Omnibus - anno I - n. 19 - 7 agosto 1937

IL SOFM DELLE DIUSE (VANLITEITTERARIE) (!.l ~~aw~lli~ E LE DONNE ' E diventata una cosa assai difficile questa, di dire se uno è uno scrittore. Una volta, credo, bil- ~tava la dichiarazione. Quelli che non si dichiaravano come tali non erano scrittori. Se scrivevano magari diventavano scrittori dopo morti. Oggi ~1 dirc- scrittore c'è di mezzo anche il Sinda~.1to. Esser~ scrittore in questa maniera è: delle più semplici: basta far stampare, presso una tipografia, una pagina con frontespizio, copertina, titolo dell'opera, il proprio nome e cognome, e la cosa è fatta. Per i critici, ad esempio, dire scrittore significa lo :wolgimcnto di una personalità, di una arte, ccc. Per certuni, sono scrittori Cardarclli, Cccchi, Loria, Bonsanti, ccc., ma lo negano poi a D'Ambra, Gotta, B~chi, che hanno scritto moltissimo. Per concludere proporrei la fondazione di un Istituto Superiore che .1~egnassc diplomi col diritto di fregiarsi del titolo Scritt. come si fa col Dott.. Naturalmente tale titolo andrebbe d.,to solo a quelli che hanno ,;critto molto. Poiché si tratta di intcre~i da tutelare, che cosa ha da tutelare chi ha scritto poco? Solo @:li Scritt. dovrebbero es.sere accettati nel Sindacato, in modo che questo funzionasse per degli interessi concreti, per dei per-cento tattili. Quanto precede mi è venuto così, essendo stato in compagnia di uno \Crittore. Non dirò il suo nome ignoto al pubblico 1 e pochissimo noto fra i letterati. Ha pubblicato solo due racconti, del resto assai belli. H~ già passato i trent'anni. Mi ha portato in casa sua e mi ha fatto vedere uno scatolone per metà pieno di manoscritti: « Sono tutti racconti interrotti, abbo7.zi di commedie, principi di romanzi, confessioni, diari>, mi ha detto. Poi a passeggio, sul viale di questa città baJneare, ha proc.cguito: « Vede, io ho molte idee, ho il senso dell'arte, tutti i giorni ho qualche capolavoro da scrivere. So benissimo che riu-.cirei 11 più grande scrittore dell't'poca, perché oltre che istintivo, intuiti,·o e via dicendo, sono anche molto intclligC'-nte, in quel senso dell'intelligenza come è considerata dal pubblico, dai grandi professionisti arrivati. ~(a ho un difetto, grav~imo per la c:1rricra di uno 'ICrittorc : non mc ne importa niente. Una volta ambivo moltr- al successo. Sa perché? ... Credevo che il succe~ dovesse portarmi nel1':i.lta_considerazione delle ragazze che m1 piacevano>. « ~a lei non ha .o.vuto il successo ». « Sì, ma ho visto gli altri, gli arrivati. Quali sono le ragazze che pen.sa.no a un ~oravia 1 a un Alvaro, tanto per fare il nome di due giovani? Avranno le loro donne, ma non quelle più importanti, quelle che dico io : le ragazze (·he vedo a passeggio, quelle del popolo, di bottega, della borghesia, le ragazze dagli occhi verdi dell'aristocrazia n,rridionale ccc. La maggior parte di queste donne non hanno emotività. A CONCORSO PERMANENTE DI "OMNIBUS"_ "OMKIBUS" b& &porto & tutl.1 1 ,uol lettori un Concorao perm&nent.e per l& narrasi.on& dJ un ratto qu&lalul, Nalmente accaduto a chi 1crtve. La uattu'!.one nou deTe 1uperue le \re colonne del rtorn&le, e deTe e■ure 1nY1a\a &Il&Dlreslone di" OMNIBUS" ln cartelle •Cri\t.e a macchina, da una 101&pe.rte del rorllo. 0rnt narrazione pubblica\&, Hcondo l'ordine di arrtTo e d'acceUastone, vefT& coml)4'na&t&con L1N 600 (ClD• quecent.o). !!::f!!:~s;:ul non accett.att,non 11rePer I&valldlt.à. della apedls1one, 1 concorrenti doTranno serTltsl del ta111ando sump&to qui 10\to, incollato •ulla buet.a. DA TAGLIARSI ROMA vent'anni mi innamorai di una ragazza ana quale non mi dichiarai perché mi sentivo troppo poco per lei. AJlora presi a scrivere un romanzo. « Appena lo avrò finito>, dissi, « mi dichiarerò al mio amore,. Non ero arrivato a metà del libro, che già la sciocchina si era sposata. Interruppi tutto. ~·folto più avanti mi innamorai un'altra volta di una ragau.a, di condizione inferiore alla prima. Le, mandai i due soli miei racconti stampati, quelli che lei conosce, e che a detta di coloro che li hanno letti sono, più che belli, atti a innamorare una donna che si desidera. Ebbene, non mi rispose, partì, sparì, èhe so. La ricercai. Viaggiai tutto l'anno da un angolo all'altro d'Europa, benché io sia sedentario. Niente. Alla fine <lei viaggio, tornando al mio paese, seppi dal giornale che si era sposata con un ricco ebreo. Era una fiorentina. E come lei sa - secondo Stendhal - le ifiorentine sono più per la porcheria che per la passione>. . « Ma il successo è un'altra cosa », gh ho detto, dopo averlo lasciato sfogare e riposare un po'; « per esempio, gli articoli, le interviste, la nomina all' Accademia, i ricevimenti, i premi, le conversazioni intellettuali con le grandi dame ai balli dell'Ambasciata». « Furono. proprio queste cose che mi ridussero all' infingardaggine in cui ella mi ha trovato. Non le r..i.SCondo però che da ragaz~ le sognav~. Pensavo di averle un giorno, non m premio di un'opera, ma soltanto per la mia bella faccia>. « Lei adesso scrive ancora o intende di scrivere? Si prepara insomma a qualcosa?>. _ « Io, non mi preparo a niente. Ogm tanto mi capita di scrivere, ma abbandono subito il lavoro. Che vuole? può far piacere scrivere una bella cosa, e in effetti lo fa. La si tiene per sé. Ma viene quella tremenda paura di esser soli ... [nfine ci sarebbe una gloria alla quale potrei ancora tenere : quella posmma. Ma lei vada un po' fra i letterati, quelli che conoscono Leopardi, Baudelaire ecc., e vedrà come le passa la voglia di prendere, nel futuro, un posto come quello di quc:sti grandi poeti. Infine non esiste più nemmeno quella minoranza di donne che una volta fingevano interessarsi ai casi di Leopardi>. « Vanità terrene non ne ha?>. « Sì, tante. Anzi tutte. Ne ho fatto un' indigestione. Mi piacerebbe esser molto ricco, andare e venire a mio l,)iacere, comprare tutti gli oggetti eh~ mi piacciono, anche le donne. Vorrei ,\vere molti figli, che educherei, cioè lascerei fare, in casa mia; ma nemmeno una moglie : il ricordo della fiorenti?a ~ toglie ogni illusione a questo nguardo ». « Come incominciò a scrivere?». « [o sono un borghese, di famiglia piuttosto agiata. Non mi è necC1Sario un impiego o un " posto". Da ragazzo non studiai e non andai a scuola. Dai dieci ai vent'anni ho pensato, volta a volta, di diventare campione di football~ un tecnico della boxe (leggevo i giornali più specializzati in questo senso e mi commuovevano assai le storie degli antichi incontri: quelli a pugni nudi), campione di schenna (ero mancino, e credevo che gli schermidori fossero mondanamcnte altolocati), ufficiale di marina (desistetti da questo proposito una sera che udii delle ragazze aristocratiche dire che gli ufficiali di marina ballavano in maniera goffa), direttore d'orchestra, avvocato e geografo. A queste tre ultime profe55ioni ci pensavo dai sette ai nove anni d'età. 11mio primo pensiero, sui cinque anni, fu quello di diventare imperatore. No11 ho mai ambito alle corse automobilistiche, alla cavalleria e all'aviazione. Ho fatto anche il ,rivoluzionado e l'agitatore politico, e le mie prime letture furono appunto in questo senso: Orsini, Bakunin, Garibaldi, Mazzini 1 la Kulisciof, Dostoievski. Cominciai a scrivere sui vent'anni, quando vidi che nessuna carriera portava al successo tot2.le, amoroso e romanzesco, come l'intendevo io. Il mio primo amore coincide col mio iniziamento all'arte dello scrivere. Se potessi essere veramente solo, dipingerei anche e comporrei della musica. Ma quando so che tutto questo lo si fa al mondo per il successo astratto (articoli e fotografie) mi cadono le braccia, e dormo. Ecco le ragioni della mia pigrizia, caro signore». e: E in che modo allora intende lei di risolvere la sua esistenza? ». e: Non c'è onnai che una strada, per noi gente tanto ambiziosa per la quale non esiste ambizione terrena, pur'anco soddisfatta, che ci renda paghi. Ed è... ma non si metta a ridere ... il Regno dei Cieli:.. Detto questo lo scrittore X mi ha salutato. Non è uno stupido, ma quanto poco augurabile sarebbe che altri scrittori la pensassero come lui. ANTONIO DELFINI Quno irnloo 40.adro di BecUla.un, 11 L,, 1plagrf1.", i 1t.&W upolto alla mo1tr1 di JCcntoo come Ntmplo di dtg1o.eradone d1ll'1rte teduo& (LETTURE ITALIANE) ~~~ E NRICO PEA è al suo primo romanzo (Il Forestiero, Vallecchi, Firenze, L, 1 o), romanzo diciamo cosl distaccato. Ché un romanzo autobiografico, e forse il più avventuroso che si conosca ai tempi nostri, già cc lo diede anni fa, di• viso in tre parti, in tre libri addirittura, che sono Moscardino, Il Volto Sa"io, Il servi1ore del Diavolo. E solo ch'egli vi aggiunga alcuni capitoli e riempia c~rti spa~i, con i bei frammenti che va pubblicando in giornali, e con altri che la fedele memoria può restituirgli dell'antica età, a quella storia favolosa saprà dare ~rto quel nulla. che ancora le manca. Ma ha scritto anche un racconto lungo, tutto umano, di struttura e scrictura più ferma, che è La fitlioccia, al quale s'awicina, per il tono e la sostanza, questo Foresti,ro, e ricerca un motivo accennante da assai più lontano. e Mi fermai q~ando seppi che tuo padl.e era morto •• d1.:.c a ., Moscardino il nonno, che. già ave.va conosciuto la dissolu:r.ionc, la vita randagia, la pazzia ; e il vecchio della Fi1liocda, nel· l'amore. semplice d'una donna semplice trovl riposo, e la speranza degli anni 1creni. Il Fore11Ìtro è la storia di un ritrovamento come. qucno; e se essa è lasciata in sospeso al punto d'arrivo, è perché non importava dire. di più, oltre le vicende che a quel ri• torno da figliuol prodigo hanno dato senso, c. un carattere cosl rpiccatamcnte poetico. Ora, chi guarda dall'esterno questo libr~ pur cosi intimamente costruito, può darsi trovi sue difficoltà ad approvarlo tutto. Delle tre· parti in cui esso è diviso, si dirà che la prima, almeno quella, andrebbe. mu• tata di posto, messa in fondo in forma di conclusione. Ed ecco, allora, i tre tempi susseguirsi logicamente: ecco la vita di e Giubbino •• padre di Foresto, ceco Foresto in America, ecco il ritorno: tutto chiaro, tutto in ordine. Ma a cotesto modo il valore di questo personaggio lirico che t Foresto, anzi di questo romanzo lirico, cadrebbe. E sarebbe farsa prima caduta nello ~crittore la spinta a narrare, che è, appunto, un narrare lirico, un rifare un po' suoi i casi che descrive e, con la memoria giudice, creare la prospettiva. Il senso del romanzo di Pea, invece, portava a una tecnica co• mc questa. Foresto dopo trent'anni è tornato dal1' America al e Borgo dei Rapa.ini >. Par· tito se n'era poco più che fanciullo, con la giovine madre, la quale, rimuta vedov,a, correva lontano a riannodare. le fila d'un amore antico, a riguadagnare dicci anni persi col primo vecchio marito. La madre. conosce là delusione e miseria; egli cono• sce il vizio. E ora nella sua casa, nel suo piccolo borgo, trova la pace finalmente. Il ricordo d'una sorella morta, subito gli ridesta segrete memorie, gli ridà il senso della vita alle. origini; e una pastora sedente 1ulla scala di lavagna che. vide i suoi primi giochi, una donna salda (e toccava con i fianchi la casa e la spalletta della scala: sulla spalletta aveva appoggiato il braccio destro come sulla spalliera di una sedia a braccioli>), gli misura d'un lampo di quanto egli aveva sbagliato strada. Ora è felice, sebbene mestamente felice. Le tre. righe che. chiudono la prima parte del romanzo dicono questo in breve: e tl silenzio di questo oliveto che mi raddolcisce la vita, e l'amoroso pianto che mi sta in gola, rubatemeli, se potete, o agenti del fisco! >. Pensa agli uteieri che hanno ora sfondata la porta della 1ua casa in America, hanno messo le mani sui suoi beni. E si capisce che poco inn.anzi, al primo rivedere il nido della sua infanzia, e una casuccia da prc• sepio, scnz.a le pecore sparse al pascolo >, gli era parso di sognare. e Gli olivi di Gerusalemme eran Il, e forse Gesù era nella stalla coi bovi >. E risalirà adeuo a mano a mano il cono del tempo. Non per condannare. e giudicare, anche se risultino chiari e il giudizio e la condanna; ma per fare la storia, per capirsi, capire il male ch'egli aveva portato nel sangue. Rivede la vita di suo padre. Ragano, preso in un'amorosa avventura per una dnnna di teatro; vecchio, sposo a una giovine non am!.nte. Dicci anni tristi, con un figlio che gli rallegra un poco la giornata i poi pesante malinconia, e morire alla fine pieno di sospetti e di crucci. Foresto conosce ora tante co,e prima ignote. Ma ha trovato il porto, e guarda tutto con occhio sereno, con animo placato. Sbagliò • suo paJre prima, per trasporto di impetuosi sensi, poi per tardiva reviviscenza di gioventù. E sbagliò sua madre, quando si sposò a un vecchio, e quando ancora si diede a un giovane. Volle cosl il destino. Quel dcs1ino, Pea dice, che e ci accompagna sordo e muto fino in fondo ">, e che noi vorremmo e via via modificare con la nostra presunzione >. Ecco da quel sangue nato lui, Foresto, malaticcio, precoce, torbido; nato • da un padre vecchio e da una madre senz'amorc di sposa •· E doveva la vita portarlo a inasprire qucgl'ittinti, • affiancato a traffican,i d'ogni risma, in un mondaccio... dove tutto è lecito, perché fatto nei margini della legge >. Fuggl alla fine, « con la paura e lo spettro delle manette ai polsi >. Il proprio e il bello di questo romanzo è nell'averci resa pcrsua.sa questa conclusione, col farci rifare appunto la 1toria a ritroso, a \·edcr meglio nell'animo del protagonista; e poi con i modi cari a Pca scrittore, che nel suo continuo slancio verso il passato trova sempre accenti lirici belli. Non t un artificio, dunque, ma un narrare e trovare nel tempo stesso la ragione di ciò che narra, misura.mc la durata. Per questo la tessitura del romanzo è delle più musicl"Ji e segrete; per il riprenJersi che le parole insieme fanno nel giro del pc• riodo; dico le parole e gli episodi e le parti, secondo il vago intreccio dei JS<>cminarra! tivi e romanzeschi, !l vicini al raccontare popolaresco e, per questo anche, vicini al gusto di Pea. Fino il suo moraleggiare trova qui un arioso impiego. Pea, per l'età sua volgente ai malinconici anni, e per l'affinamento della sua arte sempre più sensibile a certi temi dolenti, e sempre fatta più nuda, era particolarmente indicato ad avvertire la bellezza di certi richiami idillici, richiami idillici con peso di memorie, che costano. Tanto piò forte, perciò, doveva essere l'accento morale di queste sue pagine, di quelle in ispc• cie dov'è descritta la vita del e Borgo dei Rapaini >, che nulla hanno quasi più dello stregonico, il condimento di Pea, del Pca che una volta faceva miscele e strappava l'applauso. Oh guardate. quegli episodi che io dirci della povertà e delta saJutc, come, pure a distanza, si chiamano e rispondono e Canna centro. Dalla prima pagina che dà il tono al romanzo, d'una festiva fresca bellezza; all'incontro con la pastora, vaghiSsi• mo; all'arrivo della compagnia dei guitti in paese; al poeticissimo interno dell'Istituto delle Orfane, dove l'attrice Stella Bissi aspcua il tempo delle nozze (quelle suore, quel passo, quella cadenza, e il parlare di cose sante con un'arte che solo è sua); all'ammanamento del maiale, col subito richiamare e Giubbino ,. alla realtà, e sanarlo della fuga di Stella; al cafft all'aperto col ballo; alla ca.a.a dei padroni, e il sole che I.a saluta sul nascere, e i rapaini, e i fiori inebrianti ; e poi la casa e la famiglia del capoccia; e anche la vita dei parenti poveri d'America, loro osservare, pesare i fatti, giudicarli. O per fermarci a certe grazie e bravure d'arte sola, ceco ancora Stella Bissi che, nei giorni della sua clausura, rivede, rivive una scenetta che si direbbe tutta set• tcccntesca e scoppiettante di riso, con piccoli atti. Quello steccone che le ha dato uno spuimantc aJ suo partire (e col cuore trapassato da un pugnale e la stella cometa incisi con la sgorbia•), e 1uo alacciarsi il busto in vettura, e conficcanclo come una che si immerga disperata un fcrrO\Jlel petto. E la vettura va e trabalza, rompe quei risi, accentua quegli atti... Dove, dove ha tra• vato Pca questa scena? Forse solo nella tena parte, ducrivendo la vita d'America, lo scrittore non t stato all'altezza; trasportato suo m-algrado in clima non suo. E s'ha l'impressione che abbia pur lavorato a ridurre, ridurre il più possibile. Ma ne t nata una sccc.hczu d'impianto. Quando l'America si fa provincia, e ci dà la vita di quella gente povera che s't detto, allora egli torna padrone dei suoi mezzi; mentre nel trattare l'altra materia, troppo a lui sorda, raramente, e solo per attrito, capita dia lampi nuovi (la Borsa: e questo la.1trico d'inferno:,). t. un mondo, questo, che Pea non sente se non per ripugnanze; e il giudizio morale, la reazione sono piò forti che la foru e la capacità rappresentative. Pea, del resto, è tale artista, di cosl essenziale e ricca po· vcrtà, che. non gli riuscirà mai di parare con sgargianti colori certe intime deficienze. Ci contenteremo dunque di quel che ci ha dato in quasi tutte le pagine vive, e della viva pittura, che fouc mai fu più compiuta e varia, della vita di paese, sostenuta da un animo vigilante, e da una fantasia che dei fatti coglie ormai il sostanzioso segreto, e solo quello. GIUSEPPE DE ROBERTIS AMEBICA LATINA. GINO OORIA pubblica la sua e Sto• ria dell'America Latina> nella « Collezione' Storica Villari • di Hocpli: in una cotlezionc, ciot, che ha per divisa questo motto: e La storia documentata non romanz.ata •· Quel motto sta bene in una collet.ionc intitolata a Pasquale Villari; e a scorrerne il catalogo si vede come •i addice inoltre ai vari autori. Nei riguardi però di Gino Doria, mi pare che le cose stiano in una maniera particolare. La sua storia viene ,u dai documenti, molte pagine sono gremite di fatti, eppure si fa presto ad avvederci che Gino Ooria non t un cronista. Ai napoletani che scrivono di storia, sempre se• condo una tradizione napoletana, manca il gusto per la. cronaca. Si piegano magari alle ricerche d'archivio, spesso le loro opere risultano di monografie che indulgono al· l'anrddoto; ma ricerche, aneddoto resteranno sempre una pro.parazionc., un tela di cui essi poi, come storici, metteranno in evidenza la trama. Tanta storia napoletana crediamo sia nata per tale via. Non pochi storici napoletani hanno, in un primo momento, aria modesta di archivisti. Non avendo apparenti impegni letterari, anche il loro scrivere bene ti sembra dapprima generico: quello dell'onesto studioso, tutt'al più capace di chiedere in prestito qualche bravura stili$1ica a Carducci o a Manzoni. Ma non si tratta che di appa• rcnzc. L'aneddoto e la ricerca biografica dànno l'avvio a diverse scopert~. Presto finirà con l'apparirci, anche ntlla cronaca maggiormente generica, la dialettica di questi storici. La e Storia dcli' Am~rica Latina • di Gino Doria riunisce quattro monografie, ognuna delle quali ha in appendice una notevole bibliografia. Scrivei-e la storia dcli' Ain erica del Sud è ritrovare, in un eccezionale scorcio, uno sviluppo storico che tante altre civiltà ebbero non in tre secoli, ma in millenni. La storia sudamericana potrebbe essere in miniatura la storia delle varie na• zionalità europee, ma Ooria non indulge troppo in questa ingegnosa giustificazione della sua opera. Egli vuole., prima di tutto, dare ai lettori italiani una storia dell'America meridionale che mancava. E v't di più. Non si tratta, come parrebbe conseguentemente, di una storia soltanto divulgativa, né di un capitolo di storia universale. « Al mito della storia univenalc bisogna contrapporre il priocipio dell'universalità di ogni storia >. Il volume di Ooria risulta di quattro capitoli, tre dei quali apparvero nell'Enciclopedia Italiana nella loro 11csura originale, con le voci dell'America latina, dell'Argentina e del Brasile. t la storia di singolari paesi. Poiché le varie libertà. sudamericane furono conquistate definitivamente nel secolo 1eorso, chtl è il secolo liberale, quui verrebbe da pensare che esse siano dovute in parte a idee venute dall'Europa dopo la rivoluzione francese. Invece le idee venute di Cuori operarono nel Sud America adattandosi e trasformandosi radicalmente, Non si può magari parlare di un liberalismo sudamericano, mentre si pos.sono trovare americani liberali perché di cultura europea. La cultura europea del =iecolo scorso non giovò gran che alle nazioni americane; mentre giovò auai ad alcuni uomini politici americani. La storia delle nazioni sudamericane va avanti secondo le. premesse dcli.a prima colonizzazione spagnola o portoghese: storia conseguente i primitivi metodi con cui Spagna e Portogallo si dettero ad organizzare e a sfruttare le loro colonie. Nuove nazionalità appaiono nel continente sudamericano, e subito naturalmente si avviano verso la loro indipendenza. Una indipendenza guadagnata per ragioni proprie, e interne; una libertà raggiunta, se non a caso, comunque attraverso le strade più imprevedibili. t, insomma, la storia dell'America del Sud non quella di una emigrazione, ma di una raua che, formatasi in pochissimi secoli, ha saputo, spesso ciecamente, guadagnarsi la propria libertà nazionale. A, B. ( CORRIEBRAELCAN),IC RICORDO D'UN POETA BULJ.ARO i DAVVERO COMMOVENTE l'affetto che i piccoli popoli, specialmente ae poveri e valorosi, nutrono per i loro poeti: e quest'affetto è t,llllQ più tenero e profondo quanto più re• cc.nte ~ la tradizione letteraria che li ha suscitati. Il popolo bulgaro, che t stato il primo fra tutte le stirpi slave ad avcr_c un.a letteratura propria (forse perché fu ti primo a ricevere il battesimo cristiano), t stato oppresso per secoli dalla fatalità. del giogo turco, e dalle forme d'un tetro medioevo orientale, e solo nel secolo scono, penulumo fr.a tutte le nazioni balcaniche, ha potuto ottenere dignità di Stato cd acquistare \'indipepden,.a politica. I primi scrittori de• gni di quello nome apparvero, si può dire, nella mede~ima cadenza con cui si svolgeva e maturava il risorgimento nazionale, e forse il più grande coincise con la prima generazione nata e vissuta in libertà. Infatti Pendo Slavejkov, il cui nome proviene da una parola che significa e usignolo •• figlio d'un altro poeta, che fu an• che ciò che presso altri popoli slavi fu detto un e risvcgliatore > della naz.ionc, aveva dodici anni quando, dal sacrificio di tanti valorosi, dalla guerra russo-turca e dal congresso di Berlino, nacque il secondo regno bulgaro, risorto dopo tanti secoli da quello che fu il vasto impero dello za1• Simeone. Nato nel cuore stesso del Ba~- cano, Pcncio Slavejkov imparò ~ rac1:oglicre e ad imitare, fin da fanciullo, se• guendo l'esempio del padre, il tcsoru di quei canti popolari che dovevan più tardi divenir tanta p:ntc della :ma ispir;izione. Recatosi a studiare in Germania, ainb e coltivò la poesia tedesca, e tradusse mirabilmente. Heinc e Goethe, Lenau e Niet.I• sche. Tornato in patria, s,crisse le sue cose più belle, canzoni d'origioc e di motivo po-- polareschi, di carattere narrativo e dramma• tico, la più alta delle quali ~ forse qurlla che dal nome dell'eroina ,'intitola Riili~a ,· e una se.rie d'inni solenni, suggeritigli da grandi e tragiche figure dell'arte e della storia, come qu~lli dedicati a Mic'helan• gelo, Beethoven e Lenau. Negli ultin-1i anni di vita tentò l'epopea, e celebrò I e lotte per la liberazione nel vasto poema incom• piuto Il Cantico del 1an11u, vibra•.1te d'un afflato religioso, quasi biblico. Ma la sua.. opera piò interessante resta for:w: una cu• riosa mistificazione letteraria, l.'lsola dei Beati, falsa antologia lirico-critiC:a di fram• menti tradotti da poeti stranieri fittizi, di ciascuno dei quali l'autore tracciò .un di• vertente cd ironico • ritratto immagina• rio:». In questi giorni tutta la Bulgaria celebra con devoto rimpianto il venticinquennio della scomparsa di questo che fu il più virile e crucciato dei suoi poeti: e la ricorrenza è stata degnamcnt,· celebrata anche in Italia, che fu, in vita 1: in morte, la terra d'elezione di Slavejkov (egli cantò :~:;:~:J::::n~ 0 ~:a:~S:a:i~:~:~~c: ~~= rive del lago di Como), grazie n uno dei suoi migliori conoscitori, il profcuor Enrico Damiani. LA GUERRA VISTA, DA UNO SORITTORE SURBO O UALCHE ANNO FA la Reale Accademia Jugoslava delle Arti e Scienze, di cui è ma111a /""' il Principe Reggente Paolo, ,iota per la ,ua opera di mecenatismo soprattutto nel campo delle arti plastiche, assegnò fra la sorpraa generale il proprio grande premio letterario non all'opera complcs..'liva d'uno scrittore già _çoronato dal riconoscimento del pubblico e della critica, ma ad un romanziere completamente ignoto prima d'allora, Stc.van JU:ovlcvic, modesto insegnante in una scuola media di Belgrado. L'opera s'intitolava L'Anno 1914, cd inaugurava una spcce di ciclo autobiografico, dove l'&utorc, che era stato ufficiale d'artiglieria nell'esercito serbo durante l'intero con8itto mondiale, narrava, con arte umana, penetrante e concisa, i Propri ricordi di testi. mone e d'attore della grande guerra. La prima parte s'occupava soprattutto, com<.: il titolo 'dice, di quella prima e tremenda annata, che vide gli eserciti affrontarsi in campo con furia cicca e scnza esperienza e gli uomini ma.rciare al fuoco come invl'.si d.a un inconsapevole nupore. Due o tre anni più tardi l'autore pubblicb la CfJl\lÌ• nuazionc, intitolata Sotto la Croce, eh•~ rievoca quello che fu il vero calvario dr'd'e1er. cito serbo, fino alta ritirata d'Albania, e alla salvezza per mare in grazi.a della atupenda impresa della nostra flotta: in questa parte s'accentua il tono epico della narrazione, che corre in una specie di lento e solenne Ausso stilistico, ignoto al frammentismo sincopato della prima. In quc1ti ultimi tempi lo scrittore ha concluso definitivamente la ,ua fatica, dando a.Ile nampe la tena cd ultima parte, intitolata La Porta della Libuid, che racconta le vicende della lotta nell'ultimo periodo della guerra, 1ul fronte di Salonicco. A ciclo compiuto, .,j può ben dire che un'opera come quetta onorerebbe anche una letteratura di più vasto respiro europeo. A differenza di due suoi confratelli slavi, il cèco Huelr. e il croato Krlcu., che avendo vissuto il grande dramma senza fede, forse perché vi auisterono sotto la divisa loro estranea dell'cs,crcito austro-ungarico, non seppero che tradurre e deformare in senso grottesco il tragico quotidiano della guerra, Jalr.ovlevic tt;ndc a suscitare nel lettore l'impreuiono autentica e diretta che in ciascuno dei suoi personaggi, anche nelle anime più semplici, opera sempre una coscienia. sicura del proprio dovere e d'un destino supremo. R. F •

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