Omnibus - anno I - n. 18 - 31 luglio 1937

IL SOFM DELLE mu&E □ [ù]~ ~tfl[I IliZAVATTINI CESARE ZAVATTINI è autore di due libretti: e Parliamo tanto di mc > e e l poveri sono matti >: pubblicati dall'editore· Valentino Bompiani alla distanza di cinque anni. Del primo volume è uacita ora una sesta cdi• iionc: pià d'una edizione l'anno; il che ha fauo attendere a lungo il secondo. Fra g:li altri scrittori italiani di cinque anni b., sia fra quelli che si davano (eomc ricor• diamo tutti) a corpo mono al romanzo, sia fra gli altri fermi a prose stilisticamente più calcolate, Zavattini stava come ccccrionc. Non gli manca.va. certa graiia: e i suoi pregi erano tutti in una prosa tanto letterata da parere qua e là infantile. Erano storie brevi quelle di Zavattini, le1uc fra loro da una bizurra fant:uia; co• mc storie, spesso uuccatc. La bravura del nuratore nava nel tenerle vicine all'aned• doto e nel non C'aderci mai; nell'avvicinarsi a toni familiari e troppo affettuosi e nel• l'evitarli all'improvviso, Ne veniva fuori qualche cosa di raro, anche se per arri• vare a tali risultati si indulgeva al gioco letterario. Si trattava, insomma, di quel• l'umorismo che non sorte fuori con la pun• tualità con cui la dimostrazione es.cc fuori dalla silloge: si sfuggiva a colpo tale strada, ed era una novità nella lt:tteratura italiana, dove gli umoristi hanno avuto poco peso proprio per la facilità dei loro fini. Nella nostra lcttt:ratura gli umoristi o di• ventano, quando non te l'aspetti, dei )i. rici, o restano alla storiella da caffè senta nessun pregio di ttilc. In Zavattini c'era l'insegnamento di alcuni tcrittori anglosas• toni. Insisteva e ins.istcva per arrivare ai suoi fini. . Cosl stavano le cose del primo libro. In questo e I poveri sono matti :t ci pub es• ,ere magari ancora più bravura; ma presto il lettore capisce bene dove è che Zavat• cini imbroglia le carte e dove invece se• gue il suo estro più naturale. Ascoltando certe sue etelamazioni {la moglie che gri• da: e Cesare, Cctare, .. :t), Zavattini "Viene ad apparire più che un umorista a denti stretti, un lirico cordiale, speuo troppo ar. (ettuoso. C't in lui un crepuscolarismo, non di quello accettato fino a diventare ma• niera che vediamo in Gozzano, ma dcll'al• tro che circola sottinteso in molti altri autori d'oggi. La fantasia li porta verso i toni familiari e blandi; poi se ne trattcn• gono. Si guardi < 1 poveri sono matti :t. Molti i motivi adatti a quella discreta poes.ia. C't un capitolo perfino sui bastioni. Si potrebbe giurare, quando un autore si • mette a ragionar di bastioni, che, laccia egli romani.o o lirica o apologo, sotto sotto c'è una certa parentela con Gozzano, Migliaia di ~rvc, perb, non le poche serve di tutti i giorni, vanno 1ui bastioni di Zavauini. Parlano in fretta: riroriroro. e ... Alcun-e si appoggiavano agli alberi mentre giovani ab• bronzati le carenavano delicatamente. " Signorina,. dic, vano i giovani. - Ma passb un ricco con un cane al guinuglio: le serve divC'nnero pallide e subito si misero a lu1trare l'a..sfalto con le loro vesti. - I ricchi vo• ,sliono per cento lire che esse piangano ,ommcnamente, le coprono di catene, ...gri• dando: ., Io sono un principe ,. :t. Cosi i ricchi: e Che cosa c'è di male se Dio ha dato ai ricchi cavalli e campi? :t, Ma. Dio doveva dir loro: vi dò ricchezze purché ,.cnsiate ogni sera prima di coricarvi e al dito d'un bambino :t. E sarebbe stata una pena: la fine della vita beata. Qui è il meglio di Zavattini di oggi. La sua mora• litl, e l'estro della sua fantasia. Un quadretto crepuscolare solo in partenza, c.he, con certi accorgimenti, si libera dal grigio e dal banale su cui avrebbero puntalo Goz· zano e Moretti. Si penserebbe semmai al Palu:zesc.hi delle liriche e di e Pcrelà :t. Cesare Zavattini, insomma, smctle di csStre nella no11ra letteratura uno scrittore privo di parentele. Come arrivi ad imparcn• tarsi con alcuni autori si è visto, e ciò al di sopra di certe apparenze che ci con• durrcbbcro lontani. Gli insegnamenti dell'umorismo anglosassone restano~ Restano, mi part, come punto di parten:r:a, ma le conclusioni sono diverst. Que1ta, mi pare, la poesia di Zavattini ; anche se egli spesso ha il gusto per situazioni divcne; più crude e almeno all':1p• parcnza più disperate. A una signora muoiono in pochi giorni il marito e il 6glioleuo. Piange tutte le sue lacrime. A chi, infine, le porta una ta:zu di brodo perché si SO· stenga, dic:e: e: !l.fanca il sale>. !I.fa c'è anche uno Zavattini smanioso si direbbe di cose reali. Al cinema: e Di.scorrono sottovoce durante il documentario. Si ode il can10 dei preti in una proceuione di mon• 1.agna. A un 1ra1to lo sciabordio dell'acqua su una spiaggia gremita di pinguini :t, Che è poi prouimo a quello che ha gusto per notazioni come queste: e:A quest'ora a Calais un marinato sta ungendo le gome• ne :t. E anche: e Uno strillone annuncia la nuova edizione. Tuili si precipitano, vogliono sapere che c:osa a\·vicne a Laoma nel Tibet :t. Cose di tutti i giorni, deformate un pochino perché siano meno CO· muni, da arrivare a: < In A.sia un milione di uomini sta sognando un bosco :t, Co• sicché il meglio Sia do"e la fantasia è più libera: e Chi ha dimen1icato una bandiera alla finestra questa notte? - 11 vento la scuote furiosamente. - Dalle ca.se scendono in punta di piedi uomini con ro1.ze camicie. - Timidi a mc. Percorriamo le urade della ciuà, con stendardi e filccolc, suoniamo i campanelli delle ricche ma• gioni, inseguiamoci ridendo ,fra s!i, alberi >. Zavattini questa volla arnva pm che ad cfleui umoristici a effetti soltanto pittorici. L'umorismo resta dove hai modo di intra• vedere una certa moralità, Ma una mora• lità spesso esce da termini comuni, pove• ramente realistici, cd egli par che li tema, viste le parentele che lo minacciano. Za• vattini tasta il terreno; è come un rabdomante che cere.a la vena. Batte e batte e la vena non sempre viene fuori. Spesso ti pare di averla trovata e invece non sì tratta che di una parvenza. Tuttavia non è sempre cosl. La ran1asia qualche volta si accende veramente, e allora i risultati si è visto di che qualità sono. ARRIGO BENEDETTI AL DIRETTORE due volte sono venuto a e.crearla; e due volte sono stato sfortunato. Tornerò nel pomeriggio. Da ieri sono a Roma, e senza fare alcun torto a quelli che incontrerò nei prossimi giorni, posso dire di avere già incontrato quattro o cinque personaggi importanti, il cui viso, con grande mia meraviglia, riluceva di sudore, al pari delle facce degli uomini comuni, con l'aggiunta però di una certa aria d'imperio deluso, avendo quelli personaggi assai probabilmente comandato al caldo di risparmiarli, e avendo il caldo disobbedito nel modo più aperto. Come le scri"i, Moravia, prima di partire per la Cina, aveva promesso di rcga• !armi un cane. Ieri, guardando in alto e dandomi con• tinuamente degli spintoni, come suole fare nei momenti in cui t nervoso, egli mi ha conrcss.ato che il cane lo aveva regalato non so a quale amico; ma che stessi contento: mi avrebbe regalalo un gatto nobilissimo, un incrocio di persiano e dì pechinc.sc, un gatto nero con gli occhi verdi; an:r:i, mi avrebbe regalato un gatto e una 1abacchicra; e se !ossi ancora scontento, un gatto, una tabacchiera e un libro raro. Egli pouedcva, sl, due cani di bellissima e pu• rissima razza, ma non sapeva staccarsene; e poi avevano 1roppi anni sulle spalle; mi contentassi del gano ch'era fra gli esseri oiù eletti della fauna vivente ai nostri giorni. Sul tardi, sono andato d3 lui, insieme a lui. En1rammo in un giardino non molto lar• go, ma ben curato e fitto di alberi, al quale, richiuso il cancello, mancò l'unica luce che riuscisst: a illuminarlo in quel inomen10 e che veniva dalla lampada della strada, Nella penombra, vidi un gatto nero, un cane bianco e un cane bigio. Nessuno di questi animali venne a festeggiare il proprio padrone, ma al contrario tutti e tre si ficca• rono nei cespugli con un che di acuminato e foribondo nel capo, quasi voleuero pc· netra.re nella terra stessa. Finalmente, Moravia acchiappò il gatto, che miagolava orribilmente e, volgendo la testa dell'animale verso di me, m'ìnvitb ad ammirarne gli occhi verdi, che io in realtà non vedevo. Pechinese e persiano erano le parole che tornavano sempre in quel° suo affannoso di.scorso elogiativo sul gatto. Preso il coraggio a due mani, oiai invitare il mio illustre amico a mostrarmi il gatto foori del giardino, alla luce della lampada AI TEMPI Dl TATTOBI elettrica. Con un paiso malcerto, dovuto, ora capisco, alla malavoglia, Moravia usci dal giardinetto e tenendo il gatto in una maniera eccessiva, si da na.scondcrlo col gomito in massima parte, come fa il mere.ante col panno di cattiva qualità, quando con la furba cliente è. costretto a recarsi sulla soglia del negozio, verso i raggi del sole, s'avvicinò alla luce della lampada ... Caro direttore, il gatto era un gattaccio. I s11oi oc.chi non erano né verdi né roui, ma di un nero sciatto che si confondeva col nero della tesla; il suo pelo ruvido e raro i la sua fronte concava come quella di certi ba1nbini ai quali il tenere in mente la lia pur minima fra.se ra. venire l'cmi• cran°ia; le ossa deboli e visibili attraverso alcune parti della pelle in cui il pelo ve• niva a mancare del tutto. Poco dopo, gettando uno sguardo finalmente smagato al giardinetto, ove il cancello socchiuso Ja. sciava entrare un barlume, mi accorsi c.hc non solo il gatto, n1a nessuno degli ani• mali, che vì abi1:w;i.no, era di razza, tran• ne che sulla cima degli alberi non si fosse posato e nl)n vi dormisse un qualche uc• celio uro venuto dall'Asia col proposito dì mettere un raggio di sole nella baua e oscura fauna di quel recinto. Ma più di tutto, mi colpi l'aspetto di questi animali che, pur non cncndo di razza e trovandosi dunque liberi da quei presentimenti di morte, da quella paura di estinguersi, da quella malinconia che è pro· pria agli animali di sangue pur~ e pon.·ro, nondimeno non erano né allegri né vivaci e, al posto della nobile tristezza, avevano un torpore al quale non bastavano come s,cusa i calori estivi. Moravia stava, sulla soglia del cancello, come un cuoco sorpreso dal commensale nell'atto d'infilare entro la padella un gatto nero di cui egli ·aveva parlato come di una lepre. E allora nella persona di lui vidi com• baciare esattamente tutti i suoi personaggi, e sulla te.sta di lui, tanto leale, tanto one· sto, tanto ammirevole nell'arte, scendere, morbido come una bambagia, il titolo del suo ultimo libro, che a mc piac.e molto e di cm Bompiani rinnova le edi2ioni: e L'im• broglio :t1 mi pare. Cerchi di non far leggere a nessuno que• sta lettera, perché Moravia se ne avrebbe sicuramente a male. Vediamoci sta.sera e concertiamo viaggio. Cordialmente. Romc, lwllio. t VITALIANO BRANCATI p S. Il barone D. C., conosciuti i ratti che le ho esposto, si è affrettato a regalarmi un cane barbone, nero come l'inchiostro, e di razza estremamente pura. T OLSTOI, in una via di Mosca, vede un agente che sta conducendo via un ubriaco con modi non troppo cortesi, e lo rerma. e Sai leggere? > domanda Tohtoi al• l'agente, e Sl :t. e Hai letto il Vangelo?>. e Sì :t. e Allora saprai che non dobbiamo malmenare il nostro prossimo :t. L'agente sta un po' a guardare il suo interlocutore cht' non conosce, poi a sua volta gli domanda: e E tu sai leggere? >. e SI>. e Hai letto il regolamento di polizia? >. e: N"o :t. c Allora '"':i.Ilo a leggere, poi ne ripar• !eremo>. UN A~1ICO interrogava Van Dongcn di ritorno dà! suo viaggio a Vencz.ia: e Avete visitatò quel quartiere popolare dove resta ancora la Venezia del Tin• toretto? >. e Ho visto solamente>, rispose Van Don• gen, e quei lu_ogl.i, dove la gente, che non vede niente, va a vedere c:.iò che bisogna vedere :t. EMILE VERHAEREN era incapace di esprimere un complimento che non fosse sincero. Nello studio del pit• tore V., dove era s1ato invitato, Vcrhaercn vedeva sfilarsi davanti un quadro dietro l'altro, senza riuscire a trovare un pretesto per elogiare l'artista, e ne soffriva. Ma a un tratto, con entusiasmo cordiale, ruppe il suo silcn:r:io: e Ah, vecchio ni.io, che splendido gìlé hai indosso! •· UN POMERIGGIO, Courbct discese dal fiacr, davanti alla Brasserie dn Mar• tjr,, ultimo rifugio della bohim,. dove le invettive contro lngres erano quotidiane. Courbet entrò corAc un colpo di vento. Champfleury, in un gruppo di artisti, l'auendeva da tempo con impazienza. e Eb· bene? :t gli chiede. • e Scusami del ritardo. Vengo dallo stu• dio del vecMio Ingres •• risponde Courbct. Tutti ridono. e Non dico fa~ie ! :t aggiunge il pittore. e Ingres mi ha ricevuto cordialmente. Voleva, anzi, tràttenermi a colai.ione. E mi ha offerto, anche, un bellissimo botzetto. Ora ve lo mostro :t. Con indifferenza finse di cercare qualcosa all'intorno e aggiunse: e Ah, l'ho dimenti• cato in vettura, .. :t. t~WCOla L PRI:v!O INCONTRO con Giovanni Fattori avvenne per le scale di una casa in via dc' Servi, a Firenze, dove il pittore abitava un triste e oscurissimo primo piano. Io abitavo all'ultimo, e tutte le volte che, transitando per il suo pianerottolo, trovavo la porta del suo anoartamento socchiu• sa, davo una sbirciatina nel buio di quelle stanze. e Non mi hai detto che ci sta. un gran pittore, qui? Come fa a dipingere con quel buio?> chiedevo a mio padre. e f. un pittore che dipinge fuori•· Finché una sera mi imbattei nel <pittore che dipingeva fuori>. E stava uscendo, ma senza colori. Fermo sul pri• mo gradino della scala, aspettavà a scendere che la moglie finìsse di. dare la mandata alla porta dcll'appart..1.mento : due bassotti, legati. a guinzaglio, guaivano elettrizzati, e tiravano con tutta forza il loro padrone. Il quale, mi par di vederlo, un po' magro e cur- \'O, con un caooellino toQdo di feltro nero sulla zazzera ricciuta, un palandrone grigio ferro, si dava daffare sorridendo, perché i cani mi lasciassero il passo. Da allora in poi ci incontrammo spesso. Perché tutte le sere, se non pioveva, il pittore usciva con la moglie e i due bassotti a far quattro p:J.ssi. Di mattina era facile trovare il pittore fermo, sui marciapiedi di via dc' Servi, che disegnava, su di un taccuino largo un palmo, i muli dei barrocci e le brenne delle vetture di piazza. Si doveva essere nel 18951 perché il gran terremoto del maggio di quell'anno danneggiò a tal !egno il casamento che tutti gli inqu.ilini ne dovettero scappare in fretta e furia. A distanza di una diecina di anni, ritrovai il Fattori insegnante ali' lsti• tuto di Belle Arti di Firenze. Non ave• va più moglie né cani. Viveva qua~i esclusivamente nello stabile della scuola. PMsava le giornate nel grande studio annesso ali' Accademia e dormiva in una cameretta che gli affittava un bidello. Non era tenuto in molta considerazione dal corpo degli insegnanti dell'[.;tituto per la manifesta mancanza di autorità e di persuasione nell'efficacia dcll'in~gnamento. Ma gli Uu• denti e le stuaent~sse, con le quali egli aveva più che fare perché a lui spet• tava la sezione femminile, lo amavano. Arrivava nelle --aule con un'addatura tentennante, le mani dietro la schiena, vestito di grigio o di nero, la camicia bianca, la cravatta a fiocco nera e il cappellino di feltro in testa. Non c_hiedcva silenzio né disciplina, e circolava fra i cavalletti bonario e confidente. Non diceva quel che egli pensasse dei programmi scolastici; ma so che quei gran disegni a contorno, coi quali ci facevan copiare le accademie di ~es• so, lo sgomentavano. e Sembran di fil di ferro >, diceva fissando quei contorni che si snodavano meccanici e insi• gnificanti sulle superfici candide dellf' carte ben tirate. Qualche volta segna• va qua e là una correzione tremante; e soprattutto si ostinava a ingrancure le mani e i piedi delle figure. e [ principianti hanno sempre il vizio di fare le estremità piccole>. E in così dite tracciava alle nostre Veneri e ai no,tri Apolli piedi da bifolchi. Quando poi il di'ìegno non comportava, a suo pa• rere, speranza di migliorìa, si limitava a dire: e Bene, bene ... arrivederla >, e tirando da una parte qualche scolara pili capace : e: Badi un po' lei se le raddrizza il lavoro a quella bambina · io non so dove metter le. mani >, Se invece si imbatteva in un saggio discreto, di quelli dal vero, ch'erano gli unici a cui prestasse attenzione, si teneva in. dietro, quasi non volesse distrarre, e sorridendo faceva di sì con la testa. < Lasciar tare • era il solo concetto che egli aveva dell'inse{rnamento. e Lasciar fare> e chi poteva avrebbe fatto. Una volta, finito il giro dei cavalletti, fece segno alle allieve che gli si accostassero: aveva una comumcazic,- nc importante: e t venuto l'ordine dal ~(inistcro che i professori devono dare, agli studenti degli ultimi anni, tenu <.11 composizione. E gli studenti devono fare, su questi temi, bozzetti di quadri. Io temi non ne dò perché non li so dare. E in quanto ai bozzetti, io inca• mincio a saperli fare ora, i bozzetti ... Se voialtre li sapete fare, fateli pure ..: >. Certo, un Preside_di scuola non avrebbe potuto esser molto soddisfatto a ~ntirlo parlar cosi agli scolari. Eppure, se il fattori trovava qualche giovane che studiasse con amore e profit• tO, usciva dal suo modo gcnerìco e gli dava consigli preziosi e si interessava con affetto al suo lavoro e al suo progresso. Jn una nota autobìogrJfica egli ha scritto: e: Ho sempre amoro~amenre insegnato pittura ai giovani che sortivano dall'Accademia e ad altri che ,i recavano da me per la sola direzÌo• ne ... ». Quel e sortiti dall'Accademia •, mentre lui era professore di Accade• mia, è abbastanza significativo. Non po· teva interessarsi a una scolaresca : ma non trascurava quei pochi che progre~ divano nel difficile studio dell'arte. e Faccia quel che vede con natur lezza e coscienza. Faccia quel che SCl te e ama : non quello che fanno gli altri: non quello che è moda >. E sol• lecitandoci ad essere assidui frcquen• tatari della scuola del nudo : ot:" Da giovane anch'io sapevo disc~nare il oudo: ora non saprei più. E lo sa come fa• cevo a. mettermi bene in mente la for• ma? La mattina disegnavo la mia ac• cademi::1dal vero, e tornato a casa cercavo di ridisegnarla a memoria. Si im• para molto a far così: provi, se ne. tro• verà bene». E ancora: e li vero msc• gna molto. Il vero è difficile. Già per me tutto quello che ho imparato l'ho imparato sul vero >; e in così dire palpava nella tasca uno di quei famosi taccuini dei quali scrisse egli stesso nella nota autobiografica sopra citata: e: Questa è la mia fotografia quando faccio i quad1•i, Ne ho una quantità immensa di questi libretti, che i miei eredi si divertiranno a guardare e dopo ad accendere il fuoco». Si andava spesso nel suo studio. Ac• canto alla porta d'entrata, seduto all'ombra di un paravento, sta,·a impettito un manichino vestito da ufficiale di a'rtiglieria, Tutti ce lo sapevamo e tutte le volte ci procurava un sopras• salto. li Professore se lo doveva imma• ginarc e ci si divertiva. Egli stava im• manca.bilmcntc seduto dinanzi al cavalletto, nel mezzo ddlo st:mzone; or• pure din3.11zia una grande tavola ingombra di lastre, prove di acquaforti, taccuini, carte, bottiglie di acidi e arnesi. Jndossava un camice di tela gr(-Z· za e un berrettino di seta nera buttato indietro sulla nuca. Dalla porta di contro, .semiaperta, si scorgeva un gruppo di scolari che l,nor.lvano mal• tina e sera, in libero rapporto col ~acnrn, come in un'antica bottega. Alle pareti e sui cavalletti, pitture di bovi, cavalli e paesaggio. Nel centro, vicino al cavalletto da lavoro, il ritrat• to dell'ultima moglie, seduta mila s1 ·,- sa poltrona rossa, guarnita di merletti a croce, che stava lì pronta per gli ospiti. Il pittore accoglieva gli ospiti con uno di quei suoi sorrisi che faccvan festa; ma non interrompeva di lavorare. O incideva una lastra, o conduceva avanti un dipinto, quasi sempre già in• comiciato, sul quale lavorav.i negli ultimi anni, con diversi medium. Sulla magra stesura del colore a olio anda\'a su col gessetto, col carbone, con le matite, con i pastelli. « Faccip tutto un pasticcio », e ride-va tentennando la te~t:l. Di riproduzioni d'opcre ~ue cu• ,todiva, appesa al muro, uha sbiadita fotografia dello e Staffato>. (Un cavallo in fuga tra.;cina nella strada polva·osa il cavaliere rima~to impigliato con un piede• nella staffa). < Non ,o dove è andato a finire, e mi di,piac-e perché gli volevo bene a quel quadro .>. E così dircndo dava gli ultimi tocchi a una tela il cui soggetto <1vevaqualche affinità con la tragica ic.piraziont~ dello e staffato>. In un pantano, fra i canneti, alcuni bovi fiutano il cappello di un morto. Vn giorno che stavo guardando Fat• tori trafficare con le acquaforti. o~'iCI· vai quanto difficile e complicata e anchC' noiosa mi scmbr.wa l'arte dell'incidere. i: ~o, è semplice cd è bella cd è divertente e lei la deve imµara1c >. Incominciò a darmi delle lpÌc• gazioni; m::i. repentinamente si alzò svelto, ,;cclse un rame, chiamò due scolari iniziati perché preparassero ..otto i miei occhi la lastra, e venne anche lui nel cortile a vedere affumicare la cera. Con la prov:l di fatto mi avrebb<• persuaso meglio. Tornò nello studio tenendo egli stesso la lastra, e la guardava a fil di luce camminando per giudicare se la preparazione era pcrfett;-i. ~ Per farla breve: ci si sarà divertito per conto suo, sarà stata un'ottima scui;a 1)Crimpiegar bene un pomeriggio: fatto sta che per stmplice, disintcre~ata cortesia egli condusse a termine una acq\iafortc; proprio per la passione di convincere a quell'arte sua predilett,ì un principiante. Il disinteresse del Fattori era del resto proverbiale. Quante volte, trovandomi nel suo studio, egli diceva: e Se vuol vedere qualche CO'ia frughi pure > ; e notando una preferenza per qualche suo appunto: e Le piace? lo prenda pure•; e non alzava neanche lo sguardo dalla tela o dalla lastra a cui \tàv:l lavorando. T.T.T.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==