Omnibus - anno I - n. 18 - 31 luglio 1937

ANNO I - N. 18 - ROMA 31 LUGLIO 1937-XV È0 PARLIAMO delle grandi manovre in Sicilia, come può parlarne l'uomo della strada 1 il quale ha solo qualche vaga idea dei problemi tecnici della preparazione alla guerra. Viceversa chi è che, oggi in Italia, non sente vivamente i problemi di ordine politico-militare connessi alle receoti, presenti e future affennazioni della potenza italiana? Appunto perciò il r rofano, que5ta volta, anche se non è m grado di valutare tutto quel che fa l'Esercito per sempre meglio addestrarsi e soprattutto per perfezionar l'efficienza dei mezzi organici e meccanici di cui dispone, pensa con grandissimo interesse al luogo in cui le manovre si fanno e all'ipotesi suJla quale s'imperniano. Certamente anche quelle del Veneto avranno molta importanza, ma l'insieme delle situazioni strategiche e tattiche che i due partiti affronteranno nel!' 1 tali a settentrionale ha un carattere più teorico o astratto. Chi ha invece immaginato il tema delle manovre nella Sicilia occidentale non può non aver tenuti presenti i problemi, vivi e concreti, posti all'Italia dalla situazione mediterranea. Si è supposto che fone nemiche siano in grado di tentar di sbarcare nell'isola, sì che quelle nazionali debbano combattere per sbarrar loro !a strada ed c:,,~ntualmentc ributtarle m mare. Tutti m ltalia comprendono e giustificano questo tema. E anche fuori d'ltalia, si può giurare che vi sono degli Stati M3ggiori i quali lo considerano con attenzione. Forse qualcuno sarà tratto a pensare : ecco delle grandi manovre basate 50pra un'ipotesi, che ieri avrebbe potuto essere realtà, o che potrebbe diventare realtà domani. Ma andiamo adagio. L'uomo dell~ strada capisce benissimo che l'ipotesi è la peggiore possibile, cd è p~fonda: mente convinto che le probabilità dt un suo verificarsi effettivo sarebbero, domani infinitesimali. Biso~ncrebbe che l'lt~lia perdesse il dominio del suo mare e del suo cielo nientemeno fino al punto che un grosso convoglio di truppe nemiche potesse impun_Cf!l~nte accostarsi alle sponde della Sicilia. e iniziarvi operazioni di sbarco ... Cosa !nverosimile. Ma non solo per questa inverosimiglianza - piit valutabi_le, si_ <::3-- pisce, sentimcntalf!1cnte che d1scut1lnlc tcoricamcmte - il presupposto delle grandi manovre siciliane costituisce un'ipotesi astratta. Esso è tale, necessariamente, perché isola la fase terrestre della vicenda militare dalla fase marittima. Comincia quando quest'ultima appare già conchiull(a, e sfavorevolmente per l'Italia. Invece il grandi.\Jimo significato politico concreto del problema militare che e azzurri > e « roS!i > hanno da risolvere nella Sicilia occidentale deriva da ciò, che esso dimostra la prevalente importanza che oggi, in tutti i problemi militari che la nuova potenza italiana fa sorgere, ha il mare, come oggetto e mezzo di dominio. Se invece di e: potenza > diciamo e: Impero >, ciò si vede ancor meglio. Dell'Impero italiano il mare, e il Me~ diterraneo in primo luogo, è l'elemento base. Con ciò la funzione strategica della Sicilia, bastione mediterraneo, è definita. Quando, durante la prima guerra punica, i Romani attaccarono dalla parte di terra le città tenute dai Cartaginesi nella Sicilia occidentale, trovarono degli ostacoli insuperabili. Quelle piazzeforti erano rifornite dalla parte del mare, e fino a che Cartagine avesse spadroneggiato su questo, Roma avrebbe dovuto subire la superiorità della rivale. Fu allora che i Romani compresero che bisognava esser forti anche per mare. E se nella seconda guerra punica essi pervennero ad avere- iJ sopravvento benché Annibale li avesse battuti per terra e fosse riusdto ad aggirar con le sue forze tutto il Mediterraneo occidentale, dalla Spagna ali' Italia, ciò fu essenzialmente perché i Romani avevano, non ostante tutto, conservato il dominio del mare, il che permise loro di tagliare l'esercito di Annib.1!e fuori dalle sue basi. Qualcosa non può non riprodursi nella storia, perché questa non è indipendente dalla geografia, la quale non ~i modifica. Pensiamo ai Cartaginesi, che attraversarono il Mediterr3neo nel suo punto più strett<.., e misero piede in Sicilia ... I Romani non li cacciarono che quando furono padroni del mare. Questo sarebbe vero oggi, come fu vero ventidue secoli or sono. Riusciranno gli e: azzurri > a impedire che i « rossi >, di sorpresa o meno, sotto la protezione delle loro forze navali, impongano la loro iniziativa? Da questo punto di vista, il problema è d'ordine tecnico e come tale ne andrà giudicata la S:,Juzione. Ma l'ipotesi di un'offesa che venga dal mare, perché il nemico è padrone di questo, si capisce che domini la politica imperiale d'Italia in quanto è, specificamente? politic~ ma~ rittima. Sono tuttavia già pronti, accanto all'ipotesi, i fatri. t appena scesa in mare la « Vittorio Veneto>, che sarà fra breve la più potente nave da guerra esistente, e fra poche s~ttin:iane sarà varata la sua gemella e: L1ttono >. Ciò toglierà dalla testa di qualche cartaginese contemporaneo l'eventuale dubbio o bpcranza che il presupposto delle grandi manovre siciliane possa diventare, 11na volta o l'altra, qualcosa di più che un'ipotesi. * * 12 PAGINE UNA LIRA LE DONNE TEDESCHE non si dipingono più. Per lo meno è difficilissimo vedere in giro per le città e nelle sa.le donne con le labbra e le guancie rifatte, per parlare dei trucchi 01ù dozzinali. Non so .se ci sia proprio, come altri hanno affermato, un divieto del partito; ma insomma è stato affermato autorevolmente dal pulpito che la donna tedc.sca non si trucca, che il trucco è un'invenzione ebraica, che gli oggetti della vanità femminile vengono dall'estero e costano oro. Ed uno scrittore dei nuovi tempi addita all'imitazione le donne degli spartani, che erano sì ammesse ai giochi ginnici, im Ubrigen aber war ihntn das Trageri goldenen Schmuckcs ebew so verboten wie t.ier/ic/,e Haarfrisurer., ma del resto era loro vietato tanto il portare monili d' oro qu3nto l' acco,;- ciarsi vagamente la chioma. (Certo quelle ragazze che ho vedute questo aprile al wtiblicher Arbeitsdienstlager, al campo fcwminilc dl•I lavoro di Buer- ~~it cher c~~; ~~r;~icll'~~ 1 ~a! ot bligatodo pt>r tutte le-giovani ttdescht>, una .specie di servizio militare femminile, quelle rng.12.2.efiglie dri can1pi e della piccola e media borghesia e dell'alta borehcsia militare e statale, accomunate dall'uniforme e dalla vita militaresca, che ci accolsero cantando una canzone di lanzichenecchi: e Diamo al \'ento le bandiere, vogliamo balzare all'assalto al modo dei lanzichenecchi; chi c'impedisca il corso, chj ci voglia vietare il passo, il diavolo se lo porti >, certo quelle ragazze non s'adornano la chioma né cercano di farsi leggiadre, oh, mio Dio, no, tutto il contrario: odoravan di sapone da bucato e di dentifricio ordinario, avcv3n mani rosse e gonfie, sulla pelle strigliata violentemente con l'acqua fredda e lo spazzolino avevano i ro.ssori e le durezze e i foruncoletti dei coscritti, i capelli pendevano senz'arte, lisci, attorno alle gote e sugli occhi, tagliati cortis.simi, o castigati da un duro nodo alla base della nuca. Ma così come siamo, ci dissero, noi piacciamo ai nostri fidanzati che cercano in noi le vere fanciulle tede- .sche, anzi tetcsche - quando vogliono rafforzare il concetto della purezza della razza dicono teusch, non deutsch -; e più tardi cantando, messa da parte l'idea dell'andare all'assalto, si vantano di essere la nuova generazione delle fanciulle gelmaniche, in es~ la patria ripone le sue speranze di futuro, nel loro grembo ritroverà la raua sanità e purezza). Il concetto che i teorici del nazismo hanno della donna nella società è semplice : la donna è inferiore all'uomo sotto ogni punto di vista, fatta eccezione per quella sua capacità di concepire e partorir figlioli; anzi, meglio che inferiore, ~ un essere diverso cd acce.s.sorio. Es.sa infatti non crea e non conserva; poiché, come dice Aristotele, e la femmina è tale in conseguenza di una certa incapacità :.. Con parola scientifica dicono che la donna non è architettonica, ma atomistica i è incapace di costruire, è negata alle idee generali, si perde nella considerazione del caso singolo e non .sa connettere. L' uomo a1Ziscesulla vita inventando, creando e sintetizzando, Ja donna non vi porta che uno stato d'animo e: lirico >. Qui · teorici, e soprattutto il Roscnberg che é il gran dogmatico di queste cose, si affrettano ad avvertire che la donna è pur cosi ]'esponente di un mondo che per bellezza e originalità può .sostenere il paragone con il mondo degli uomini. Ma sta il fatto che essi concepiscono l'umanità come una lega d'uomini, un'associazione di maschi che hanno costruito tutto quello a cui si deve il progresso ed ogni assestamento sociale, con l'esclusione deJ13 donna. Dove la donna ha cercato di apportare una .sua influenza culturale o amministrativa ha guastato e corrotto; scrive il citato Roscnberg che le feste bacchiche, il culto delle ctère e l'emancipazione democratica degli schiavi furono le tre fori:e distruttive della razza greca. Quindi la donna, o si acconcia a sc-rvirc con abnegazione quelle forme statali, sociali e religiose che .solo l'uomo, die zeugende Ursache. la causa creante, sa C05truire, oppure, solo che cerchi di influen1.arle o di collaborarvi attivamc-nte, ne diventa fatale elemento di disgregazione (onde un curioso parallelo fra la donna e l'ebreo, come vedremo più avanti). Còmpito della donna nCI nuovo stato tedesco è far figlioli, soprattutto sani dal punto di vista della razza, e lasciar stare le cose che non fanno per lei : stato, codici, scienza, filosofia. Non le si nega il diritto d'istniirsi, anzi è necessario che possa dedicarsi alla ginnastica, allo sport, alle danze ritmiche come l'uomo; data l'attuale costituzione della società, non le si può negare l'acSPEDIZIONE IN ABB. POSTALE cesso alle varie professioni, salvando prima di tutto i suoi doveri e diritti di madre, ma sia soprattutto chiaro che deve csscre e5elusa dalle professioni unicamente e solt~nto maschili, di giudice, di guerriero, e di politico. Rimandano insomma la donna al .suo regno tradizionale, la famiglia, ma non s'illuda, dirigendo la famiglia, di partecipare in qualche modo alla vita dello stato; poiché i suddetti teorici negano anche il concetto romano della famiglia, non vedono nella famiglia la cellula ori~inaria dello stato, si spavcn~ tano ali idea che lo stato pos.sa parere con.scguenz.a d'un pensiero comune all'uomo e alla donna : lo stato è il risultato di un Miitinerbundes, di una Lega. di maschi; e la donna, lirica, nebulosa, i.stintiva, non è considerata capace d'una simile creazione neppure attraverso la costruzione matrimoniale. Il Lyrisclt-Wcibliche dei nazisti sosti- ~~~ea l'!tif~ie~~ic:;ns~irv~~~~e. d;l~ 11inconscio>. Conservando e tutelando questo incon.scio, che è l'istinto della razza, la donna deve essere, e questo è il suo grande còmpito, la conservatrice della nobiltà ed ingenuità della razza. Può parere strano e contradditorio che esaltando della donna la sola funzione procreatrice non si ammetta che essa possa renctersi più attraente in questo senso, concedendole le innocue arti del trucco. Se deve essere creatrice, perché non darle le felici penne cd il roco canto che ecciti i maschi nella .stagione dell'amore? (Presso gli animali, in realtà, le cose vanno all'incontrario, la natura fa sempre più bello cd amabile il maschio; ma in compenso spesso attribuisce la più grande podestà alla femmina; cd io sono rimasto sempre perplesso davanti a quelle feroci leggi che vigono presso gli insetti, ove il maschio è null'altro che effimero strumento della conservazione della specie, ucciso subito dopo l'uso, tn1c1dato dalle gelose femmine neutre o divorato dalla femmi.1a stes.sasull'at~ to, come fra le mantidi e ~li .scorpioni ed i càra.bi : scappa il carabetto come un matto dopo la faccenda, un oscuro istinto lo avverte che le cose si mettono male; ma la moglie lo insegue, lo acchiappa per gli ultimi anelli dell'addome, lo .scoperchia come noi l'ovo sodo della prima colazione, lo succhia tutto, ]o abbandona guscio vuoto). Può parere contradditorio, dicevo, che esiliata la donna nel campo del lirico, dell'inconscio, del vago indistin• to, le si neghino poi i colori dell'illusione amorCMa; e strano che la tedesca non si ribelli segretamente a regole di questa fatta. Invece la donna tede.sca ha fatti suoi con entusiasmo questi nuovi precetti, come attesi da tempo, come corrispondenti alla sua natura ed ai suoi istinti; anzi, della maggior pa~ te delle donne tedesche si può dire che erano già ortodosse prima della lettera, solo tutt'al più appannate da qualche teoria alla moda. La donna tedesca ha sempre accettato con passione l' idea di e servire > a.ll'uomo. E se le parole della teoria pare che la releghino iu un posto di secondo ordine nell'umanità e ne facciano un e: indi.soensabilr: accessorio>, in realtà essa è felici.ssima di questo posto in cui si sente a suo agio, e da cui può esercitare un segreto e potente influsso sull'uomo, fatto pi1ì di persuasione che di dolcezza, più di praticità che di seduzione. Prima di tutto la donna tedesca ha .un enorme concetto delle sue possibilità di sedùziont:, basato sul solo fatto che è donna; essa è convinta che basta mettere in presenza due esseri di sesso diverso perché si crei la necessaria attrazione, senza bisogno di quelle diavolerie inventate dalle latine e adottate da!le .lnglosassoni. Es.sa non ha mai avuto per l'eleganza, per il trucco, per i scgrtti e ~li artifici dello specchio, quell'attitudine fra il fatale cd il mistico che hanno le donne di altri paesi. Forse la tedesca (o diciamo la germanica, includendo altre nazioni del settentrione) è la sola donna al mondo che non i.i senta umiliata o intimidita per l'esser brutta o vecchia; per parlare alla Freud, non ha il complesso d'inferiorità della bruttezza. Vidi in Tedescheria bruttone definitive civettare con uomini con una commovente certezza di successo (e magari i fatti dar loro ragione, poi). ~,fa poi la donna tedesca si sente veramente fatta per quel « servire > di cui parlano i nuovi teorici. Come dice il poeta Hauptmann : e: Denn ich bùi Weib1 und ltelfen ist mein Amt >, poiche io sono donn3, e mio ufficio è servire. Ess! sa e gode di essere indispensabile alla vita quotidiana dell'uomo; è massaia, è ragioniera, è segretaria, fa suoi con devozione il titolo e la funzione sociale del marito; la moglie del dottore è Frau Doktor, la moglie del farmacista è Frau Apothekcr, la mostie del becchino è la signora becchino. {Cara Frau Dietrìch1 mia Aufwartefrau, ossia donna a mezzo servizio, dei tempi lontani, lei non leggerà mai ~ueste righe, ma come ricordo il malinconico sorriso con cui mi rivelO la professione di suo marito, e: sarebbe un bel mestiere, ma tutte le volte che-

ha un bel funerale si sbornia e ruzzola le scale di casa e si fracassa sempre qualchecosa >). Così la tedesca ha saputo legare a sé il suo uomo, amico o marito o amante, come nessuna dorlna l~tina farà mai con tanto spreco di occh1 stravolti e di gesti fatali e di gelosie e di pronte lacrime e di tcm- ~stosa passione. Ogni tedesco, l'ho già scritto nel mio libro sulla Germania, è perpetuamente cucito ad una donna per cui sente affetto e terrore insieme; e da cui si scioglie, se si scioglie, solo per correre a cucirsi ad un'altra. Non c'è in Germania la consuetudine inglese del club, né quel ritegno latino che tiene la donna sempre un po' in disparte, come qualcosa di misterioso e di prezioso, da collocar magari sull'altare, ma non mescolare troppo alla nostra miseria quotidiana. Nel calendario dei tedeschi c'è uno strano ~:iorno di festa e di bisboccia, TUBIBMO FRANOESE Cdii. dl Bartoll) . ed è il giorno dell'Ascensione, sacro alle cosiddette Herrenpartien, o escursioni di signori soli; poiché è uso vetustissimo che in quel solo giorno dell'anno i mariti siano affrancati dal dolce giogo coniugale e possano andare una volta tanto a spasso $Cnza il grato codazzo della famigliola. Vanno i poveretti, con goliardica e permessa allegria, in qualche trattoria suburbana e bevono un poco e cantano qualche canzonetta vietata; ma non appena tornano a. casa da questi innocenti saturnali ecco le mogli che li attendono severe sull.l soglia, gli fanno pulire i piedi sullo stoino, gli fanno cambiare la ~iacchetta, gli negano la cena per ragioni igieniche, li cacciano a letto a smaltire l'ebbrezza. accessorio necessario della razza, gli stessi argomenti che vanno bene contro gli ebrei; e allora ci si fa della donna un'alleata, anzi la responsabile della lotta per l'integrità della razza. UN EMIDCEOPLOPOLO Dicevo più sopra che si può fare un curioso parallelo fra la paura che questi teorici hanno della donna e quella che hanno dell'ebreo. Per esempio nel c_itato Rosenberg si trovano di frequente appaiati i due concetti, Emaniipation der Juden, Emaniipation der Frauen. Altrove, facendo il processo a11a rivoluzione francese, Rosenberg scrive che « l'assurdo concetto che tutti gli uomini sono uguali ha portato all'emancipazione de~li ebrei come alla liberazione della donna dalla " 00sidetta" e schiavitù del maschio>. Si trova che gli argomenti contro il femminismo, contro l'èmancipazione della donna somigliano stranamente a quelli contro gli ebrei; si parla del pericolo per la società del concedere posti di dominio e di governo alle donne, del guasto che la mentalità femminile arreca ad ogni istituzione in cui riesca a collocarsi con funzioni direttive o anche solo consultive; ogni influenza femminile nella condotta dello stato segna l'inizio di una manifesta decadenza: alla emancipazione nel campo morale sostenuta dai vari movimenti femministi si dà una sola e semplici-\ atica interpretazione, « sfrenatezza erotica>. Si accusa la donna persino di essere troppo fa.Cile preda della bra• mosia ebraica; si deve alla odierna moda maschile della giacchetta e del colletto e dei pantaloni e a tubo >, secondo Hitler, se le donne tedesche non s'accorgevano delle ~ambe storte e dei corpi tozzi della gioventù ebraica e ad essa si concedevano (onde la necessità di riformare la moda maschile, calzoncini corti e camicia dal collo aperto, che metta in valore le qualità fisiche dei giovani e susciti la necessaria attrazione: Hitler, Mein Kamp/, pag. 457, 58). Ceno è che la donna tedesca appare in un certo senso più intelli~ente dell'uomo tedesco, o diciamo piu geniale; appunto perché lirica, sensibile, duttile, individualista, che sono anche virtù latine, e che mancano all'uomo tedesco. Se il tedesco teme che la sua donna voglia fare libero uso di queste sue capacità, ecco che s'allarma e si mettr: istintiva.mente in istato di difesa come contro l'ebreo. Naturalmente non si possono far valere contro la donna, La donna tedesca, dicevo, ha fatto ~uoi questi concetti con un entusiasmo che non può non colpire chi visiti la nuova Germania. Ed ecco che, cacciata dalla porta dalla unerbittliche miinnlir.h~ Z,u,ht, dalla spietata disciplina mal!chile che vuol riservato al maschio il guerreggiare, il giudicare, il fare le leggi, il governare, rientra dalla finestra; e sarà domani il più valido presidio, la forza più effettiva della rivoluzione per quell'oscuro dominio che essa ha sul suo uomo. Ecco che ha accolto con passione il concetto del Ja. voro obbligatorio che accomunerà nei campi con la vanga e lo sgabello per mungere tutte le ragazze del Reich. Eccola alacre e attiva nelle varie organizzazioni, irreggìmcntata con fede e con gioia. Ha fatti suoi i principii della propaganda senza tentennamenti e senza compromessi. Le sue antiche virtù, di infcrmiera,di massaia,di economa, sono eccellente co.,a oggi nella nuova dura politica economica del paese. (La donna italiana che ama un uomo ne accetta le liberalità con naturalezza, anzi le a.,petta e le provoca; la tedesca per priina cosa gli mette in ordine il guardaroba, gij r..t:opp:i le calze, gli dice come la ragazza di Barbarani, no sta spender, l'è pecà). Ha cancellato da sé con coraggio ogni dolcezza esterio-- re; ma sa che così piace al suo uomo i e marcia in parata come esso, si mette come lui un'uniforme, serve con concordia il mito. S'è messa a fare dello sport, corse campestri e tirar d'arco, con la stessa coscienza con cui andava, trent'anni fa, alle scuole di cucina e di ricamo; perché oggi importa avere un corpo sano, per creare figli sani alb. i_>atria.P., del movimento hitleriano, il he\'Ìto e il coro. Nelle cerimonie ur. ficiali ho visto sempre, sotto al palco dell'oratore, una schiera di fanciulle in uniforme che canta per tutti gli inni patriottici e dà il tempo alle varie funzioni. Così vidi quelle ragazze di Buerstadt; prima nei baraccamenti, soldatone ruvide e allegre; poi stivate negJi autocarri, nell.l nniformc grigi:l, le teste nude al vento. Poi sotto la pioggia, i piedi nel fango calzati di ~arpe grosse, allineate in parata, con occhi limpidi e duri, ed una luce ter• ribilc sul viso proteso, trasumanate quasi dal voto1 davvero conservatrici e custodi del mito. PAOLO MONELLI CON QUESTA FORMULA di sa• pore ibseniano, uno degli ultimi numeri della e: Gazzetta Lettera• ria > di Mosca ha pronuntiato una sentenza senza appello, stroncandone la carriera per sempre e condannandolo a un oscuro destino, contro uno dei più vecchi scrittori sovietici, Boris Pilniak. Infatti Pilniak, che conta attualmente quarantacinque anni, era appena ventenne allor• quando, un anno e meno dopo la rivoluzione, si rivelò il primo, in ordine di tempo, dei narratori della gio\'ane generazione, Prima di lui il campo letterario era d<r minato esclusivamente dalla lirica, per un curioso fenomeno dovuto egualmente cosl all'inflazione sentimentale del momento, come alla crisi di produzione della carta. Ai primi racconti fece ~guirc nel 1922 il romanzo L'Anno Jlud0,. In uno stile estatico e frammentario, Pilniak mette in campo il suo cont1itto prediletto, che è il fatale dissidio fra la coscienza d'uno o più intellet• tuali decadenti, e le forze cieche e brutali della musa e dell'istinto: qui la tragedia s'esprime nell'atrocità del bisogno, la e: cac- .cia al pane >. Nelle opere successive Pilniak cercò di mettere un po' d'ordine nel suo stile e un po' d'acqua nel suo vino: ma l'esperimento riu•cl m.alc, perché lo portò ad avvicinani come scrittore ad un altro poeta del caos, Ivan Bunin, che f'fA ~ tempo e:gu.ardia bianca > e caposcuola d'un classicismo narrati\'o aneien rigimt e flaubertiano. Fu in una direzione di questo gc• nere che nacquero opere come La T er{a Capitale e Il Raeeonto della Luna eh, non si 1penge, ma le conseguenze della man• cata ortodossb. della loro i•piraa:ione ii rivclaron fatali soltanto nel 1929, allor• quando, mentre Zamiatin stampava a Praga il suo libello utopistico Noi, Pilni.ak pubblicò a Berlino il suo nuovo romanzo Ma1ò1ano. Questo di Zamiatin e di Pilniak fu il primo grande scandalo politico-letterario scoppiato in Ruuia sovietica, e fu quella la prima volta che si parli\ d'un nuovo e grande peccato, il trotskismo. Non per nulla la più esatta e colorita versione di questa veridica stor,ia si deve a un trotskista americano, Max Eastman, biografo del pro· prio maestro e autore d'un libro dal pittoresco titolo dì A,1isti in Uniforme. Che c'era mai di cosi straordinario nel romanzo di• Pilniak? La solita contrappositione della vita d'un villaggio all'antica i cui abitanti vivono lavorando il lcgn~ di mogano per mobili di lusso, e la febbre costruttiva d'un cantiere industriale sorto nelle vicinanze. Quello che è strano è che non è il cantiere che contagia il villaggio col suo dinamico attivismo, ma 10no alcuni uomini, figli di quella terra antica cd oscura, a recare nel cantiere forze wtterrance cd eterne, capaci di trasformarlo e di distruggerlo. I due personaggi più in• teressanti son due cUriosi tipi di comunisti mo . IL OIROOLO PEM'.lffilILE TEDESCODEI BI&ILLI eterodossi, uno che trae la sua fede dal• l'umanitarismo utopico delle sette, .: l'altro, uno spirito d'eversore, che vorrebbe che la lancetta del tempo si fosse arrestata per sempre ai giorni fatidici della disiruzionc e della rivolta. fo queste due figure riaffiorano i vecchi motivi spirituali russi dell'anarchismo mislico, del messianismo sta. vofilo e della nostalgia per l'età d'oro della preistoria: Pilniak, come Jcssenin, si richiama sempre non .rolo alla Russia senza cemento, senza elettricità e senza strade ferrate, ma addirittura a quella arcaica cd asiatica, nomade e pagana, anteriore alla riforma di Pietro. In questa Russia ideale egli riconosce non solo una specie di pa• radiso terrestre dell'innoccna:.a, ma anche una forma di suprema civiltà. Quello libro fece sl che l'autore si guadagnauc la riprovaz.ione generale, e che fosse accusato d'agire al di fuori della e: linea generale > del partito: cd allora Pilniak cercò di redimersi cdcbrando, primo fra tutti gli scrittori sovietici, l'epopea del Piano Quinquennale. Ma anche in questo tentativo il suo estro gli prese la mano, e nel libro scritto a tale scopo, Il Vol1a si 1etta nel Ma, Caspio, non potè far a meno d'introdurre l'episodio centrale dello sconfessato romanzo precedente. Anz.i qui il solito dualismo di motivi s'allargava a \ero e prc.prio dUello spirituale, fr-a gli uomini dell'antico sobborgo moscovita di Kolomna e il K6loms1,oi, vale a dire la grande opera d'ingegneria mirante- a congiungere, con un canale e una diga, le acque della Moscova a quelle della e:gran madre Volga >. Se la logica dei fatti si concludeva in un trionfo della Russia SO· cialista e industriale, il peso dell'arte faceva inclinare la bilancia a vantaggio deUa Rus· sia arcaica e primitiva: strano e suggestivo risultato che suscitò una valanga di proteste, ma anche un subis!.O d'imitatori. Subito dopo quel libro, lo scrittore fu chiamato ad Hollywood come consigliere per alcuni film di vita russa, e ne tornò con un bellissimo riportate di vita americana, intitolato O. K., forse il suo libro più vi• vace, con degli interessanti capitoli su gli :ambienti cinematografici, criminali e pn>- lctari: poi, per un certo tempo, cercò che intorno a sé si f1,cessc il silcnùo. Ma come si sa, tutti i fulmini vengono a ciel icreno, e fu cosl che qualche mese fa, in una delle sedute dcli' Assoc.iazione degli Scrittori Sovietici a Mosca, egli fu ferocemente attaccato dall'c accusatore pub• blico > della letteratura proletaria, l'ex operaio Fadciev, autore del mediocre romanzo Lo Sfacelo. Pilniak fece onorevole ammenda, e si dichiarò pentito degli errori teorici e delle colpe politiche di Ma1ògano e di altre opere sue: e la palinodia si chiuse con un atto di contrizione e con la promessa d'emendarsi per l'avvenire. Ma l'accusa pubblica e formale della e: Gazzetta Letteraria > dimostra che non è bastata l'andata a Canossa, cd ormai c'è da attendersi un procedimento penale in piena regola, dove un povero poeta sarà giudicato per i reati ormai di prammatica, e cioè danneggiamento e sabotaggio, deviaz.ione ideologica e diversione controrivolutionaria, anarco•trotskismo e menscevismo piccoloborghcse, ccc., ccc. Troppo tragiche e trop· po pedantesche parole per il riconosci• ment01 d'un semplice dato di fatto, e cioè che in quella vera fabbrica d'uomini che è la Russia d'oggigiorno esiste ancora qualche prodotto fuori serie. R. P. ANNOI, NUl(. 18, Sl LUGLIO1997-XV IINIBU SETTIMANALEDI ATTUALITÀ POLIT!OAE LETTERARIA EBOE IL SABATO IN l'J-11 PAGINE ABBO!IAME!ITI l1t.Uae0olonlt1 UDO L.45, lei!IHtre L. 23 Eltero: anno L, 70, aerneun L, 36 oo ■ t IUMEllO VNJ. LIRA llanoacrittl 1 dlHg11i e fotGgr&fita, nche •• DOD pub;11cat1, li.OD ,1 rutitui&OOUO, Dlndo1u: Roma- Via del 811.darloi,8 Teletouo N, 661,636 .lm.aiaittrarlou: Milano- Plana Oarlo Erh 1 6 Telefono N, 24,808 &oc• .I.non.Ultrlce " OIIIJflBUI" • Jlila.D.o IL DESTl!IODELLAFRANCIA SOTTO QUESTO TITOLO, Alexander Werth ha pubblicato recentemente uno studio sulla democrazia Crance$e (The Dutiny o/ F,anee, Londra, 1937). li libro S\/Olge due temi. Primo: la Francia di fronte al pericolo esterno. Il peri· colo deriva d1ll collasso di tutti gli sforzi diretti ad assicurare la transit.ione del sistema di Versailles a un nuovo ordine in• ternu.ionale. Oggi la Francia è costretta a e vivere pericolosamente > di fronte a e: un'Europa senza legge>. Secondo tema: l'urto nel seno della società francese - cioè di una società csscntialmcntc borghese - delle dQttrinc 10ciali rivoluzionarie del FaKismo e del Comunismo. La storia re• centc delle commozioni interne derivate da questo c011fi.itto è narrato dal Wcrth sulla base di informazioni :n gran parte di prima mano: ma in modo, a nostro avviso, poco obiettivo. Dopo i giorni drammatici del 193-41 il Parlamento in Francia, secondo il Wcrth, ha riconquistato le iue posizioni. Il paese non è certamente fuori pericolo, egli dice; ma, in sostanza, la e: minaccia fascista > è nata effettivamente fronteggiata, e grarie alle immense riserve di senso politico e di cspe· ricna:a, su cui la Repubblica può contare >. Quando Doumcrgue e Tardieu cominciarono a metter mano al delicato meccanismo della Costituzione, es.si furono prontamente disarcionati dai radical-socialisti; e, successi• vamcntc, la corrente antifascista ne ha profittato. Nel frattempo, il sympathique Colonnello dc La Roquc, che tempestava con• tro i profittatori parlamentari in nome degli cx combattenti, fu lasciato in asso dalla imprevista ondata democratica, che l'« egregio > M. Lavai evocò; e il movimento delle Croci di Fuoco, impropriamente definito e fascista >, si è indebolito e si è cangiato in un asilo per conservatori timidi. Questa, in poche parole, la diagnosi della crisi interna francese· secondo il Werth. Essa basta a dimoitrarc quale specie di torre di Babele sia, ormai, diventato lo stu· dio dei fatti politici in Europa. Quale è il pericolo che mi[\.lccia la Fran• eia, secondo il Wcrth? Che si riducano i poteri del Parlamento. E le immense riserve di buon senso e di esperienza, 1u cui la Repubblica può contare, furono mobilitate per evitare una siffatta iattura. Ora vi è molta gente in Francia e all'estero che crede esattamente il contrario. Per costoro il pericolo che minaccia la Francia è il Parlamento. E fu una grande sventura che il vecchio e buon Doumcrguc la• sciasse passare il momento di compiere una riforn1a costituzionale, di cui jl paese allora aveva capito la necessità. e:Quando, il 6 febbraio >, cosl la R,vu, d" deux monde, ricord·wa recentemente quella pagina della storia della Repubblica, < i partiti, smarriti, la Francia, lacerata e dc,ola.ta, fecero appello a lui come a un salvatore e ad un padre, egli accorse dalla sua ToumcfeuiUe e prese la dire1ione degli affari; la sua dolce fermena ristabill la fiducia. Ma A 13 storia nQn di~ Cof'KJ clic egl\ lasciò passare un'occasione unica di realiz.zare le ri• forme politiche, costituzionali, sociali, morali, delle quali il paese ha bisogno per diventare una ·democrazia sana e fondare un impero rispettato? >. Come si vede, la Babele è completa: quello che per il Werth fu un pericolo mortale, per la Re111u sarebbe stata la salvèzza. t gran peccato che questo libro sia stato scritto prima del crollo dtl Ministero Blum. L'autore avrebbe tratto anche lui qualche insegnamento da quella « esperienza >: p.cr lo meno avrebbe riconosciuto meglio da quale parte dell'orizzonte l'uragano avanzi. Il 6 giugno di quest'anno, Uon Blum, al Luna Park, pronunziava le seguenti parole: e Se noi fallissimo ...• si sarebbe costretti a chiederli - e questa è una riflessione ben grave,, - se non vi sia un viz.io più profondo, un vizio congenito; se cib, che noi abbiamo creduto possibile e che continuiamo a credere possibile, non lo è; se veramente non è possibile, entro il quadrp della legalità, · .1 base delle istituzioni democratiche, di una coali2ione di partiti, senza sor'- passare un programma comune, che ri• spetti i principi della società attuale, di procurare alle m.assc di questo paese le ri• forme di progresso e di giustizia, cho esse si attendono >. Il ragionamento è chiaro: Blum annunziava la dittatura. Ma questa rivoluzione, che egli, alla vigilia della caduta, minaccia\'a, ii era già compiuta sotto il suo go\'erno. Le mane si erano accorte della loro patenta e avevano creduto di poter governare direttamente. E il Parlamento, da un giorno all'altro, si era trovato ridouo alla condizione di Camera di rcgistraz.ione. La rapidità di questa operationc, commentava un anonimo scrittore nella Revue des deux monde,, è uno dei fenomeni più singolari della storia contemporanea. Il destino ironico ha voluto che il Gabinetto Blum, il quale pretendeva di essere il più democratico dei Ministeri che la Repubblica abbia conosciuti, dirigesse la più grave impresa che sia mai stata tentata contro le istitutioni parlamentari. Es.,o aveva, fin dal suo avvento, scoperto il ministero delle masse. E sì appoggiava su di esso senza fiereua, senza aver l'aria di accorgersi che aveva trovato il suo padrone. Il Ministero di Fronte Popolare sacrificava in fretta il Parlamento, immaginando di avere un appoggio Hsai più solido. Il Parlamento restava al lavoro, se si puù dire cosl, a titolo di ornamento. Le decisioni, le leggi, la direzione politica sfuggivano ad esso. La C.G.T., i sindac.1.tì rivoluzionarf, i capi comunisti avevano il potere. Lo stesso giorno, in cui Blum parlava al Luna Park, Jouhaux proclamava: « L'era della politica è finita -.. E cioè era finito il Parla• mento, La e rivoluzione>, che il Wcrth temeva, era compiuta. Ma, dagli avvenimenti politici francesi, - cod da quelli recenti, come da quelli di tre anni fa - ci sarebbe da trarre una morale: che non si riesce a governare la Francia che unia il Parlamento o eontro di esso: non vi riesce la destra, non vi riesce la sinistra. Doumcrgue fu costretto a tentare di ridurre i poteri .del Parlamento. Blum lo ha annientato. Si csagern quando questi cpisodt vengono definiti una rivoluz.ione. Essi sono semplicemente i sintomi preannunziatori della rivoluzione. Se essa ancora non scoppia, non è già che il paese non sia maturo o che il Parlamento non sia abbastanza: fradicio; è che la minaccia esterna preme e preoccupa. li vìncolo fra la crisi esterna e la interna è intimo. Se )a Francia si persuadesse di non avere più niente da temere dalla Germania, si abbandonerebbe di corsa alle più temerarie espe7 ricnzc. La paura è ancora una scuola d1 saggezza per i popoli. ROMA"COLO!llANORDICA" I L SIG. DIETRICH KLAGGES, che è una personalità eminente nel mondo naz.ional•socialista, ha pubblicato, l'anno scorso, un libro su e l'insegnamento della storia come educazione nazionale politica> (Oietrich Klagges: GesehiehtnmteT• ,icht als nationalpolitisehe Ertiehung, Frankfurt am Main, 1936), in cui in omaggio alle idee ra:z.a:istiche ricostruisce l'evolua:ione della civiltà europea in modo molto origi• nale e che è del tutto in contrasto con le idee generalmente accolte al riguardo. li principio fondamentale del libro è che si debba ripudiare una volta per sempre l'antiquata nozione secondo la quale la civiltà sarebbe partita dal Mediterraneo e si sarebbe Jrradiata ai paesi settentrionali, fra i quali la Germania. Lungi dal riconoscersi discendenti da antenati, che sarebbero stati civilizzati rclatÌ\'amente tardi, i Germani - egli dice - devono affrettarsi ad appre%• zare il fatto che tutta la civiltà emanò da la Germania. La grande tu. della Cre• eia e di Roma fu dovuta alla colonizza• zione del sud da parte di popoli nordici, CO· Ionizzazione che ebbe successo finché i conquistatori nordici si tennero separati, come una casla superiore, dalla popolazione indigena. Ma più tardi si diffuse l'incrocio e e la colonia nordica, Roma, non fu abba• stanza Corte per portare a termine il suo -4 grande compito, cioè di fare nordico tutto il mondo: la sua vitalità rauialc non era stata con sufficiente cura preservata e, per• ciò, prematuramente 1i estinse >. Quanto, poi, all'idea, che i Germani del periodo della dccadcna:a e della caduta di Roma, Cossero dei semplici barbari, si tratterebbe di un'atroce leggenda, fabbricata dagli storici ecclesiastici. Il Ktaggcs ricorda l'eroismo dei Germani in guerra, e rimpian_gc che e: la distinzione religiosa nordica fra forze buone e malvage sia stata per sempre perduta nel sud > e che !'eroi• smo si sia corrotto in tolleranza e amt ,e di pace. · In un momento di cosl stretta collaborat.ionc italo--tedcsca, qualsiasi polemica sarebbe inopportuna. Ma ci .sembra che il modo migliore per promuovere l'amicizia fra i due popoli sia che ciascuno di essi procuri di conoscere il patrimonio morale e 11orico dcll'al1ro, lo appretti, lo ammiri, e non se ne appropri. Epper0 come noi non cercheremo mai di appropriarci dei Nibe• lunghi o di Federico il Grande, così gradiremmo che i tedeschi non cercassero di an• nettcrsi Roma o Cesare o Dante. Ed è strano che si debbano ancora ripetere questi modesti principt di probità culturale. Ciò premesso, facciamo, per semplice dovere di l italianità, alcune riserve in ordine alle tesi l storiche del Klagges. l 1) Prima di tutto, Roma non fu una <H· Ionia nordica >, anz.i,. non fu affatto « colonia >, Che in epoca preistorica l'fta. lia sia stata invasa da popolazioni di stirpe I ariana i certo; che queste popolazioni abbiano più tardi fatto la civiltà romana è del pari ctrto; ma questa non è una ragione sufficiente per annettere Roma e l'Italia al Nord. Di questo palSo e con questi criteri ogni paese finirebbe con l'essere la e colonia > di qualcuno. Cli stessi Germani non nacquero certo dall.a terra che poi ha preso il loro nome: provenivano anche essi dalla comune culla dei popoli indo-europci, che non si sa dove fosse, ma che si inclina a collocare nei pressi del Caspio, ai confini fra l'Europa e l'Asia; ma a neuuno è venuto mai in mente di dire che la Germania sia una « colonia > dell'Oriente. 2) ]n secondo luogo la missione storica . di Roma non fu di fare e nordico > il mondo, ma di farlo e mediterraneo > e più precisamente romano; e, checché ne dica il Klagges, vi riusd egregiamente, anche contro i e: nordici :t. · 3) ln terzo luogo i proto-cileni, i protoitalici, i germani sono altrettanti rami di un ceppo comune: ma né i proto•italici discendono dai germanì, né i germani discendono dai proto·italici. Momms.en descrisse con un'immagine il legame di parentela fra i vari rami della famiglia ariana: e: i Greci e gli Italioti sono fratelli i i Celti, i Germani e gli Slavi sono loro cugini>. Questi vart rami sono, dunque, dal punto di vista etnografico, su un piede di parità; natural~ mente ognuno di essi ha, poi, avuto la sua storia: ma quel che l'un ramo ha fatto non può essere attribuito all'altro ramo. E poiché una civiltà greca e una civiltà latina vi sono state, i assurdo attribuirle ai Germani, come sarebbe assurdo attribuirle agli Slavi. 4) L'affermazione che i proto•itah .. ~ 11 in• crociassero con le popolazfoni indigene sottomeuc e che perciò decadessero, è arbi• traria. Sembra, anzi, che le popoluioni esistenti in Italia prima della invasaon~ ariana - e cioè i japigi, di cui non si sa quasi niente - venissero ricacciati verso i lembi estremi della penisola: l'attuale Puglia, l'attuale Calabria. Da quali documenti desume il Klagges la storia degli incroci? Ma, in ogni caso, poiché gli avanzi delle popolaUoni aborigene scomparvero subito, si dC\'C pensare che l'innesto si verificò assai per tempo, e cioè prima della grande storia di Roma. E, allora, perché attribuire all'incrocio un'azione degenerativa, i cui risultati si sarebbero manifestati molti e molti secoli più tardi, e non già un'.arione tonica e fortificante? Perché attribuire all'incrocio la decad~nta di Roma, che venne molto più tardi, e non la grandct.ta, che venne prima? ~) Quanto poi all'c: atroce leggenda> che i Germani fossero dei barbari all'epoca della dccadcnta di Roma, ci accontentiamo di rilevare che bisognerel.bc prima intendersi sul significato della parola e: civiltà>. 11 Klaggcs, per dimostrare che i Germani erano civili, ricorda che eran valorosi in guerra. Ci sembra trattarsi di due cose diverse . E ci fermiamo qui: ché a voler segnare tutti i punti, in cui dissentiamo dal signor Klaggcs, ci sarebbe da scrivere un volume. Del resto avremo detto tutto, quando avremo ricordato che lo stesso signor Klagges, alla (?onfcrena:a degli insegnanti di storia, ;1;:ci5~m:n~e p:in~~7o :~~o q~:;t:.tl~t;i~~t vità debba essere bandita dall' insegnamento della storia. OMNIBUS

Collodi, luglio. • ~. IU' DI DUECENTO tradu- J zioni di Pùi&cchio sono sparse per il mondo. Questa perla della nostra letteratura è: stal..t voltata in tutte le lingue parlate e in molti dialetti. L'ultima versione è quella del professore Malhcrbc, dell'Università di Stcllcnbosch. Benché omonimo del celebre rifonnatorc della poesia francese, il professore Malhcrbc ha tradotto Pinocchio in afrikaan.s, che è la lingua dei boeri. Se gloria non è quella del nostro Collodi, ditemi voi che cos'è gloria? Ora statemi a sentire. La domenica I o luglio si u,;civa da porta a Prato, a Firenze, io e l'amico C., sovrintendente delle Belle Arti e proprietario di una « Balilla. » trimarcc. Traversata Pescia e infilata la strada di Lucca, ci fcnnammo poco appresso a un bivio. Fermo allo stesso bivio era un giovane inguainato di bianco come un topo d'albergo diurno, il quale, sollevato il còfano di una stupenda automobile da corsa, ne frugava l'intestino con mano di chirurgo. e Saprebbe indicarmi per cortesia la strada di Collodi? >. li giovane wllcvò la testa d:i. quel bude!lamc di metallo, posò su noi due magnifici occhi di velluto. «Collodi?>. e Collodi paese ... che è anche il nome dell'autore di Pinocchio>. e Pinocchio?> ripeté colui increspando la bella fronte: e non so : ,1011 sono di queste parti :t. Dove Lorenzini visse fanciullo « Collodi si deve riconoscere all'odore». dice l'amico C. L'amico C. ha ragione. Voltiamo a deistra per ispirazione olfattica 1 e poco dopo, fra cani spelacchiati, galline r!l.ndagie e monelli fermi a giocare in mezzo alla strada 1 riconosciamo il pae- -.c di Pinocchio. Collodi è sparso di sghembo sul dorso di un colle, come un mantello variopinto sopra un pouf di velluto verde. JI mantello è di pregio. La parte maggiore di Collodi è costituita dallo e storico giardino >, che apre a forma di leggìo le sue architetture vegetali, i -ghiri~ori delle sue aiuole, e quando il castellano è-di buon umore, fa galoppare le sue acque giù per una serie di terrazze a scale. Ci lasceremo sedurre da questi lussi settecenteschi? e No! no!> strilla a sinistra una vocetta puntuta 1 nella quale riconosciamo la voce del Grillo parlante. Ci voltiamo a guardare, e sulla facciata di una casa tinta col rosa dell'aurora più poverella, leggiamo: « In questa casa - nella quale visse i primi anni della fanciullezza - e fece dipoi sovente ritorno - attrattovi dai materni ricordi - Carlo Lorenzini - illustre pubblicista - milite volontario delle patrie battaglie - scrittore urh·;namente arguto - benemerito della popolare istruzione - che col pseudonimo di Collodi - rese celebrato il nome di questo paese - i collodesi - annuente e plaudente il municipio di Pescia - P. P. - Nacque il 24 novembre , 8•.26, mori il 26 ottobre 1890 ». Per i collezionisti di cimeli letterari, aggiungiamo che la lapide soprascritta è stata dettata da Rigutini, amico di Collodi e suo compagno di sbevazzate. Io domando: e Come si chiamava d1 nome Rigutini? > E l'amico C. risponde: e Fanfani >. Il barone Eckennann nutriva per Goethe un'ammirazione che sconfinava dai limiti della decenza. Altri se ne muoiono per Giovanni Pascoli : noi, più modestamente, da una salda amicizia per Omero, passiamo direttamente a un'amicizia altrettanto salda per i libri di Collodi. In punta di piedi, come nella camera di un amico che donne, entriamo nella casa in cui Carlo Lorenzini cvisse i primi anni della fanciullezza». Per molto tempo questa casa ha fatto uno sforzo di dignità. t manifesto. Poi un giorno s'è accasciata. Oggi le ragnatele fanno festone sul portoncino verde, una corda annerita dall'unto fa mancorrente ai gradini ridotti a barchette. La casa dei Lorenzini ora appartiene ai Balbani. La famiglia Balbani ci aspetta di sopra. Dai poppanti alla nonna, sono tutti parati per la fotografia. Fulminei, hanno fatto venire anche i parenti sparsi per il paese. L'amico C. mi viene dietro reggendo il trcpiedi della e Lcica >, come un venditore ·di scheletri infantili. Il sorriso dei Balbani manca di spontaneità. Lo dicono loro stessi : e Sapeste le volte che sono venuti a fotografare questa casa!>. Posiamo delicatamente l'occhio sulla mensola, sul ritratto di Umberto I, sui fiori di carta, sulle cose che e lui guardava, fanciullo>. Dal terr:17..zinosi vede la salita del paese, la villa Garzoni come una credenza bianca sulla collina a servizio di un gigante, le cartiere ove in file serrate pendono i festoni che domani saranno carta, partiranno per il mondo 1 avvolgeranno migliaia di salamini. Passiamo in cucina. t tinta di rosso come per ospitare il boia. Il focolare è a nicchia e pieno d'ombra. Le mosche volano a spirale. In un angolo, due conche di cotto murate per metà sono apprestate per il bucato. Sono la e curiosità > della casa e i Balbani ce le mostrano con orgoglio. Noi pensiamo : e Là dentro, le camiciole 1 le mutandine di Carlino Lorcnzini bollivano sotto la cenere e i gusci d'uovo ». Dalla finestra si scopre un monticello colto, un terrazzino con casse di fiori, una gor:i. formata dalle acque del Pescia che dà movimento, dice uno dei Balbani 1 il quale fuma con eleganza e non avrà aperto bocca durante tutto il sopraluogo se non per dare questa informazione di carattere industriale : e Dà movimento a un frantoio qui dietro>. « E questi mobili, questi oggetti erano di lui? :t : accenniamo i ram.i sul muro, la tavola che si direbbe scampata a un incendio. L'uomo non risponde. In sua vece l'avola squilla : e E roba mia. La Ca!a l'ho comperata io dalla mamma del Lorenzini. Vuota. Del Lorcnzini Carlo qui non è rimasto nulla>. e Forse questi>, Soggiunge una Balbani giovine, e sventaglia in così dire i battenti di un armadio a muro. L'ironia ha fissa dimora nella casa di Pinocchio, anche se Pinocchio non c'è più. Storia di un giardino Lo spirito vagante di Carlo Lorenzini, che non siamo riusciti a trovare nella casa in cui egli visse fanciullo, sarà più facile trovarlo nel giardino di Collodi? Per entrare nel giardino di Collodi, si pagano quattro lire a testa. Con queste si ha diritto di visitare il solo giardino 1 non la villa la quale è preclusa al visitatore comune. Ma siamo visitatori comuni, noi? Dichiarate le nostre rispettive qualità di collaboratore di Omnibus e di sovrintendente delle Belle Arti, il custode, che era nudo la tcsta1 sparisce di colpo dentro una specie di ripostiglio vegetale, e ne riesce il capo adorno di un impressionante berretto a visiera, sulla fronte del quale sta scritto con lettere d'oro: e Storico giardino di Collodi >. Se Bouvard e Pécuchet 1 immortali eroi di Flaubert, venissero da queste parti, troverebbero il loro ideale formato in realtà. 1n questo giardino, e similmente in altri soarsi per l'Italia, il regno vegetale è ridotto alle condizioni del barboncino tosato da leone. Coloro che non sanno, parlano di e cattivo gusto>. Come c'intenderemo? Intollerabile nella gente piccina, tra uomini di levatura .superiore il cattivo gusto diventa maestosa pazzia. La discrezione, che p.1ssa per una espressione del buon gusto, in realtà è il riparo dei deboli. Sfoggiare bisogna, quando si può. Ma pochi hanno il diritto di pratica1e il cattivo gusto. Uno di questi era il marchese Paolo Garzoni, feudatario, consigliere di stato e guerra, il quale, a metà del XVU0 secolo, ordinò l'edificazione del giardino di Collodi. I Garzoni collodcsi risalgono al Trecento. Abita\'ano una casa in altura, che, più volte restaurata 1 sopravvive alla destra del p:i.lazzo. Verso il Seicento, fecero edificare a monte del palazzo una villetta tutta festoni e cornicctte floreali, rosea e fresca come un gelato di fragola, con l'orologio in fronte che fa da occhio, e un campaniletto in testa che fa da scuffia. Per dare un autore decente al fastosissimo giardino, si suggerisce il nome di Ottaviano Diodati, patrizio lucchese. Nel mezzo dell'aiuola centrale, disegnato coi sassolini per terra come un gioco di ragazzi, gince fra i ghirigori lo stemma dei G:i.rzoni: Probus et providus esto. A destra. e a sinistra, masse di bossolo tagliate a dadi, a cubi, a conche, a sfere, fanno la figura malinconica di bestioni ammaestrati al silenzio e ;ill'immobilità. Di fronte e sopr:i.elevati, una fila di personaggi di terr~cotta fanno cucù d:i. entro i fori di una spessa parete vegetale. Si sale a una terrazza con balaustra, sulla quale tante. scim!11iettc ~i cott~ sono figurate nei van attegg1amen11 dei giocatori di pallone. Partono quin~ di e salgono fino ai « Bagnetti » le rampe delle cascate, sulle quali do· mina, gigantesca, una Fama trombcttiera ed essa pure di coccio. Timidi timidi entriamo nei e Bagnetti>. Intimità e mistero sono rimasti intatti in queste terme da bambole. Ci pcritiamo di spingere i portelli leggermente ag~raziati di pitture ornamen~ tali, al timore che dietro ribrilli la rosea nudità di una damina, attardata costì da tre secoli1 ma viva ancora nelb sua minuzia di corallo. Qui la vasca delle dame, là quella dei cavalieri e, ~pra l'assito, il tetto in comune. Chi suona? Pief,!hiamo la testa sulla spalla, come il pollo che guard:i. in alto: il palchcno della musica è pieno di cavalieri. Sono filettati d'oro e raschiano gli Amati e i Gaspare da Salò, per bagnare di musica le damine nude che, sotto, fanno glugli1 dentro l'acqua fortunata. . Chi ha detto che le nostre rubinetterie rutilanti, le nostre docce a tubo flessibile sono il nec plus ultra della civiltà idroterapica?... Leviamo di nuovo l'occhio di pollo al palchetto ... Ahimè! l'evocazione di questi strumrnti da sala di tortura ha spento le musiche, disciolto i cavalieri davanti ai leggii spogli. f>omandiamo al custode : e Lei l'ha conosciuto, l'ha visto? >. «Chi?». e Carlo Lorenzini ... Collodi .. l'autore d; Pinocchio>. « Sicuro! Chi m'ha insegnato a leggere e a scrivere è stata la sorella, Teresina Lorenzini, che faceva scuola costaggiù in paese >. « Ma lui?>. e Lui? ... eh ... sì...>. ).J'on l'ha vÌ\tO ! Ma anche la mancia, come la puntura della tarantola, fa delirare i custodi dei bei giardini d'Italia. Il castellano Ragioniere è più che una professio- ....... è ·1rio stato fisiolngi<"o Nel cast'='llano di Collodi, che ci viene incontro la mano tesa e il sorriso sulle labbra, ravvisiamo con sbalordimento uno degli esemplari più puri del tipo eragioniere >. Svanita la proprietà degli ultimi Garzoni, castello e giardino passarono circa quindici anni fa a un tale Bibi, carraresc e negoziante di legna. Dal Bibi passarono all'ingegnere Malvezzi, dal Malvezzi al commendatore Dante Giacomini, e dal Giacomini 1 nello scor• so febbraio, al signor PerverSi ragioniere Angelo1 di Roma. A considerare l'elenco dei propriet.-1.ri,lungo per uno spazio di quindici anni, nasce il sospetto che il castello di Collodi eserciti sui suoi castellani per così dire « illegittimi », un influsso simile a quello del Cullinan, il famoso diamante che non tollerava padroni. Il ragioniere fa gli onori di casa, ci dice la spesa e la fatica che gli costa rimettere in sesto il giardino e il castello, lasciati in così tristi condizioni dal suo predecessore. Passiamo per le g:i.llerie allietate di chiare nature morte a fresco, per le sale abitate questa da un letto a baldacchino, quella da una timida spinetta bionda, quell'altra da un'annatur:i. che ride con la bocca a salvadanaio. E questo? Guardiamo meglio: nell'angolo di un camerino, bianco e solitario come un cigno, un bidet! ... Un bidet del Settecento! Un bidet italiano! t. proprio vero che siamo precursori in tutto. La forma è quella solita a violino, ma la materia differisce: questo bidet è di marmo, e scavato dall'orlo alla base in un sol blocco. Bidet da regine, bidet da divinità. Rc~ta a vedere quale nome italiano ha quf'sto italianissimo strumento di ablu1.ioni. Possiamo seguire il vocabolario, che dà la voce e bidetto >? e Dimora principesca >, esclama il ritgioniere, falci:i.ndo l'aria con la mano, e ma incomoda a chi è abituato a vivere modernamente>. e Troppo giusto, ragioniere. Ma al1ora lei? >. e Mi sto facendo sistem3re un quartierino Novecento ». Apre un uscio: il lavoro degli artigiani è visibile, l'odore della vernice punge le n:i.rici. Alla finestra è affacciata una figura di donna 1 i gomiti sul davanzale. Il sole cala di là dai monti della val di Nie\'ole, accende un'aureola in quei capelli d'oro. Quando Mosè salì al Sinai per incontrarsi col Signore, questi di lontano Rii gridò: e Entra in quella grotta, .Mosè, e non guardare la mia faccia mentre passo, se non vuoi morire>. Per maggior prudenza 1 il Signore posò la mano sull'apertura della grotta, e non la ritirò se non quando fu passato. Messa fuori la testa, Mosè vide le terga enormi di Sabaoth, che si allontanava tra le saette. Temeva quella s,ignora che voltandosi, noi dietro si cadesse fulminati? 11 ca.stello e il giardino di Collodi, larghi e distesi.ssimi, separano il paese a valle dal paese a monte. Per concessione più volte secolare e a fine di abbreviare il cammino, i collodesi hanno facoltà di servirsi delle rampe e di traversare il castello sotto il portico. Arriviamo allo spiazzo davanti all'ingresso. Tre vecchine, come t.re gazCOLLODI - In alto1 lt. cua deUtautore di 11Place<:hl.o". Qui 1cprt1 le 111torlcc gtardiac 11 zc senza gri~o., stanno ap_pollaia;c sul muricciolo dmmpctto. Mira no I ubertosa vallata, ricca di acque e di ~ul; ture? Tirano il fiato dopo la sahta. Chi sa ... li ragioniere Perversi si avanza:. e Ho detto mille volte che qui si passa, ma non si sosta >. e :Ma noi ... da tanti anni ... >. e Non so di anni, io! Ho detto: non voglio!>. E a noi, dietro, che cercavamo guardare da un'altra parte: « Vedono? Una indecenza! Sembra un mercato!>. Le tre vecchine, nere e curve come tre rimorsi, si allontanano su per la salita. Le cascate e E le cascate? ... Come! non hanno visto le cascate? ... Presto1 Giovanni, le casc;ite! >. Per scendere :1 vedere le cascate, costeggiamo il labirinto di canne, passiamo davanti al teatro di verdura che ha la ribalta di mortella, 1a cu1>0la del suggeritore di bossolo1 e gli attori, allo spettacolo, sono tubi di foglie con ~ambe e braccia, che scambiano dialoghi verdi. Ai piedi delle cascate, Giovanni ha dispo~to delle poltrone di vimini, nelle quali ci sediamo per benino. A uno squillo ineffabile della Fama lassl1, che soffia nella tromba di coccio, una luce d'argento s'accende in alto, trilla, scende nel secondo bacino, si ;illarga nel terzo, nel quarto, nel quinto: compone una scala liquida e bellicosa che trarrebbe in inganno lo stesso Tobia. Contemporaneamente, due zampilli spuntano dal centro dei bacini laterali, tentano due scatti modesti come per tirar su due uova da tira.!:segno, poi dànno un gran balzo e s'immobilizzano a un'altezza decorosa. Acque che da racchiusi angusti lochi Di sotterra,tee carceri secrete Sprigionate olla luce escono liete A. festeggiar con mille scher{.i e giochi. Così candlva Francesco Sbarra ne e Le pompe di Collodi >. Ma e pompe> qui ha significato metaforico? Un orribile pensiero rompe d'un tratto il nostro godimento acquatico. Come oggi noi, così alcuni anni addietro un nostro amico era venuto a visitare il giardino di Collodi. Terminato il giro, gli domandarono se voleva vedere le cascate. e Vediamole :t. e E gli zampilli?>. e Vediamo anche gli zampilli>. e E gli scherzi d'acqua? >. «Vada pure per gli scherzi d'acqua». Alla fine, gli presentarono un conto di ottanta lire d'acqua. Il ragioniere Perversi cerca un'immagine che illustri questo splendore idrico: e Si direbbe ... ». La sua voce giovar.e e sicura ci ram.- menta a buon punto che, ospite del più liberale dei castellani, a noi scherzi di quel genere non capiteranno mai. Il ragioniere dice: .e Si direbber > tar.- te lamelle di vetro ... >. Ammiriamo in silenzio. ALBERTO SAVINIO

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