' Racconto domenica, pazienza, bisognava rispettarf' la volontà del Signore, ma tilttav:a erano trecentocinquanta lire di meno che si riscuotevano, l' il lunedì era sempre la giomata più faticosa e meno redditizia. Il lunedì, dopo una giornata di riposo, la schiena doleva presto. ~-fa Ser.1fino schiattava piuttosto di mollare. Nella sua mente, a ogni settimana che passava, egli vedeva aumentare il numero dei campi che sa. r<·bbcro stati suoi, un giorno; ed ogni aumento ~li sembrava sempre meschino in confronto al totale che nella sua fantasia si dilatava sempre più. Per ~~cii ~::i !~~i di~~r:~~n~t:~rfsfs~~~~ di' Tito A.Spagnol nel fare i conti assieme a Gisèla, la §hi a. freddo, senza l'eccitazione del· domenica e nelle rare serate in cui, I alcool. non gli dicevano un gran che, appena cenato, riusciva a terminare e vi prendeva parte soltanto perché mezzo toscano, tenendosi la sua piccola non avrebbe saputo cosa fare m quelle sulle ginocchia 1 avanti che le palpebre giornate d1 fc::sta. gli si appesantissero. Gisèla mise al A CASA SORGEVA all'inizio del paese, e si distingueva dalle altre in pietra, con le scale e il ballatoio in legno, perché rra tu~ta di mattoni rossi, ad . un sol piano, col tetto acuto e sp1ovcntc, in ardesia, le finestre più lars?e che alte, che sparivano quasi, asMeme al tetto e alle pareti, sotto i viluppi inestricabili di una vite vergine e di un'edera che nessuna man(\ aveva mai potato. +'a q\Sa era circondata dn un giardino, lasciato incolto, e, a vederla dalla strada, pareva disabitata. Ma alle volte essa risuonava di grida selvagge, di clamori forsennati, che finivano intramezzati da cinque deton_azioni, alla cui eco le vecchie del paese s1 .segnavano, mentre le ragazze si guardavano con un sorriso malizioso. Serafino non era nato a Sarmede, dove aveva costruito la sua casa, ma in una frazione di Sarmede, a ~Contaner. Come lo lascia intendere il nome, Montaner ~ aggrappato alle ultime ·zolle di terra nera che riescono a tenere fra i crepacci di una montagna aspra e nuda. La gente di Ylon- ~h:erè cd~;~n~e d~~eci~c{ 1ior':o~:~i fanno i contadini in paese, i pastori e i carbonai nelle malghe e nei boschi che rivestono la vetta e l'altro versante della montagna, e cacciano di frodo il tasso e la volpe per le balze scoscese. Essi amano i loro luoghi, ma guardano sempre con invidia alle terre. più grasse delle colline e del piano, e il loro sogno è di scendervi e di stabilirvisi. Perciò emigrano per il mondo, e cosi decise di fare Serafino, quando ebbe finito di fare il soldato. Per comperargli il biglietto suo padre dovette ipotecare la casa e il cam- ~ ~he poss_cdeva. Suo padre era il m1ghor cacciatore di volpi di Montaner, e come una volpe egli era adusto, sottile, agile di mente e di carne. Serafino non sarebbe mai stato come lui, il_ vecchio lo comprendeva, ma tu~tav1a aveva fiducia nel suo figliolo, eh era tornato a c.1sa con una fotografia nella quale lo si poteva vedere fare il presentai~arm con un pezzo di JrUglieria da mont.tgna, cd era andato in cerca di chi gli prestasse i soldi per la.sciarlo partire. Con due braccia simili, il vecchio era sicuro che Serafino avrebbe presto rimandato indietro la somma. Serafino partì. Se si fosse congedato pochi mesi prima egli sarebbe sbarcato a Santos o a Buenos Aires, se• guc~d~ come una formica tutti gli altn dt Montancr, che erano emigrati nel Sud America solo perché l'agente della Compagnia di navigazione aveva avuto più tornaconto di vender loro ; biglietti per codesta America. Ma l'agente era morto, e il suo successore, ch'era inesperto ancora delle finezze del mestiere, quando gli capitò Serafino, l'informò che il biglietto meno costoso per l'America era quello per ~uova York, e questo fu l'unico motivo per il quale Serafino scelse Nuo~ \'a York invece di Santos o Buenos Aires. [I pievano gli spiegò poi che :--luova York stava in un'altra America, dove non c'era nessuno di Monta• ncr, ma Serafino era animoso e l'idea di c~scrc il primo del paese che andava a Xuova York gli piacque e lo inorgoglì. A bordo Serafino stette male. li mare fu cattivo durante quasi tutta la traversata, torturandogli lo stomaco e smonando assai il suo entusiasmo. Mai co~ in quei giorni egli rimpianse i ,alòi sentieri della montagna, l'odore del bo~o e l'immobilità del suo letto di crdechianti cartocci. :\,{a negli ultimi giorni il mare si calmò, divenne liscio e placido. Serafino poté lasciare la cuccetta e quella tan:i. a~fi~siante dove erano ammonticchiati in ~ci uno sopra l'altro e salire sul pon• te, a prua, fra gli argani e i verricelli. Lo stomaco ora stava cheto, sebbene egli si sentisse il capo sempre pesante e storno. Però l'energia gli ritornava a poco a poco, e passarono i brutti pensieri. Il mare gli ispirava maggior confidenza, e sull'esemp:o degli alti i egli incominciò a ridere di coloro che ancora languivano. Attaccò discorso con qualcuno, scese in cambusa a bersi qualche mezza e a fumare un toscano al riparo dal vento. Qua~i tutti i suoi compagni di traversata erano italiani, e fra es~i incontrò uno del quale capiva completamente il linguaggio. Era un cadorino che faceva ìl viaggio per la terza volta. Conosceva ormai :'\'uova York come le sue tasche, e i suoi racconti persuasero Serafino al punto ch'egli si vedeva onnai divenuto ricco in quella prodi;iosa città, che final• mente compaive all'orizzonte una sera al tramonto. La nave gettò l'ancora lontana dalla riva in attC$:adel giorno. Come tanti .tltri Serafino rimase ~ul ponte molte ore della notte ad ammirare, soggiogati), quelle miriadi di luci che disc• gnavano nel buio il profilo smirnrato della città. Al mattino la nave venne inva,a da una quantità di gente in divi,a, t: per molte ore Serafino fu sballottato di qua e di là, da uno che gli mi.se un timbro sul passaporto ad un altro che volle sapere quanti soldi a,·ev:1 in tasca, da un medico che lo fece spogliare e lo esa.minò perfino in bocca, ad un poliziotto che gli chiese se era mai stato in prigione. Tutti gli altri suoi compagni subivano le stesse visite e le medesime domande. Erano in trecento e niù1 cd era onnai sera qu;;m• do la nave accostò la riva. Ser.'l.fino s'era :1ccordato col cadorinc per sbarcare in..iemc, ma durante la vi~ita della dogana lo perdette di vi<t.ta. Quando potè passare i cancelli, il cadorino era· come wanito. Serafino pensò che fosse rimasto ancora dentro, e lo attese. Attese fino a quando nel!,t tettoia non rimasero che i doganieri. Tutti se n'erano andati. Egli era solo, con la valij?ia che non voleva più richiudersi posata a terra. Le luci si spensero, i doganieri sparirono dopo aver sbarrato i cancelli, la banchina diventò deserta e ~ilenziosa. In facci.1 a lui, al di là di una larga strada, si ergeva come una montagna di case, ìmm<'nsamente alte, costellate di luci. Quella era :"-luova York. Un brontolio minaccioso come un tuon• remoto giungeva da quella massa oscura. Serafino in quel momento ebbe paura. Non sapeva do\'e andare, si sentiva perduto. Ma una voc<;;lo scosse. Qualcuno sì avvicinava a lui, parlandogli in una lingua incomprensibile, con un tono bcfT ardo. Lo sconosciuto gli ~i fece accanto, ripetendo le sue frasi incomprensibili. poi ad un tratto cambiò favella. e Appena sbarcato, paisà? ... Bè, jam• mc, ti porto io», concluse quello dopo aver ascoltato le spiegazioni di Serafino, aiutandolo a rinchiudere la valigia. Cannine fece comprendere a Serafino che poteva dirsi fortunato d'esser caduto !IOpra un uomo di cuore come lui, sempre pronto a render servigio ad un paesano, e lungo il tragitto volle a tratti portar anche lui la valigia. Ma tra una cosa e l'altra, egli non dimenticò di informarsi se Serafino aveva qualche quattrinello in ta~a. Sì. Sera• finn a\·t"v..., vc.,,i doll:lri in ~rgt'nto. cambiati sulla nave prima dello sbarco, e Carmine a quella notizia gli divenne ancor più amico. e Con venti bei pezzi ne hai d'avan• zo fino a quando trovi una giobba che ti piace. Qui non hai che da scegliere ... » lo confortò Canninc, nel ~uidarlo per certe viuzze tenebrose, piene <li strani odori, di insegne di tela svolaczanti e di ombre che mscntavano i muri, dopo aver attraversato molte altre vie larghissime e splendenti dense di folla. Camminavano da più di un'ora. Finalmente Serafino distinse in fondo alla via alberi di navi e ciminiere. « Siamo tornati al porto? ::t egli chiese. e No. Quello laggiù è l'East River. Qui c'è un'altra porto. ~la ecco il luogo». Entrarono. Era un cantinone, con le lampade appese alle travi del bas ..o. soffitto, pieno di marinai e d'altra gcntè. Carmine condu-,sc Serafino al ban• co, parlottò in inglese con un ometto grigio di pelo e di pelle che stava seduto sopra un seggiolone dietro all:L cas1:,a,e l'ometto sorrise a Serafino dandogli il benvenuto in italiano. « Qui .,i mangia e si beve con pochi soldi >, spiegò Carmine. « E poi il p.i· dronc comprende l'italiano. Do\·rai venir qui se vuoi trovarti bene•· Serafino avc\'a fame e mangiò. Vino non cc n'era, ma la birra non gli dispiacque. Carmine parlava come un mulino. Alcuni amici vennero a salutarlo, si sedettero al tavolo. bevvero, brindarono al nuovo arrivato. Serafino era commo~o di queste aceogfienzc é un pochino stordito dalla fatica, dalla no\'ità, C dallo StOIJl. Non si accorse che il tem1>0 p--ssa\'a, che il cantinone s'era fatto de-.crto, ma ad un certo momento semi che un:1. mano cerca\':l di insinuar<;i nella tasca. interna della sua giacca. Era la mano amica di Carmine. Sì, come .-.e quelli di :\Iontancr fm~ero tanti scemi! Ci fu allora un po' di confusione, C~ piatti e bicchieri rotti, dt seg~iole fr3· cassate, ma il peggio si vide dopo, quando il padrone ,i intromise a far pace tra Serafino e gli altri. Carmine era a terra e non !loimuoveva più. E.ra andato giù disteso al primo pugno di Serafino. Tutti riconobbero che era stato un bel pugno. Ma Carmine si ostinava a non muoversi. Il colpevole della sua immobilità era lo spigolo di un tavolo, contro il quale era andato a sbattere la nuca nel cadere rovescio, ma insomma per far crollare un uomo a quel modo ci voleva una forta rispettabile. L1ometto grigio dichiarò ag1i amici di Carmine ch'egli non intendeva passare dei guai. Costoro convennero che aveva ragione. Uno w.cì in strada 1 l'altro ordinò a Serafino di aiutarlo, e Serafino ubbidì. Quello che era in strada diede una voce, e Carmine, sollevato da terra e wstenuto alle ascelle, U'ìd ciondoloni tra il suo amico e Serafino. Pareva uno a cui lo sto1Jt avcs~ tagliato di colpo le gambe, m~1e. gli ormai non respirava più. Venti pa'ì"i a\'anti o;jfermarono. Quello cht: li ave, a preceduti si chinò a. terra e tirò sù la graticola di çhisa di una chiavica. Carmine vi span con un tonfo. Serafino si guardò intorno. Gli altri· due se l'erano battuta senza una parola. Egli ebbe voglia di vomitare, e vomitò. Poi tornò indietro. S'era ricordato della sua valigia. D'altronde non avrebbe saputo dove andare, e l'ometto grigio, quando egli ricomparì nt"I cantinonc, si rese subito conto che se lo avesse messo alla porta i guai di quella senua non sarebbero finiti. Gli sorrise, gli diede un bicchierino, lo consolò dicendogli ch'egli non aveva colpa della faccenda, lo complimentò per la sua forza, e Serafino, che ormai non capiva più nulla, cavò dal portafoglio di pezza la fotografia fatta al reggimento mentre faceva il preuntat' arm col pezzo di cannone. L'oste l'ammirò e lo mandò a dormire in un Però col tempo una inquietudine • mondo un'altra figlia, che morì dopo strana incominciò a tormentarlo. La- un anno. Morirono a ~ontaner i suoi varava con meno lena, dormiva male vecchi, ma quasi egli non pianse. Gli e si senti\•a sempre triste. Le sue !et- di.spiacque solo che non fossero vissuti tere avevano fatto epoca a Montancr abbastanza per vedere ciò che avrebbe e alcuni giovani, imitando il suo csem- fatto il giorno del suo ritorno. pio, avevano acquistato un biglietto E quel giorno arrivò, nel 1928, quanpcr Nuova York. A quasi tutti avev.'.1. do tutti i cantieri chiusero uno dopo trovato lavoro lui, e riunendosi con lo• l'altro e le banche incominciarono a io alla domenica godeva di parlar del saltare. Fu Gisèla ~he decise. Gisèla paese, ma poi non riusciva ad addor- era diventata una dònna con i calzoni. mentarsi ricordando quei discorsi. Era• E Serafino partì, per il primo. Do• no nove anni che era partito, tuttavia vcva comperare i campi e trovare una ciò che lo dcci~e al ritorno non fu la casa adatta a loro, e se la casa non nostalgia, ma la solitudine della sua c'era, fabbricarla. Sicuro. Gisèla vole• vita. Aveva bisogno di una donna, di va una bella casa, e aveva ragione. Oruna casa. Soldi ne a,·eva, e partì, con mai era abituata bene, e poi bisognav.'.1. due belle valige fiammanti, zeppe di far ve~ere. alla gente qualc~c cosa di roba tra cui un fucile a ripetizione straordinario. Serafino era pienamente per ;uo padre, un Winchestcr calibro d'accordo con lei. Del rcst? c'e~a. anch~ 12, a cinque colpi: una cosa che nessun Anny. Anny aveva onna1 sed1c1 anni, ·•..,dopo uer autt:.,.naio molt.ealne Tie largblnim, .. , deuH dt folla..." bugig:\ttolo dove c'era una branda, p\ii l'indomani g-li propose di rimanere al suo .::civizio col compito di ~px-.z:1reil locale, di lavare i bicchieri e di mettere a posto con i pugni i clienti che a, essere attaccato briga. Era il 1900. L'ometto grigio era un greco di Cor• fù. Serafino rimase un anno con lui, e" in quell'anno imparò molte cose: dall'inglese, .1ll'utilità di quella chiaviC,l a venti metri d,d saloon, dal fondo della quale il riflusso della marea risucchi.tva n('ll'East Rivcr tutte le por• chcrie che vi cadevano dentro. Dopo un anno Serafino cambiò mc• sticre. Le f~bbriche erano sempre ,;tate l~ .,ua passione, e al paese egli aveva aiutato speo;so i muratori a tirar ~u muri. Bene o male sapeva adoperar la cav::uola_,~guirc il filo a piombo, \pczza~e 3: giusta r~età un mattone. Un picco10 1rnpn:nd1torc che aveva assunto un lotto di lavoro nei docks di South Str~ct, ne_i_pres~i del saloon del greco, lo mg,1gg10 come manovale, poi come operaio, a tre dollari al giorno. Per otto ,inni filati Serafino si immedesimò con i mattoni ~nza un dì di sosta tolte le domeniche. La sua forta erc 1 ule.1. accoppiata alla sveltezza. gli aveva per• me,,.o di di\'cntare un cottimista di primo ordine. In tutti i cantieri <li Nuova York egli era conosciuto come uno tra i migliori. Forse in città c'erano quattro o cinque murdtori che in un'ora riu~ivano a metter giù più mattoni di lui, ma Serafino li batteva tutti in re,i'ìtcnza. Nessuno riusciva in una intera giornata di lavoro a ~uperare le sue medie. La sua ~chicna era imtancabile, e con l'applicazione o~ti• nata del montanaro egli aveva pcrfc• zionato al massimo la sicurezza del suo colpo di cazzuola. Metter giù cinquanta mattoni all'ora per otto ore filate era uno ~hcrw per lui1 uno scherzo che gli fruttava perfino altrettanti dollari a! giorno. Per sé non ne spendeva più di uno. Alla sera non era più buono ,1 nulla. Rinca"a\'a, mangiava e poi cadeva sul letto come un sacco, addormentandosi spco;c;ocol toscano acceso in bocca. Abi. tava in una pensione di M'.ulberry Strcet, con altri operai. Solo la domenica ~i dava un po' di bel tempo assieme a i suoi compagni, facendosi beccare qualche dollaro dalle ghellt avide e ~apriccio<t.r che sfarfallavano nei saloo,11. ~{a "°iché era sobrio, dopo la prima notte del suo arrivo non aveva più potuto inghiottire un bicchiere di birra ~enza sentirsi male, quc'\ti svacacciatore di Montaner aveva mai visto, La brama di rivedere il paese si csal:- rl prcMo. Le accoglienze ricevute, ch'erano state grandi< ..imc, lo avevano riempito di vcrtz'Ogna. Egli ave\'a fatto soldi, ma non nel modo fàvoloso che tutti credevano. e con quelli che avcv,~ non avrebbe potuto stupire la gente. Occorreva farne degli altri ancora 1 e li avrebbe fatlJ. Intanto tra le ragazzt..· ne scelse una, la figlia del Moro, che faceva l'o,.tc. In ru.tcria, dove aiutava il p.'.1.dreG, io;èla non <t.'t:rasciupata prc~ sto come le ,1ltre ragazze del paese a portar la gerla per i ,cntieri della mo,t• tagna. Era frc,,,ca, bruna, piccante, e ~apcva rispondere agli uomini M!nza arro,<irc. Cr;1 ~tata anche a servizio in cit!à e portava le scarpe con i tacchi alti. La madre di Serafino scosse il capo quand0 udì la novità. « Gi5èla. è abituata male. :'\on sa neanche fare la polenta », ella osservò giudiziosamem•·. ~[a Serafino si mi~ a ridere, e le spiegò che a Nuova York non si usa mangiar la polenta. « Bene, ma una donna di casa deve saperla fare lo Hcsw », replicò ostinatamente la madn:. « Io ::.o cosa voglio dire». Serafino rise più forte e sposò Gi• ~èla. Poi partì, e a Nuova York stette un mese senza far niente per tener compagnia alla moglie che si trovava come sperduta in quella città. Mise su un appartamento di tre stanze in una casa dove abitava pure un muratore friulano che aveva famiglia, e quando Gisèla si sentì a posto tornò a lavorare. Per quattro anni fu felice. Ma nel 1915 scoppiò la guerra. Ser.:tfino affidò la moglie e la bimba che gli era nata al suo amico Marco, il muratore friulano che non aveva obblighi militari, e si imbarcò. Lasciava la moglie a Nuova York perché tutti dicevano che la guerra sarebbe finita in pochi mesi. fo. vece durò tre anni, dopo i quali Serafino poté ripartire. Trovò la figlia cresciuta bene, Gisèla fiorente, Nuova York impazzita dalla frenesia del lavoro. Le brJccia non erano mai abbastanza, le case non bastavano mai, i muratori lavoravano in due turni, di giorno e di notte. Per guadagnar tempo, le imprese li mandavano a prendere a domicilio con gli autocarri al mattino, li riaccompagnavano alla sera. Le paghe erano racJ. doppiate. Scr.tfino guadai:;nav:i. perfino srdici dollari al giorno, più di trecentocinquanta lire. Un giorno di ma• Iattia o di gelo era un:t S\'Cntura; la andava alla High School, era una signorina graz10sa, elegante, che portava calze di seta come sua madre, e il cappellino. Serafino partì col oortafo. glio gonfio di assegni, metà della sua fortuna, e non si voltò indietro a guardare :'\'uova York mentre il piroscafo si allontanava. A Montaner Serafino stavolta non ebbe vergogna delle accoglienze che gli fecero, con quel oortafo~lio che aveva in rnsca, ma non rivelo i suoi propo~iti. Gisèla lo aveva ammonito di comportarsi da uomo furbo, ed egli indugiò 1 disse che sarebbe ripartito e intanto sentì come stavano le cose. Tre fr,1telli di Sarmede, cui era morto il padre, litigavano per le divisioni dell'eredità. Costoro possedevano un bel podere di trenta campi, solivo e disteso sui lievi pendii di una collina. Serafino l'acquistò. Poi pennutò i pochi magri campi e la casetta paterna di :Montancr con una bella malga in mo11tagna, e infine pensò alla casa. A Sarmede non cc n era nessuna che facesse al caso suo, quella del podere crA vecchia e rozza. A riattarla, sarebbe pur sempre rimasta una casa da contadini, ma con pochi lavori per intant') avrebbero potuto accomodarsi lì, mentre ne avrebbe costruita una nuova. Quel che importava era di riunirsi, di non rimanere ancor tanto tempo separati. Erano $"ià trascorsi quattro mesi, cd egli sentiva la mancanza della moglie e della figlia. • Ma Gisèla scrisse che non le pareva giudizioso far spese in una casa vecchia, quando se ne sarebbe costruita una nuova. li meglio era non perdere altro tempo e fabbricare subito. Allora Serafino comperò un pezzo di terreno all'ingresso del paese, assoldò alcuni muratori, si tolse la giacca e si mise al lavoro, riprendendo in mano per l'ultima volta la caz-tuola. I mattoni gli avevano fatto fare fortuna, e tutta in mattoni doveva essere la casa nuova. In mattoni, col tetto di lavagna, i pavimenti di quercia, la veran• da, le finestre più larj?he che alte, il bagno, il termosifone, simile a quelle villette di Long Island tutte coperte di edera. Le donne sa;ebbcro rimaste contente. E che bella vita d'ora innan• zi! Per ventotto anni aveva fatto la bestia, la macchina da metter giù mat• toni, senza un giorno di riposo, senza mollare un ce,u, senza neppure goder• si la moJlie e la figlia, ma adesso, Cri• sto Dio, se la sarebbe rifatta! Aveva cinquantun anni, ma si sentiva ancon, giovan<', quanto Gisèla che ne avC"-.'.1. trentacinque. Tra una cosa e l'altra ci vollero sci mesi per finire L1. casa. Appena fu pronta, Serafino tClegrafò alla moglie. C mobili e tutto il resto lt avrebbero scelti le donne, magari a Venezia, e lui sarebbe andato a prenderle a Genova. Jncominciò a contare i giorni. Con che vapore sarebbero arrivate? Perché non telegrafavano? Giunse invece una lettera, dopo venti giorni. Gisèla era stata malata, non poteva partire subito. Cose da poco, stesse tranquillo, il meSè prossimo sarebbero partite. Ma il mese successivo arrivò un'altr,t lettera. Gisèla non s'era ancora rimessa bene, le avevano ordinato una cura, bisognava aspettare ancora qualche mese. Chi scriveva era Anny. Serafino dìventò inquieto, malinconico. Ora che la c.1s:i era terminata, non aveva nul!:t da fare. Senza la moglie e la fi~lia ~i sentiva sperduto e avvilito. E l'impazienza lo rodeva. Ma ci voleva pazienza. Cosa diavolo poteva avere Gisèla? Pensò di scrivere a Marco, l'amico friu• lana che abitava nella stessa casa, ma Marco non rispose. Arrivò dopo qualche tempo invece un'altra lettera, di Gisèla, stavolta. Stava meglio, era rimessa del tutto, avrebbe potuto partire, ma aveva pensato, riflettendo me• glio, che era un peccato non far termir.are le scuole ad Anny. Le mancava un solo anno ancora alla High School, e Anny voleva prendersi il diploma. Perché non accontentarla? Quanto a lui, era inutile che per un anno solo tornasse a Nuova York, tanto più che aveva da badare al podere e alla casa. Un anno ancora? No. Serafino non se la sentiva di starsene un anno intero in solitudine. Era inutile che Anny prendesse il diploma. Facessero i bauli e partissero. Lui voleva così. Il carteggio con Gisèla durò un altro paio di mesi, poi essa non rispose nemmeno più alle lettere di Serafino. Non gli restava che partire ed andarsi a prendere le sue donne, ma quando si recò al consolato di Venezia per il vi• sto sul passaporto, glielo negarono. Certo come era di non dover più riandare a Nuova York, egli aveva lasciato trascorrere un anno senza chiedere la proroga di temporanea assenza, come voleva la legge americana sull'immigrazione, ed ora aveva perduto ogni diritto al ritorno. Ci voleva un permesso nuovo, un numero in quota, ma c'era più di un milione e mezzo di pcrson'! che aspettavano il loro turno. Niente da fare, non rimaneva che attendere, rassegnarsi che Anny compisse gli studi. Serafino tornò a Sannedr, portò in casa nuova alcuni mobili~ si prese una serva e rodendosi il fiele attese. Ma che faceva Gisèla, che non rispondeva neanche alle sue nuove lettere, nelle quali gli dava il consenso che fino ad allora aveva negato? Le notizie finalmertte arr;v.irnno, ma nno per posta. Eta l'amico Marco che gliele mandava a voce, per mezzo d'uno di quei giovinotti di Montaner a cui Serafino aveva procurato lavoro a Nuova York. Marco non aveva avuto il CO• raggio di scrivergli simili cose. Ma la verità era che Gisèla non sarebbe mai più tornata. L'unico in tutta Mulberry St~eet a ignorarlo tra Serafino, ma ora bisognava che lo !lapcsse. Da molti anni Gisèla se l'intendeva col figlio di O'Sannon, il bottegaio. Da qualche mese onnai, da quando era stata si• cura che Serafino non avrebbe più potuto tornare - e l'aveva detto a destra e a sii:iistra che il colpo lo mcdi. tava da tanto tempo - aveva venduto i mobili dell'appartamento ed era p:1.rtita col suò amante, nessuno sapeva per dove. Anny. anche Anny era andata con lei. Altro che a scuola. Da quando lui s'era imbarcato 1 tutte e due, ·madre e figlia1 a ballare t\ttta la notte, a divertirsi; la sera stessa della sua partenza avevano fatto un festino in casa! Yla l'acquisto del podere, LL fabbrica della casa? O bella, tutto calcolato! Era per lasciar passare il tem~ po, quell'anno appena di tempo che ci \'oleva per rendere impossibile il ritorno del vecchio, per fargli dimenticare di chiedere la proroga. E adesso1 che se ne stesse pure nella casa nuova, che badasse al suo podere, che facesse quello che gli pareva. Si immaginava che loro due, abituate a Nuova York, sarebbero andate a seppellirsi a Sanne• de? Mezzi denari erano rimasti a loro. Gisèla aveva preso di nascosto la carta di cittadinanza, Anny era nata in America, lui era rimasto di Montancr. Bene, ognuno al suo JJaese, e good b ye:, good bye, Serafino ... L'edera e la vite vergine s'erano arrampicate pian piano su per i muri di mattoni, avevano coperto il tetto di lavagna, ,erano ricadute in restoni • selvaggi e dondolanti dinanzi alle finestre deTla casa. Serafino aveva urlato come un arrostito vi\·o, poi piano piano t anche lui s'era calmato, s'era messo a bere, a giocare all'osteria, a bere sempre più, di mattina, di giorno\ di notte e il vino gli aveva gonfiato la lingua' che quasi non poteva più parlare, e gli a• veva gonfiato il ventre che non potevj, quasi ~amminare. Non usciva più. Oi tanto m tanto la casa deserta e chiusa risuonava di grida, di gemiti, di orrende best~mi:i1.ieintramezzate da cinque detonaz1om. Era Serafino, col fucile a ripetizione che aveva donato a suo padre, che sparava contro Gisèla, contro la fotografia di Gisèla inchiodat:1 ad un albero. Serafino spendeva parecchio dal fotografo ambulante che gli faceva le copie della fotografia e dall'armaiolo. (,,luando risuonavano quelle fucilate, le vecchie si facevano il segno della croce, ma le ragazze si gu.irdavano strizzando l'occhio sorridendo maliziose. Una donna in Samba. Gisèla! TITO A. SPAGNOL
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==