O ■ IV•~! U S I LAVORATORI DEL MARE 7 i I I IDllill W®~~I21 Jlffi(Jfill~~® [DAL NOSTRO INVIATO] Porto S&nto Stef&no, rturno. I E LEI '.\-11PAGASSE tut10 il carico del pc\Cc, l'uno per l'altro a tre lire il eh.ilo, quando arriva il mio motopeschereccio in porto, glielo cederci più che volentieri. Anche a due e cinquanta, via. Mi rispannit"rebbe il lavoro di portarlo a Roma. E io ci avrei il mio gua• dagno sicuro>. 1J signor Loffredo era il proprietario del motopeschereccio .~fontargentaro, il più reputato peschereccio appunto dcll'Argcntaro, ch'egli a\"eva fatto costruire secondo le sue idee e i suoi gusti, e sovra.tutto Sf'condo la sua esperienza, avendo navigato per venticinque anni a bordo d'un veliero, conoKiuti i mari fino al Levante e alla Spagna. e Lei lo ha visto, il Montargentaro? Si riconosce subito ecrché non somiglia a nessun altro. Quando fu varato due anni t mezzo fa, tutti dissero che 5arcbbc andato subito a fondo. Difatti è un po' toi1:o. Ma c'è la sua ragione>. « e il miglior motopc,i;chereccio di Santo Stefano>, di,i;sc il padrone de l..a Paa, che non aveva anoora parlato. e Quanto ha portato ieri sera?> e Diciotto>. e Diciotto quintali, ha inteso? Tiene il primato di questi posti. Ma ha un capopesca che sa il fatto suo. e uno di Port'Ercolc >. e Tutto l'equipaggio è di Port'Ercole >. « Come? Hai tutta gente di Port'Ercole? > Poi rivolto a me : e Vanno lontano, in posti che nessuno conosce. E non dicono dove vanno. Anche col tempo peggiore tornano a ca.sa con un buon carico. Finora, il miglior carico di tutti». e Già, s'è stabilita una specie di gara>. Il ~ignor Loffredo disse questo 'IOtto,·oce, riflessivamente. Egli parlava del resto ~mprc sottovoce, con quella di,.crezionc che è propria dei marinai, la cautela, quasi il timore di gua~tarc col pen-.ii,:,roqualc~a che sta accadendo, e che dipende da elementi tanto inC'erti: il mare. Il signor Loffrcdo aggiunse: e Io non mi occupo di quello che pese.ano gli altri. lo non de,i;idero altro che di cavarmela, perché ho delle spese : la nafta, sette uomini d'cquipag1çio, e la nave che è co,tata cent~ttantacinquemila lire ... > e Sbor,i;atc una sull'altra», aggiunse il padrone dc La Pt1ce. e Il pc!.t;e costa cosl caro >, dico io. e A Roma >, disse il padrone de La Pau. e A Roma. Sa quanto lo pagano ai ).fcrcati Generali? Di' quanto lo pagano? Una e venticinque, due lire il chilo al massimo>. e Maf{ari foc;.serodue lire! > mormorò il "'ignor Loffredo. e Lei sa quanto pesce hanno butt.lto come rifiuto il giorno anniveoano dell'Impero? Quattrocento qufotali. Avevano telegrafato "a tutti i porti d'hai ia : mandate peKC. Poi ne hanno .seppcJlito qu.attrocl·nto quintali. Il lavoro, può pensare, di quanti pescatori ». « ~fa lo pagano>. e Pagano? Vi comunicano che è invenduto, e non pagano un soldo >. e C'è anche questo>, disse riAeMivamente il signor Loffrcdo. e Ma dico, potrebbero venderlo in tempo a prezzo ba!SO. E cibo, è nutrimento, è grazia di Dio >. e t. lavoro, caro signore, è lavoro>, dice il padrone de La Pt1u. e ~ia lo vada a dire un po' a loro >. La acatola di linea In quel momento pa,i;sava traballando, riempiendo di sé tutto l'abitato, sopravvanzando le ca,i;e più ba.s5e, l'autocarro col rimorchio del Monte Argentaro. Poi un altro, un altro ancora. Questi autocarri si muovono la sera, e i viaggiatori della linea di Pil.a lì vedono sulla 5trada rotabilr. Arrivano alle due di mattina a Roma, ripartono alle nove di mattina, sono nuovamente all'Argentaro '""rso le quattr0. E CQ4.i tutti i giorni. Gli uomini che aiutano a scarican:- -.ono due e dormono a bordo. Tutti i giorni. e E del resto, i pcKatori, non ~no in mare tutti i giorni? > e Tutti i giorni?> < Trecento giorni dell'anno. La notte sul 5abato, e la domenica fino a sera stanno a casa. Ora è venuto di moda che non rimangono a ca-.a altro che quando il mare è proprio cattivo. Quc11,t'anno~no rimasti a casa, quanto?> e l7n giorno 5Utrecento:>, disse il signor Loft redo. Ma quel giorno non 1i p<1teva u~rin• >. « E ormai fanno doppino due volte Ja ,ettimana. Lei sa C'he co~'è un doppino? Quando i marinai !tanno in marl• due giorni e due notti. Ieri l'altro tornarono dopo tre giorni. Quanti quintali, di'?> e Quindici. Soltanto quindici. Ma non erano buone giornate >. « Vorrei imbarcarmi per un doppino >, dissi io. e Va bene>, disse il signor Loffredo. e Quando vuole ». Gli autocarri avevano svoltato la punta tra un nuvolo di polvere. Poi più tardi la motocicletta di qualcuno che portava un carie.o al mercato di qualche città vicina. La notte è di questa vita occulta che reca viveri veMO le città amdiate dai bisogni, verso i luoghi che comperano facilmente, che non sanno ormai più della vita tanto la vita è divenuta complessa, e~orrne, separata. lo ero distante appena cen.. t~inquanta. chilometri da Roma 1 e m1 trovavo m un mondo estremamente lontano. La notte è di quelli che tentano dalle spiagge più remote di raggiungere le città, i mercati; qualcuno p.ute dalla costa dell'Adriatico, dalle Marche, col suo carico di pesca su un rimorchio, guidando la motocicletta dopo aver guidato il suo motore in mare; ha fatto una notr" · pesca e un'altra la farà in vi.,ggio. Per istrada incrocia altra gente, quelli che portano pane e uova, mentre qualcuno, con la sua scatola di zinco, in un vagone di terza classe, porta pochi chili di triglie o di sogliole. La pesca sull'Adriatico è difficile, il mare ha pochi approdi; d'inverno, p<-r accostarsi alla terra, bisogna lavorare reminudi in mare. Per via di questo lavoro ingrato una colonia intera di marchigiani ha abbandonato quelle rive, e risalendo il mare, per tutto lo stivale, superati Messina e il golfo di Salerno, si è !tabilita a Bocca di Magra. Dove la terra è magra, la gente cerca il mare. E la storia della Llguria. Poi, c'è una zona, le Cinque Terre, dove la terra è povera. e la pesca è impossibile: il luogo è chrnso dalle barriere dei colli a picco. La gente si è arrampicata sulla montagna, la gente che non ha evaso attravcn.o la stretta fenditura del masso su cui si rompe il mare; e ha costruito tutta una scala di baluardi di muri a secco per reggere la poca terra; vi ha piantato la vite. Dall'alto di questi baluardi che corona in genere una caq, a cui -.iisale per una scalinata infinita tra muro e muro, si vede il mare coi navicelli che passano al largo. La terra non offre quasi più approdi fino a La Spezia, e poi più giù fino a San '.\-lartin della Pescaia e il golfo di Talamone. ?-.fadove c'è il modo di teneni al riparo, gli uomini hanno armato barche, paranze, motopescherecci e tentan·o tutti i giorni le fortune del mare. Molti sono spinti dalle cattive annate, e da quel flagello che ha distrutto in pochi anni molte vigne : la fillossera. Ne ha distrutte alle Cinque Terre, e i vr:. gnaiuoli sono stati costretti a mettersi in mare, mentre le donne rimaste a casa, e i vecchi, ripiantano la vite gio. vane filo per filo, secondo i pochi ~Idi raggranellati e le economie degli uomini che navigano. Questo equivale a un disastro, a un terremoto, vedere la vigna spogli~i, intisichire, dopo anni di selezione, per cui la vite s'era adattata al luogo, aveva formato una specie famosa per tutte le contrade dei vignaiuoli, e qualcuno nelle sue peregrina:z.ioni l'aveva portata come una essen7.a provata e indurita da una lunga esperienza. Anche qui ali' Argentaro ho trovato Ja stessa condizione. Scalare un colle di roccia, disporlo a terrazze di pietra squadrata, trasportare per la costruzione delle fabbriche la troppa pietra che rimane, portare lassù la terra a sacchi, colmare la fossa, e su questa pian• tare la vite è un lavoro di generazioni. Tra le arti che gli uomini dcli' Argentaro 1anno esercitare è questa della pietra. La pietra è a suo modo una ricchezza. La fantasia può lavorare su queste cose. Ricordo per esempio che una materia prima che manca alla Russia è la pietra. Non ve n'è negli Urali, o nel Caucaso, e perciò le strade sono difficili da costruire, difficili da colmare i binari dei treni, e perciò quasi tutta l~l contrada è fatta di abitazioni di legno. C'è penuria di pietra come da noi c'è mancanza di terra. li problema delle strade in Russia è un problema secolare da cui dipendono molte cose nella pace e nella guerra. Qui invece la pietra è troppa, bisogna far saltare i ma~i con le mine, liberare la poca terra che è buona, arida, bionda e feftile. Intanto la popolazione ai piedi della montagna si moltiplica incrc<li· bilmente, e bisogna dare da mangiare ai ragazzi, La fillossera ha portato la rovina ; e niente è più crudo di questi ba!tioni di pietra costruiti in modo ciclopico, che ricorda architetture di mondi primit.ivi, vuotj e deserti. Sul lavoro dei padri messo su con le mani aride dei cavatori di pietra, con le mani intiriu.ite e dure che non riescono più a stringere un'altra mano, tanto sono abituate a una fatica troppo pesante, su questo monumento della osti• nazione italiana, qualche superstite vi pianta qualche ortaggio: piselli, baccelli, carciofi. Ma il vino prezioso non spunta più. Penso alla storia di questi vigneti, alle fatiche e alle cure per proteggerli dal salino, dal tramontano, dallo scirocco, dalle nebbie che rammolliscono il grappolo quando si promette ricco, dalle piogge che lavano, quando sono tropne, l'acqua ramata che costa e che bisogna ridare. E come ,e la contrada fosse stata colpita dal terremoto. Perché non si dovrebbe aiutare la gente provata a questo modo, spian• tata come da un disastro? Ora questo dramma si s,·olge silenziosamente; non ha nuJla di pittoresco per impre~,i;iona• re gli uomini. Bisogna chiedere a qualche altro elemento le risorse per vivere e per ripiantare la vite, riprendere la lotta che è già tanto acerba quando la vite è viva e sana. La vite 111110scoglio Cono'.'Cogente ostinata, paziente, for. te d'una forza qua.si naturale. Questa dcli' Argentare è tra quelle, è un capitolo fra i tanti dell'epica del lavoro italiano. Con un cosl bel nome, ricco, sonoro e lucente, l'Argentaro. Sul magro promontorio che dove c'è un riparo o un muricciolo o un poco d'acqua matura buono l'arancio, cento miglia a settentrione di Roma, che dove ~i può si pianta un orto, una vigna i stretto ma folto, faticoso e duro ma pulito, sempre iri lotta ma tutti gli anni pieno di nuovi figli, come un mai smc.,i;50at• to di fede nel domani, la vita è piena di gent~ che passa, che viaggia, che va peregrinando in cerca del guadagno della giornata. Se fosse in una qualunque altra nazione, sarebbe spopolato, disperato, brullo e selvai;rgio. Poiché è in Italia, e in Toscana, c in Maremma, d'anno in anno strappa qualcosa alla natura. Di mese in mese si leva una casa nuova, e di anno in anno scende in mare una nuova flottiglia di naviganti. Quelli che non possono aspettano, corrono dove si possa ricavare qualcosa dalla natura e dagli uomini. Alle spalle di questo promontorio di cui i viaggiatori J><»SOnovedere il profilo passando davanti alla laguna di Orbetello, steso in mare come un satellite dell'Elba vicina, della Conica e della. Sardegna lontane, v'è la grande distesa della Maremma. A piedi, all'alba, gente va veno i fiumi dolci, le rive sabbiose dove la furia invernale ha trascinato i tronchi degli alberi, buoni per fare un po' di fuoco, o dove Jr telline sono ficcate nella sabbia. Tornano la sera. I ragazzi si fermano alle case per chiedere un goccio d'acqua da bere, e domandano 11:e volete comperare telline. Hanno già visi d'uomini, pronti a tutto, sono in boccio l'uomo destinato a una delle vite più faticate del mondo. Dalle case piene dì figli vengono a sapere do"·e è passato qualCO\a che sia il loro bene, dove è stato fatto un raccolto la cui spigolatur3 promf'tte di guada~nare la giornata. Un simile impiego dei giorni, la corsa verso tutto quello che è buono e utile, dà un colore a tutto il paesaggio, alla gente che va in frotta sulle biciclette, ai ragazzi e ai vecchi che vanno a piedi, alle ragau.,· S("dute in groppa agli asini, clic-tro alle spalle del padre, e con un dialetto toscano in cui qualche costrutto napoletano, qualche accento ligure, ricordano la grande comunanza del mare. L'intervento delle macchine nella vi• ta moderna ha reso più difficile la vita. dove non c'è .grande produzione e dove la fatica delle braccia era la migliore ricchezza dell'uomo. Fra poco, di notte, sulla strada che costeggia il mare1 quando si sarà sentito il rombo continuo della macchina mietitrice e trcb• biatrice, una macchina in(crnalc che toglie lavoro a cinquanta persone, una frotta di donne andrà verso il luogo di questa macchina e dove è passata profitterà dell'esatta dimenticanza. delle macchine per spigolare il grano. Cinquanta donne tornano a sera ognuna coi suoi venti o trenta chili di grano: hanno guadagnato la giornata. La giornata è la preoccupazione esat· KOTOPE80l!EIIEOOIO .I.I. Ll!IOODI PORTO uno 8Ttl'il0 RITOB.BODI P.l.liNZE !iELL'.1DlllnOO ta di tutti, la misura per dividere il tempo e per c.llcolare la vita. E bisogna dire che lungi dal dare l'idea della povertà, tutto quanto fa questo pugno d'uomini aggrappato alla roccia fa venire in mente una qggia amministrazione, una ristrettezza previdente e di t!J>Ofamiliare. Trionfante, dopo anni cfi lavoro, spigolatura, pesca, navigazione, un individuo ripianta una fila di viti sul più alto terrazzo di pietra. La pietra del terrazzo è esatta, a piombo, liscia come un muro. Ancora uno sforzo. La vite fruttificherà di qui a tre anni. Che importa quando? C'è un amore della vita, dei figli, delle generazioni che devono vivere ancora aggrappate a questo scoglio. Famiglie 1111 mare !\fa la rivincita contro le macchine, quelli dcli' Argentaro se la sono presa in mare. Hanno armato una trentina di motopescherecci, oltre alle paranze. Ver~mcnte sono famosi per la navigazione a vela; questo sarebbe il loro mestiere dopo quello di vignaiuoli e di agricoltori. e Per la pesca >, mi disse Sabati.no Ferdinando, il eupopesca del Montargentaro, e per la pesca bisogna che lascino fare a noi di Port'Ercole. Loro sono navigatori a vela da togliercisi il cappello. Ci si nasce a queste cose. Ma noi di Port'Ercole siamo pescatori dall'età di cinque anni. Ci mirero in barca invece di mandarci a scuola. Sa che c'è? Da quando siamo noi qui !'è stabilita una gara. Che ci s.i può fare? Facciamo la gara >. $abatino Ferdinando è entrato per ultimo sotto il castello di poppa dove sono raccolti, intorno al tavolo, nove pesc;.1tori. Questo è l'unico motopeschereccio che possieda un ta\--olo,e ha otto cuccette col materasso, la coperta, il salvagente, quattro da una parte e quattro dall'altra. Uno dei pescatori sta riempiendo un bicchiere e lo passa volta a volta agli uomini che stanno intorno, seduti sulle panche, o in piedi. e Eccoli : tutti portercolesi. Quando sono in porto si fanno visita. e passano il tempo insieme». 1 portercolesi ridono tra loro, seguitando il filo di un discorso che io non intendo; una trama tessuta giorno per giorno in una vita comune e in cui è difficile entrare. A tratti ridono. Ognuno che beve alza il bicchiere e mi dice: e Salute». Posa il bicchiere vuoto sul tavolo. e E Jei non beve? >. Il capobarca Sabatino Ferdinando non beve : e Di questo io, quando sono a terra, ne vuoto un fiasco per pasto. Ma in mare non ne tocco>. Il più giovane della compagnia pn.·n• dc il fiasco smezzato e ci versa dell'acqua. Dcv'es,i;crc questa un'operazione con.su.eta. Tutti si fanno attenti a un ~le atto, che è di quelli che preparano le partenze, il principio d'un lavoro, di una lotta, d'una marcia in guerra. e Questo più giovane è il cuoco. A bordo il più giovane fa da mangiare. Sono tutti parenti. Sci soltanto di questi sono i miei marinai, gli altri tre non c'entrano. Lavorano a bordo d'un altro peschereccio ». Difatti i tre wcivano, salutavano allegri, con un ultimo frizzo. 2 una di quelle compagnie tanto affiatate da lunghi disconi che basta un'inflessione di voce per farti ridere. Ridono d'un riso naturale, s.ano, nuovo, un'cspres-.ione non consumata da ipocrisie e da convenienze, una cosa che ormai da , anni non mi era dato cli Oliservarc. E tutti i loro atti rispondono a qualcosa di reale, a una grazia nativa. I tre ospiti uscirono, e già col passo di chi va al lavoro. Il !)iù giovane aveva finito di annacquare il vino, e lo posò in una cuccetta vuota, tra altri fiaschi e bottiglie, con una cura simile a quella di chi bada alle faccende di casa, e questo atteggiamento faceva risaltare quanto di virile e di già u,ato alla fatica dura era in lui. e Sono tutti cugini e parenti >, mi disse il capopcsca, $abatino. e Lui solo », e m'indicò il più giovane, e non Jo è; ma lo diverrà: è fidanzato d'una mia nipote >. Questo legame promesso, era come se ammettesse in un'intimità solidale qualcuno che ne fosse fuori indebitamente. Tuni\li altri erano sposati; donne della stes.sa.famiglia e dello ~te-.~ sangue pensavano in quel momento ai sei gio. vani. Uno era un poco più avanti negli anni, e già con un viso più forte e solcato. Ma gli altri come se ancora il rl$Chioe i pericoli li ave~~ro sfiorati al primo vento della gioventù. Si capiva che tutti e sei ubbidivano a un'occhiata di $abatino per il suo prestigio e per un diritto di parentela. $abatino aveva ~ncora la giacca sul braccio, il petto nudo, i pantaloni con la cinghia stretta sotto il ventre, e volgeva a me un viso stranamente infantile, paffuto. Era uno di quei tipi popolari italiani che si riconoscono come d'una famiglia; indurito dalla vita, ma, per via di un certo naso all'insù, aveva qualcosa di ridente e di gio\"anile. come succede di vedere in certe figure etrusche, o mediterranee. Non doveva avere più di quarant'anni. Si ,taccò da noi e cercò in una custodia di legno, fis,ata tra una cuccetta e l'altr.a, una vecchia weglia di quelle che si preme un bottone per interrompere il suono del campanello. L'agitò un poco per vedere se camminava. Lesse l'ora. Erano le undici e mcu.a. P~ la sveglia. E mentre egli tornava a quella parete, mi acconi di un Crocifi~:i~ofissato sulla travata di fondo, un Crocifisso di ottone nella luce rosa della 1.impadina appesa nel mezzo. Il lavoro, il dolore la fatica, il sacrificio. I sei giovani an~ darono, si dispcnero alJe loro faccende. Sabatino con un gesto consueto legò con una funicella, alla gamba del ta• volo, la panca da cui si era levato. Il motore cominciò ad andare. Nel ciclo si vedeva l'albero della nave passare come se indicasse qualche stella che brillava pallida tra la coltre dello scirocco. Brillò il faro alla svolta e d'un tratto fummo nel mare aperto; col ru• more del motore che si attutiva ncll'immemità e faceva pensare a quando M sente palpitare da lontano, in una ca'-1. sicura, il viaggio dei navi~nti. CORRADO ALVARO N.d.R._ Con q1u1io orticolo, si iniri11 lo un~ d~1 Viaggi in Italia di Omnih-1 >.
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