Omnibus - anno I - n. 21 - 21 agosto 1937

E UN Ungherese prima di partire per il r rontc russo .:.i fosse sentito dire: e Tu tornerai ·a casa dopo aver fatto il giro del mondo», ,i s.1rcbbc messo a ridere. Eppure dozzine di soldaù m,tgi~tri, tedeschi, itali::ini, serbi, che magari combattevano su fronti a quat• tro passi da dove erano nati e cresciuti, non poterono tornarvi che dopo aver percorso mezza. Eurasia, America, Australia. li tenente Stoffa ebbe tale sorte. Fatto prigioniero nel 1914, smise di essere un brillante ufficiale e divenne uno dei tanti disgraziati che in quei tempi si potevano incontrare nelle steppe sibe• riane. Alla fine si fermò in un piccolo_ villaggio verso il confine manciuriano, dove era un concentramento di prigionieri austriaci e germanici. La vita dei soldati era migliore dì quella degli ufficiali. Quelli lavoravano e finivano in un modo o in un altro con l'adattarsi; questi invece soffrivano della continua inenia. Un ufficiale divenne pazzo, ciò che impressionò fortemente Stoffa. Di notte lo udl gridare quakosa contro l'Imperatore del Giappone. I guardia• ni, sebbene non comprendessero, ride• vano. Poi, lo condussero via a calci nel sederr. La wodka era proibita, ma giun. geva di contrabbando. Molti brillanti ufficiali ungheresi, prima irreprcnsibìli nella loro divisa, diventarono dei mi• serabili. Pochi quelli che conservarono, pure nella disgrazia, la tradizionale di• gnità della nazione ungherese. Del re• sto, non vi era altro modo per passare il tempo. La wodka e qualche libro. Non mancavano le malattie che ren• devano ancora più spaventosa la vita nel•campo di concentramento. Cosi l'i• dea di fuggire cominciò ad ossessionare molti. Tra il villaggio e la frontiera manciuriana erano boschi fittissimi, pa• ludi e fiumi. Anche se i Ru.ssi avessero · lasciato fare, un fuggitivo andava in• contro a morte quasi certa. Senza con• tare i banditi che percorrevano le con• trarle a caccia dei pochi che ardissero avventurarvisi. Banditi affamati, dispo. sti ad ammazzare per un berretto di pe• lo. Vari tentativi di fuga erano falliti. Ma il tenente Stoffa era ossessionato. Mai egli ebbe a chiedersi se fuggire volesse dire ritorno in patria o 3.Jmeno fra gente civile. La fuga lo ossessio• nava. Se lo avesse condotto alla morte, lui non se lo domandava. Ma un gior• no, mentre Stoffa se ne stava in dispar• te, ebbe occasione di attaccare discorso con un wttufficiale tedesco, anch'eizli prigioniero, ma assestato alla meglio poiché addetto ai lavori. In quei gior• ni, un cadetto ungherese era perito mi• .scramente in un suo disperato tentativi, e tutti ne parlavano. Il tenente Stof - fa disse che il cadetto poteva dirsi for. tunato. Si era levata una soddisfazio: ne, e se era morto non voleva dir nul• la. li sergente tedesco sorrise. Disse che al mondo niente è impossibile; ma OC• corre calma e ponderazione. Stoffa qua• si stava per la.sciarsi vincere dal di. sprezzo che sentiva verso quel tedescuc• cio calcolatore, ma l'altro già si era messo a dargli certe informazioni pre• ziose. Il verso si poteva trovare. Un sottufficiale russo, che aveva diciotto fi~li, era in rapporto coi bril?anti; c'era il caso che fosse il tipo adatto per for• nirc una buona guida. Il sergente sem• brava molto ~pcrto in simili faccende. Disse che il sottufficiale rwso si sareb• be accontentato di 50 rubli, e la guida non ne avrebbe preteso più di 250. IL PIANO DEL TARTARO Due giorni dopo, il sergente tedesco si avvicinava al tenente Stoffa e gli sussurrava all'orecchio: « Davanti alla vostra finestra ci sarà un giovanotto tarchiato, dai lunghi baffi neri. Seguitelo, signor tenente >. Davanti alla finestra del tenente Stof• fa apparve il giovane dai baffi neri ; un vero tipo tartaro. I primi approcci furono orudentissi.rrii. Occorreva co• raggio e ·prudenza: i fuggitivi non po-- tcvano CMcre più di cinque. Il Tartaro non era solo, anzi aveva con sé un Co· sacco e un Coreano. La fuga insomma fu fusata per il 16 ottobre. Spesso il tenente Stoffa aveva discus. so con altri colleghi sulle possibilità di fuga. Adesso riflettè a lungo. Poi scelse i compagni: il capitano Tatar, i tenenti Nadas, Jutay, Halmos erano i tipi adat• ti; infine si procurò cinque abiti da contadino e altri oggetti necessari. Intanto aveva vari colloqui con la guida tartara che si chiamava I van. Uomo coraggiosissimo, I van era stato con• dannato ai lavori forzati per aver spa• :-ato contro il suo capitano durante la guerra col Giappone. Fuggito, viveva alla macchia. Nessuno meglio di lui conosceva i sentieri e gli abitanti semiselvaggi verso il confine manciuriano. Soltanto, re5tava un ostacolo. I guar• diani forse non avrebbero fatto caso al• l'uscita dal campo di un contadino iso• lato, ma certo si sarebbero insospettì~ se i contadini fossero stati cinque. S1 correva il dschio di essere arrestati fi. no dal principio della fuga. E Stoffa se ne preoccupava. Essere arrestato era una possibilità, ma almeno dopo giomi di vita libera, avventurosa. Decise di fuggire subito dopo il «protocollo>, che era la firma che i prigionieri mettevano ogni sera sul re• gistro del campo di concentra.mento. Ma la prima sera, per ,certe circostan• ze, il colpo non riusd. I cinque cqm• pagni dovettero passare ancora una notte d'ansia. La fuga fu rimandata alla do111c.nica,giorno in cui tutti be· vc:vano fino ad ubriacarsi. Era appena notte quando gli ufficiali ungheresi, tr.3.• vestiti da contadini, abbandonarono il campo. Stoffa, all'improvviso, si trovò solo. Gli altri erano scomparsi. Incerto, stette in ascolto. Una senti.nella si av• vicinava; Stoffa si credette perduto, ma il passo di quel'a ~i affievolì. Corse al• !ora verso il cimitero, dove, appena giunto, udì gridare: « Pietrogrado >. Era la parola d'ordine con cui Ivan si faceva riconoscere. Stoffa mancò poco che non abbracciasse la sua ~ntida. Ma gli altri non erano ancora giunti, sic• chè il tenente ebbe a provare una stra• na impressione vedendosi solo in com• pagnia di uno sconosciuto. Né I van era solo. Con lui erano il Coreano e il Co• sacco, che osservavano l'Ungherese con occhi vivaci. Ivan si offerse intanto per andare in cerca degli altri, e arrivò poco dopo in compagnia di Jutay. Gli altri, nessuno sapeva dove fossero an• dati a finire. Ivan partì di nuovo; poco dopo tornò in ..ompagnia del tenente Borbely. Questi sapeva. quello che era accaduto degli altri: all'ultimo mo• mento avevano deciso di non fuggire, presi da uno strano panico. Avevano concesso il posto a Borbely e a Karady. Ora era Karady che non si faceva ve• dere, sicchè H Tartaro di nuovo dovet• te andare in ricognizione, tornando po. co dopo in compagnia non solo di Ka• rady, ma anche di Nada,s. IL " SOLE DEI COSACOHI" 11drappello si allontanò dal villaggio, accingendosi ad attraversare un terreno paludoso, sul quale passava una linea ferroviaria. Per non impantanarsi, non restava che camminare sui binari, che erano l'unico punto solido di quei luo· ghi; pronti a gettarsi giù pe!' la scar• pata appena scorgessero sentmelle. La marcia fu .lunga e senza riposo. Ci pen• sava il Tartaro a spingere avanti gli affaticati. Alla fine, giunsero in un luo• go bo,coso. Il terreno era solido: lva11 faceva dei cenni come per dire di stare allegri. Arrivarono all'ingresso di una caverna che non avrel).bero vista, tan• ta era la vegetazione intorno, se non ri fosse stato il Tartaro. Dentro quella caverna, ci si poteva riposare a lungo. Gli ufficiali ungheresi, che non ne po· tevano più, si distesero sùbito a terra; e si sentirono felici. La sosta nella caverna durò quel tanto necessario a ridare le forze ai fug. gitivi. Poi la marcil fu ripresa attraver• so terreni or::i paludosi, ora sassosi. Tante erano le difficoltà da superare, che gli Ungheresi spesso venivano presi dallo sgomento. Ora capivano perché nei campi russi i prigionieri non sono troppo sorvegliati. Dopo giomi di pe• na, giunse il momento più drammatico della fuga. Il confine era bloccato dai Cosacchi: forse non si poteva passare. Tutti gli occhi erano su Ivan. Il Tar• taro restava zitto, e fissava davanti a sé un punto della foresta con i suoi oc· chi vivaci. Stoffa disse: e Amico, dicci come stanno le cose>. Ivan sorrise ed esclamò: e I Cosacchi bloccano i pas• saggi; ma solo quelli che conoscono>. Una parola del Tartaro bastava a rin• francare i fuggitivi: si erano abituati a spiare i suoi occhi. Ora, quegli occhi Per un istante i fuggitivi ungheresi re· starono atterriti, ~{a Ivan e il Cosacco li spinsero avanti. Dissero con disprez• zo: « Non si tratta che di un topo schiacciato>. Poco dopo, finalmente, mettevano piede in :Manciuria. Non si poteva ancora dire di essere del tutto al sicuro. I Cosacchi pote• vano benissimo venirli a riprendere an. che in territorio straniero; poi, si aggi• ravano nei dintomi banditi pronti a catturarli; infine c'erano cinesi che potevano scambiarli addirittura per banditi Dovettero andare avanti con prudenza, pronti ad ogni evenienza, finché giunsero a Sanchatovo, villag• gio cinese dove, chissà perché, vennero accolti con grandi feste. Stoffa andava avanti in mezzo ad una folla di curiosi, quando vide due uomini che, sebbene vestiti come tutti gli altri, non aveva• PRIGIONIA IN RUBBU parevano d'un bambino; ora, invece, mettevano paura tanto apparivano foschi. Le guide trovarono un guado sicuro, sebbene l' acqua fosse gelida. Verso mezzanotte, senza che « il sole dei Co• sacchi >, che è la luna, fosse apparso, si giunse ad un altro fiume. Trovarono un Cinese che li aiutò a traghettare. Altri fiumi furono attraversati, e, dopo i fiumi, pianure faticosissime. Alla fine si arrivò dove il patere dei Cosacchi era molto diminuito. I banditi cinesi erano i padroni dei luoghi e i Cosacchi facevano di tutto per non incontrarsi con loro. Ivan era amico di tutti: i masnadieri pareva quasi che conside. rassero composta di amici o colleghi la banda dei fuggitivi. Anzi, si può dire che utilissimi furono gli incontri coi contrabbandieri. Si trattava di Mon· goti e di Tartari che facevano per lo più grandi accoglien:ze alle guide. I van presentava con gran gesti i suoi pr~ tetti, e tutti li salutavano. Intanto il confine manciuriano si av• vicinava. Per raggiungerlo, si dovette fare una marcia addirittura straziante. Calata la notte, gli ufficiali cammina• vano curvi e fiacchi ; e, spesso vinti daHa stanchezza, si lasciavano cadere a terra. Volevano passare ivi la notte; quasi si sarebbe detto che proprio al• !ora, vicini alla salvezza, fossero dispo• sti a dare la vita per un attimo di ri• poso. Ma Ivan non cedeva. Con modi sbrigativi, faceva rialzare chi si sten• deva a terra. Disse e ridisse che quella notte non conveniva donnire. Salirono per una stretta valle, silenziosi, come avanzassero in mezzo ai nemici. Ivan spiegò: c'erano intorno dei banditi CÌ· nesi, di una banda non amica : guai a cadere nelle loro mani ! Giunti sulla cima di un colle, vjdero infatti uno spettacolo terribile. In un breve tratto pianeggiante, c'erano torce accese che illuminavano alcuni uomini e alcuni cavalli. In mezzo, stava disteso un Ci. nese con la faccia ridotta in poltiglia. no affatto lineamenti cinesi. « Non mi riconoscete più? > Marnò uno di essi in perfetto ungherese. Si trattava di ci.ie prigionieri. Quello che aveva parlato era stato nella batteria di Stoffa. Si chiamava Kopo. IL MANDARINO CORTESE Ma ecco che mentre Stoffa scambia• va le prime parole con i suoi compatrioti, Ivan venne a dire che un ma• nipolo di Cosacchi si avvicinava. Non ebbero tempo di fuggire: i Cosacclù giunsero, chiedendo senz'altro di par• lare col Mandarino. Il Mandarino, che era persona molto cauta, non dis.se di no. Condusse l'ufficialo nella sua casa: fece rilevare che le leggi internazionali non gli pcnnettevano lii,restituzione dei prigionieri. Si parlamentò a lungo. Gli Ungheresi stavano in ansia. Ad un trat• to1 furono visti alcuni Cosacchi uscire dalla casa del Mandarino e avvicinarsi ad Ivan che li guardava con disprezzo. Ivan fu subito afferrato; e subito dopo si seppe di che si trattava. L'ufficiale russo, pur ammettendo che il Manda• rino, secondo le leggi internazionaU, non poteva imprigionare gli Ungheresi, aveva preteso di avere Ivan e le altre guide, considerandoli tutti disertori. Preso Ivan, furono ricercati il Coreano e il Cosacco; ma non riuscirono a tro• varli. Allora la rabbia dei Russi si volse su Ivan, il quale, imperterrito, rispose di essere lui il responsabile di tutto. Era stato lui ad organizzare la fuga. Parlava con disprezzo; e gli Unghe• resi che assistevano alla scena si com. movcvano. Certo, quell' uomo aveva tradito la sua patria; ma essi non di• menticavano la sua lealtà verso di loro. Ivan fu legato ad un palo e torturato, sebbene il mite Mandarino tentasse di attenuare l'ira dell'ufficiale cosacco. Ivan, tuttavia, non si arrese. Gli Un. gheresi, sebbene non avessero più occa. sione di vederlo, spesso sentirono ripar• lare di lui. Ivan, durante un trasferi• mento, era riuscito a fuggire e si era messo alla testa di un gruppo di banditi che si dettero a terrorizzare la contrada. In breve, egli diventò un bandito leg• ~endario di cui si narravano le crudeltà r anche la lealtà verso chi aveva biso• ~no del suo soccono. Dicevano che, riuscito a catturare di sorpresa l'uf• ficiale rwso che lo aveva fatto prigio• nicro, lo avesse torturato in modo or• rendo. Poi di lui non si seppe più nulla. Intanto il tenente Stoffa e i suoi com• pagni furono costretti a restare a lun- ~o in quel piccolo villaggio. Es,;i ave• vano sperato di poter raggiungere Pc. <.·hino,ma il Mandarino, sia our corte• semente, non ammetteva la loro par• tenz..'l...Anzi li faceva sorveg-liare con la scusa dei Cosacchi che potevano ten• tare di riprenderli. Era dunque una nuova prigionia, sebbene assai più dol• cc di quella già conosciuta. La noia era grande. 11 soldato Kopo e il suo compagno, i quali, per essere in quel paesucolo da gran tempo, erano osscs• sionati dal desiderio di poterlo lasciare, tentarono di fuggire. li Mandarino non si scompose. Chiamato Stoffa, gli disse in francese, sorridendo : « I tuoi compagni sono fuggiti. Non arriveranno lontano>. E continuò a sorridere; tanto che Stoffa temette per la sorte dei suoi due compatrioti. Invece, non pas• sarono due giomi che essi, sani e salvi) erano di ritorno. Il ~1andarino si era limitato a farli inseguire. Né i due Un• ghcresi, come furono catturati, ebbero a lamentarsi di maltrattamenti. Giunse, intanto, il Natale, poi l'an• no nuovo : il Mandarino restava sempre in attesa di ordini superiori per decidere la sorte dei suoi ospiti. Stoffa e i suoi compagni si sgomentavano. Spesso alzarono la voce davanti al Ca. po cinese; che, invece di offendeni, sorrideva cordialmente. Un giorno fu. rono chiamati da lui. Senza "Seomporsi il Cinese annunziò che l'ordine ài par• tenza era arrivato. « Arrivederci, ami• ci>, disse il Mandarino, mentre essi partivano. Kopo fece gli ,congiuri di rito, Stof• fa alla meglio cercò di ringraziare quel• lo strano burocrate del Celeste lmpe• ro. Allora cominciò la marcia attraver. so la Cina. Of{ni tanto si incontrava qualche cx prigioniero dei Russi, per lo più di nazionalità tedesca o croata. DA TENENTE A FUOOHISTA Quando la compagnia giunse a Kirin, il console tedesco li accolse a braccia aperte, e li rifornì, mettendoli in grado di continuare il viaggio fino a Pechino. A Pechino, alcuni compagni di Stof. fa dovettero rifugiarsi in un ospedale, tanto erano mal ridotti. Gli altri eh• bero accoglienze cordiali nelle Lega• zioni. Certo a Pechino non si stava ma• le. Ma la guerra continuava : occor• reva darsi da fare per ritornare in pa• tria, se non si voleva passare per di. sertori. Stoffa si dette da fare. Saputo che c'era un piroscafo americano che di nascosto accoglieva cittadini a~stfO. ungarici a bordo, adibendoli ad umili fatiche senza domandare a nessuno la nazionalità, prese il primo treno per ra~giungere Sciangai. Il giorno 29 a• pnle, trasformatosi per l'occasione ne). lo svedese Ollsen, di professione fuo. chista, il tenente Stoffa entrava a far parte dell'equipaggio americano. Stoffa e i suoi compagni furono as• segnati alle caldaie. 11 loro lavoro con• si~teva nel gettare di <:ontinuo palate dt. car~~e ~ei f~mi. Il viaggio non fu pnvo dt mc1dent1. P, ima di arrivare a Scatti.e ncll' ~?1crica del Nord, i Giap• pon_es1perqu1S1~onola nave. Stoffa e gli altn Ungheresi dovett,·ro nascondersi sotto un mucchio di fiaschi vuoti. Poi la nave riprese il viaggio; ma l'Oceano Pacifico, che è pacifico _per m~? 1i dire, mise alla prova quei fuoc.h1su dilettanti Le tempeste non mancarono, veramente spaventose. Alla fine, si giunse a Seattle. Dove tutti, essendo proV\'l. sti di documenti, furono ospitati dalle autorità americane, eccetto Stoffa che non pos,cdcva una carta capace di te• stimoniare la sua identìtà. Un agente di polizia lo guardò e gli disse: « Gio• vanotto, a chi la dài a bere? Se tu sei Ungherese, io sono di Cakutta >. Stoffa venne rinchiuso nelle carceri comuni, insieme ai delinquenti comu~ ni. Ma presto il Commissario per l'c• migrazione lo fece chiamare. Stoffa fu condotto da lui, da un solo agente chr per la strada lo trattava come un ami• co, non come un prigioniero. Il Com• mi1;sariodcll'emigrnziQne era un ometto tranquillo e cominciò il suo interroeatorio con voce monotona: « Chi siete! > domandò: « Rispondete alle mie domande>. Stoffa, chissa perché, disse di cs!>(!re un povero contadino ungherese. Aveva smarrito i documenti: voleva lavorare. Allora il commìs.5a1;0 lo osservò a IJngo. « I contadini ungheresi>, disse, e sono gente che ~a lavorare. Se lo po• tessi, giovanotto, ti aiuterei. Se non hai documenti, cerca qualcUJ10 qui, che garantisca per te >. I compagni di Stoffa, che erano a piede libero, fecero presto a trovare due commercianti di origine tedesca pronti ad aiutare l'Ungherese. Essi dis• sero di conoscere quel contadino un• gherese. Il Commissario dell'emigra• zionc era raggiante. Siccome lo invita• vano ad un banchetto per festeggiare i reduci) finì con l'accettare. Ma al ban. chetto, in mezzo all'allegria generale, Stoffa dimenticò di essere un conta• <lino. Disse chiaro e tondo il suo no• me; raccontò la sua storia; e tutti ap• plaudirono quel valoroso. La stampa tedesca di Seattle, anzi, pubblicò perfino il resoconto di quello che Stoffa aveva narrato. E fu una sollevazione contro la Russia, che maltrattava il prigionieri di guerra. Tutti a Seattle, in quei giorni, parlavano della Russia e dei poveri prigionieri, tanto che il Consolato ru,;so protestò minacciando provvedimenti. Stoffa e i suoi compagni si videro in pericolo. Occorreva fuggire. Decisero senz'altro di raggiungere Nuova York, il che voleva dire mettersi a compiere il giro del mondo. IL GIRO COMPIUTO Stoffa non restò a lungo a Nuova York. Con un passaporto falso, da cui risultava essere un marinaio norvege• se, si imbarcò su una nave americana. Il viaggio andò bene fino a che non giunsero in vista dell'Europa. Qui, una nave inglese volle fare una ispezione, e Stoffa, temendo di venire scoperto, distrusse il suo passaporto. Dovette su• bire lunghi interrogatori. Garantjva di essere Norvegese, di aver dimenticato la lingua materna, essendo andato in Russia fin da quando era bambino. Gli Inglesi non dicevano né sì né no. Con ur.a certa crudeltà, ripetevano sempre le stesse domande e parevano Wddisfat• ti. Stoffa credeva quasi di averli im• brogliati, quando invece quelli gli dis• sero di seguirli. Dovette la5ciar la naye americana e seguire gli Inglesi che, oltre a tutto, non davano spiegazioni, e lo inrarcerarono. Nessuno pareva occuparsi di lui. So. lo una volta entrò nella sua cella un correttis:timo funzionario della polizia, per dirgli in buon tedesco: e Signor tenente, noi attendiamo la sua con• fessione >. E se ne andò, lasciando un foglio in bianco. Stoffa decise di resi• stere. Con i guardi ni faceva l'idiota: ma nessuno parev.c1.occuparsi di lui. Era ossessionante veder cadere nel vuo. to tutti i suoi tentativi. Una notte so• gnò il campo di concentramento rus• so. La fuga, sempre in sngno, gli parve non avvenuta. Si destò oome in un incubo. La fuga era avvenuta; non do• veva arrendersi! Ma i giorni pa~vano. Un pomeriggio monotono, ancora più noioso a causa del passo della sentinel• la davanti alla porta, sentì di non po• tcr resistere. Visto il foglio ìn bianco, vi stese la sua confessione. Pochi giorni dopo il tenente Stoffa entrava in un campo di concentranicn• to nell'isola di Man. Era quasi un an• no da quando aveva abbandonato il campo siberiano in compagnia del Tar• taro. D'un tratto: e Stoffa>, udì grida• re, e, voltosi, vide il tenente Jutay cne aveva lasciato all'ospedale di Pechino. Si abbracciarono e dissero sorridendo: « Non meritava davver6 tanta fatica>. Le loro storie erano all'incirca ugu.tli. Il so,z:giomonell'isola non era penoso, ma i due Ungheresi non potevano ar• rendersi al pensiero di aver perdut.1 una libertà guadagnata con tanto ri• schio. Occorreva fug~re. Temevano che Ja guerra non finisse più. Gli Inglesi li farebbero marcire fra quelle neboie? Si accordarono in quattro) e di notte seppero rubare nel porto di Erin una piccola barca, con la quale raggiun• gcrc l'Irlanda e trovare aiuto pres~o i partigiani del ribelle Sir Roger Case• ment. La barca non era spaziosa e, co• me furono al largo, le onde diventarono pa1;1~0~.Decisi di morire, i quat• tro fu~g1hv1 badavano ai remi. Non di. cevano una parola. Sapevano segnata la propria sorte. Quando ecco nella bruma un chiarore : era un piccolo bat• tello della polizia dell'isola di Man. La fuga era dunque fallita e il giro del mondo era invano compiuto. Quello fu l'ultimo tentativo del tenente Stoffa. Restato nel campo di con. centramento di Man fino alla pace raggiunse poi l'Ungheria, entrando nel~ l'esercito del nuovo Stato uscito dal crollo_ della Monarchia, col grtdo di maggiore. Ed ancora vi milita. GIUSEPPE SCORTECCI

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