Nuova Repubblica - anno III - n. 19 - 17 luglio 1955

B1 6 nuova repubblicà G u E R R A E p A e E per il luogo di provenienza, quelle dall'Italia devono es• sere interessanti di per se stesse. Seguendo questo criterio i direttori spesso si trovano in contrasto con i loro cor– rispondenti i quali, nella maggioranza dei casi, si ren– dono conto· dell'interesse e dell'importanza che banno gli avvenimenti di un paese di 47 milioni di abitanti, sede del cattolicesimo e che attraversa una fase unica nello sviluppo economico-politico di uno stato moderno. I cor• rispondenti, nella difficoltà di far comprend<\re ai loro capi questo interesse, trovano più agevole colpirne direttamente la fantasia mettendo in evidenza il fatto che l'Italia ba il più grande partito comunista di opposizione di un qual– siasi altro paese democratico. E' l'angolo visuale con il quale il redattore, inglese o americano, valuterà la corri– spondenza. CHI RIGUARDAVA HELSI Vi è qualcosa di vero nel rimprovero alla stampa an• glosassone di essere tendenzialmente contraria a muta– menti in Italia, sia ohe si passi, come dice Il Mondo, da Badoglio a Bonomi, da Bonomi a Parri, da Farri a De Ga– speri e da questi a Pella e Scelba, sia che si passi, ag– giungiamo noi, da Umberto II a De Nicola, da Einaudi a Gronchi. In realtà il pubblico inglese non s'interessa in– tensamente di politica, e prova un certo disagio a mo– dificare le sue idee quando si è adagiato in una certa con– vinzione. Questo non gli impedisce di vagliare, con sere– nitì, e distacco, a cose fatte, le mutate situazioni. Dopo la elezione del Presidente Groncl1i la stampa di informa– zione italiana si risentì contro quella anglosassone, fosse essa americana· o inglese, per la previsione che l'esistenza del gabinetto Scelba avesse i giorni. contati. Non manca– rono fogli che definirono snperfjciale il giudizio attribuendo ai corrispondenti ed agli editorialisti anglo-americani ncarsa conoscenza delle cose italiane, ma nessuno rilevò d1e gli osservatori di lingua inglese giudicassero gli av– venimenti al lume di logica del sistema democratico par– lamentare. Un voto del parlamento, cioè, che esprimesse, sia pure in astratto e non su un punto programmatico, una critica al governo non avrebbe potuto evitare di sfociare in una caduta del governo stesso. Secondo la prassi cli un paese di tradizione parlamental'O il governo si sarebbe di– messo. Gli osservatori anglosassoni non hanno però ben valutato la riluttanza dei parlamentari italiani a ricono– ncere l'inevitabile logica delle cose, e per ciò hanno creduto •lmmediata la crisi che è arrivata con quasi due mesi di l'Ìtardo. Fu un errore di giudizio nel tempo non nella so– ntanza. Un fenomeno analogo si è verificato cou l'ultima ~risi; salvo sporadiche eccezioni, buona parte della stam– )lla·inglese ha visto nella crisi la caduta della formula di coalizione Centrista riconoscendola cli conseguenza priva ili vitalità. , Una. quali ti, inglese consiste nel non insistere nelle imprese che si dimostrano impossibili. Di esem– pi ne è piena la storia; quando una strada non con– duce alla meta se ne cerça un'altra. Da ciò dipende tal– volta la incomprensione anglosassone per le vicende ita– liane. Il meccanismo parlamentare inglese e americano cri– stallizzatosi nel sistema dei due partiti ha poco in comune con il parlament-arismo europeo pluripartitico, ma ciò cho sfugge soprattutto alla compreusione degli ·osservatori in– glesi è il sottile gioco del rifiuto delle responsabilità, gioco tanto sottile che la stampa inglese ha, -quasi del tutto, rinunciato a seguirlo. Alla domanda, rivoltaci da molti italiani, di cosa dicano o pensino gli inglesi della so– luzione della crisi, la risposta è semplice: ne parlano poco e ancor meno cercano di analizzarne le cause o fare pre• visioni. Preoccupazione esiste non perché, come dice Il Mondo, gli italiani hanno reputato utile mutare qualcosa secondo un normale avvicendamento democratico, ma per– ché gli italiani, pnr essendo obbligati a 1·iconoscere la esi– stenza della crisi, si sono rifiutati di trarne tutte le con– seguenze. CHARLES JENKINSON Ca.ro Codignola, nel numero del Hl giugno questo nostrn giornale ha titolato la nota di Vittornlli: « Helsinki non ci riguarda>. Il contesto era intonato al titolo. Son rimasto in forse fino ad oggi, se dovessi esprimere o no il mio pensiero. Ora che l'assemblea di Helsinki è già avvenuta nono– stante la nostra assenza e la nostra indifferenza, consen– timi di dire qualcosa. Già non mi aveva persuaso la deliberazione della Di– rezione di Unità Popolare di disinteressarsi della inizia– ti va. Iniziativa comunista, si è detto; ma non riesco a comprendere come noi, che siamo nati proprio per com– battere la mefitica atmosfera di conformismo che sta sof- · focando il nostro Paese,• per combattere le discriminazio– ni, per creare una striscia ·di sicm·ezza alla democrazia, dobbiamo dare tutto il credito a iniziative di pace (quali poi?) che provengano da destra, o comunque dalla nostra destra, e nessun credito a iniziative che provengano dai comunisti. Se fossimo stati invitati al èonvegno indetto a Firenze dall'on. La Pira, saremmo andati o no? Io credo di sì; io, almeno, sarei andato con entusiasmo, e vedo che mi sarei trovalo in ottima compagnia. Bacchelli, che pur rappresentava lo Stato italiano e la cultura italia,:ia, si è comportato da par suo; e non credo che noi avrem– mo avuto alcunché da obiettare al suo intervento, né da temere per la mortificazione delle nostre idee. Bene, ora che sono informato di quel che è avvenuto a Helsinki, dei personaggi intervenuti, della mozione ge– nerica (generica, d'accordo) votata, il tutto confortante la mia tesi che a Helsinki avremmo dovuto almeno man– dare un osservatore, confermo che essa tesi sarebbe stata la più ragionevole. Potevamo conservare tutte le nostre diffidenze, tener ferme tutte le nostre ragioni, esprimerle, se mai, queste ragioni con tutta franchezza e con tutta fermezza (e so che tutto questo sarebbe stato possibile), ma si doveva anelare. Non foss'altro perché, a furia di rifiutare i contatti con gli « orientali » e di lasciarci inti– midire dalla mentalità scelbo-saragattiana, corriamo il pe– ricolo di finire nel grosso dei conformisti, dei crociati da tre palle un soldo, che ormai sdegnano perfino Angelo Costa.· Scelha se ne è and_ato e speriamo non risorga e Dio ce la mandi buona e vedremo cosa succederà: ma che, vogliamo cominciare noi a sostituirlo? Dico questo perché, mannaggia, quel titolo: « Ilel– sinki non ci riguarda> non mi va proprio giù. Pazienza non essere ·andati, la maggioranza ha sempre ragione; ma dire che non ci riguarda quel che pensa e progetta ~ sente un~:-,grande parte del mondo, sia pure attraverso a una assemblea predisposta con una certa intenzione, mi sem– bra che possa- essere detto soltanto a titolo personale, e non dalla direzione del giornale. Non ci riguard·ano forse le iniziative, favorevoli o no alla pace, prese dall'America? o prese dall'Inghilterra? o prese dall'India o dalla Jugo– slavia o dall'Egitto? 111ache diamine. Diciamolo francamente: abbiamo sospirato per tanti anni perché i Sovietici hanno deluso molte nostre speran– ze, hanno a volt.e fatto correre grossi rischi alla pace del mondo. Quando è morto Stalin e si è delineata una nuova politica la nostra ansia non aveva limite. Abbiamo segui– to con spasmodica attenzione tutto quanto è avvenuto al di là del sipario di ferro. Abbiamo spiato ogni sintomo di distensione col cuore sospeso. Ora l'URSS (e cieco chi C_P_A_G_I_N_E_ 1 l_)_I_D_I_A_R_IO _ LA SUPERBIA DELL'UMILTÀ P ARRI NON E' UN SANTO. E' un politico. Perchè trasferfrlo, o relegarlo, nel regno dei santi? * Ma, prima di tutto: di quale umiltà sono superbi il Levi e i pittori e gli scrittori e gli uomini come il Levi, e cioè tutti gli uomini del Partito d·Azione e della Resi– stenza, quando sono superbi dell'umiltà di Farri? * E' trasparente l'affetto, la tenerezza, l'appassionata o sorridente compiacenza, con cui parlano e scl'ivono di Parri. Tutto avviene come se, descrivendone ed esaltandone l'umiltà, essi descrivessero ed esaltassern l'umiltil prnpria. Farri stesso non è diverso dal Levi, e dagli uomini come il Levi, quando cessa di essere un modello e diventa a sua volta pittore, scrittore, storico di uno, di alcuni, o di tutti i suoi compagni di lotta. In questa umiltà e in questa superbia de!Ia propria umiltà - in questa contradizione psicologica degli uomini della Resistenza - si rivel.a sempre più quellJJ. contradi– zione, di cui dicevamo, fra 1~ loro oscura intuizione rivo– luzionaria, e le loro chiare teorie o ideologie antifasciste. Anche il trasferimento dal regno della politica al regno della religione non è stato voluto soltanto da un loro pit– tore o scrittore e per la sola persona del Farri. Molti di loro, certo, non hanno subìto che la tentazione di trasfe– rir.e, o santificaro, l'umiltà dei propri compagni, e la pro• prhl, e non l'hanno subìta che come la tentazione di una J;>iÌl grande superbia. Ma pe,· alcuni, e non per i meno intelligenti ed i meno eroici, santificarsi, santificare il pro• prio passato, tras[erirn il meglio di se stessi, o l'idea della Resistenza, dalla politica alla religione ha avuto un signifì• cato assolutamente p1·eciso, e di un'evasione immediata. Hanno risolto la contradizione che li dilaniava nel modo più semplice. Abolendo uno dei due termini, o il valore politico cli uno dei due termini. Avendo santificato, nel senso rigoroso del termine, l'umile idea della Resistenza, si sono detti che bisogna.va pur vivere politicamente o che bisognava pur vivere. E ritornarono, come i Sa.lvatorelli e i La Malfa, all'antifascismo dei partiti più tradizionali, o, come i Lussu, i Lombardi e i Foa, all'antifascismo di tipo comunista, o si murarono nella vita privata. * Gli uon,ini attuali della Resistenza, invece, non hanno ancora scelto. Sono sempre più umili e sempre più superbi della propria umiltà: sopportano sempre più difficilmente la propria contradizione: la co.erenza raggiunta dei loro ex compagni li tenta: ma <'Ome un invito a scegliere, non a scegliere nello stesso modo. Avvertono quanto dolorosa sia la scelta: o celebrare l'unione sacra con gli ex compagni e commemornre la Resistenza, ricacciarla nel passato, abo– lirne il valore. politico antico e attuale, trattarla come la profezia :inascoltata da un popolo indegno; o rompere l'unione sacra corf gli ex compagni, trattarli non per quello che furono ma per quello che sono e continuare la Re– sistenza. GIACOMO NOVENTA lo nega) ha imposto al mondo, e specialmente al suo grande competitore, l'avviamento a una intesa che ha tutta l'aria d, preludere a un lungo periodo di sicurezza. Ed è proprio in questo momento che noi diciamo, sia pure a proposito di una iniziativa marginale, se vuoi propa• gandistica: « non ci riguarda ». Su un piccolo scoglio in mezzo al mare in burrasca un tale, vestito cli tutto punto, con un ·bel farfallino per cravatta, urla verso il mare: « Fai quel che vuoi; non mi riguarda». Quando ho letto quel titolo e quel testo mi è venuta alla mente questa immagine; non a proposito di Vittorelli o di Codignola, ma a proposito di Unità Popo– lare, se nella sua prassi dovesse sempre comportarsi come in questa occasione e conformarsi al fatidico: « non ci· riguarda». AfTettuosi saluti dal tuo PIERO CALEFFI Caro Calef!ì, non posso rinuncinre a fa.r seguire un bre,·e « com– mento» alla tua lette,·ina che - fra il brusco e il lusco - pone un problema cli grande importanza. Che è quello del metodo, del nostro metodo, per portare un contributo al processo di .distensione, di comprensione reciproéa, di costruzione della pace al quale siamo intimamente legati. Che cosa diceva Vittorelli nella sua nota? Sono an– dato a ril"ggel'la, e non vi ho trovato nulla che possa giustificare la tua reazione. Vittorelli affermava che as– semblee come quelle di Helsinki non sono certamente inu– tili né dannose: ma solo nel senso che servono a tener desto il hi~ogno, la prospettiva della pace entro il blocco di cui esse stesse fcinno pa,·te. Vittorelli chia1·iva, mi pa.re in modo pertinente, che codeste assemblee non hanno e non possono avere alcuna efficacia al di fuori del blocco a cui partecipano (cioè proprio laddove dovrebbe farsi sentire codesta loro efficacia) per un vizio d'origine, di essere assemblee di parte. Questo discorso, a dire la verità, non mi pare che faccia una grinza. Da quanto tempo noi ci sorbiamo i manifesti, gli appelli, le raccolte cli firme, ed altri simili aggeggi propagandistici da parte dei « partigiani della pace »? Io non mi sento « partigiano della gueda », però in vita mia non ho dato una mano a codesti aggeggi per una ragione semplicissima: che - facendolo - mi sarei anche io messo a gridar « pace » dal versante opposto, ed essendomi così qualificato non avrei potuto svolgere in qualche modo utile la mia azione là dove effettivamente opero e vivo. E poi, passando dalla propaganda alla poli– tica, ma che dobbiamo proprio credere che ci sia qualche rapporto fra tutti gli Hensinki di questo mondo e l'ef– fettiva azione diplomatica dell'URSS? Per,nettimi, da ignorante che sono di queste segrete cose, di dubitarne. Il trattato di pace austriaco è stato reso possibile dalla Rus– sia, d'accordo; ma, in precedenza, dalla Russia era stato reso impossibile. Eppure, in entrambe le fasi, i « pa'rti– giani della pace» hanno continuato a dirigere l'orchestra sempre allo stesso modo. Segno dunque che l'effettivo orientamento pacifista della politica sovietica è determi– nato, com'è ovvio, da valutazioni e 1·ealtà che hanno poco o punto a che vedere con la facciata propagandistica. Forse che il discorso cambierebbe se l'iniziativa pro• pagandistica venisse dall'altra parte? e chi ti autorizza a d'rlo? Io ahito a Firenze, ma mi son ben guardato da mettere il naso a Palazzo Vecchio, al convegno indetto dall'on. La Pirn. Vorrei tuttavia. aggiungere, al riguardo, una p,·ecisa• zirne. In una riunione non ·lontana che facemmo tra noi in terna di politica estera, convenimmo che l'azione paci– fista o addit-ittura neutralista che noi potremmo compiere va sempre condizionata alla realtà in cui operiamo, al « punto» in cui ci troviamo. Facciamo parte, fino a que• sto momento, dello schieramento occidentale, perfino del Patto Atlantico; né aspiriamo, come i comunisti evidente– mente aspirano, a far parte dello schieramento opposto. Che cosa possiamo dunque volere e fare? operare in un modo adatto perché lo schieramento di cui facciamo parte faccia una certa politica. La nostra partecipazione alle injziative della parte opposta ci mette, obiettivamente, nella impossibiliti,. di operare dentro la nostra parte, che è appunto l>t nostra funzione. Al contrario, in tutte le ini– ziati ve politiche della nostra parte dobbiamo esser pre– senti, per riaffermare continuamente certi obiettivi di pace. La tua immagine finale è felice: peccato che sia sba· gliata. Noi non siamo affatto sullo scoglio che immagino– s,1mente tu figuri. Noi siamo sulla terraferma, da una parte dell'oceano bmrascoso: e siamo da tempo persuasi che si possa entrare in contatto con l'altra riva con dei buoni navigli di pace, anziché con le corazzate e i sotto• marini. Però, dalla nostra parte, molta :;ente pensa an– cora in modo contrario. Se, invece di quel bel farfallino per cra,,atta mi metto al collo una sciarpa rossa, e sotto a gridare che la gente dabbene sta tutta sull'altra riva, o mi prendono per pazzo o più semplicem,iate mi' trattano da sp.ia: col risultato di aumentare i sos1)etti e le paure cle 1 .la m ia parte. Non ti. sembra che sia più utile cercar cli persuadere la mia gente, col loro linguaggio e vestendo come loro, che la cosa migliore sia quella di mandare a picco tutte le corazzate di questo mondo (comprese quelle de'l opposta sponda)? Pensaci un po': e non pot1·ai darci tcrto. TRISTANO CODIGNOLA

RkJQdWJsaXNoZXIy