volta e sempre che rientravo in classe ero colpita dall'aspetto diverso che per me avevano assunto quelle cose : così cominciò un gioco : vedere le coi.e come la prima volta : mi fermavo sotto la porta e guardavo. sforzando gli occhi, in una contemplazione fissa e concentrata finché giungevo a rivedere le cose come la prima volta : era una vittoria e non sempre mi riusciva. Kon mi venne mai in mente di comunicare questi miei esperimenti alle altre : come sempre, non facevo che guardare. Insegnavano male, di questo mi accorgevo; imparavo geografia; i problemi mi paralizzavano e mi accorsi che Luisa era intelligente dalla sua abilità per i problemi (aveva sempre studiato in quel collegio). Quando riuscivo a sbrogliarmi, era un'altra vittoria, capitata per caso. Mi sembrava talmente assurdo pretendere da me una spiegazione a cose messe a posta in modo da non doversi capire. La nostra suora, che soffriva di emottisi, aveva ventidue anni, un temperamento nervoso, era piccola e frusciante; noi non potevamo interessarla; le saliva il sangue alla testa; io la guardavo diventare rossa; per due o tre giorni ci lasciava e andava in infermeria. L'infermeria era a sinistra del salottino. Due ragaz1ìe grandi vi andavano spesso a soggiornare, erano amiche di suor Valdieri, avevano facce di particolari colori, una giallo itterico, l'altra verde terra; volevano farsi suore, e ne parlavar concitate, in un'atmosfera di romanticismo e lotte familiari. QuanNEW YORK- Sorpraat lD. an ritroTonottv..n,,olaudutlno, du&eut.onoralrli1onoappani Ul trlbuuJe, EcooU mentN si nuoondono p11.dioam1nt)t(,a 11.elltaena Ila, i TUlhll, n alguoNdai gTONbi afllohe non li Ttrgogna do Elsa entrava in cappella, batteva i tacchi sul marmo con la testa fiera, aveva la manìa di dominare. Le pf'rsonc grandi mi 5embravano sempre stupide. In qucl tempo la sera pregavo : e Oh Luigi santo di angelici costumi adorno ... >. Il collegio mi piaceva soltanto perché era ampio. ~i cib~vo di una salsa di aceto (che ct servivano con la carne), l'unica cosa di mio. gusto: la spalmavo sul pane. La pastina. era una pietanza schifosa, la carne p1en:1 di filamenti ripugnanti. Facevo la pnma colazione accompagnata da una ragazza grande ; era molto _amorevole; mi costringeva a prendere 11 latte che non dige1ivo e così stavo male per u:- paio d'ore (quelle di studio); gh~ln d~~ cevo ma essa non capiva. La vita d1venn'e peggio che fredda, indifferente: non era possibile combattere con tante sceme in una volta. Paolina, con i c.1pelli li-.ci e la pettinatura da pag~io, mi guardava sul panchetto ment11: saltava, e mi chiamava superba. Anch'io la guirdavo senza rispondere: 111siembrava graziosa e stupida. Con noi era anche un'ammalata di mente: si metteva da parte e rideva 1 non superava il sillabario. Una molto grassa emanava cattivi odori; Ada, la sorella df'lle Colahi, voleva imporre a tutti la sua vocazione; ma si diceva cattiva e combattuta e non si arrivava mai a sapere che specie di follìe COl)lmettesse per essere sempre punita. Anch'essa voleva, doveva farsi monaca e drammatizzava la sua agitazione; aveva i capelli da uomo, mi pare a causa del tifo; il suo dramma non mi interessava. Nel cassetto del comodino avevo bambolini di celluloide, pastiglie Evans e figure di santi. La più piccola della cta,se rubò tutto. Volevo indurla a confessare (dicevano che fo.~secleptomane), negò e trovai tutta la mia roba sotto il suo letto, nell'altra camerata. Leila, rossa e· sdentata, attaccata alle gonne di una Madre, era una specie di fenomeno affettivo a cui sembrano obbligati a rispondere; voleva attaccan,i anche a me. L'ho rivista, calma e sposata. Ad Assunta detti uno schiaffo; mi incontrò per le scale del piano nuovo, scendevo dalia lezione di francese e dovevo andare nel salottino per l'ora di lavoro. Voleva condur mi non so dove, a fare non capii c.1e com; « sono più grande di te, dcvi obbedirmi>, e mi prese per le br.1ccia; le diedi un-o schiaffo. L<l.sera del sabato1 mentre eravamo ancora in ginocchio1 ci leggevano i punti; ebbi sempre la nocca gialla della disciplina; nella settimana precedente la Pasqua non mi dettero la fascia bianca di buona condotta come sempre; piansi di rabbia per dover subire un'in~iustizia. Ero l'unica a cui i due colori di più difficile conquista non erano mai mancati; in ginocchio piangevano ,\ltre; molte non ebbero la benedizione sulla fronte col crocifisso. Le più sceme ebbero spesso i pidocchi (era il collegio più caro della città) cd erano lavate col petrolio. Per sbrogliare i miei famosi capelli, dovevo chiedere aiuto. I letti erano alti; la suora donniva in angolo con il letto fra tende. Una notte avevo le gambe alte, piegate al ginocchio; passò suor Chiodo per la ronda; mi svegliò e mi fece mettere giù le gambe: « così non si sta ». La sua faccia pareva un teschio. Un'altra era paralitica e bestemmiava il Sacramento; le ragazze sussurravano tutto ciò che essa diceva di spaventoso. Dormiva e gridava tra il salottino e il dormitorio nostro : ogni tanto si sentiva il c~mpanello, le portavano la comunione. La prima volta ,che mi confessai svenni; era un buon prete; mi misero su d'una sedia, mormoravano e mi fecero odorare una pietra verde. Appena possibile ritornai per l'assoluzione; in seguito sono svenuta molte volte. Le grandi raccontavano che un confessore ave\•a baciato qualcuno, non so se una monaca o una ragazza. La cappella era piccola e si edificò la chiesa grande, un altro fabbricato. Fu un avvenimento il giorno della consacrazione; il collegio rimase vuoto, tutti do• vevano fare tre volte il giro intorno al nuovo edificio. Io stavo male, mi lasciarono sola, salii per una scala interna, mi cadde un guanto, andai verso la porta grande e mi sedetti sotto il telefono nella stanza della portineria; leggevo « Pellegrino >. La suora portinaia era. al portone, come una cosa di legno. 1(i sentivo tanto male; mi sembrò di poter toccare il tempo : si rim:meva soli proprio quando si aveva bisogno di soccorso. Mentre le ragazze giocavano io, seduta sul panchetto, mi sentivo dilaniare lo stomaco da dolori e crampi; così per due giorni. Alla seconda sera se ne accorsero e dissero: « ha la febbre alta >. Andai in infermeria; la detestavo per i suoi odori nauseanti; le ragazze e le monache: e non sci contenta? suor Laura ti darà i joujous ». Quegli schifosi joujous. Sentivo le grandi parlare al di là delle tende bianche del mio letto. Per solo puntiglio bevvi l'olio senza fiatare e rosicchiai l'arancia malandata. Accanto, con un bacile, mi misero Jolc Gigli, ammalata di petto; mi guardava attraverso le lenti con uno sguardo intelligente e compre11i.ivo,le volti bene e chiusi gli occhi tome per sempre; dopo molte ore si accorsero di avermi avvelenata. ANNA ROSSI FILANGIERI Questo è Il primo scritto prescelto del concorso permanente dJ "OMNIBUS"
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