Omnibus - anno I - n. 20 - 14 agosto 1937

IL SOFM DELLE musE ( LETTURE ITALIANE) [!)ij~~a~ DI VERGANI CHI APRE Riua Africana di Orio Vergani (Hocpli, Milano, 1937) ha la sorprc~a di trovare quello che non attende. Si attendeva la cronaca di un viaggio in Libia al seguito di Mussolini, e al contrario si trova un diario staremmo per dire intimo. Diari intimi scritti e pubblicati cc ne sono, accanto agli altri da pubblicarsi postumi, a rivelazione di quanto uno <;Crittore vivcn,te nascose; e son intimi per modo d'intenderci: vengono detti tali a significare un atteggiamento della mente. Vergani partì, nello scorso mano, insieme a tanti altri g~ornalisti: fece il suo brillante servizio, si dimostrò ancora una volta quel bravo cronista di celebrazioni e di avvenimenti non consueti che tutti conoscono, e intanto teneva un suo taccui• 1.0. Un taccuino per sé? Proprio per sé 10n direi : un letterato può ricorrere pesso alla finzione del taccuino teuto per sé; e ne sortiranno pagine fr,1 uclle più genuine di Vergani. Già tut~ i sanno qual è il suo abito mentale fin 1elle corrispondenze più. precipitose. Vcrgani indulge sempre ad essere il giornalista che anche quando gli eventi sono grandi, non lascia di badare alle piccole cose. Ha il gusto per le piccole cose. Ed è per tale via che egli,. di volta in \·olta, di giorno in giorno, mostra la sua fedeltà ai temi consueti in lui narratore, cht scrive racconti e romanzi. Come si sa, abbiamo a che fare con · uno dei pochi giornalisti italiani che accanto al servizio o all'articolo effimero hanno altri scartafacci. Sempre nelle sue corrispondenze, sia del Giro d'Italia, sia del e Tour>, Vcrgani tiene a quella sua fedeltà. E i lettori hanno imparato ad avere il gusto per certe sue variazioni in margine alla cronaca che forse non ammetterebbero ad altri giornalisti. Vergani, scriva racconti o articoli da giornale, è sempre lo stesso. Se va in capo al mondo ha l'aria di essere a casa; e i suoi personaggi, di lui che di gente deve averne conosciuta diversa, sono comuni, a portata di mano. Vergani che ha scritto la storia d'un capomastro milanese con un gusto verso le strade e la gente minuta milanese da rammentare un lombardo di nascita come De Marchi, quando ha voluto azzardare di più arriva al suonatore di contrabbasso o magari ad un r JVCro negro; che era un negro dimesso, un negro di tutti i giorni. Del resto, non si tratta di azzardi: Vergani sia che racconti i casi di Morigi in Levar del sole o che fantastichi su di un suonatore o su ·di un orologiaio non vuole stµpirti con la sua immaginazione. Di Voli non ne vuole sapere : si vuole tenere terra terra; che è la sua via per essere umano e vero. Di lì il suo incontro felice con un pubblico, che per ora' lo conosce come giornalista e che domani potrebbe con piena soddisfazione scoprirlo come autore di novelle e romanzi. stanco. Rimango a bordo della nave 1.'.hCsarà la mia casa di questi giorni ». Del servizio fatto per il giornale non c'è che l'ombra. La Libia è familiare a Vergani, sia quella del deserto con le battaglie fra savari fedeli e beduini ribelli, sia l'altra della Tripoli d'un tempo: « Tripoli era allora quasi tutta in quel crocicchio, tra un caffè dove si faceva, dicevano, un po' di pettc~olczzo, un tab::iccaio e una vetrina de, magazzini Mele ... >. « La luce del lampione mandava un lungo riflesso sulla fanghiglia ... >. « Nel cerchio di luce di quel lampione, prima di rincasare, il coJonncllo Graziani dava un'occhiata ai titoli dei giornali arrivati mezz'ora pri• ma col postale ... >. Come si vede Vergani va cercando nella sua memoria una Tripoli che assomiglia molto a certi luoghi dei suoi racconti e del suo romanzo. Un'aria europea, e addirittura milanese; quel che non vuole dire, secondo me, falsificare. Vcrgani ha viaggiato molto, conosce il mondo, la sua immaginazione proprio attraverso i vagabondaggi ha trovato un punto fermo. Un punto fcnno che esclude del tutto l'esotismo, che ti rende familiarmente cordiali le cose più lontane. Riua Africana ha fuori testo un centinaio di fotografie fatte da Vergani stesso. La gran luce africana aiur>- Vergani, quando le fece, le forbici lo hanno aiutato come le ha sviluppate e stampate. ARRIGO BENEDETTI ( LfflEIIATUR.l DfGLESE ) UNASTORIA rnu UJffià~ CHE COSA OCCORRE oltre la conoscenza sicura dei testi per scrivere una buona storia di una letteratura qualsiasi? Io direi che occorre soprattutto una visione insieme unitaria e e interna » di tale letteratura; dando alla parola e interna > un senso di intimità e di confidenza estreme. Si badi, non tanto la ricerca dcsanctisiana di un contenuto etico, né come (a Taine la creazione di un carattere tipico e fisso come se la letteratura fos.sc un personaggio, quanto una comprensione molto scrupolosa degli umori, degli spiriti e delle più liriche qualità della Jet· tcratura in questione. Si richiede insom• ma al critico che si accinga a tale opera un sentimento molto vivo dell'aria comune in cui sono innnerse le figure grandi e piccole di una letteratura; e questo perché trattandosi di storie e nazionali > non è possibile non riscontrare oltre la lingua e la storia legami più sottili e impalpabili tra le varie epoche e i vari autori; pur sotto contraddizioni e fratture apparenti. D'altra par-te è chiaro che una storia Jet• tcraria sarà anche una interpretazione magari tendenziosa; ma questa interpretazio. ne per essere veramente feconda e suggestiva avrà da essere fondata sopra un diffuso senso di umanità senza il quale imprese cosi gTOSSC e rotonde, come quella di fare la storia di una letteratura, falliscono. Perché altri e più sottili accorgimenti derivati da esperienze parziali seppure profonde, di fronte ad un'intera lttU:ratura, fanno figura di letto di Procustc. lntanto Vergani fa i suoi servizi. Li fa quasi sacrificando nella pagina da telefonare tante cose che forse direbbe meglio altrove. Nei suoi giri d'Italia e di Francia, come in tutte le altre sue corrispondenze 1 va distribuendo quello che forse restando a casa darebbe più compiu;tamente in. opere più tran- · quillc. Vergani pane e gira, e il mondo tuttavia non lo interessa per le sorprese che gli può dare. Il mondo non è gran cosa; tutto il mondo è paese: ecco qual è la moralità di Vergani. Andato in Libia per un grande viaggio, Vergani ha tenuto un suo taccuino. I colleghi, o almeno molti di essi, e senza dubbio almeno quelli più rotti al mestiere, finito il servizio sospiravano; V~rgani no: finito il servizio gli occorreva andare i:lietro ad altro : a certa melanconia, a certi ricordi. La Libia non era per lui una terra di sor• prese, era un paese familiare, per averci passato la giovinezza. Vcrgani una volta tanto raccoglie i suoi ricordi, e li raccoglie a baleni, via via che vengono fuori. La Libia della sua giovinezza era quella da riconquistare, dei tempi di Graziani. Il suo diario intimo così va avanti spesso con paragoni che indulgono alla nostalgia. Tanto che queste pagine hanno qualcosa di cadenzato1 di ballata dirci. Quando a Tobruk ci vuol descrivere il paesaggio: e Tutta la melodia di questo paese ... », egli esclama a tre riprcsc 1 e la descrizione è distribuita come in tre strofe. Più avanti, poi, si ritrova: e Vorrei raccontare la storia qi una piccola moglie ... »; e Vorrei raccontare la storia del primo vestito creato, tagliato, cucito a Tobruk ... ». Ed è un bozzetto di una ragazza che, sposat~ il coloniale, trova modo di adattan1 alla vita della colonia. L'annunzio di una storia della letteratura ingie,c da parte di Mario Praz ci aveva incuriosito; perché ricordavamo le qualità manifestate dal Praz soprattutto nell'opera che finora rimane il suo miglior libro: La Car"•• la Morti# il Diavolo "ella ldteratura roma"tica. Cosa si osservava in• fatti in quel libro? Una sensibilità e una erudizione molto speciali e molto sicure (talvolta addirittura fin troppo e calale > e pcnonali) rivolte ad illuminare un aspetto certo importante ma insomma secondario e ristretto del romanticismo. Con quel lavo.ro il Praz, consapevolmente o no, dava un contributo italiano a tutta una corrente europea che da Freud va fino ai surrealisti. Come tale il libro certo aveva un indubbio valore j a parte l'acutezza delle oss..r.vazioni più propriamente psicologiche, determinando come faceva le origini e le qualità di certo romanticismo, contribuiva alla formazione, in Italia molto scarsa, di quel gusto tra macabro e barocco lanciato in Francia dai surrealisti; alludiamo a pittori quali il Le pagine di Riva A/ricar,a _hannu quei toni e qt.K:i voli volonta.namcntc modesti. Vi sono dette cose che non andrebbero nella corrispondenza per quotidiano. « Stasera a Tripoli. Sono ~n~~;t=~~/~~~%im:cl~~::tacu;~v~cc;in~;~~: ciata. D'altra parte fin da allora venne osservato come l'indagine critica in quel libro si .i,.ppuntasse soltanto sopra autori e 1csti di poco o nessun valore letterario o su 3.$petti di artisti e di opere d'arte affatto insignificanti e dimenticati. Non era insomma un libro di critica, come del resto riconosceva l'autore stesso nella prcfai.ionc, bensl un'opera ai confini tra letteratura e patologia. Ora è chiaro che un'indagine siffatta non poteva attentarsi fuori dei limiti della bassa letteratura romantica senza incorrere nelle ingenuità dc• gli psicologi di professione e in genere di tutti i positivisti. Perché quello che andava bene per il marchese di Sadc non funz.ionava con Goethe e Shakespeare. Di questi pericoli il Praz. del resto si rese subito conto; e trattando di altri au_tor~ che poco si prestavano alle intcrprctaz1on1 freudiane, si tenne $Cmpre a quella eh.e per comodità chiameremo la corre~te cn• tica estetica. Senonché apparve subito che la sua sensibilità cosl vibrante e golosa davanti ai testi della Carne, la Morte e il Diavolo o davanti ad autori macabri e sontuosi ~quali il Donne, con altri scrittori subiva un raggelamento, una mortificazione: Insomma il Praz era più lui, cioè più orig1~ale, dov~ come nella Carne ccc. sollevava 11velo sul rapporti che inter~orrono tra _letteratura e sessualità, oppure in certe curiose smascheraturc del genere del saggio sul Winckclmann apparso nell'Italiano, o ancora negli acuti e illuminanti lavori di erudizione molto particolare, come nel saggio su Dante. e Eliot. Altrove riusciva chiaro, corretto, verace ma spesso esterno. Va da sé che tale limitazione e parzialità del gusto si scopre soprattutto in opere del genere di questa Storia della leJteratura intles, (cd. Sansoni); le quali appunto richiedono quel calore e quell'umanità di cui s'è detto in principio. Il Praz nella prefazione premessa al libro avverte che questa storia intende soprattutto essere un utile manuale. A noi pare che l'affem1azione sia modesta; effet• tivamcnte il libro del Praz è più che un manuale pur essendo meno che una storia della letteratura inglese. Hanno del manuale, utile, informato, accurato (non senza quegli estri moderni propri alla panicolare sensibilità dell'autore qua e là affioranti), esauriente sl, ma esterno, molte pagine, soputtutto quelle dedicate a certi autori classici. Per esempio tutto il ca;,itolo dedicato a Shakespeare; nel quale dopo un cenno biografico, l'enumerai.ione non meglio giustificata dei migliori sonetti, una rapida scorribanda in linea crono· logica per l'opera teatrale con veloci dcfi• nit.ioni dei più famosi personaggi, dopo ben tredici pagine fitte di riassunti delle trame dei drammi e delle commedie, il lettore trova un solo paragrafo piuttosto freddo e tee.nico dedicato al genio scespiriano. t vero che nella prefazione il Praz aveva avvertito che il suo libro non voleva essere che un « avviamento a quel più profondo studio che il lettore potrà intra• prendere sulla se.orta di ampie bibliografie > ; tuttavia Shakespeare meritava per lo meno la stessa attenzione che più avanti è dedicata a Donne, uno degli autori preferiti dal Praz. Inoltre non vediamo l'utilità di tutti quei riassunti schematici dei canovacci delle opere teatrali; meglio sarebbe stato semmai accennare per ciascuna opera alle varie interpretazioni critiche; anche perché il contenuto dei du.mmi scespiriani è notissimo a qualsiasi lettore di media cultura. Ma non sempre la storia ha del manuale. Dovunque il Prai. si giova di materiale già elaborato in altre sue opere pre· cedenti (il saggio su Chauc.cr, quello su Marlowc, il Secentismo e Marinismo in Jntltilterra, La Carne, la Morte # il Diavolo nella letteratura romantica, ccc., ccc.) si nota maggiore intimità, un tono più mordente e meno evasivo, una capacità talvolta assai felice di condensare in pochi tratti il carattere di uno scrittore, o di lumeggiare, in maniera acuta e sicura, dcri• va:r.ioni e influenze poco note. A questo punto vogliamo tuttavia osservare che il Praz ha spesso riportato integralmente cose sue già apparse nell'Enciclopedia Italiana. Ora questo non scmpre giova, perché la maniera di esporre e le prospettive di una enciclopedia differiscono neccuariamente da quelle dì una 1torh letteraria. . Ii pregio dcll<1 Storia del Praz, oltre cf1c nella modernità e acutezza del giudizio su taluni autori barocchi, k.ttcccnteschi (ma a proposito della somiglianza del Dcfoc con il Cellini non possiamo sottoscrivere: il primo con tutta la sua ingenuità è un moralista; il secondo un fantastico, innamorato appunto di un personaggio fatto a sua immagine fuori d'ogni legge morale, tutto in bcllcna), preromantici e decadenti, sta nell'accuratissima e ricchissima bibliografia. Per tale aspetto la storia del Praz sarà di grande utilità. Soprattutto a quei lettori, come dice l'autore, che potranno giovarsene per una maggiore conoscenza e un più profondo studio. ALBERTO MORAVIA GIARDINETTO I~::~ ~:;Rs~~~o~aa t~:: 1 !~: 10 d~f ~'f. tanti (Vallccchi, Firenze, L. 10); un .romanzo che vorrebbe es.sere, come suol dirsi, di largo respiro. Si tratta di un libro pieno di fatti e di personaggi, di un impianto romanz.csco che esige il fiato di un grande scrittore. Non che il Petrone manchi di un certo fiato, piuttosto gli mancano certe qualità critiche; qualità che salvano sem• pre uno scrittore dai pericoli dcli' ardore lirico. e Aveva troppo attesa quella frase, era andata là per provocarla e si lasciò prendere facilmente dopo una breve lotta, che le fu quasi pretesto per spogliarsi tutta nuda. Egli aveva tanto senso d'arte e la vide cosl bella, cosl squisitamente fatta, che si sarebbe prostrato per ammirarla e sentirla meglio. Le caviglie agili sui piedi impazienti, le gambe modellate con un crescendo di grazia esasperante fino al grembo pieno. Il busto snello, sosteneva eretto il seno troppo carnoso, che pur menomando la signorilità elegantissima del cor· po ne cresceva a dismisura la brutalità esaltante come una divinità :, (pag. 6o). LAtr~~~~J~/f:!11 1:111: ~tfa;:Verr:~~ ccsc. Su questa nave si è imbarcato Paolo Zappa, da giornalista, s'intende. Le sue corrispondenze appàrivano su un quotidiano dell'Italia settentrionale. Ora sono state raccolte in volume (Paolo Zappa: Alla Guiana, Corbaccio, L. 10) e non hanno perduto il loro tono originario. Che t il tono di una cronaca fin troppo cronaca, che finisce col nuocere alla prosa dello scriuore. Un giornalista non deve mai es• ser povero; scmplke sì, corrente e agile, ma sempre ricco di cose da raccontare. Abbiamo detto raccontare, non registrare. Paolo Zappa informa i lettori del suo giornale registrando dei fatti e delle situa7-ioni: difficilmente osserva. « Sbuffando e danzando, l'O.1apok mise, alfi.ne, l'ancora nel porto di Caicnna dopo 68 ore esatte dt navigazione da San Lorenzo. e A parte il calore umido cd i pesanti profumi della foresta vicina, Caienna, con il chiosco per la musica, il belvedere sul mare e la spaziosa caserma, rassomiglia ad un vecchio capoluogo di sottoprefettura francese > (pag. 77). Questo sembrerebbe, come è, un punto di partcnz.1; ma è anche un punto di arrivo. Zappa ne ha abbastanza di questa definii.ione. Subito dopo scantona, G. V. ICINOlUOOARI IX VIAGGIO 1900 • GRJ.Z:UDELEDDAE lL )(ARJTO Ili VILLEOGI.ATORA 111ATrESADELPREIOOVUREGOIO ILDIH u::>U!32..~~ IATTIVIBIA E ALTRIAPPUNTI CHI scriverà l'elogio della cattiveria? La cattiveria è dura, sicura, tagliente; e, insieme, astuta, prudentissima. Non bisogna dimenticare che la bontà. invece, è amorfa, morbida, debole; e, <:1,~el ch'è peggio, spesso inutile, talora addmttura dannosa perché si rivolge a chi non la merita e finisce col provocare infiniti guai. Chi non ricorda certi atti di bontà, proprii o altrui, che generarono più male che bene? Se è cosl, la bontà fallisce il suo scopo. Si può dire altrettanto della cattiveria? No, la cattiveria colpisce sempre nel segno. La cattiveria non è mai incerta, ha sempre una sua direzione ben definita e un preciso scopo. Sa scegliere magis~ralmente il suo oggetto, e come trova pot le occasioni propizie I Insomma la cattiveria è intelligente: ecco il suo più grande elogio. Perché l'idea del riposo ci richiama sempre l'immagine della campagna? Per chi è cresciuto in campagna sarà il richiam0 di certi ricordi, di certe suggestioni dell'infanzia: le corse a piedi nudi sui ciottoli tiepidi e su!Ja freschezza dell'erba e i riposi sotto gli alberi nelle ore calme quando il sole splende fermo. Ma per gli altri? Per gli altri sarà forse un richiamo, lontanissimo ma pur vivo, dell'infanzia dei popoli. L'uomo viveva allora all'aperto, sotto l'arco del cielo, e la terra era la sua casa. Certo è che la campagna è viva in tutti noi, è dentro di noi; e di tanto in tanto, nelle stagioni del rigoglio, la sentiamo ri~ nascere. t un desiderio di cieli limpidì e d'aria libera; ed è, anche, quasi un'ansia di ritrovare la propria zolla e di sentirla viva sotto i nostri piedi. Perché l'uomo non t: soltanto animale, è anche pianta. Chi non ha udito parlare dei corsari? C'è una stagiope della vita, tra l'infanzia e l'adolescenza, in cui tutti fummo corsari, come lo sono i ragazzi di oggi e come lo saranno quelli di domani. Corsari soltanto? In quegli anni si è tutto. Corsari, pirati, cow-boy1, esploratori, moschettieri del Re, pellirosse, deUctitJes, apaches. Si è tutto, fuorché persone pacifiche. Non si può essere persone pacifiche perché quella t: l'età della guerra, la vera età della guerra. Ognuno vive la propria avventura, anzi tutto un seguito di avventure e di battaglie, che si incontrano, si. intrecciano, si rinnovano come un gioco di serpentine. Persone pacifiche si diventerà più tardi, dopo le prime sconfitte. Quella è l'età dell'avventura: il tempo trascorre rapidissimo, vario e tiepido, come dentro una ~ube colorata. A un tratto la nube scompare, bolla di sapone che scoppia, cd è come se si venisse deposti, da una culla aerea che veleggiava con la leggerezza dei sogni, giù giù, sulla terra sassosa dove ci sentiremo piccoli,- goffi e imbrogliati nel passo. Un giornale americano constatava recentemente che mai come in quest'epoca le città hanno stancato chi le abita. Ogni tanto - diceva l'articolista - il cittadino cere.a, e sempre inutilmente, di individuare la ragione dì questo malessere. Sono i rumori? ~ la pubblicità luminosa? l':; il movimento incessante? Vien da pensare che la ragione del ma• lessere stia nella stessa vita che conducono gli abitanti di quelle città: una vita scentrata, che cerca invano il suo equilibrio; cd è naturale che il disagio si accresca dove glj uomini possono scoprire, sugli innumerevoli volti delle persone che continuamente passano loro accanto, i segni di un'inquietudine simile alla loro. E sono essi stessi che trovano (per sfogo? per ven• detra?), con una tenacia infernale e con un'astuzia senza limiti, tutti i modi e tutte le vie per comunicare il proprio disagio agli altri. Nessuno ha mai scritto una storia del gesto? ~ attr'averso il gesto che si esprimono le epoche. Si sa che Tolstoi, dopo essersi documcptato per un grande romanzo storico, rinuncib a scriverlo perché capì che non avrcb!)e saputo descrivere i movimenti di persone vissute centinaia d'anni prima. E chi non s'accorge che il gesto nei « Promessi Sposi• (ed è questa una caratteristica che aggiunge sapore al grande libro) è neoclassico anziché seicentesco? Nella storia del gesto rientrerebbe, naturalmente, la storia dcl1a danza, ch'è for- ·se, in questo senso, l'espressione pii.1 tipi• ca d'ogni epoca. Dasri pensare al minuetto che cl rievoca tutto un mondo, o al valzer P, A. QUARANTOTTI GAMOT:-,.1

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