Nuova Repubblica - anno III - n. 21 - 31 luglio 1955

nuova repubblica 3 IL CAMPO PROFUGHI DI s. ·CROCI~ IN GERUSALEMME .GUERRA AI DEBOLI Chi vive neUa H.oma dei ricchi, deì '.enoni, dell' aristocrazià, dei ritrovi notturni, non sa chi sono i profu– ghi. Eppure, non lontano da via Veneto, i loro campi sono una crudele, triste realtà : una realtà che non conta, tuttavia, che non e prime una forza e chi si può domare con poche ·manganellate e qualche arresto di A ROMA CI SONO quattro campi-profogh(: a Cento– cclle, a S. Croce in Gerusalemme, al Forte Aurelia e a Porta Portese. In quello di S. CJ"Ocein Gerusa– lemme, sabato 9 luglio; sono avvenuti dei disordini. E' intervenuta la polizia che a colpi di sfollagente ha siste– mato le cose: molti contusi e sette arrestati, fra i quali alcune donne. Un mondo come quello racchiuso nei campi-profughi.è sconosciuto ai più. Roma è grande: gli stranieri non ne ve– dono le miserie, i romani del ceto medio hanno le loro preoccupazioni. E quello che d\ Roma appare è altro: la via Veneto brulicante di macchine americane e di belle signore eleganti, il Doney dei Montagna, degli invertiti, delle prostitute di rango internazionale, i ministeri con l'alta burocrazia e i ministri sorridenti, lisci e ben nu– triti, impegnati nella difesa dei « supremi valori demo– cratici». E poi, ancora, i ritrovi notturni: il Florida, il Villalranca, il Nirvanetto ... Sì, la Roma dei ricchi, dei lenoni, dell'aristocrazia, del derby di piazza di Siena, degli amori contrastati della dolcissima principessa '.l'orlonia, è divertente, è spensierata. E chi vive in questa Roma non sa chi siano i profughi. Ne sente parlare ogni tanto perchè reclamano qualche cosa. Eppure, non lontano da via Veneto, i loro campi sono una crndele tdste realtà, che, se pur disonora il nostro paese, non conta, non esprime una forza, e si può do– ma.-e con poc~e manganella.te e qualche arresto. Ma la Roma che non conta di qu.ando in quando vuol farsi sentire. E sabato V luglio, al campo di S. Croce in Qerusalemme, la notizia che il ministero non avrebbe più pagato i sussidi ai profughi e che avrebbe cacciato le fa– miglie con un componente che lavora, s'è sparsa in un- ba– leno e i profughi hanno inscenato una manifestazione di protesta alle porte del campo. Il sussidio era poca cosa, 145 lit-e al giorno per il capo del nucleo familiare e 118 per ogni persona a carico, ma e.ra l'unico cespite per 350 famiglie su 400. Per ora, è sospeso: si dice che verrà ri– pristinato, ma di preciso non si sa niente. Si sa soltanto che dal I.o luglio non è pii, stato corrisposto. Le fami– ·glie che hanno un reddito di lavoro sono 48, ma il red– dito (di media, lire 40 mila mensili) non consente di affit– tare un appartamento al prezzo del mercato libero. Queste 48 famiglie, alle qnali da un decennio è stato, a più 1·i– prese, promesso un alloggio nelle case popolari, dovreb– bero, con la fine di luglio, sgombrare dal campo. Dove an– dranno? Questa domanda corto non se la sono posta quelli della Roma che conta. Giorni or sono, per essere un po' vicino alla Roma che non conta, per conoscerne i prnblemi, richiamato dalle voci sui recenti disordini, mi sono recato al campo di S. Croce in Gerusalemme: una vecchia, grande caserma. Alla porta, un carabiniere (ce n'erano parecchi d'intorno al campo) mi chiede dove vado. « Dal direttore», rispondo con ima t:erta dmezza. Il carabiniere s.i fa più gentile: « Scusi, ci lasci un documento». Gli dò la patente e tiro avanti. Dal di1·ettore non ho proprio voglia d'andare: non riuscirei a sapere niente e non vedrei nessuno. Nel grande cortile invaso da.] sole, molti bimbi giocano: sono sporchi, laceri, denutriti. Mi fermo a guardare: .]o spettacolo è crudo, di un ~ealismo impressionante: sulle porte, donne - mal vestile, vecchi cadenti, stanchi. Mi faccio vicino ad nna vecchia: « Scusi, ho saputo della vostra manifestazione di. sabato scorso, sono un giornalista, mi vuol dire qual– che cosa, mi può mostrare la sua casa?». La donna è ca.- 1·ica d'anni, mi guarda, mi studia un po', le dò fiducia: «Venga»~ rni dice, e mi introduce' in ... casa: t1na stam 4 berga di tre metri per tre, due reti per dormire e una cassa rivoltata. su cui mangiare. L'ambiente è sporco, sor– dido. « Vede - mi dice la mia ospite - posso ritenermi fortunata, perché ho un locale brutto, ma chiuso da. pa- 1·eti vere. Me lo hanno concesso perché mio marito, settan– taquattrenne, è da nove anni ammalato di meningite. Non abbiamo acqua e per i bisogni ci serviamo di un secchio». Intanto la voce che un giornalista sta visitando il campo, si sparge e mi trovo, in breve, circondatç, da molte per– sone. Per lo più.,sono donne; mi vogliono parlare: « Scriva di noi, delle nostre sofferenze. Venga a vedere dove abito io. Sia.mo quasi duemila. persone e non abbiamo niente. Adesso, non c'è che un medico per tutti; le medicine non ce le diinno e i nostri bimbi hanno bisogno di mille cure. Anche il sussidio ci hanno tolto! Come possiamo andare avanti così? Scriva e dica che ci aiutino. Siamo anche noi esseri umani ». .... Non ho fiato per rispondere. La naturalezza e la. spon– taneità del dolore mi opprimono. Guardo un piccolo bimbo cencioso e gli faccio una carezza chiedendogli come si chiama. Interviene la madre: « Non sa parlare, ha solo tre anni». Rabbrividisco .. Una giovane donna dai lineamenti sottili, magra e patita, mi pTende per un braccio: vuol che vada a... casa sua. lJa seguo; scendo per~ una scala e mi trovo in uno scantinato: la cantina dello spaccio della caserma. Ci vi- PAOLO VISENTIN Ma come son cresciuti bene! (D'is. di Di11-0 Boschi) vono sette persone dal 22 di mm:zo del 1944. La _guerra distrusse la loro casa, a Velletri. Trovarono rifugio nella cantina ç non si sono più mossi. Nel frattempo sono nati due bimbi.· il più piccolo è all'ospedale: ha un anno ed ha avuto J1'li,roncopolmonite già tre volte. Gli uomini sono tutti disoccupati. Non so che cosa dire; balbetto qua.Iche parola d1 conforto, ma mi pare convenzionale e stupida. Risalgo le scale e m'imbatto nel cappellano del campo. E' un prete di Pola, don Giacomo Veggian, giovane, da.l– I'espressione simpatica. Lo saluto e gli chiedo che cosa. mi può dire sulle condizioni del campo. Non esita: « Non c'è niente ed occorre tutto; 'rnancano i set·vizi igienici, l'assi– stenza sanitaria, le cure agli ammalati. Ci sono solo ma– lattie e miseria. Nessuno vuol fare qualche cosa, invano busso a tutte le porte. Se riesco a t11ovare un'occupazione a qualcuno, questi non può lavorare perché non ha la re– sidenza: il comuue non vuol ciarla ai profughi perché non hanno un lavoro e il lavorn non possono averlo perché non hanno la. residenza». Don Veggian si offre di portarmi in git-o 'per il campo. Prima però mi fa vedere la chiesa: una volta era lo spac– cio, ora, poche panche da casermaggio, il Tabernacolo e ,,.lcune immagini sacre ne fanno il luogo di preghiera dei profughi, i quali - ne ho la sensazione - vogliono un gran bene al giovane sacerdote. Ed infatti egli conosce i dolori di tutti e per tutti fa quello che può. Con don Veggian mi dirigo al 1·eparto «isolati»: è una camerata divisa da .tramezze di legno alte un metro e mezzo da terra. Otto box! Ci vivono gli uomini senza famiglia. En~ tria.mo iu uno di essi: è abitato da cinque persone. Ci si avvicina uno degli inquilini, mentre altri sono intenti a prepararsi il cibo che diffonde un odore disgustoso. Si chiama Cardinale Onorato, è fuggito durante la guerra da Latina, dove faceva il commerciante; è invalido di guerra e, nel '48, gli è stata assegnata la pensione di sesta- ca– tegoria, ma sino ad ora non gli è stata ma.i corrisposta. Il poveretto, nel sal uta.rmi, mi raccomanda di seri vere del suo caso. V ISlTIAMO altre abitazioni: il reverendo è da tutti accolto con simpatia e la sua guida mi è utilissima. In un box di un'altra camerata vivono in otto: padre, ma– dre e sei figli. Vi stanno dal UJ44, quando dovettero fug– gire da Rieti. Mentre osservo, una donna mi parla del rigore ·con cui viene esercitato il controllo alla porta del campo. « Noi - dice - non siamo persone umane, siamo bestie: un nostro parente per venirci a. trovare deve avere 'il permesso e non pot1·emmo,. se lo volessimo, trattenerlo nostro ospite ». Ecco il ca.so di due vecchietti, marito e moglie: lui ~si chiama Maccapan Felice ed ha 72 anni; di lei non , ricordo il nome, so soltanto che ha 68 anni. Provengono da ]'iume, dove vivevano bene: avevano un bragozzo per la pesca. e una trattoria. Ora non hanno niente,. realmente, nemmeno una lira. Il sussidio consentiva loro di acqui– stare il pane, adesso non hanno neanche il pane. La vec– chietta piangente mi mostra il pranzo del suo povero ma.– rito paralizzato: un cetriolo. La vecchietta continua. a ge- mere: « E jerimo de quei che stava ben~- Mi parla del suo bragozzo che to·rnava dalla pesca carico. Piange sem– pre e guarda il suo compagno abbandonato su una sedia sgangherata che non può muoversi. Il governo non ha loro risarcito i beni pe.rduti. Erano di quelli che stavano bene ... Parlo ancora con molte pei·sone, visito altri box, Mi si avvicina una certa Biagi, il cui marito è impiegato alla Teti e guadagna circa 40 mila lire al mese: è fra qnelle che dovrebbero sloggiare il 31 luglio. Mi dice: « Io me ne andrei volentihi da qui, se lo potessi. Ma dove vado? Ho _fatto domanda per avere una casa dell'INCIS o .del– l'ICP;,ma non sono Tiuscita ad ottenere niente, perché non siamo fa1niglia numerosa: siamo io, n1io figlio di sei anni, mia suocera e mio marito ». Di Luzio Orlondo ha un bambino di quattro anni al sana.torio e la moglie alJ'ospedale: de, 7 e vivere in ùn box e le correnti e l'umidità danneggiano la salute già cagia– nevole dei suoi bimbi. Non è riuscito ad avere una specie di stanza con i « muri veri ». I(ilterviene una donna, che è stata arrestata sabato scorso e poi scarcerata solo perché ha un bambino di pochi mesi: « Le stam,e con i muri le dànno non a chi ha più bisogno, ma alle ragazze belle, giovani, e... generose ». Sarà vero? Chiedo al sacerdote se c'è molta prostituzione, in un ambiente tanto depresso. « Assai meno di quel che sarebbe legittimo supporre >, mi risponde. Ma il caso pirt pietoso è quello della famiglia di Di Na– poli Michele: sono sette persone, pad.re, madre e cinque figli, dei quali il più grande ha otto anni e il più piccolo quattro mesi. Il Di Napoli, rimpatriato dall'Egitto nel IV46, è disoccupato e l'intera famiglia non ha mangiato per due intere giornate, dopo il provvedimento della so– spensione del sussidio. I bimbi fanno una pena indicibile. Visito ancora il box di Spagnoli Ines, che mi dice di avere una sorella ricoverata in sanatorio. Sua madre la– vora a mezzo servizio e guadagna. 10 mila lire al mese. A Z!!ra gestiva un bar. Dei gabinetti di deceiv:a converrebbe, per decenza, non parTa.re. Uomini e donne si servono, promiscuamente, di la– trine spaventosamente immonde, senza porte. Una donna me le fa vedere, sostenendo che è la cosa pii, sconcia. del campo, ove cimici e pidocchi sono i veri padroni. Don Veggian vuole che prima di anelarmene faccia visita ad una famiglia di quattro vecchietti: sono fratelli e sorelle, si chiamano Marigliano e vengono da Istanbul, dove il loro padre era stato nominato « pascià> dal sul– tano. Uno dei fratelli mi dice di essere stato tenente nella. prima gueri-a mondiale e cli essersi guadagnata una me– daglia. d'argento al valore. I quattro vecchietti viveva.no col sussidio. Ora non hanno più niente e devono vivere del poco che don Veggian riesce a procurare loro. Il mio accompagnatore vorrebbe che restassi ancora, ma non mi è possibile. Lo ringrazio e mi avvio all'uscita.. Al cancelJo, il carabiniere, che crede sia andato dal di– rettore, mi fa un gran saluto e mi restituisce la patente. Mi avvio lentamente alla circolare: in breve sarò di nuovo nella Roma che conta.

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