Nord e Sud - anno XVIII - n. 142 - ottobre 1971

I Rivista mensile diretta da Francesco Co1npagna Guido Compagna, Nel tunnel - Girolamo Cotroneo, Il parricidio ma11cato - Urr1berto Pedol, La crisi della sinistra denzocratica - Manlio Rossi Doria, Tre politiche per la Cassa Francesco Compagna, Il Mezzogiorno e il blocco della disperazione e scritti di Vittorio Barbati, Marisa Càssola, Antonio Guariglia, Ugo Leone, Pasquale Satalino, Italo Talia, ' Giuseppe Troccoli. • .ANNO XVIII - NUÒVA SERIE - OTTOBRE 1971 - N. 142 (203) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco -

Librerie presso le quali è in vendita la rivista BOLOGNA Libreria Fel trinelli P .zza Ravegnana, 1 Libreria Novissima Via Castiglione, 1 Libreria Parolini Via U. Bassi, 14 CATANIA Libreria Castorina Via Etnea, 67 Libreria La Cultura P.zza Vitt. Emanuele, 9 CORIGLIANO CALABRO Edicola Francesco Cosantino FERRARA Libreria T addei e.so Giovecca, I FIRENZE Libreria Rinascita Via L. Alamanni, 41 Libreria Marzocco Via de' Martelli, 22 r Libreria del Porcellino P.zza del Mercato Nuovo, 6-7 Libreria degli Alf ani Via degli Alfani, 84/ 96 r Libreria Fel trinelli Via Cavour, r 2 LATINA Libreria Raimondo Via Eug. di Savoia, 6/ r o Bibiiotecaginobianco MILANO Libreria Francesco Fiorati P .le Baracca, 10 Libreria Sapere Via Mulino delle Armi, 12 Libreria S. Babila C.so Manforte, 2 Libreria Internazionale Einaudi Via Manzoni. 40 Libreria Popolare C.so Como, 6 Libreria Feltrinelli Vj a Manzoni, 1 2 MODENA Libreria Rinascita P.zza Matteotti, 20-21 NAPOLI Libreria Fausto Fiorentino Calata Trinità Maggiore Libreria Leonardo Via Giovanni Merliani, 118 Libreria Deperro Via dei Mille, 17/19 Libreria A. Guida & Figlio Via Port'Alba, 20/21 Libreria Fiorillo Via Costantinopoli, 76 Libreria Treves Via Roma, 249 Libreria Guida Mario P .zza dei Martiri, 70 Libreria Macchiaroli Via Carducci, 57 I 59 Libreria Minerva Via Ponte di Tappia, 5 PALERMO Libreria Domino Via Roma, 226 Libreria S. F. Flaccovio Via R. Settimo, 37 ROMA Ildefonso De Miranda Via Crescenzio, 38 (agente per il Lazio) SIENA Libreria Bassi Via di Città, 6/8 TORINO Libreria Punto Rosso Via Amendola, 5/D TRIESTE Libreria Eugenio Parovel P .zza Borsa, I 5 VERONA Libreria Scipione Maffei Galleria Pellicciai, 12 VIAREGGIO I..ibreria Galleria del Libro V .le Margherita, 33

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVIII - OTTOBRE 1971 - N. 142 (203) DIREZIONE E REDAZIONE Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 .. Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbona1nenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestraie L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200 - Annata arretrata L. 10.000._Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioai Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibliotecaginobianco '\

SOMMARIO Editoriale [3 J Guido Compagna Nel titnnel [7] Girolamo Cotro•neo Il parricidio mancato [ 16 J Contributi Umberto Pedol La crisi della sinistra den1ocratica [23 l Giornale a più voci Giuseppe Troccoli I« trasferimenti» alle Regioni [43] Ugo Leone Mare '72 [ 48] Pasquale Satalino La Fiera di Bari oggi [51] Marisa Càssola Il Montale di « Satitra » [56] Argomenti Vittorio Barbati I «calvi» di Nixo11 [60] Antonio Guariglia Urza politica agraria per le Regioni [70] Regioni Italo Talia Inditstria e inclu.strializ.zazione in Ca111pania [84] Documenti Ma11lio Rossi Doria Tre politiche per la Cassa [ 102] Francesco Compagna Il Mezzogiorno e il blocco della · disperazione [ 114] Bi liotecaginobianco

Editoriale I casi della Pirelli e della ZanlLssi hanno sensibilme11te impressionato la pitbblica opinio11e. È più cl1e comprensibile, perché si tratta di dite grandi imprese che hanno attraversato un periodo di fiorente espansione e che ora denunciano la misura delle difficoltà con le quali sono chiamate a confrontarsi e che implicano una revisiorie dei programmi di investimento e itna riduzione - si spera temporanea - del numero dei dipendenti. Per quanto riguarda più specificamente la Pirelli, si, tratta, d'altra parte, di una in1presa le cui vicende richiamano sempre itna particolare attenzione dell'opinione pubblica di Milano, che a sua volta con1unica le sue reazioni a tutto il paese: la Bicocca è uno dei litoghi classici nella storia dell'industrializzazione italiana, come Mirafiori e come il Portello; ed è stata recentemente teatro di episodi che hanno fatto molta sensazione come episodi-limite nella casistica della contestazione operaia promossa dai cosiddetti gruppi spontanei e subìta dagli stessi sindacati, onde è facile collegare i licenzia1nenti di oggi alle agitazioni di ieri e ricavarne considerazioni tali da provocare uno sbandamento a destra non solo di settori d'opinione pubblica che riflettono atteggiamenti e reazioni tipiche di ambienti del ceto medio, ma anche di settori che riflettono reazioni di ambienti operai, stanchi e preoccupati. Certo, la contestazione, nelle sue forme estreme, è in ribasso, così nelle università con,ie nelle fabbriche; e per qitanto riguarda i sindacati - specialmente le grandi confederazioni - sembrano prevalere oggi atteggiamenti riflessivi sugli irtcauti atteggiamenti di sfida a tittto ed a tutti che prevalevano ieri. Ma le conseguenze delle tensioni cui negli anni passati non si è voluto applicare itn 1·neccanismo di autocontrollo, queste conseguenze stan110 niaturan.do oggi e provocano a loro volta conseguenze che possono portare alle più pericolose reazioni: si è gia parlato, infatti, e fi~z dall'estate, di operai che si distaccano dai sindacati o che denunciano i sindacati come responsabili della crisi delle loro aziende; e comunque, quando la Bicocca riduce i suoi effettivi, le reazioni del ceto niedio di Milano potrebbero a11che inasprirsi fino al punto di soniigliare alla reazio·ne del ceto medio di Catania. Intanto, è stato riferito dall'« Espresso·» che lo stato maggiore della Pirelli avrebbe deciso di « portare avanti » gli investimenti per nuovi impianti nel Mezzogiorno secondo gli impegni assunti con gli organi della program1nazinne, riducendo e rinviando invece gli investimenti di 3 Bibliotecaginobianco ..

Editoriale · rinnovo degli impianti esistenti nel ~Nord. Le ragio11i_di questo orienta .. men.to risalirebbero, secondo «L'Espresso», aZ-fatto che « i nuovi in1pianti n1eridionali sono in buona p·arte finanziati dallo Stato », mentre mancano i n1ezzi di finanziamento per i rinnovi degli impianti del Nord. Comurzque sia, Leo·poldo Pirelli ha dichiarato effettivamente a Mario Cervi, cl1e ne ha scritto sul « Corriere della Sera», che non. si intende smantellare e nemn1-eno « devitalizzare » la Bicocca; ma ha soggiunto che non si può ovviamente « poterzziare » la Bicocca, nel cuore di un'area industriale ed urbana sovraffollata, e quindi si devono « orientare » verso il Mezzogiorno i nitovi piani di sviluppo della proditzione. Ora, che l'ingegner Pirelli sia entrato i11qitesta convinziorze, sulla base di un ragionamento di convenienze impren.ditoriali, è senza dubbio u11 fatto tanto positivo qu.anto nuovo. E per quanto riguarda la verifica del fandamento d'i questo fatto positivo e nuovo, basterà tener d'occhio i tempi di adempin1-ento degli i111pegni contrattati dalla Pirelli per i suoi nuovi stabilimenti rzel lvJ.ezzogiorno; e ten,er d'occhio, altresì, i tempi di adempimento degli impegni per nuovi stabilimenti nel Mezzogiorno contrattati da altri grandi gruppi privati. Ma a questo proposito corrono anche voci tutt'altro che . rassicuranti: p,are infatti che sia la CEAT che la SIR abbiano comunicato agli uffici della programn1azione che per ora devono soprassedere per qu.anto riguarda gli in1pegni relativi alle in.iziative che dovevano portare avanti nel Mezzogiorno. Sarebbe anzi opportuno che gli uffici della programmazione, a suo tempo tanto solerti nell'emettere- co111unicati relativi alla loro contrattazione con i gran.di gruppi, e1nettano· ora un comunicato relativo a ciò che è vivo ed a ciò che è morto di qitella contrattazione; un comunicato ch.e rischiari le ragioni per le quali certi impegni sono stati portati ava11ti ed altri impegni sono rimasti indietro. Ora che la nuova legge per l'interve11-to straordinario è stata approvata dalle due Can1-ere, si è fatto finalmente fronte anche a certe preoccupazio11i che negli ultimi te1npi si erano accentuate, di inadempienze dell'interlocutore pubblico rispetto agli impegni contrattati per le infrastrutture speci- . ficfie. Restano, però, e si sono aggravate, altre preoccupazioni, che si riferiscono alla possibilità ed alla capacità degli interlocutori privati di mantenere i loro impegni. È lecito, quindi, pretendere che, alle voci non rassiçuranti di cu.i dicevamo, corrisponda un chiariJnento ufficiale, e documentato, dei rifiessi sitlla politica di industrializzazione del Mezzogiorno della crisi che ha portato al cedin1-ento della pr~duzione industriale ed alla -flessione degli inves ti111e11ti. Che questa crisi sia grave, non c'è più dubbio; e che sia difficile uscirne, ancl1e. Qitali sono i suoi rifiessi sul Mezzogiorno, nel Mezzo4 Bi_bliotecaginobianco

I Editoriale giorno, per il Mezzogiorno? Nel momento in cui si prende atto delle possibilità di aggiornamento e potenziam.ento dell'intervento straordinario offerte dalla nuova legge (si vedano più avanti i testi dei dzscorsi di Rossi Daria al Senato e di Compagna alla C.aniera, che pubblichiamo nella rubrica «Documenti»), si devono anche misiLrare le difficoltà che a quelle p·ossibilità si contrappon.gono e che rischiano di neutralizzarle. Se è vero, e lo è, che l'utilizzazio11e della capacità di produzione industriale è andata via via riditcendosi, è evidente che le in1prese non sono portate ad investimenti per aitmentare una capacità di produzione che risulta esuberante; e quindi non sono i11teressate a portare avanti programmi di investimento nel Mezzogiorno, quando tali programmi riguardano, come nella maggior parte dei casi, la creazione di u11a capacità produttiva in aggiu11ta a quella ora sottoutilizzata nel Nord. QiLesto significa che per l'industrializzazione del Mezzogiorno si pilò contare solo su investimenti che riguardino nuovi settori di produzione o nuove linee di produzione; e significa soprattutto che la ripresa della JJroduzione indiLstriale in tutto il paese, onde ne risiLlti recuperata l'util!zzazione della capacità produttiva, di tittta la capacità prod-u.ttiva disponibile, è la condizione per iLna ripresa efficace della politica di inditstrializzazione del Mezzogiorno. C'è dunque u.n risvolto meridionalistico della crisi economica che investe il paese, e della quale così il « docitmento prelimi11are » della progran1mazione come la relazione previsionale e programmatica approvata dal Consiglio dei Ministri non sottovalutano la gravità, dal mome11to cl1e lasciano irztravedere con1e la rnigliore delle ipotesi quella di una « crescita modestissin1a » del reddito nazionale. Le prospettive di uno sviluppo paragonabile a quello degli a11ni migliori sono con1promesse; e se è vero che l'alta con.giuntura non è itna condizione sirtficiente dell'indiLstrializzazio11e meridionale, è ancl1e vero che è una condizione necessaria. La sinistra democratica è politicamente responsabile di aver fatto venir meno questa co11dizione qitan.do si era proposta, o doveva proporsi, di far leva su di essa per praticare una politica programmata di sviluppo eqtLilibrato. E invece ha praticato u11a politica di sconquasso. Ora le manifestazioni più. rece11ti e più allarn1anti dello sconquasso sono tali da richiedere non soltanto la più atten.ta e responsabile considerazione delle forze politiche, ma arzche e soprattittto e subito uno sforzo critic~ ed aittocritico che adegui, prima eh.e sia troppo tardi, la politica di centro-sinistra all' es~genza di predisporre le condizioni di una congrz,1,ae rapida .ripresa della produzione e degli investimenti: e natz,tralmente di tJn. rigoroso risanamento finanziario. 5 Bibiiotecaginobianco

Editoriale · Certo, sarebbe stato meglio prevenire i mali eh~ si sono inaspriti; ora è necessario curarli. È lecito domandarsi, comu,nque, fino a che punto vi sia oggi vLna consapevolezza della necessità di curarli: più affidante della consapevolezza che si è avuta ieri della necessità di prevenirli. Tanto più che il tempo a disposizione è più ristretto di quanto non lo fosse l'anno scorso, o du_e anni or sono, quando autorevoli Pangloss assegnavano il ruolo di fastidiose Cassandre (le cui prediche non era il caso di ascoltare) a chi come noi manifestava serie preoccitpazioni per il modo in cui si portava avanti la politica di centro-sinistra e per i guasti gravi che ne potevano derivare al meccanisn-zo di sviluppo. E altri Pangloss, non meno au,torevoli, alle nostre preoccupazioni, « di destra », credevano di poter contrapporre le loro velleità, « di sinistra », e così risolvere problemi che non sono né di destra, né di sinistra, e possono avere solt-tzioni di si11istra solo se e quando lo sconquasso provocato dalla sinistra non, prepari l'avve11to della destra in sede politica ed in sede elettorale. Intanto, i processi degenerativi che avevan10 denunciato sono andati avanti e le preoccupaziorri clie avevamo percepito e cercato di far valere sono diventate da tutti constatabili. Il tin1ore che lo sconquasso provocato della sitiistra prepari l'avve11to della destra è diventato attuale e perfino incombe11te. E tuttavia, pare che ci sia ancora chi parla di un « polverone sollevato da am.bienti interessati », come se non aves .. simo a che fare con, le difficoltà obiettive di urza ripresa che diventa sempre più problematica e difficile, come se produzione, investi1nenti, occupazione non sitscitassero le preocciLpazio11i che oggi sitscitano. E chi parla di « polverone » aff ern1.a pure che qtLeste preoccupazioni no11 sono « accettabili », perché non « giustificabili» . Ma si rendono conto, quanti parlano con tanta leggerezza, delle responsabilità crze si assitmono quando lasciano alterare da esigenze striLn-zentali di polen1ica politica, di schiera1nento parla111entare, o cortgressitale, il giudizio che devon.o dare sulla situazione del paese qual'è, e non quale vorrebbero che fosse? Per quanto ci riguarda, ritenia1no che si debba insistere nel richiamare tutti i partiti della maggioranza a ripensare ed a ridiscutere le modalità di un'azione politica che, i11vece di portare ai risultati cui ci si augurava che il centro-sinistra potesse portare, in termini di rafforzamento e modifica.zione del meccanismo di sviluppo ed in termini di riforme per correggere il rapporto fra consun1.i pubblici, insoddisfacenti, e consumi privati, eccedenti, ha provocato la crisi del nieccanismo di sviluppo, pregiudicando così la possibilità e la capacità di realizzare le auspicate riforme. 6 Bibiiotecaginobianco

, Nel tunnel di Guido Compagna I risultati elettorali del 13 giug110 hanno innegabilme11te dato ragione a coloro che avevano previsto il pericolo di uno spostamento a destra, in senso reazionario, dell'elettorato italiano. Di questo ci si può rallegrare ben poco, soprattutto se si tie11e presente che questo spostamento a destra del corpo elettorale ha trovato immediato riscontro negli atteggiamenti di autorevoli esponenti del partito di maggioranza relativa. L'on. Andreotti - considerato, fino a poco tempo fa, uomo gradito alle sinistre - non ha esitato a mostrarsi a dir poco indulgente nei co11fronti del1' estrema destra, come comprovano la sua apparizione a « Tribuna politica » subito dopo le elezioni e un'intervista concessa a << Panorama » durante l'estate. Se è comprensibile che la Democrazia Cristiana cercl1i di recuperare quella grossa parte di elettorato moderato che ha voluto punire le sue sinistre, e soprattutto l'indulgenza del suo stato maggiore verso queste sinistre, col voto all'estrema destra, non si possono tacere i rischi che comportano atteggiame11ti come quello dell' on. A11dreotti, specialmente se no11 si riuscirà ad evitare che jn primavera gli italiani siano chiamati alle urne per il referendum abrogativo del divorzio. Con buona pace dell'on. Andreotti, noi ci scandalizzeremmo abbastanza se i11quell'occasione vedessimo sullo stesso palco (o anche su palchi diversi a dire più o meno le stesse cose) oratori democristiani e oratori fascisti. La verità è che la contestazione studentesca, i movimenti extraparlamentari e l'acquiescenza ~i certe forze politiche all'estremismo di sinistra, sono rj_usciti a rimettere in gioco la destra. politica, che bene o male si era riusciti ad emarginare. Coloro i quali a1nmonivano i partiti a tenere ben presente che in questo modo non si favori vano soluzioni più avanzate, ma· si rilanciava soltanto la d.estra nel suo aspetto più spregevole, si erario sentiti rispondere che la sinistra non poteva subire ricatti del genere. Anche gli avvertimenti, in tale senso, di Pietro Nenni venivano lasciati cadere, nel 11ome di certi non l?ene identificati equilibri più avanzati. Viceversa, il voto del 13 giugno ha dimostrato che il « ricatto » era una 7 Bibiiotecaginobianco

Guido Compagna diagnosi, e purtroppo una diagr1osi politicame!}te esatta. Dopo venticinque anni di democrazia l'Italia si: trova ad avere il più numeroso partito co1nt1nista dell'Europa occidentale ed il più consistente partito neofascista. Qualcosa evide11temente non ha funzionato tra le forze di tradizione e vocazione democratica. Di11anzi a questi dati gravissimi, alla luce degli av\Tenimenti di questa quinta legislatura, e tenendo conto di quali conseguenze politiche potrebbero derivare, e non solo per la dignità stessa dei cittadinielettori, dalla presenza 11ella VI Legislatura di cento deputati del IvISI, le forze politiche della sinistra den1ocratica hanno il dovere di fare un esame di coscienza. Con il disimpegno socialista all'indomani delle elezioni politiche del 1968 si è aperta, a nostro giudizio, la più grave crisi involutiva della lotta politica nel nostro paese. Al « cl1iamarsi fuori » da parte dei socialisti, che nel frattempo sostituivano alla leadership di Nenni quella di De Martino e Bertoldi da una parte, e di Tanassi e Cariglia dall'altra, corrispondeva l'esplosione della contestazione st11dentesca ed u11 particolare attivismo delle sinistre cattoliche, sia come ACLI o ACPOL, sia come correnti della Democrazia Cristiana. All'inizio della legislatura si verificavano pure strani accordi sottobanco tra le correnti della sinistra den1ocristiana e le correnti di sinistra del partito socialjsta unificato, che avevano uno sconcertante risco11tro nelle votazioni per i Presidenti delle Commissioni parlamentari. Le sinistre della DC, inoltre, i11iziavano la gara degli scavalcamenti a sinistra 11ei confronti dei socialisti. Non c'era giorno che un esponente della « base » o di « forze nuove » non acc11sasse di « moderatismo » il partito socialista unificato. Il risultato fu, dopo un « tiratissimo » congresso socialista e all'indomani del ribaltamento della maggioranza uscita dal congresso, la scissione socialista o, meglio, il mancato compimento del processo di unificazione. L'unificazione l'aveva progettata Nenni, l'aveva110 fatta De Martino e Tanassi, l'aveva affossata Donat Cattin. A questo punto la politica italiana era caratterizzata - nella facciata - dalla polemica, che non di rado trascendeva negli insulti, tra socialisti e socialdemocratici, e -- nella sostanza - da 11n invelenime11to di quel fenomeno di involuzione della correntocrazia verso forme bizantine, di cui già si erano avvertiti i primi segni durante l'elezione dei Presidenti di Commissioni parlamentari. Per il resto, la DC, frantumatissima anche per via dei giochi che si erano aperti in vista dell'elezione del Capo dello Stato, co8 Bi_biol tecaginobianco

Nel tunnel priva uno spazio politico vastissimo, quanto equivoco. I socialclemocratici andavano caratterizzandosi come partito di destra, un po' perché vi erano spinti dalle acct1se giornaliere degli ex compag11idi partito, un po' per seguire l'ambizioso disegno di concorrenza alla DC nell'accaparramento dei voti dell'elettorato n1oderato. I socialisti riscoprivano l'ancestrale complesso d'inferiorità nei confronti del partito comttnista. I repubblicani mantenevano una posizione fortemente critica nei confro11ti delle altre forze di centro-sinistra, denunziando a più riprese l'involuzione della situazione politica e le gravissime responsabilità che si era presa la sinistra della DC qt1ando aveva provocato - con i suoi scavalcamenti continui - tensioni eh.e avevano concorso a creare le premesse della scissione socialista; nel co11tempo 1nantenevano l'equidistanza tra socialisti e socialdemocratici, accentrando la discussione sui content1ti programmatici, ed in particolar modo invitando gli altri partiti a riflettere sul deterioraJne11to della situazione eco11omica e finanziaria. Questa era. molto schematicame11te la situazione critica del centro-sinistra alla vigilia delle elezioni per i consigli regionali. I risultati segnarono un netto successo elettorale per il centro-sinistra, nel suo complesso; non segnarono certo il suo successo politico. Se infatti i partiti, coprendo u110 spazio politico maggiore, avevano aumentato i propri voti, questo si doveva alla sempre maggiore distanza fra le loro posizioni politiche. In altri termini, la divaricazione della maggioranza aveva consentito il successo elettorale; la stessa divaricazione non consentiva ai partiti di trovare la necessaria coesione per governare il paese. La crisi politica raggiungeva a questo punto il suo fondo. E tuttavia i partiti del centro-sinistra, constatata l'impossibilità di trovare l'intesa su un organico accordo programmatico, sfumavano sempre più i contenuti delle riforme, che asserivano tutti di volere; e trovavano il punto d'inco~tro nello stato di necessità, volendo ad ogni costo evitare le elezioni politiche anticipate. Il governo era quindi nell'impossibilità di governare ed il suo compito non riusciva ad andare al di là dell'ordinaria amministrazione. Si entrava così in un periodo di stallo riformatòre, e sj apriva un pericoloso ,,,uoto politico. Eloquenti furono al . riguardo alcuni slogans di esponenti socialisti e democristiani pbì o me110 di sinistra (fra i quali trovava credito persino l'on. ·Andreotti): « Esiste un nuovo modo di far politica»: « Bisogna recepire la domanda che viene dal 9 Bibiiotecaginobianco

Guido Con1pagna paese ». Si trattava, a nostro giudizio, di vuota demagogia: di modi di far politica ne esiste uno solo ed è lo stesso che Machiavelli ha individuato molti anni or sor10; quanto poi alla « domanda che sale dal paese », t1na classe politica degna di tale nome non si limita a recepirla passivamente, ma distingue quelle che sono le esigenze fondamentali dalle istanze corporative, o comu11que astrattame11te velleitarie, di gruppi o categorie, rendendosi interprete delle prime e formulando su queste basi precise proposte programn1aticl1e. La classe politica italiana invece sembrò volersi arrendere e scaricare le proprie responsabilità: tanto, si erano determinati « fatti 11uovi » come i consigli regionali ed i sindacati, pronti a raccogliere l'eredità. A parte il fatto che, in una democrazia parlamentare, gover110, partiti, parlamento, regioni e sindacati ha11no ciascuno un ruolo proprio, ben definito dalla Carta Costituzionale, questo dei « fatti nuovi » era un gioco di scarica-barile; e per rendersene conto basta pensare a come avviene il reclutamento dei quadri dirigenti sindacali e regionali. Dobbiamo domandarci come sia stato possibile questo deterioramento della situazione politica italiana; come mai il centrosinistra, che tante speranze aveva suscitato nel paese, come mai l'ingresso dei socialisti al governo, che noi per primi avevamo auspicato, sollecitato e salutato con entusiasmo, siano falliti 11el corso di questa legislatura, in maniera così totale da far rimpiangere l'esperienza centrista anche ad alcuni tra i più importanti fautori del centro-sinistra. La ricerca delle responsabilità non può non coinvolgere il personale politico (o, se si preferisce, il gruppo dirige11te) dei due maggiori partiti della n1aggioranza: quello cattolico e quello socialista. Per dirla con Matteucci 1 , lo spirito del '45, che aveva animato De Gasperi, Nenni, Saragat, è assente nei loro successori. « Se si ha presente - scrive Matteucci - il dibattito politico-culturale in Italia nell'immediato dopoguerra, ci si rende conto che protagonisti di quel dibattito furono in particolare liberali e marxisti. Contrapposti sul piano politico, riallacciandosi eritra111bi a Hegel partecipavano sul piano intellettilale di una comune cultura ... una cultitra europea cioè non nazionalista o autoctona ... Gli stessi cattolici andavano sprovincializzandosi, mettevano da parte Toniolo e scoprivano Maritain ... Togliatti tesseva a Torino l'elogio di Giolitti, De Gasperi commentava la Storia d'Europa di Croce; _entran1bi cercavano di porsi nel solco dello Stato risorgimentale ». 1 Cfr. La cultura politica italiana fra l'insorgenza populistica e l'età delle riforme, « Il Mulino», num. 207 - gennaie>-febbraio 1970. 10 Bibiiotecaginobianco , .

Nel turl1iel Abbiamo fatto questi riferimenti, perché ci sembrano particolarmente illuminanti per chi si proponga di scrivere di pol~tica i11 u11mo1nento in cui si parla tanto di dialogo tra cattolici e marxisti. Emarginato il filone liberale, si è assistito all'incontro di un certo marxismo ed u11 certo cattolicesimo. Scrive Matteucci, nel saggio cui prin1a accen11avamo: « Si ha quasi l'irnpressione che l'antica avversione del cattolicesimo reazionario contro lo Stato e la civiltà 11ioder1-1ac, ontro il liberalismo e la borghesia, lunga1ner1,te 111ante•-- nitta ·ir1 vita nelle organizzaz.ioni ca.ttoliclie, riesploda oggi a sinistra siL posizioni rivoluzionarie, 111antenendo però intatta la antica 1natrice integristica e clericale. Si ha così l'incontro con il marxismo senza Hegel e spesso senza Marx. Se nel 1945 tutti avevano letto la Storia d'Europa di Croce e i Quaderni dal Carcere di Gramsci, oggi tutti hanno letto Il dovere di 110n obbedire di Don Milani e Lettere a una professoressa della Scuola di Barbiaria ». Dj testi del genere si è nutrita e si nutre la contestazione giovanile. Questa contestazione le forze politiche si limitaro~o a recepirla, se 110n ad incoraggiarla, a ciò spinte forse da una sorta di complesso di colpa per quello che non avevano fatto e no11 sapevano fare, di11anzi alle esigenze del mondo studentesco. Croce scampar.e, Gramsci pure, appaiono i catechismi ci11esi; la nostra tradizione politica non è più nel Risorgime11to e nella Resistenza, ma nei fedayn e nei vietcong; la politica ce l'ha inseg11ata Savonarola e non Machiavelli. Togliatti era uno « sporco revisionista», il PCI è il capo di una sinistra capitolarda; i sindacati so110 « servi dei padroni »; e finalmente i moti di Reggio Calabria e i tumulti in occasione di « Agostino 'o pazzo » sono le grandi occasioni rivoluzionarie per la sinistra nel Mezzogiorno 2 • In politica estera Israele si identifica col nazismo, gli arabi e i fedayn rappresentano un modello di civiltà antiimperialista. Laddove forse l'imperialismo non è che un'etichetta dietro cui nascondere il livore che si nutre verse le democrazie anglosassoni. Non si guarda all'Et1ropa, ma al terzo mondo·. Si parla di imperialismo america110 e non ci si rende conto che, per l'Europa, il pericolo di un riflusso a destra nasce invece dall'isolazionismo americano. L'impegno europeistico della sinistra italiana si affievolisce. Non si vuole entrare 11el novero delle nazioni industrialmente avanzate, ma si vagheggia un'Italia a capo di « una sorta di internazionale dei poveri » 3 , sganciata dall'·Europa e proiettata verso i paesi arabi. È lo stesso di2 Sono parole di Adriano Sofri, uno dei leaders di « Lotta continua». 3 Cfr. ancora MATTEUCCI, op. cit. Bibiiotecaginobianco 11

Guido Compagna scorso che ieri si faceva a proposito delle nazioni proletarie che avevano il loro nemico mistico nella « perfida Albione », oggi sostituita dagli Stati Uniti, la potenza imperialista per antonomasia. ll filo-arabisn10 di oggi si innesta sull'antisemitismo di ieri, e simpatizza110 per Gheddafi i fedeli di Paolo VI e di via delle Botteghe Oscure, gli eretici di Labor e de « il manifesto ». « La mistica del1' operaio si confonde con la mistica del povero » 4 • Il marxismo è degradato nel populismo cattolico. Dinanzi a tutto questo, ciò che manca, ciò che è mancata è la sinistra democratica. Non si può dire che si vogliono le riforme, se nello stesso tempo si insegue e si cerca di cavalcare la contestazione giova11ile, qztesta contestazione giovanile. Dinanzi ad essa non ci si può porre come inseguitori, ma come termine di confronto. Se la contestazione giovanile è esplosa come è esplosa, nelle forme caotiche in cui si è espressa culturalmente, ciò va addebitato alla classe politica italiana, e soprattutto alla sinistra. Ma è proprio per questo che la sinistra non può e non deve rifiutarsi di porre la propria alternativa riformista, rinunciando ad inseguire ogni forma di estremismo operaio e studentesco. La sinistra a.v..eva il dovere di affermare chjaro e forte che la contestazione altro non faceva che richiamare in campo le forze reazionarie, compromettendo l'inizio di quel processo riformatore al quale essa, nelle sue componenti di matrice liberale e socialista, cercava di trascinare la Democrazia Crjstiana. Perché questo era importante capire: che la DC, per le forze elettorali che rappresenta, o per la sua stessa matrice ideologica, è 11n partito più o meno conservatore, e che per questo l'impronta riformatrice del centro-sinistra non poteva essere data che dalle forze laiche. E che sarebbe stato quantomeno ingenuo prestare fede a certi atteggiamenti delle sinistre cattoliche, sempre retoricamente populistiche, mai incisivamente riformatrici. Invece la sinistra non riuscì ad essere nel governo l'alternativa alla confusione ed all'equivoco democristiano; e questo perché anche in essa la « si11istra psicologica » prevaleva sulla sinistra politica. Velleitarismo da una parte, serio riformismo dall'altra: fu la polemica salveminiana ad insegnarci a distinguere tra riformismo ,,elleitario e riformismo coerente. Non si può non sapere ciò che si vuole, 1na volerlo subito, come certi social. isti di ieri. Non si può ~ ... 110n sapere ciò che si vuole e volerlo più i11cisivo e più avanzato, con1e la sinistra di oggi. La storia più recente avrebbe dovuto inse4 Cfr. MATTEUCCI, op. cit. _,. 12 ( Bibiiotecaginobianco

Nel tunnel gnare abbastanza alla sinistra politica per sottrarla al perma11ente ricatto della sinistra psicologica. È stata opera di terrorism9 politico, e di terrorismo politico con gravissime conseguenze per la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche, quella che la sinistra psicologica ha compiuto. Incapace, quindi, di costruire un'alternativa politica sui contenuti delle riforme, la sinistra ha cercato di caratterizzarsi sugli schierarnenti. E le stesse rifornìe sono divenute ipotesi di schieramento. Si è assistito così alla scomparsa della maggioranza di centro-sinistra, come omoge11ea guida politica del paese, ed alla sostituzione ad essa ·di compromessi assembleari - e non soltanto assembleari - per l'approvazione di leggi che avrebbero dovuto qualificare il programma del governo. Dietro la formula della « maggioranza aperta », si nascondeva l'impotenza riformatrice della sinistra. Tt1tto questo, invece di valorizzare le prerogative del Parlame11to, voleva dire umiliarle. Come giustamente si rileva i1ì un editoriale di « Settanta» 5 , « quando 1'011.Andreotti affer1p.a che i disegni di legge del governo non sono quasi mai discussi in Consiglio dei ministri e sono, in realtà, testi redatti dagli uffici legislativi, non afferma la superiorità del Parlamento; è come se dicesse: questo Parla1ne1ìto non può esprimere alcun governo capace di presentare progetti di legge meditati ». Ma fino a che punto si trattava di « maggioranza aperta »? Più che aperta ai contributi delle opposizioni, è stata u11a maggioranza aperta alle rivendicazioni ed agli interessi dei singoli gruppi. Di11anzi a questi interessi e a queste rivendicazioni, il governo - o, meglio, la maggioranza governativa - 110n ha avuto la forza di opporre un chiaro e coerente disegno riformatore, i11cui magari le richieste di talu11e categorie venissero emarginate, nel nome degli interessi generali del paese. Viceversa si sono ascoltati tutti, si è dato ragione a tutti, si sono fatte molte leggine, recependo così « la domanda che saliva dal paese »; e no11 si sono fatte le riforme, perché i11 questo caso si sarebbe do,,uto inevitabilmente scontentare questa o quella categoria. Nel frattempo, da parte della sinistra, si esaltava l'azione dei sindacati che rappresentavano queste· categorie, e nessuno faceva osservare ai sindacati che essi per primi, invece di rappresentare le singole categorie, avrebbero dovuto rappresentare l'intera classe lavoratrice.- Logicamente, chi ha fatto le spese di tutto questo son.o state le categorie più deboli, quelle sindacalmente meno pros Le scelte istituzionali della sinistra, in « Settant~ » n. 10-11, marzo-aprile 1971. 13 Bibliotecaginobianco

• Guido Conipagna tette, i disoccupati, i sottoccupati, i lavoratori cl.i alcune piccole aziende. Le quali categorie più deboli, non d1fese dai sindacati perché meno organizzate sindacaln1ente, non trovavano un interlocutore valido neanche nelle forze politiche, troppo occupate a « recepire )> ciò che i sindacati volevano. La polemica di Salvemini nei confronti di certi sindacalisti del suo tempo è di un'attualità sconcertante. La sinistra ha il dovere di scegliere; nel momento che non sceglie, ha abdicato al proprio ruolo. Deve scegliere tra politica della piena occupazione e politica degli aumenti salariali, tra programmazione e pansindacalismo, tra riformismo e massimalismo, tra coerenza riformatrice e populismo velleitario. Sono, indubbiamente, scelte difficili per la sinistra, scelte che possono comportare, ed hanno comportato altre volte, dei costi elettorali; quei costi elettorali che i socialisti hanno pagato, anche in termini di scissione, allorché scelsero il centro-sinistra. Un prezzo elevato, certo, ma infinitamente inferiore a quello che, per la incapacità riformatrice della sinistra, e soprattutto per il suo rifiuto di scegliere, rischia di pagare oggi il paese. Il prezzo di cento deputati all'estrema destra, nel migliore dei casi. Abbiamo sentito parlare di « repubblica conciliare », di « grande coalizione », di « gollismo all'italiana ». Qu~sta non è una rivista di profezia politica, e ci rifiutiamo di azzardare delle ipotesi. Può darsi che, in questa breve quanto disorganica analisi della crisi del centro-sinistra, ci siamo lasciati trascinare dal pessimismo cui induce la ricognizione dei fatti, a partire dal 68. Ma è anche molto arduo credere in un immediato rinsavimento della sinistra italiana, ed è difficile non concludere, con Spadolini, che forse « il peggio deve ancora cominciare ». Dina:µzi a questa eventt1alità del peggio non si può peraltro restare passivi. E poiché qualsiasi azione politica, se non vuol essere condannata al fallimento, deve ispirarsi ad una visione realistica delle cose, bisogna in primo luogo porsi i problemi così come sono e non come si vorrebbe che fossero. Ora, i fatti sono questi: l'alternativa al ce11tro-sinistra che si voleva proporre da sinistra, velleitariamente, si è proposta da destra, e con ben altra concretezza. Per la maggioranza non vi è dunque che una sola strada da battere: serrare le file per realizzare quella coesione che finora essa si è colpevolmente rifiutata di cercare. 14 B~bliotecaginobianco

Nel tunnel E tuttavia, quand'anche si riuscisse a serrare le file, non per questo oggi sarebbe possibile intravedere l'uscita dal tun_nel. E questo perché le file si potranno serrare solo 11ella misura in cui si abbandoneranno le ambiguità, le dichiarazioni generiche, le astrazioni, e si avvierà finalmente un discorso politico sulle cose, sulle scelte possibili e necessarie. La crisi eco11omica incalza, mentre all'orizzonte si disegna il pericolo di rotture istituzionali. Al peggio dunque, si pL1ò opporre una sola alternativa: quella' dei contenuti. Un'alternativa del centro-sinistra nel centro-sinistra. l GUIDO COMPAGNA • .. 15 Bibiiotecaginobianco

Il parricidio mancato di Girolamo Cotroneo · Fra le tante considerazioni (o confessioni) con le quali alcuni rappresentanti della 11ostra vita culturale, i quali alla fine della guerra era110 intorno ai vent'anni e rapprese11tavano perciò la generazione alla quale sembrava affidato il compito di « rifare » l'Italia, hanno tracciato una sorta dì bilancio degli ultimi venticinque a11ni della nostra storia, manifesta11do così - sia pure da 11na' ngolazione del tutto soggettiva - le illusioni, le delusioni, le realizzazioni di cui un'intera generazione sembra portare il peso (o la responsabilità); fra tutte quelle considerazioni, dicevamo, che avrebbero potuto costituire la radiografia psicologica della generazio11e in questione se « L'Espresso.», promotore dell'iniziativa, 110n fosse stato del tutto u11ilaterale nella scelta degli interlocutori, la più i11telligente, e soprattutto la più stimolante, ci è sembrata quella di Enzo Forcella. Non che gli altri interventi - tranne qualcuno estremamente piatto e schematico, o pieno dei luoghi comuni di certa « opposizione » contempora11ea - non presentassero· anch'essi delle osservazioni interessanti: ma quello di Forcella definiva con tale precisione la parte avuta (o non avuta) dalla sua generazione nelle vicende della società italiana del dopoguerra, da fare sorgere nella mente dei lettori - specialmente di quelli per i quali i primi anni della Repubblica costituiscono più un fatto storiografico che non passione vissuta, ap·partenendo alla generazione successiva, o, come nel caso di chi scrive, a quella dei_ fratelli minori dei giovani di quegli anni - da far sorgere, dicevamo, di fronte ai lettori un problema storico della massima importanza per la comprensione dei principali avvenimenti della nostra storia più recente. Il discorso di Forcella è il seguente. Alla fine della guerra l'egeino11ia politica e culturale non è stata assunta nel nostro paese dalla nuova, o dalle nuove generazioni. Essa invece è andata (o ritornata) nelle mani di coloro che si erano formati nell'Italia prefascista (i Togliatti, i De Gasperi, i Ne11ni, i Saragat); ne è venuto di conseguenza, dice Forcella, cl1e « per venticinque anni la storia italiana ha marciato sui binari da essi tracciati e tutti coloro 16 Bibliotecaginobianco

Il parricidio 1na11cato che oggi hanno quaranta, quarantacinque, cinquant'anni sono riusciti a portarvi soltanto alcune modeste correzioni marginali ». Così, « se il fascismo era stato un affare dei padri », a11che << l'antifascismo e il postfascismo sono stati per buona parte dominati da loro ». Ne deriva pertanto, sempre secondo Forcella, che la traccia lasciata nella storia italia11a dell'ultimo quarto di secolo dalla prima ge11erazione postfascista, « sembra tracciata in pu11ta di piedi, proprio come se avesse saputo fin dall'inizio cl1e era desti11ata a. esercitare u11 ruolo s11balterno; per circosta11ze storiche o per pochezza di mezzi, questo è già un altro discorso ». Ma è proprio questo, a nostro a"'Jviso, il discorso che andrebbe fatto una volta per tutte. L'analisi, abbastanza pessimistica come si può notare anche dai soli pochi cenni riportati, che Forcella ha fatto intorno al ruolo della sua generazione, nor1 ci pare dia ragione - né forse poteva, dato il carattere necessariame11te limitato del suo i11tervento - dell'accadin1ento da lui acutamente descritto e che è stato certamente decisivo delle ulti1ne vice1ide politicoc11lturali del nostro paese. Naturalmente, trova11doci oggi di fronte alla spietata logica dell'accaduto, non resterebbe che prenderne a.tto, e pe11sare al futuro. Ma poiché il futuro 11.onpuò essere pensato in termini co11creti senza il ripensame11to del passato, allora è chiaro che il discorso sulle ragioni del fer1on1eno descritto da Forcella va fatto; e va fatto senza neanche chiedersi se la mancata partecipazione della prima generazione post-fascista sia stato Lln bene o 11n male per il nostro paese, dal n1omento che 11.elle vicende storiche, come è noto, non esiste la controprova (anche se Gramsci diceva che quando si fa con i « se », la storia diventa « politica attuale », e anche se personalmente pensian10 cli.e le « assenze » nella storia di un popolo, come del resto nella vita i11dividuale, sia110 sempre negative e spesso cat1sa principale degli scompe11si e delle successive crisi). A nostro avviso, comu11q\1e, la causa fondamentale di quella « asse11za » dì cui parla Forcella, la ragio11e per cui furono gli uomini della generazione prefascista a segnare le direttrici lungo le quali si sarebbe poi mossa la vita sociale, politica e ct1lturale dell~ultimo venticinquennio, sono dovute (e non riteniamo certo di dire una 11ovità) al vuoto culturale che il fascismo aveva aperto alle spalle dei giovani che era110 cresciuti sotto il regime: privi di informazione, ignoranti dello sviluppo civile del resto d'E11ropa (o del mondo), estra~ei a qualsiasi esperienza politica diretta, con un'idea della storia e11ropea deformata dagli storici del regi1ne 17 Bibiiotecaginobianco

Girolamo Cotroneo (quanti fra di essi avevano letto, ad esempio, 1'1: Storia d'Europa di Croce?), aderirono alla Resistenza soprattutto per quella istintiva aspirazione alla libertà che, pure se talvolta inconsciame11.te, vive sempre all'interno dell'animo umano. Più cl1e una adesione calcolata, logica, razionale, con precise idee e concrete prefigurazioni del futuro, la loro fu una scelta emotiva, fu ribellione disperata alle frustrazioni, alle limitazioni intellettuali alle qt1ali era110 stati sino allora costretti: « on s' engage et puis on voit )> si potrebbe dire fosse il principio ispiratore di tutta la loro azione, il cui unico punto fermo co11sisteva nella conquista delle libertà politiche e civili. Né poteva essere diversan1ente. La pressoché totale disinformazione sugli altri paesi, sulle altre società, alimentavano il mito - come ha scritto « L'Espresso » presentando il tema - « delle distese di automobili parcheggiate dagli operai americani davanti ai cancelli delle loro fabbriche » o quello « delle distese di grano sovietico solcate da 'modernissimi trattori' », o ancora q11ello « elvetico-scandinavo delle bottiglie di latte deposte impunemente al limitare delle soglie dornestiche, ·sul marciapiede ». Ivla erano appunto miti, favoriti dalla mancanza di cultura, eterna genitrice di miti: e chi, se non gli uomini che - o a causa dell'esilio, o per precedenti esperienze culturali - erano stati a contatto diretto con quelle « società felici », potevano ora guidare e indirizzare finalmente anche l'Italia libera verso quelle organizzazioni sociali che agli occhi dei giovani vissuti nel limbo di Mussolini, rappresentavano la realizzazione di tutte le libertà, il compimento delle loro aspjrazioni? A quegli uomini quindi, ricchi di cultura e di esperienza politica., toccava 11aturalmente il compito di ricostituire la società italiana: i loro figli maggiori non potevano compiere il « parricidio » perché alla loro cultura e esperienza non potevano opporre nulla di eguale, nulla che non fossero i loro generosi sogni, i n1iti. di cui era110 facile preda: e questo, come dice Forcella, « era risultato chiaro sin dall'immediato dopoguerra, i giovani di allora lo capirono subito: o accettare la leadership o rimanere esclusi ed emargina ti ». Questo è stato certamente il mome11to essenziale, la svolta decisiva di tutte le successive vicende dell'Italia postfascista, che trovano appunto in questo importantissimo avvenimento l'ultima radice: perché fu in quel 1nomento che si frantumò l'apparente « una11imismo generazionale » che per una breve stagione sembrò acco18 Bibliòtecaginobianco . .

Il parricidio n1a11cato munare tutti coloro che si a:ffacciavar10 per la prima volta alla ribalta della vita politica dell'Italia libera. Gli uomini che egemor1izzarono, per così dire, l'a11tifascismo avevano infatti id.ee tutt~altro che univoche sul futuro del paese, idee che nascevano dalle loro diverse esperienze culturali, e che andava110 dalla restaurazione toitt court dell'Italia prefascista alla realizzazione di strutture sociali già sperimentate in altri paesi, strutture che talora non avevano alcun aggancio cor1 la tradizio11e sociale e culturale del nostro.· I « freschi ideali », la fantasia creatrice, ma11caror10 cor11pletamente: non ne potevano essere portatori i « padri », radicati nelle convinzioni in nome delle quali aveva110 combattuto o osteggiato il fascismo, né lo potevano essere i « figli », ] a cui esperie11za e cultura era pressoché nulla. Quest'ultimo fatto fu quello decisivo, per cui la prise du pouvoir e l'orga11izzazio11e del pouvoir stesso nor1 poteva essere, seco11do appunto dice Forcella, che « un affare dei padri ». E Forcella aggiunge che questo avvenimento non può essere considerato un « sopruso », dal momento cl1e ci so110 « ottime ragioni storiche per sostenere che le cose no11 potevano andare in modo diverso ». Ancora una volta è la logica dell'accaduto a spiegare il tutto, ma è una logica alla quale non si possono opporre se no11 dei « se )>, che non muterebbero l'accaduto stesso. Comunque sia, 11 salto, la parziale assenza di una generazione - e di una ge11erazione particolarissima: quella cioè che aveva gettato nella lotta per la liberazione tutto il suo coraggio e tutte le sue speranze -- questa assenza, dunque, nella nostra storia più recente trova perciò se r1on proprio la sua giustificazione, per lo meno una spiegazione sufficienteme11te valida. E Forcella ha giustamente il inerito di averla espressa senza incertezze e retice11ze. Ma questa spiegazio11e (o giustificazio11e che si voglia) 11011 chiude ancora il discorso, ché anzi, a nostro avviso, è qui che esso si apre veramente. La conclusione di Forcella è molto amara e certamente dura nei co11fro11ti di tutta la sua generazione (non per nulla ha addirittura parlato di « pochezza di mezzi » ); lo è soprattutto quando scrive che tutti i fenomèni politici e culturali degli 11ltimi anni, - « il revisionismo co1nunista, il cattolicesimo conciliare, l'econ~mia neo-capistalista, i nuovi interessi culturali » - sono arrivati in Italia come « ~aduti dal cielo », nel senso che essi sarebbero stati ancora una volta « affare dei padri », alla formula19 Bibliotecaginobianco

Girola1no Cotroneo zio11e dei quali la sua generazione non avrebbe, .ancora una volta, per nt1lla (o quasi) partecipato. Ora, se per gli avvenimenti posteriori alla guerra e alla liberazione la « non-partecipazione » poteva avere, come si è detto, delle giustificazioni più che accettabili, lo stesso non si può dire per quanto è accaduto dalla fine degli anni cinquanta sino ad oggi. Il vuoto di cultura creato dal fascismo avrebbe potuto pure essere coperto; ma evidentemente non lo è stato abbastanza se la nuova generazione non ha saputo partecipare, o farsi addirittura protagonista dei nuovi fermenti. Qui il « giustificazionismo » storico lascia il posto a precise responsabilità. Forcella dice che è stato così, rna no11 si chiede « perché » è stato così, lasciando quindi intendere che ancora una volta, pur nelle mutate condizioni storiche, il « parricidio » non era stato consumato e questa inesaL1ribile generazione dei « padri » aveva nuovamente avuto il sopravvento su quella dei figli. Ma, come si diceva, il discorso non può a questo punto imper11iarsi ancora sulle « circostanze storiche », perché cancellerebbe quelle responsabilità che invece esistono. Il fatto è che le idee, il patrimonio culturale proposto (o riproposto) dagli uomini della vecchia generazione alle generazioni nuove, - si trattasse del liberalismo prefascista o del marxismo in edizione togliattiana, del cattolicesimo degasperiano o del socialismo democratico - divenne dogma e 1nito per i coetanei di Enzo Forcelìa. Non si tratta qui di j11vocare il « parricidio » a ogni costo: ché anzi per posizione o per formazione storicistica, riteniamo il « parricidio » ( e le vicende ultimissime del nostro paese lo dimostrano a sazietà) un'astrazione intellettL1alistica, una forma di snobismo culturale inutile (se non addiritt11ra nociva allo sviluppo democratico e civile di un popolo), con la quale si pretende di imporre un n1odello astratto a un paese, senza pensare cl1e le istituzioni, la religio11e, la ct1ltura di cui esso è portatore non sono soltanto frutto di mistificazione di pochi ai danni dei più, ma travaglio storico che 110n può essere cancellato e sostituito con un « assolutamente nuovo »: il quale molto spesso è superficiale imitazione di ciò che in altri paesi è stato faticosamente co11quistato poco alla volta. Comunque sia, per tornare al nostro discorso, è vero che la generazione cui appartengono Enzo Forcella e gli altri che hanno risposto alla domanda de « L'Espresso » non aveva altro a cui rifarsi se non le idee antifasciste (qualunque poi esse fossero) dei « padri »; ma il fatto di averle poi accettate come dogmi è tutta un'altra 20 Bi~Iiotecaginobianco

Il parricidio n1ancato questione. Manco infatti uno sforzo creativo di rielaborazione di ( quelle idee e di quelle dottrine politiche (e chi la te11.tò fu messo ai 1nargini, non solo dai padri, ma anche dai fratelli), ma11cò· l'impegno a chiarire certi equivoci che esse contenevano (e che erano evide11ti fin da allora). Quell'approfondimento critico - che pure - l'esperienza giova11.ile del fascismo avrebbe dovuto consentire alla generazione di Forcella di mantenere come in1.pegno costante - q11ell'approfondimento critico, dicevamo, attraverso il quale soltanto si sfugge al doppio pericolo dello scetticismo e del dommatismo, mancò completamente. Così l'adesione a quanto proposto divenne totale e incondizionata, genera11.do quel conformismo che a tutti i livelli - di potere o di opposizione - coprì tutta Italia per gli anni Cinquanta e ancora oltre. Così n1olti, forse la più parte di quella generazio11.e (le eccezio11i, a parte la sfiducia di Forcella, no11.ci pare siano mancate: e sono quelle che consentono di non disperare), così molti, dicevamo, o per opportunismo o per mancanza di vigore intellettuale, credettero di avere finalmente trovata la verità, e in· essa si adagiarono, senza essere minimamente sfiorati dall'idea che nella dottrina e nell'azione politico-culturale la verità coi11.cide con la ricerca della verità. Prova ulteriore di questa crisi culturale è venuta co11. i rece11.tissiri1i avvenimenti, quando un'altra forma di « parricidio n1.ancato », la co11testazione giovanile, diven11e la bandiera di una generazio11e che, dopo avere sventolato quella dei padri, 11.onesitò (salvo i rece11iissin1i ripensamenti) a sventolare quella dei figli, co1ne ha notato, ancora una ,,olta amaramente, Enzo Forcella scrivendo di cor1oscere be11pocl1i della sua generazione che « non siano stati a correre dietro i tempi ». Dovrem1no forse dire che l'opportunismo e la viltà di cui il fascismo era stato maestro fa ancora sentire i suoi nefasti effetti presso coloro che fra quell'opportunismo e quella viltà trascorsero gli anni più giovani? Ghe la Resiste11za, la lotta per la liberazione a cui spesso parteciparo.no in prima persona, non abbia avuto quell'effetto catartico, liberatorio, cl1e pure era lecito attendersi? Non vogliamo essere pessimisti fino a questo punto: e crediamo ancora, come ha scritto « L'Espresso » nella prese1ìtazione di questa autobiografia di una generazione (o di una certa parte di essa), cl1e quest'ultima non abbia ancora « esaurito i suoi compiti ». Le premesse purtroppo non sono favorevoli dopo quanto è successo finora; e anche dopo· quanto si è potuto leggere in certe dichiarazioni apparse assieme a quella di Enzo Forcella, dalle quali 21 Bibiiotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==