Omnibus - anno I - n. 22 - 28 agosto 1937

r---, -- .... -- ( ILSORCIINOGONDOLA ) FESTIVAL Venezia., agosto. PRIMA di venire ai fatti cinematografici della Mostra internazionale, che più premono in questi giorni, vorremmo fermarci un momento per constatare una volta di più le presenti fortune turistiche di questa città, trattandosi di cosa davvero stupefacente. L'imbarazzo di Venezia continua, a causa dei forestieri. Qui è l'imbottigliamento, il pigia-pigia infernale. Venezia non ha speranza di ritrovare per ora il suo patriarcale equilibrio. Dura ancora il dissesto delle sue abitazioni e delle sue abitudini. Fin che si è svegli si circola più o meno per le sue calli, e ci si può sedere in pubblico e in privato, ma quando vien l'ora d'andare a dormire è uno stru$'gimento : c'è a chi non resta altro nparo che quello di entrare a forza nelle proprie valigie, e chiuderle subito, in modo che non entrino le zanzare. Per il traffico della città questa invasione è un felice inconveniente, ma sempre un inconveniente. Nulla è valso a fermare l'afflusso dei visitatori: i provvedimenti comunali, il maltempo, le piogge, il muso lungo degli albergatori. Niente: la gente s'accumulò, riempì anche Padova, Mestre, poi tutta la regione intorno. C'è qui una congestione mai vista. « Di dove vien, sta roba? > sento dire in tono risentito dalle donnette del vicinato. Molte persone han dovuto' dormire la notte chiuse e ammucchiate nella propria automobile, proprio alle porte di Mestre. Perfino alcune coppie di giovani sposi francesi non han trovato da dormire insieme. Ed era la luna di miele. Udii stamattina al Florian fra un gruppo di parigini un marito sventato gridare senza ritegno : e M oi, j' ai couché auec un ualet de chambre >. La colpa di questo smanioso assalto straniero alla regina dell'Adriatico non è tutta del Festival Cinematografico, che si svolge in questi giorni al Lido. Non può essere nemmeno della così detta bagnatura : no, perché con que- - -,to abbassamento della temperatura il mare accoglie i bagnanti molto ma molto freddamente. La colpa, o la ragione, secondo noi, sta nel fatto (e pare impossibile) che al mondo ci sono ancora degli uomini che non han visto Venezia. Ma intanto la va.sta sala del gran Palazzo del Cinema è sempre stipata di pubblico. In me.zzo al quale noi, per dovere professionale, e fin che c'è la salute, ci teniamo assai ad essere fra i più assidui. Là i film si se~uono senza requie, ma1 una, pomeriggio, e sera. E non è poco, ve l'assicuro, il da fare che c'è a guardarli, l'un dopo l'altro, tutti. Ogni dì dalle nove della mattina seduti al nostro posto davanti allo schermo, assistiamo non senza un brivido alla sfilata di lunghi metraggi, essendo riservata a noi ~iornalisti soltanto la prima visione dei film, che rappresentano cgni nazione secondo il suo carattere specifico. Abbiamo visto fin'ora i grossi film inglesi, piallati, cadenzati, e magnifici, passare sul ritmo d'un andante sostenuto: Sei ore a terra, King Salomon's Mines; e quelli francesi, sbracati, spiritosi, bizzarri, avventati, ma molto divertenti: La grande illusion, Hélène; poi i tedeschi, ottusi, pesanti, enormi, tendenziosi, esplosivi e caricati, come tanti cannoni, di propaganda. (E qui mettiamo in salvo la nostra responsa~ bilità affermando che anche questi film son molto interessanti). Abbiamo visto le rapsodie, sentimentali o tragiche, dei fieri film ungheresi come L'uomo d'oro, Suor Maria. E in testa a tutti i film americani, vertiginosi di chiarezz..-i, di forza e di virtuosità: Winterset, Three smarl girls, L/oyds of london, This is my affaìr. La Mostra di Venezia in ogni caso è una scuola, e un trampolino per l'avvenire prossimo della nostra cinematografia. Ma che rovina per gh occhi! In quanto ai film italiani non si può non menzionare con grande soddisfazione due film come I condottieri e Sentinelle di bronto che ottennero, specialmente jJ secondo, un successo davvero fantastico. Il primo è un film mordente su Giovanni delle Bande Nere, condotto con itnpetuoso ardore di visioni spiccate e piene che durano dal principio alla fine. Non è dunque uno dei nostri soliti film medie"'.'ali che partono dall' Ariosto per arnvare a Forzano. L'altro film, Sentinelle di bronto, rapido, evidente, entusiasta, è vano, conciso, colorito come un reportage, e difatti la trama, la sccneg~iatura e il dialogo son scritti da un giornalista di razza: G. Gaspare Napolitano. Questo film rappresenta, con molta verità, l'episodio cruento di Ual-Ual, che fu l'origine della nostra guerra in Abis,.inia; rappresenta la vita pericolosa alle frontiere coloniali, la scuola del sacrificio1 i grandi atti, la generosità, la fede della generazione fascista. Questo film diretto con occhio e abilità d'arfrta e montato sul posto (vale a dire in Somalia) dal giovane regista Marcellini, fu accolto l'altra sera all'Excclsior come una rivelazione. . Dobbiamo aggiungere per ambedue 1 film che i nostri operatori ormai non temono confronti, essendo le inquadra• ture e la fotografia quasi perfette. Ma con tutta la buona volontà non abbiamo potuto tenere un registro dei diversi film esaminati. Pensate, sessanta e più film in dieci giorni soltanto. Ci siamo divertiti a vederli. Ma dopo, chi se ne ricordava più? La sala s'illumina tutta, lo schermo riappare teso, candido come un lenzuolo di bucato, e noi stiriamo le braccia, sbadigliando, a occhi chiusi come usciti da un sogno. Musica, soggetto, personaggi del film si confondono già nel cervello in un modo inestricabile. Chi se ne ricorda più? t in opera la compenetrazione dei corpi. Le immagini si sovrappongono, si calpestano l'un l'altra, colano, s'ammassano, diventano barbute e spinose, fan siepe impenetrabile. E la rievocazione integrale ci sembra ormai impossibile. La memoria non ci può far nulla. I film, una volta passati, invecchiano, indecifrabili, diventano carta straccia. Ombra, luce, fonne, suoni, parole, tutto circola incertamente, e rigurgita mischiato e caduco come dietro un rabbuffo di carta velina. ~fa risorgono talvolta in una b1v.arra réverie, sotto un aspetto inverosimile. Giganti di primo piano che si tergono il sudore servendosi del Niagara (le cascate) a mo' di asciugamani. Nurses in divisa bianca che spingono tranquillamente la carrozzina del bimbo nel bel mezzo del deserto del Sahara. Cataue di uomini di carne congelati che strillano in un frigorifero. L'immagine di qualche vecchia dama mentecatta: le chiome a fiocchi di bambagia : gli occhi sbarrati son palline di naftalina. Ma quel che è più sconcertante è la musica, che nel parapiglia prende il posto che non è il suo. Ninne-nanne norvegesi che accompagnano i quadri d'una corrida. O gavotte di Boccherini che fan danzare ferocissimi Zulù. O mwicisti intenti a seminar note, canzoni, e mazurche sulla strada dei gangsters in fuga. L'esercizio di seguire attentamente cinque o sei film ~ni giorno porta via addirittura la v15ta e costituisce uno sforzo per noi soprannaturale. Son sedute, ogni volta, di oltre due ore lunghe. Il corpo riposa in poltrone comodis~ime, ma gli occhi si lo• gorano e bruciano fino alla radice. Nel buio della sala durante queste proie• zioni riservate ai reporters della stampa internazionale, ci son delle giornaliste straniere che han pensato a difendersi, assistendo allo spettacolo munite di specialissimi occhiali affumicati di misura e vetri gros.si come quelli d'una maschera contro i gas. Con i quali, per esempio nei film coloniali, o africani, credo non si distinguano più i bianchi dai negri. Così come di sera tutti i çatti son grigi. Del resto I film che dànno il colpo di grazia alla vista sono i film a colori; per esempio i film di Walt Disney. Tutti quei blu, quei rossi, arancioni, o violetti 1 che ruotano in turbine quasi magico di umorismo e di fantasie, affaticano profondamente i nervi ottici. Il batter d'ali dei garruli uccellini, le saette dell'uragano, le foglie che s'involano rapite dal vento di tramontana: ricordate? L'epa, il barbone d'argento, il brio, la voce tonante del buon Padre Natale. Le favolose performances di animali familiari, cani e maiali comicissimi, le miriadi stellate del cielo che batton le ciglia insieme, e le finestre illuminate d'incendio dei castelli fatati, che crollano nei laghi azzurri, tutto ciò diverte assai. Si ride, s= ride di cuore, e ridendo si diventa un po' ciechi. E si rischia tutto sommato d'imparare la lingua inglese. Abitando Venezia, per trasferirsi al Lido, si rasentano col vaporetto due isole silenziose e bellissime: le isole dei dementi. Nella prima c'è il manicomio dei ma.schi, nell'altra ci sono le pazze. Così avviene anche a noi, per esempio, con tutti questi spostamenti e avarie di luoghi reali o cinematografici, di perdere un poco la bu550la, come lo smemorato di Collef?no, di non distinguere più dove sta 11 vero e il fìnto e di offrirc il passaporto al controllore del tram. E quando sul viale alberato del Lido vediamo come sempre passare nelle ore più magre al trotto d un ronzino pomellato, forse l'unica, eterna, carrozza pubblica della spiaggia, che porta come sempre in giro due stagionati amami dell'ultimo Ottocento, lui coi favoriti e le ghette, lei con le calze traforate, una specie di lady Lou, caschiamo su una panca, e cerchiamo di rammentarci, con la fronte fra due dita, a che specie di film romantico appartiene questa scena di tenera e antica galanteria. BRUNO BA~LLI ~~~~~~u~ DELVLAILLEGGIATURA e 't TRA i dodici dell'anno, un mese critico per la noria di certe famiglie: il mese della villeggiatura. t un mese straordinario, pieno di avvenimenti, di sorprese, di speranze. Per quei trenta giorni che dura, le ragazze sotto i trent'annj perdon tutte la testa. L'hanno aspettato tan10, durante quegli interminabili undici mesi che lo precedono. Ora, nella loro vita, quel periodo può segnare tante cose: un amore romantico e avventuroso, oppure un matrimonio conveniente. Sono disposte a tutto. Ed è tanta l'inquietudine, l'ansia, la trepidarione delle ragazze che ne risente anche la famiglia. Le prime ad avvertire nelle figlie le smanie della villeggiatura sono, naturalmente, le madri. Le madri, a poco a poco, hanno finito 1utte, comt le figlie, durante quel periodo pieno di promesse, per perder la testa. Intanto hanno cominciato con l'imporsi al marito; è questo il tempo delle rivolte, delle discussioni burrascose, dei pianti domestici. Dovranno andare per trenta giorni ad X, spiaggia mondana; e i partiti vi abbondano! >; dovranno prendere una casa in affitto, o prenotare due camere d'albergo. Dovranno ordinare abiti e scarpe da giorno e da sera, costumi da bagno, ombrellini, collane e borsette. < Non si puà 1figurarc >, dice mestamente la madre, guardando la figlia che ha gli occhi rossi. Durante quei quindici giorni, prima della partenza, che inquietudini, che esaltazioni e che corse per la città I La madre trotterella dietro la figlia, per i negozi, dalla sarta, dalla modi1ta. Scelgono la stoffa di morbida seta, le fibbie d'argento. Tremano di spavento, madre e figlia, al pensiero che quell'abito da sera non sia pronto per il giorno fissato. Smaniano, strillano, minacciano insieme, quasi con un'unica voce, contro il calzolaio che ha fatto le scarpe troppo strette. Poi viene il giorno della partenza. In treno, I silenziose, madri e figlie guardano nervose fuori del finenrino. La festa dunque incomincia: si sentono entrambe. turbate come chi affronta un'avventura igno1a e pericolosa. Gli alberghi sono pieni. In carrou:a, percorrendo la città, si scambiano forse le prime parole dopo la partenza. Cli occhi fissi febbrilmente a guardare la folla che percorre le strade, o ferma davanti ai caffè e agli stabilimenti. e Guarda, quest'anno usano le maglie chiuse sul collo, le maniche rimboccate >, esclama la ragazza sgomenta. e Guarda, qfdla tale che abbiamo vista in città., con lo stesso abito che mi son raua fare anch'io >. In albergo, o in pensione, o nella casa presa in affitto, la prima notte insonne. Si faranno conoscenze? Ci saranno giovanotti? Si ballerà? Quale caffè sarà di moda quest'anno? E nei giorni successivi, quella follia, che 6n'allora restava vaga, ha modo di rivelani intera, scnz'ombre. Son cominciate le feste, le conoscenze, le gite in barca; da un luogo all'altro, insaziabili e con un accordo perfetto, simile a quello delle due lancette di un orologio, madri e figlie 1i son gettale a capofitto nelle cs1enuanti fatiche del divertirsi. La madre, naturalmente sempre dietro, pudica e opportuna. Si contenta di sorvegliare da lontano la figlia, con un certo intenerimento, insieme ad altre madri che fanno lo stesso. In gruppo, le madri s'inform;lno. Quel giovane coi baffetti neri, il torace sporgente, i ginocchi gonfi, è scrio? Tutte sono in terrore, povere madri, per la concorrenza 1ia delle donne sposate, sia delle mondane, Le mondane sono le più vistose, coi capelli biondi o roui, il petto tremolante dietro le camicette scollate. Camminano superbe, sicure di sé, tra la folla che le guarda, si siedono al caffè, chiedono un fiammifero ai signori anziani, e la mattina, in spiaggia, si buttano in mare circondate da uno 1tuolo di giovani abbronzati e nuotatori. Ma se le madri si preoccupano, le figlie sono invece tranquille per questo. Esse sembrano quasi non notare differenza alcuna con le rivali, più belle e più sicure, Che cosa, nei loro modi, è diverso? Anch'esse hanno finalmente, durante quel periodo Hraordinario, una libertà senza limiti. Passeggiano sole o accompagnate dai giovani, e dalla mattina alla notte inoltrata hanno modo di portare a fondo le amicirie ini~ zia1e. E le amicizie, in questi luoghi, sono improvvise, intense e impegnative. Ancora )un• ghi undici mesi dovranno aspettare prima che si rinnovi un tempo come quello. Il padre è rimas10 in città, a far fronte agli impegni finanziari che ogni villeggiatura comporta. Il padre scrive dalla città di fare economia. Sol) panati venti giorni, dicci appena ne restano, e già s'è speso la somma prevista in città. e Si è in ballo >, dicono le figlie, < bisogna ballare>. L'amicizia con l'ingegnere ha bisogno d'essere stretta, se si vuole, che, finita la villeggiatura tutto non finisca con qualche cartolina, come avvenne l'anno scorso, con il giovane laureando in medicina. I vestiti son già vecchi, a foru di ballare, di passeggiare, di sedere nei caffè e nei 1eatri. Ma la follia di quella breve stagione non è consumata ancora, anzi sembra accendersi di più, in vista del vicino ritorno a casa. Bisogna stringere, stringere; combinare quella gita in automobile, far parlare il giovane troppo timido, o chiedere infine a cosa vuol arrivare. Lunghe ore notturne con le madri in consiglio. < Bisogna osare tutto per tutto >. La madre abbassa gli occhi e tace. < Quanto ti rimane >. < Poche centinaia di lire >. < Bisogna telegrafare a papà >. La ragaua ha gli occhi lucidi, il cuore le trema, non puà prendere sonno. Ancora nove giorni, 0110, sette, sei. Ora si contano le ore. Uhimi due bagni; la madre comincia a preparare i bauli. Tutto d'intorno sembra triste, Pare impossibile che quegli alberghi, quei caffè, quegli stabilimenti debbano rcuare aperti, dopo la partenu. Sono partite già molte pcnone. Sofia si è fidanuta; sposeranno a primavera. Ore ango• seiose. Appuntamenti, discor,i brucianti, sotto l'ombrellone; lacrime. La gente guarda, ma non imporla. Domani si parte. Invece che alle quattro del pomeriggio, la notte an•una. Passa la gente per le urade ; i pantalondni dei giovanotti sono sporchi ormai, tutti hanno la faccia troppo nera di sole. La slagionc è al declino. Meno folla nei caffè j i tavoli, la sera, quasi deserti. La noue c'è umidità, e le tovaglie dei ritrovi notturni sono bagnate. Le piante dei viali sembrano 1ciupate, vecchie. I bagnini, che hanno ricevuto la mancia, appena salutano. Passano le guardie in bicicletta, il venditore di mente e croccanti regola i conti con i partenti. t l'ultimo giorno. Ultimi co11oqui, abbracci furtivi, ultime lacrime. La carrozza si avvia alla stazione. Giungono dal viale i suoni di un'orcheslrina. Passano i venditori di gelati sulle bicicletle traballan1i Il ciclo è buio, il mare nascosto dietro le cabine. Alla stazione, l'ingegnere aucnde. Bacia la mano alla madre, aiula a deporre le valigie sulla rete. La madre è già salita. L'ingegnere. e la rag.uza passeggiano, con il capo basso, parlando. Si chiudono gli sportelli, si ode il fischio della locomotiva. Qualche minuto dopo, madre e figlia silenziose guardano dal finestrino la campagna buia e i radi lumi gialli che interrompono la none e nessuno potrà indovinare quale delle due donne sia più triste. M. p. "'Y~A\a DEL VANTAGGIO AL PIAZZALE Flaminio, di fianco al superbo ingresso di Villa Bo,ghue, è f,di{zcio ttssoso d,lla fe,rovia Roma-Viterbo. Lo stile di quella architettura sta fra il ra,ionale e il neoclassico. La facciata J adorna di timidi tubi che vorrebbero appa~ rir, eolonne. Ma, tralasciando- la qualitd architettonica di quell'edificio, ei prem• notare la bassa modernitd della scritta che campettia su tutta la facciata. « Fe,rovia Roma-Vi1,rbo >, c'l scritto; e i caratteri usati sono quelli metallici eh• predili1ono i bar di secondo ordine. L'« o> J naturalm,nlt sen{a buco, e le altu lettere sono uiualmente 1offe. Da lontano paiono un fretio da 1iornale di varietd. Molto meglio una iscritione d'inchiostro nero, che spieehi sul bianco. Lo chalet lì uicino, dou• stanno i tranuieri dd capolinea, ha un'in• ugna mt(allica molto più sobria e ditnitosa. LA GENTE si disseta non soltanto eon le aranciate, ma anche con le fette uudi e rosse di cocomero. Le zrandi strade popolari, come Viale dd R,, Via Cola di Rien,o, Viale Giulio Cesare, Via Flaminia, Via Nom,ntana, Via Cavour, hanno, otni unto metri, banchi di vendita dove si fermano militari, bambinaie, donnette, ,agau.i. M an1iano e b•vono e geUano le bucce; sicchJ le uie ne sono disseminate per cltilomet,i. Roma J cittd dou, sia bene che si mangi fruita per le vi, (insieme al coeomero, l'uva, le pesche, ecc.); ma occorre che vi sia modo che chi si J dissetato non abbia a 1ettare i rifiuti alla rinfusa. Col rischio di far scivolare chi passa. LA SCALETTA che, dall'alto di Via Annibaldi, stende giù al Colosseo, J in uno stato indicibile. Occo,re ehe un bm• tionario dell'ufficio ttenico dd Gouernato,ato si dislochi I"' ptfnderne visione, sutterendo quindi i necessari provuedimenti. LE SCALETTE del Tev,re, quelle ehe servono agli atili « fzuma,oli >, sono sempre in peuimo stato. Occo,re certa sorVttlìan,a nottu,na perché il giorno dopo il sole non faccia ribollì,, tremendamente quelle pietre bagnate, non dalla rutiada della notte. U }{ LETTORE ci fa. osservare come, ragionando della. Pretura. di Roma in Via del Gi:,u,rno Vecchio, si sia incorsi in una inesalte«a. Abbiamo pa,lato di c,imi· ni, che in essa non vengono so1topos1i a giuditio poiehJ J una Pretura ciuile. Infatti, la Pretura penale si 1,ova. in Via Giulia. Allora perchl quella di cui noi scriveuamo, continua' ad essere detta « unificata >l A PIAZZA della Libertd si stanno facendo _){Jvori; ma occo,,, che questa piana abbia una sisuma,ione generale. /nfatli, essa sta all'initio di una strada modernamente popolare come Via Cola di Riento, allo sbocco di Ponte Ma,gherita al di là del quale si int,aved, il Pincio e Pia«,a del Popolo. Dd ,esto, per la decen,a di Piaua della Libertà, non occo,rono grandi lavori. B soltanto necessario che sfo trattala come una pia«a di una grande citld. Quindi meno aiuol, frivole, dove i fiori appassiscono, meno aria di giardinetto. Le belle piante e i prati, se ben tenuti, ba· stano alla dignittl del luogo. AL LUNGOTEVERE Ma,,io, f,a Ponte Umberto ~ Ponle Cavour, ci sono ,ovine sulle quali pare che non ci si deeida a co,1rui,e. Il nostro parer, sull'andauo drlle demolitioni ì. noto. Ripetiamo ancora una volta come non ci interessi altra modernitd all'infuori di quella che mira all'igiene e a certe comoditd indiscutibili. Ma è alla fzne prudente che a Roma oini demolitione avvenga. quando si ha già de{znitivament~ in tesla il progetto per rieost,uire. O,a questo, talvolta, par, eh• non accada. Con la conseguenta che la città prende quell'aspetto provvi,o,io che non dovrebbe. Dare un'aspdto provvisorio a Roma; ecco uno scopo veramente comico. MASSIMINO ( PALCHETTO VIAREG)GIN ~là ~~[!.~ij Viareggio, agosto. TRA MOLTE pitture, Arnoldo Boecklin ha lasciato anche alcune sculture, una delle quali rappresenta la tesla di una divinità palustre, fradicia ancor\ dell'acqua ond'è emersa, gli occhi divaricati, esorbitati e simili a enormi globi di vetro, il naso schiacciato, le narici svasate di sghembo al modo dei fori delle ancore sulla prora delle navi, e una bocca a fenditura di salvadanaio che taglia la faccia da parte a parie, Nei cataloghi e nelle monografie, questa opera figura col titolo di < Re delle rane >, ma è assodato ormai che sotto questa deno• minarionc ad usum delphini il pittore di Basilea ha inteso celare il ritratto di Dina Calli, di questo straordinario ranocchietto senza età, di questo batracio animato di sette spiriti, di questo coboldo, di que~to genio lacustre, di questo folletto dd nostro palcoscenico, che il glorioso pauato del teatro italiano mantiene vivo in meno alla generazione presente, per commemorarne la scomparsa grandena e vilipènderne assieme la presente meschinità. Un punto sul quale la deplorazione si raccoglie unanimamentc, è la dccad~m:a della tecnica teatrale. La tecnica teatrale è a terra. Circolano sulle nostre scene attori talentuosi e attori senza talcn10, attori volonterosi e attori pelandroni, attori di buon gusto e attori di cattivo gusto, attori intelligenti e attori stupidi: ma la tecnica manca, cioè a dire il cemento della recitazione collettiva, là scienza che consente anche all'altore senta lalento di compiere degnamente il proprio dovere sulla scena. I mali del palcosc:enic:o italiano vengono dall'essere molti gli attori stilizzati e pochi gli attori di stile. Nell'auore di stile la recitazione ~ conseguenza diretta delle qualità fisiche ·dell'attore, magari dei suoi difetti. Nell'attore uiliuato invece, attore e recitai.ione "on si somitliano. L'attore recita < per conto di un ahro >. Nel migliore dei casi, l'attore slilizzato è un falso ventriloquo. Passiamo nel campicello degli eletti, e qui, fra la compagnia sparutissima, salutiam,p nella persona di Dina Calli, in questa virgola umana, in questo gnocchetto di patata, il modello perfetto dell'attrice di stile, di colei che non pronuncia verbo, non compie gesto, non volge sguardo, non gira piroetta che non siano :ittinti nell'imo fondo di quel rocchetto di nervi e di muscoletti che è il suo corpo, che non siano animati dallo spirilo che nel fondo di esso rocchetto arde come fiamma d'alcool. Dina Galli abbiamo avuto occa.ione di vederla alcuni giomÌ fa nei panni, nell'au'- torità, nella salumeria di Felicita Colombo, sulla scena del Politeama di Vian:ggio, al caso di una folle scorribanda estiva. Erano tant'anni che non la vedevamo più, dal tempo di Amerigo Guasti. Ma noi, lo abbiamo detto più volte e oggi lo ripetiamo, viviamo cosl poco nel secolo, e soprattutto in quello teatrale! Quale apprensione dunque, di noi che abbiamo usistito a tanti crolli, quale paura di trovarci davanti a un t'Udere, a uno spettacolo pietoso~ Ma Dina Calli - cc ne siamo accorti subito - è una saggia che sa mettere il proprio· capitale a frutto. Da brava è diventata bravissima, da au1orevole autorevolissima, da vivace vivacissima. Tutte in lei s'è irrobustito, sempre quando si affaccia questo aggettivo a un donnino cosl strettamente imparentalo coi lumachini. E niente birignao, niente stilismi, niente pensosità. La parola essa la maneggia come il pasticcere lo iucchcro filato. La rigira, l'arrotola, ne tira su la punta e la chiude con un boccolo perfetto. Per nostra edificai.ione e mortificazione, noi usiamo sedere in platea molto vicino alla ribalta, a fine di sorprendere l'altorc nella sua intimità, nelle sue debolezze, nei suoi abbandoni. E non diremo per cari1à di patria di quanto pelandronismo è capace il comico nostrano, quanta noia lo divora, di quanta e burletta > egli farcisce le proprie partì. Epperb lo sforzo continuo, sostenuto, cosciente della Galli per <far> bene e per e far > meglio, ci ha lasciati a bocca aperta. Sforzo, entusiasmo e gioia di vivere scenicamente, che essa prolunga fino nei ringraziamenti a ogni fine d'atto. Vedendo Dina Calli dominare il palcoscenico, o < bruciare le assi > come dicevano i francesi del Secondo Impero, si capisce come anche la donna possa salire talvolta alla grandezza. E mentre tra l'affettar salame e castigare i costo.mi di una nobiltà degenere, Felicita Coloml>o e bruciava le assi > del palcoscenico di Viareggio, noi, levati gli occhi, scorgemmo, tra le decorazioni a onde del soffitto, le facce di altre < grandi > - la regina di Saba, Caterina di· Russia, the quun Victoria - che, d.11 firmamento delle dame illustri, M>rridevano compiaciute a quella loro sorellina esiliala ancora sulla terra. ALBERTO SAVINIO LEO LONGANESI • Direttore responsabile. S. i\ EUITKl<.:E "0\1:'\IUl;S • • \111,...\:-,Q Propri,d1 ■rtistiC'■ t ltll~•••i■ ri,c,r,·■1■. RIZZOJ.I & C.. An. Pl"~ l'Artt dtlla S1ampa • \li1■M RJl'RODL'7.IOSI ESHGUln; ("0\ \lt\TFRIALC FOTOGR'\l'ICO • l"F.).(i,:, \ilA "· PNbb/1f1fli.. \,:C'nria G. Ur~te:hl • \filano, \'i■ Salvini 10 Ttl. 20-907 • P■rigi, S'•• Rut dt F111.11xlur<1.[ainHloN>r.C

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