Omnibus - anno I - n. 11 - 12 giugno 1937

• - --- ( ILSORCNIOELVIOLINO) DI POPPEA D.L',ZBDI JIA BUSKAJA Firenze, giugno. UNA VOLTA, cinquant'anni fa, il Ministro della Pubblica htruzione chiese a Giuseppe Verdi qualche indicazione e consiglio sull'insegnamento da impartirsi nei Conservatori di musica. Eran pareri qucati•chc a Verdi non piaceva di dare; comunque, rispose prcss'a poco cosi: - D1rc1 dì far studiare &(fii allievi Palestrina, Luca Marcnzio, Cavalli, Benedetto Marcello, eccetera; e5cludcrci soltanto Monteverdi, perchl non sa dispor-re le parti,. Citiamo, senza commenti, questo 1ingolarc giudizio, a proposito dcll'/ncorona:iionc di Popp,a, che fu l'ultimo grande spettacolo lirico del Maggio Fiorentino. Ouni.ntc la prima recita che ebbe luogo poche sere fa nel giardino di Palazzo Pitti, una signora, voltandosi al marito, chiedeva: • Spiegami una cosa: la musica è di Monteverdi?,. •Ma no,. • E di chi è allora?• • Oh mio Dio, era di Monteverdi, adesso non so più; forse è di chi la vuole•. Le parti dello spettacolo ,,,olgono in una forma rappresentativa un po' troppo s,•as.ata e dispersa i motivi della famosa opera. Il pubblico, per quanto a volte un po' disorientato dalla novità dell'ambiente e dalla lentezza e lontananza di questo melodramma, mostrò di partecipare con discreto slancio all'azione lirico-coreografica, coronando di applausi che non giungevano alle stelle gli sforzi della regia e degli artisti. • Dirigeva la recita ilmaestro Gino Marinuzzi. In quella atmosfera d'acquario, fra certi trasferimenti di luci, galleggiavano le interminabili cadenze e i queruli accenti dello spartito, felicemente. " ... SONOQUASISEMPREOLI EBREl OKE FANNO008TRUIRE QUESTETOICBE.. ·"· 11 problema acustico era risolto di per ~. L'aria fresca, anzi umida del giardino di Boboli, era un veicolo ottimo dei suoni. Un gran castello di impalcature gigantesche era stato costruito sotto il Palazzo Pitti: travi, usi, puntelli, un arsenale di legname, come per l'imminenza di un varo. Anzi passando lì vicino si aveva l'impressione che 1i trattasse di varare addirittura P11azzoPitti sulla 1ottosta.nte piuza, che di questa uagione è un vero lago di polvere. • Stasera ne vedremo delle belle•• diceva qualcuno alla vigilia dell'avvenimento. Chi avrebbe mai immaginato che da queJle impalcature, di cantiere navale, ai a.arebbcro !cv.ti ad un certo momento, con un respiro numero10, le voci di un coro, i suoni di un'orchestra, le moduluioni dei cantanti, e u.rebbero sbucate le ballerìne a a.ciami, fluttuanti fra l'ombra e la luce come m una flm't, e finalmente avrebbe dilagato la rapprescnta- ;uone di quest'opera, scritta più di trecento anni fa, dove ormai IA, musica, misch.iata alla musicologia, rinasce in se stcasae muore, e ai confonde continuamente. Liturgia sommersa, rivoltata, ripescata, ricomposta, e ancor tutta piena dell'intollerabile lamento cor- .gianesco dei madrigali antichi. Infittì la musica, un po' unifonne, di quest'opera tutta su un tono tenebroso, platonico e dolente, fa pensare a Petrarca, poi a tutte le Accademie e a tutte le Arcadie del bel tempo antico. Ci voleva del contorno coreografico, del colore, e del movimento di scena per presentare al pubblico un'opera cosi sprovvista di quel che ~ indi!!pcnsabile nel teatro lirito, e siamo lieti che la prova sia riuscita a tutto vantaggio degli organinator.i e degli _interpreti, che condussero la recita cosi m1rab1lmente e la conclutero fra il più convinto e caloroso succe,so. La parte più riuscita di questa eccezionale rappres.cntuione furono i figurini disegnati dal pittore Sensani, che riuscl ad animue e a ingrandì~ i per$0naggi, facendoli sembrare altrettanti grandi uccelli eroici, tutti gonfi di piume immortali; che pigliavano il volo, alm<-no con la voce, e però cantavano meravigliosamente. Quando si pensa che c'erano m scena forse una quindicina di prime donne impennacchiate e• pompose come dei pavoni, dei fagiani in un parco,si ha un'idea df'li'acuriosità, della bizzarria e della pienezza che per parte sua il vestiarista aveva introdotto nello spettacolo. Nerone sembrava il Re Sole, e la sua corte era piena di marchese e di baronease in barocchi costumi magnificentissimi. E la recita s•~ ripetuta cosi tre sere, con buoni risultati anche di cassetta. PRIMA_dichiudere i cancelli del giardino di Boboh, e d1spegnere I lumi, prima di ridiventare il regno delle zanzare e dei pipistrdli, ebbe luogo nel cortile del Palazzo Pnti un'unica npprescntazione di danza offerta dalle allieve della scuola di Jia Ruskaja. Ognuno sa con quanto amore di analisi questa gentile arti.sta tragga fedelmente dalle più vaste opere dell'architettura musicale le sue composizioni coreografiche, nobili edifici che stanno senza cadf're o tentennare di fronte allo stile co,truito e severo dei più grandi sinfonisti, tuttavia aua.i più che per la severa e profonda dottrina, con la qu~le Jia R~skaj~ $1 orienta fra la contra.stante 11multane1tàde1 contrappunti monumentali, come per esempio nella danza •Credo• di Bach-$onzogno, la sua arte vuol esser seguita e riconosciuta più in alto, in certe supreme e infinitesimali espressioni di equilibrio, e in certi rapporti senza peso, che il fiato ampio e lieve dell'i1pirazi_one ,olleva e altera di continuo, e svolge, piega e trasporta delicatamente. Le dicci allieve riempiono la scena, e per due ore di programma rJescono a trattenere e a soggiogare il pubblico, senz'altri meui vistosi, o_acccs~ri deconativi, con la loro f(raz1asohtar.ia d1danzatrici. Qucata ~ la con• ferma più evidente dell'eccezionale valore della scuola di Jia Ruskaja. La rappresentazione unica che ebbe luogo martedl sera a Firenze suscitò del resto nel numeroso pubblico il più vivo entusiasmo. BRUNO BARILLI LA stazione della Magliana, sulla ferrovia Roma.Ostia, pochi treni si fermano. A dire il vero1 non si capisce neppure perché abbiano costruito quelle due passerelle sopra i binari, quei semafori e quella stazione: intorno non c'è traccia di paese; non appare che un ponte cli ferro sul Tevere, un'osteria e una casetta per gl'impiegati del dazio. Sul• Ja vicina autostrada le macchine pas• sano fi!thiando e sollevando una ven• tata d'aria calda. A ridosso di una collinetta, fra il fiume e la strada ferrata, ceco l'ospedale per i cani. e Questo è il paradiso dei cani », mi dice ~ubito il giovinotto che viene a girare la chiave del cancello per farmi entrare: « adesso ne abbiamo sol• tanto una trentina, di ospiti, fra cani, gatti e scimmie; ma non tutti sono malati; noi teniamo anche una pensione >. B. un vicentino, innamorato della sua professione di infermiere e custode, gentile con tutti come lo è con le sue bestie. Parla pochissimo, come quei pastori che svernano in Maremma, soli con le loro pecore. « Il dottore non c1è >, m.i dke, e ma se vuo! entrare le farò conoscere sua sorella che vive qui». Mi conduce, fra l'abbaiare di una squadra di pechinesi che ci corre dietro, alla palazzina centrale, e mi mostra l'infermeria e la sala operatoria, Poi mi dice di accomodarmi in un salottino. In un angolo si vede una cesta piena di cuc~oli, il tclefo.10, la radio, una piccola biblioteca con libri di Fogazzaro e di Eleonora Glyn. Il più usato di tutti, il libro più letto, è e La certosa di Parma » di Stendhal. La sorella del dottore viene ad accogliermi con cortesia. Proprio come me la ero immaginata, è una signorina non più giovanissima, una massaia in continua agitazione per i suoi protetti. Conduce una vita poetica, fra le galline, i fiori e i suoi pensionanti. B. lei che mi guida per il canile modello. C1 sono due boxes, circolari, con una stufa nel mezw per riscaldare l'ambiente d'inverno; intorno intorno ci sono le porticine dei canili con uno spioncino per la sorveglianza. All'esterno gli animali sono divisi uno dall'altro con una rete metallica. Tutti stanno accucciati con la lingua fuori, e nemmeno si muovono al mio passaggio. Si vede che sono cani signorili che non scompongono la loro attenzione per il primo venuto. Un bel danese passeggia con aria superba, i raftterriers, gli scotchs, i fox francesi se ne stanno all'ombra e aprono pigramente un occhio per salutare la padrona. Quelli malati tossicchiano e stanno mogi. C'è un volpino bianco e vec• chiotto con un catarro da vecchio fu. matore. E abbastanza vivace, ma antipatico. e Qui c'erano i cani del Principe Co• lonna », mi annuncia la signorina, aprendo un canile vuoto, « erano quat• tro bellissimi boxers ». In generale, però, è la colonia stra• niera di Roma che dà maggiori affa. ri all'istituzione. I tedeschi e gli inglesi vanno pazzi per le loro bestie. e Le farò vedere anche il cimitero; vedrà le ultime manifestazioni di questo amore». Passiamo al reparto gatti e la mia guida deve allontanani per sorvegliare l'arrivo del furgone carico di carne di cavallo, che è il cibo più adatto. I gatti se ne stanno, come al solito, enigmatici e immobili: non sono amici dell'uomo. Ce ne sono almeno una doz• zina: un lascito di una vecchia signora per i gatti che aveva raccolto. Ma quale sarà la loro sorte? Un nipote crudele della buona signora ha impugnato il testamento. C'è anche una scimmietta. e .e di una cantante tedesca », mi dice la padrona che è tornata, e una stella del varietà : è carina, non la scimmia, la cantante; ma non mi piace. E poi viene molto di rado a vedere la sua bestiola ». Adesso mi apre il cancello del cimitero dei cani. B. tutto pieno di fiori : rose e margherite. Sembra• uno dei tanti cimiteri•giardinetti che si vedono nel Tirolo o nei film romantici. e Sono quasi sempre gli ebrei che fanno costnlire queste tombe, sa. Poi vengono spesso a portare fiori e a piangere. Uor~ini se ne vedono pochi; sono tutte signore, 'e anche giovani, che fanno dei lunghi discorsi ai loro cagnolini interrati>. La donna pesta fra le tombe con ~olta i~differenza. Io cammino sopra 1 tumuh come sulle lastre sepolcrali che stanno sul pavimento delle vecchie chiese : con un po' di risf>Ctto per chi sta sotto. Poi leggo le iscrizioni. Sulla stele di marmo dedicata a un pcchine5e, leggo queste parole : BELLISSIMA VIOLA DA FEROCE CANE LUPO SBRANATA TANTA GIOI A FOSTI TANTO DOLORE SET DELLA FAMIGLIA G. Chi ci fa la Wligliore figura t il feroce cane lupo. Un'altra epigrafe t degna di un poeta. Es~a si eleva sopra le altre come il poema dell'amicizia e della fede in una vita migliore. RUST] MIO FEDELE A.\/ICO IO SPERO NELL'IMMORTALITÀ DELLA TUA NOBILE ANIMA PER RITROVARTI UN GIORNO Si pensa al sogno di Charlot in cui anche le guardie, diventate buonissime, girano per i quartieri non più malfamati suonando l'arpa e con un bel paio d'ali appiccicate sulla schiena, e in cui i cani, fomiti di alucce candide, volano dietro le signore dell'Esercito della Salute. Ce ne sono un centinaio di queste iscrizioni, tutte pietose e commoventi. Non mancano i vasetti da fiori, le lampade e Lux aeterna », i dagherrotipi di pechinesi e di volpini. « F.cco, vede, sono tutti cani piccolini quelli che ricevono questi tributi d'affetto; i cani grossi, i lupi, i maremmani, sono sotterrati in campagna o buttati nel fiume dal loro padrone. Sono più intelligenti i cani grandi, e pare che lo siano anche i loro padroni :t. Quando usciamo e ci chiudiamo alle spalle il cancelletto, ci accoglie un allegro abbaiare di cani. Guida il coro un ma.nino tibetano soprannominato Landru per le sue malefatte. e .e venuto anche il film Luce, qui», mi dice la signorina, e e ha ripreso tutto quanto». Uscito dall'ospedale, mi incammino per un viottolo polveroso che conduce al fiume; il viottolo è deserto e infuocato. Ad un tratto vedo venirmi incontro, pian piano 1 un vecchio cane con la lingua che gli penzola dalla bocca. Non ha razza, t un bastardo, un cane da pagliaio, come s'usa dire, magro e con le costole che premono contro la pelle sottile. Mi passa accanto senza volgersi, con la testa bassa. Certamente cerca un pezzo di carne, un po' di pane, un boe· eone. Sfiduciato, cammina senza meta, sotto il sole cocente, senza sapere d'essere nei pressi dell'ospedale dei cani, dove i suoi fratelli più ricchi vivono CO· me nababbi e dormono nelle cuccette ijnbottite. Non ha pedigree, questo po· vero calle randagio, non ha un nome la sua razza, non è un cane che possa accompagnare a guinzaglio una bella signora capricciosa, lui; nessuno, veden• dolo, direbbe : e Che splendida bestia » ; no, non è splendido, è solo un cane senza storia, senza antenati; non ~ venuto da Londra in un cestino di paglia, suo padre non ha conosciuto cortili di lords: è un povero cane che non troverà mai un·a zitella che gli paghi la pensione alla casa di conforto che è qui a due passi. Vaga da una strada all'altra, questo bastardo, in cer• ca di un osso, finché non troverà l'accalappiacani. MARCO CESARINI NOVIT A FOSTUJY.[.A 1mlH~lnlMuHlffH .A.L MAGGIO FIORENTINO Firenze, giugno. SUL CASO PIRANDELLO sussistono alcuni equivoci. Lo so. È, bene chiarirli subito. Tanto più che essi equivoci ,ion possono essere chiariti dai diretti responsabili della fama di Luigi Pirandello. Su essa fama si è pronunciata per lo più gente poco attendibile. Nel teatro c'è un che d'impuro. Difficilissimo traversare il palcosct"nico senza riportarne qualche macchia. Coloro che sul caso Pirandello avrebbero potuto pronunciarsi con maggiore attendibilità, furono messi in sospetto dal •fatto• teatro. (Gl'intelligenti d'Europa hanno considerato per molti anni il teatro come un luogo infame). Per« girare• l'ostacolo, si è tentato di sostenere la superiorità di Pirandello novelliere su Pirandello drammaturgo. Scappatoie/ Ma nonostante il teatro, questo «stagno•; nonostante altri «stagni• che ci separavano, - Lui che si aggirava in un mondo cosi diverso dal nostro; Lui che aveva l'aria di farsela con gente che per noi è un magma nero e senza voce; Lui che stranamente era implicat0 tra gli • autorevoli•, questi pappagalli scoloriti, - nonostante tutto ciò, quale oscura, quale sottile ragione ci faceva stare con l'orecchio teso alla Sua voce, l'occhio pollino volto ai suoi gesti? Quando Alessandro che traversava la Persia vide una notte fiamme altissime levarsi dallo. terra, lì per lì non capi che quelle fiamme un giorno avrebbero fatto guadagnare milioni a un signore chiamato Dctcrding: avverti parimente uno di quei fatti inesplicabili, che in un primo tempo si, aprono• con la parola-chiave: Dio. Eit deui in Pira11de/lo. E il • complesso di superiorità• noi lo sentiamo a distanza, come il rabdomante sente l'acqua. Strano a dire, questo stesso complesso di ·superiorità, il suo potere radiante, contribui a creare intorno a Pirandello una zona di attesa, per non dire di sospetto. Tali e tante erano state le Jrtgature, che la, superiorità in arte• fu messa in osservazione. Presso i « aapienti •, presso i 1 migliori• diventò regola e disciplina ridursi e macerarsi, diffidare della superiorità, dirne male. E i pittori si restrinsero a "bozzettarc •, i letterati a • frammentare•, i poeti a dar fuori in occasioni rarissime versi minuscoli e a coppiette co• me le ciliegie. Il e complesso di superiorità• non implica necessariamente • fare grande•. Una artt che rappresnita non è mai superiore, per grande che sia il cuore dell'artista, per vasta che sia la sua anima. Arte « superiore• è , arte come passaggio a un mondo superiore•· !::. arte che risolve il problema della vita, che immette in una soluzione felice e immutabile. Luigi Pirandello fa parte di questi orgogliosi « traghettatori •. Sta in compagnia di Picasso, di Giorgio de Chirico, di Strawinski. Artisti che non si possono esaminare, che non si poHono attaccare, tanto meno con gli strumenti comuni della critica: invulnerabili alla critica comune. L'arte, questa • soluzione superiore•, obbedisce a leggi precise, a una sua etica; contiene una sua armonia, una sua architettura, un suo galateo. Non basta • scoprire, il passaggio, indirizzarsi per quella via. Oltre che uomo del 1. passaggio•• è arrivato Pirandello alla •soluzione•• ha obbedito alle leggi, all'etica del mondo « superiore,? Anche Pirandello, come Mosè, è morto in vista della Terra Promessa. I Gi'ganti della Mo,rtagna sono la « Sua• Terra Promessa. Le idee• filosofiche• di Luigi Pirandello, il suo • parmenidismo li, l'equivoco tra apparenza e realtà, noi non interessano: non debbono interessare. Una maggiore scaltrezza avrebbe aiutato Pirandello a evitare il •debole•• lo •scoperto• di esse idee; gli avrebbe procurato più presto la simpatia dei •diffidenti•· Ma perché i • diffidenti• per parte loro si ostinano a prendere alla lettera le idee • filosofiche• di Luigi Pirandello? Queste idee sono i temi) i pretesti, diciamo addirittura i • trucchi• che alimentavano il •dramma• di Luigi Pirandello: il « dramma del passaggio,, l'affannosa, allucinata ricerca di una evasione da« questo .mondo•, lo sbocco in un mondo • Su• penore •. Che l'opera di Luigi Pirondello sia •chiusa• nel dramma del passaggio, che la soluzione sia appena intravista, cc lo dice l'angoscia continua, la volontà di speranza, la nostalgia inestinguibile, la tristezza, il •nero• che come una gran sete la divora. Comunque, nessun altro drammaturgo si è spinto così avanti verso il confine fra dramma e soluzione del dramma; non certo Bernardo Shaw, le cui qualità sono quelle, magnifiche e sviluppatissime, del1 'uomo-scimmia. Non per nulla il nome • agrigentino• di Luigi Pirandello significa: angelo di fuoco. La sera del 5 giugno, seduti nella e Meridiana• di Boboli, in mezzo a quanto di meglio offre l'Italo Regno in fatto di smokit1gs bianchi e di ascelle odorose, in quanti eravamo ad accorgerci che l'avventura «nera, di Pirandel1o era terminata, che cominciava l'avventura •colorata»; ma che, sopraffatto da questa grande « apparizione• di felicità, Pirandello s'era seduto, sta.neo, aveva chinato il capo, e su que, •colori• così nuovi per lui, co.sl promettenti, cosi confortanti aveva chiuso gli occhi? Mentre pàpere e fringuelli si smarrivano intorno nel labirinto dell'• essere• e del « non essere•• un medaglione di luce si apri nel cielo notturno, la faccia vi s'incastrò di Luigi Pirandello con l'occhio a punta (di là da un certo limite, gli uomini usano un occhio solo) e sorridendo nel barbino accennò che ci eravamo capiti. Quanto poco • autorevole• fosse Luigi Pirandello, quanto poco tagliato per la tribù degli •autorevoli•; quanto poco le contingenze della vita lo avessero staccato dal Suo destino di uomo tragico e solitario, ce ne accorgemmo quel giorno che andammo in casa Sua, e Lui stava al piano di sopra: immobile, .silenzioso, parato per l'ultimo viaggio. Ibsen csordl con Pur Gynt, continuò con quegli • esami clinici» dell'anima bor• ghese, che dettèro nascimento all'ibscni• smo: passò da una forma di adolescenza dell'anima, alla curiosità senile e alla II burocrazia dello spirito•· Confrontata a Pur Gynt, l'opera prettamente ibseniana di lbsen costituisce una rinuncia. In Pirandello avviene il contrario: dal secco pirandellismo, Egli sale a poco a poco alle aspirazioni supreme, alla volontà di grandezza, a quel gaudio poetico che, quando è pieno, si manifesta pure con una forma di adolescenza nella vecchiaia. Segno di progresso e di ascesa. Non dirò che i Giganti d~lla Montagna sono il Pur Gynt di Pirandello, non lo dirci anche senza la posizione opposta che queste due opere occupano nell'opera complessiva dei loro rispettivi autori, Dirò che i Giganti della Montagna sono la , Tempesta, di Luigi Pirandello, senza ombra, beninteso, di un neppur lontano sos~tto di derivazione, ma per questa sola analogia, che tale è in entrambe queste opere l'autorità della poesia, che il poeta dimentica leggi, cànoni, freni, condi%ioni 11mane, e vive di là dal mondo, nella vergine libertà di un nuovo mondo conquistato. Gli effetti della poetica autorità si avvertono subito. La parola erbosa, terrosa, rugginosa di Luigi Pirandello s'è fatta distanziare da un verbo più sottile e tra• sparente: un verbo nel quale traccia non rimane della rozzezza del sesso - l'insopportabile •sesso• delle parole di un Verga, di un Capuana - e prelude al divino ermafroditismo del linguaggio dei poeti: « Il giorno è abbagliato; la notte è dei sogni e solo i crepuscoli sono chiaroveggenti per gli uomini. L'alba per l'avvenire, il tramonto per il passato•· La gente - e non quella soltanto che era raccolta a Boboli il 5 giugno, ma tutta la gente sparsa per il vasto mondo, - si domanda: «Che significa?», vuole scoprire il gioco nascosto dei simboli, aggirarsi tra i convegni verbali .. 11 galateo non si ferma al solo modo di comportarsi in società: si estende al modo di comportarsi davanti a un'opera di poesia. E questo galateo superiore insegna che domande di questo genere, non si debbono fare. La prima volta che sotto le stelle di que~ sto e dell'altro polo, ci avviene di vedere uno spettacolo pensato, parlato, colorato (il colore sulla scena ha un'importanza enorme), rappresentato, e senza traccia di quella gelatina estetistica che, per noi, trasforma il Sog,ro di r.ma notte di mezza estatt in una notte dì tortura. Avremmo preferito che Pirandello ri• nettasse la propria opera di qualche macchiolina estetistica: la • Dama rossa che appare come fiamma•. alcune fantasie troppo fantastiche e però estetizzanti, qualche • siciliancria li nei nomi, e queste pure estetizzanti, come Sgricia, Cuccurullo, Quaquèo ... Avremmo desiderato del pari completa abolizione di delirio e dolorismo nella parte della Contessa. Ma in quanti siamo cui certo pothos femminile fa accapponar la pelle? I Giganti ddla Montag,ra sono stati allestiti in modo perfetto da Renato Simoni. Ottima l'architettura scenica di Pietro Aschieri. Ottimi gli attori: Andreina Pagnani commovente nei sogni deliranti, Memo Benassi (quando non cammina con le ginocchia piegate), Carlo Ninchi (quando non fa troppo il ventriloquo), gli altri. Qualche filo di • birignao• nelle • voci interne li, La parafrasi nel corteo dell'angelo Centuno delle illustrazioni filiformi di Botticelli per la Comm~dia, troppo bella , in quell'altro modo• per piacere a noi. ALBERTO SAVINIO LEO LONGANESI - Direttore r~ponsablle !I ,\. EDITRICE ,,O!>t~IUliS•. \111.AXO RIZlOI.I .,\; C • .\n. ptr l'Arte dtlll Stampa \hllr>e> Rll'RODl"7.1O~\ ESEC::UITF. COS \I.\TERI.\LE la'OTOGR.\FI("(? oiFF.RR\,t\,

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