Nord e Sud - anno XVII - n. 125 - maggio 1970

, NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Augusto Graziani, Una svolta meridionalista per i sindacati - Sandro Petriccione, L'industrializzazione carente - Enzo Vellecco, Il programmatore deluso - Roberto Sanseverino, Da una congiuntura ali'altra - Francesco Compagna, Napoli e la sua regione e scritti di Sergio Antonucci, Luisella Battaglia, Adriana Bich, Luigi Compagna, Sara Esposito, Mario Pendinelli, Rocco Palestra, Pasquale Emilio· Principe, Enrico Vitiello. ANNO XVII - NUOVA SERIE - MAGGIO 1970 - N. 125 (186) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI BibliotecaGino Bianco

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I NORD E·SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVII - MAGGIO 1970 - N. 125 (186) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L: 5.000, semestrale · L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000 ~ Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6J9585 Edizioni Scientifiche Italiane- Via Carducci 29, Napoli BibliotecaGino Bianco

SOMMARIO Augusto Graziani Sandro Petriccione Enzo Vellecco Mario Pendinelli Luigi Compagna Luisella Battaglia P. E. Principe Editoriale [3 J Una svolta meridionalista per i sindacati [7] L'industrializzazione carente [ 14] Il programmatore deluso [21] Giornale a più voci Bonomi, il PCI e i coriandoli di terra [32] Cent'anni dopo [36] Lo scafandro del critico [ 41 J Libertà e responsabilità dei giudici [ 43] Argomenti Roberto Sanseverino Da una congiuntura all'altra [ 49] Sergio Antonucci Il mito aziendale [ 65] Città e Territorio Sara Esposito Il sistema urbano nelle due Germanie [81] Frontiere Enrico Vitiello Il Patto violato [ 87] Rocco Palestra Le biblioteche pubbliche negli Stati Uniti [ 100] Documenti f,rancesco Compagna Napoli e la sua regione [113] Letteratura Adriana Bich Il filone popolare [ 123] BibliotecaGino Bianco

Editoriale Sinistra democristiana e sinistra socialista hanno sempre subìto le suggestioni del « pregiudizio sfavorevole » nei confronti degli Stati Uniti: perché gli Stati Uniti sono capitalisti e, p·er quanto riguarda le sinistre democristiane, più o meno consapevolmente, perché gli Stati Uniti sono laici. E sono proprio le suggestioni di questo « pregiudizio sfavorevole » nei confronti degli Stati Uniti che inducono le sinistre democristiane e le sinistre socialiste a mutuare non solo dai comunisti, ma anche dai gauchistes anticomunisti molti luoghi comuni che vertono tutti sul tema rozzo e semplicistico dell'imperialismo capitalistico che dagli Stati Uniti ordisce trame di guerra, congiure per provocare colpi di Stato, piani di oppressione e di affamamento dei popoli poveri. Ora, in coincidenza con la difficile campagna elettorale che si è aperta in Italia e in coincidenza con i gravi avvenimenti che concorrono ad inasprire la crisi nel Sud-est asiatico e la crisi nel Medio Oriente, le sinistre democristiane e le sinistre socialiste hanno fatto circolare e hanno accreditato interpretazioni unilaterali di quei gravi avvenimenti, interpretazioni fondate sulla denuncia degli Stati Uniti, aggressori diretti nel Sud-est asiatico ed oppressori indiretti nel Medio Oriente. La propensione per l'amicizia e per la solidarietà con i popoli anglosassoni è invece una costante dell'atteggiamento dei democristiani laici e anche di ambienti socialisti di tradizione riformista e comunque sensibili più al richiamo della forza liberale dell'ideologia socialista, e in pari tempo dell'empirismo laburista, che non al richiamo del velleitarismo rivoluzionario e delle generiche aspirazioni populistiche grazie alle quali altri a1nbienti socialisti o si condannano all'impotenza politica o si lasciano condizionare da una soggezione senza scampo all'egemonia dei comunisti. Questa propensione per l'amicizia e per la solidarietà con i popoli anglosassoni ha le sue radici profonde nella considerazione che i paesi anglosassoni prima di essere capitalisti o imperialisti sono democratici. Ma - obbietterebbe un giovane cattolico di sinistra tutto proteso a risolvere i problemi del Terzo mondo, o un giovane socialproletario tutto proteso ad affrettare i tempi della rivoluzione mondiale, o anche un giovane o meno giovane socialista che vuole « cambiare il sisten1a » e vuole cambiarlo guastandone i meccanismi onde non possa funzionare più né sul piano interno, né su quello internazionale - c'è l'imperialismo degli 3 BibliotecaGino Bianco

Editoriale Stati Uniti e questo è il nemico principale di ogni sinistra degna di essere sinistra; e del resto - potrebbe aggiungere questo nostro interlocutore cattolico, socialproletario, socialista bertoldiano o lombardiano - anche negli Stati Uniti, giovani in testa, ci si batte contro l'imperialismo degli Stati Uniti. Ora noi vorre111mo controbbiettare anzitutto che l'esperienza storica e l'analisi politica, al di là dei facili slogans di un sinistrismo di maniera, ci insegnano che la politica estera degli Stati Uniti può degenerare in senso reazionario, almeno dal punto di vista dei suoi contraccolpi sulla de1nocrazia in Europa, non tanto perché imperialista quanto perché isolazionista. Roosevelt e Kennedy non furono ùnperialisti, ma i loro avversari sono stati sempre più o meno tendenzialmente isolazionisti; e l'isolazionismo che trionfò di Wilson è costato un'esperienza di dolore ai popoli europei. D'altra parte, oggi, co1ne la dottrina sovietica della sovranità limitata si ricollega allo stalinismo e rende assai poco credibile il richiamo del PCI alla dottrina delle vie nazionali al socialismo (non a caso circolano indiscrezioni e preoccupazioni sul futuro del «non allineamento » jugoslavo), così la politica che Nixon ha definito del « basso profilo», di « abbassamento della voce » degli Stati Uniti ( « abbassamento » rispetto alla «voce» non solo e non tanto di Johnson, ma anche e soprattutto di Kennedy) si ricollega all'isolazionismo e potrebbe riferirsi non all'Asia soltanto, ma anche all'Europa, e rendere quindi poco credibile nel futuro la solidarietà democratica fra le due rive dell'Atlantico: nel qual caso potrebbe risultare spostato gravemente a danno di un'Europa balcanizzata o balcanizzabile l'equilibrio politico e strategico. Ci si potrebbe e ci si dovrebbe domandare anche fino a che punto la sinistra americana che manifesta contro Nixon e che si organizza in un movimento pacifista sia anche corriva ad assumere atteggiamenti isolazionisti ed a ritrovarsi con lo stesso Nixon proprio sul terreno dell'isolazionismo. E così ci si potrebbe e ci si dovrebbe doniandare fino a che punto l'isolazionismo di Nixon sia soltanto velleitario ( il che non significa che come tale non possa provocare danni) e destinato a smentirsi in occasione di qllalsiasi caso del genere di quello del Cambogia, ovunque avesse a verificarsi (perché chi governa deve tener conto anche della ragion di Stato, come ne tengono conto russi e cinesi), o fino a che punto, come lo stesso Nixon va affermando, anche l'intervento in Cambogia costituisce un mo1'nento dialettico della politica del « basso profilo », un passaggio obbligato per affrettare i tempi di una politica che deve ancora definirsi sul problema del confine fra disimpegno in Asia e isolazionismo rispetto altEuropa. 4 BibliotecaGino Bianco

Editoriale Conzunque sia, oggi gli Stati Uniti sono travagliati da una profonda crisi di turbamento della coscienza nazionale: n1otivi pacifisti e motivi isolazionisti si intrecciano fra loro, nobili nelle loro radici emotive i pri1ni, grettamente egoistici nelle loro radici nazionalistiche i secondi; e gli uni e gli altri, intrecciandosi, hanno animato appunto la protesta contro l'intervento in Canzbogia, che si vuole essere stato deciso in seguito a pressioni militaristiche. Pacifismo, isolazionismo, nazionalismo, militarismo sono u1nori che circolano, si confondono, si contrappongono ed alla fine si co1npongono nel crogiuolo di un'opinione pubblica allenata ai contrasti della de1nocrazia. Ma questa opinione pubblica si trova oggi di fronte ai grandi e gravi problemi che la responsabilità di potenza mondiale pone agli Stati Uniti; e che sono problemi di scelte che non se1npre e 1nagari quasi mai possono essere indolori: di scelte che sono certo più difficili per una grande potenza che si regge con il sistema de1nocratico di quanto non lo siano per una grande potenza che non deve fare i conti con le reazioni della pubblica opinione. Ed allora, di fronte a questa crisi che agita e che tormenta la pubblica opinione negli Stati Uniti, il democratico europeo deve saper scegliere un atteggiamento responsabile, deve riflettere più che manifestare o quanto meno riflettere prima di manifestare. Il punto di partenza per questa riflessione a noi sembra che debba essere questo: a filo di logica non si può volere in pari tempo la pacificazione nel Sud-est asiatico e la capitolazione degli Stati Uniti nel Sudest asiatico; e non si può volere in pari te1npo una soluzione negoziata del conflitto indocinese ecl una soluzione militare che abbia come suo epilogo una Dunkerque indocinese, o peggio una Dien1 Biem Phu degli Stati Uniti. Di qui la considerazione che coloro i quali partecipano a manifestazioni di piazza contro gli Stati Uniti, se vogliono veramente la pace, hanno il torto di non ricordare: 1) che la neutralità del Cambogia e del Laos è stata compron1essa dalle infiltrazioni comuniste; 2) che gli Stati Uniti stavano adoperandosi e continuano ad adoperarsi per << segnalare » - attraverso il ritiro delle loro truppe già iniziato e co4 munque preannunciato per scadenze precise e per contingenti rilevanti - la loro disponibilità a soluzioni negoziate del conflitto indocinese; 3) che nel Vietnam gli Stati Uniti si sono fatti coinvolgere direttamente in questo conflitto nel quale altre potenze hanno avuto e sembra che abbiano ancora interesse a coinvolgerli. Se poi queste considerazioni sui fatti non fossero convincenti ve ne sono altre che riguardano non i fatti accaduti ma le conseguenze dei fatti che potrebbero accadere: una capitolazione degli Stati Uniti, am5 BibliotecaGino Bianco

Editoriale messo che sia possibile, o anche la pretesa della capitolazione, potrebbero provocare una reazione molto grave nel fronte interno dell'opinione pubblica americana; una reazione ben più grave e di segno contrario rispetto a quella che si è avuta nei campuses universitari contro l'intervento ai confini del Cambogia, forse una reazione militarista, forse una reazione isolazionista, magari l'una e l'altra insieme, comunque un tipo di reazione che dovrebbe preoccupare gli europei. Non solo: una capitolazione degli Stati Uniti, sempre ammesso che sia possibile, potrebbe provocare uno spostamento di equilibri internazionali che non sarebbe certo tale da costituire un passo avanti verso la distensione mondiale e la sicurezza europea. Queste sono considerazioni di carattere politico e come tali sono le sole che contino ai fini della pace che, piaccia o non piaccia, è sempre e comunque un problema politico. E a queste considerazioni vanno aggiunte le altre, pure di carattere politico e che si riferiscono a quanto è accaduto e accade in Cecoslovacchia e nel Medio Oriente: sono anch'esse relative al problema politico della pace e dovrebbero, queste e quelle, in.durre a riflettere coloro che, sia pure in buona fede e animati da lodevoli sentimenti, si lasciano trasportare da incontrollate - e tuttavia orchestrate - reazioni emotive. 6 BibliotecaGino Bianco

Una svolta meridionalista per i sindacati di Augusto Graziani::- Il significato delle lotte sindacali di autunno va al di là delle ripercussioni economi,che immediate, e merita di essere preso in considerazione nei suoi riflessi sull'intera struttura economica del paese. Anzitutto le conseguenze dirette. Si è detto da più parti che gli aumenti salariali conseguiti dai sindacati arrecheranno benefici molto minoTi ai lavoratori del Mezzogiorno di quel che non accada nelle regioni settentrionali. La ragione di ciò sta nella struttura dell'industria meridionale, ancora largamente basata su imprese di piccola dimensione, e non di rado, su lavorazioni semiartigianali, o addirittura familiari. In questi casi, hanno osservato alcuni commentatori, la struttura dell'impresa non è in grado di sopportare aumenti salariali così elevati come quelli conseguiti nei mesi scorsi; non sarebbe quindi da escludere il pericolo di una crisi diffusa, accompagnata ,da sospensioni di attività, e licenziamenti. A ben vedere, mentre è certamente vero che 1a struttura industriale del Mezzogiorno è assai più fragile di quella del Nord, non sembra che sussista un pericolo di cnisi in questi termini. Se da un lato la piccola irnpresa è meno capace di assorbire aumenti salariali rilevanti, dall'altro è cosa nota che la piccola impresa è pronta ad evadere gli obblighi contrattuali, pagando salari di fatto inferiori a quelli previsti dagli accordi nazionali. Non è detto quindi che i miglioramenti concordati nel quadro della lotta sindacale si traducano in eguali aumenti di retribuzione per tutti i lavoratori. Questo trova riscontro in misura ancora maggiore nelle situazioni caratterizzate da un mercato del lavoro depresso; -là dove l'occupazione è stagnante, La forza contrattuale ,delle imprese viene ad essere di fatto molto m.aggiore e molto più facile risulta evadere gli obblighi contrattuali. Sotto questo profilo, è probabile che quei trasferimenti di red- (*) Questo articolo corrisponde al testo dell'intervento alla tavola rotonda sul tema « Il Mezzogiorno dopo l'autunno caldo », tenutasi il 7 aprile 1970 presso il Circolo Carlo Pisacane di Napoli. 7 BibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani dito da impresa a lavoratore che i nuovi contratti nazionali prevedono, avvengano nel Mezzogiorno in misura molto minore di quella ufficialmente stabilita. Nella discussione dei problemi sindacali in relazione all' economia del Mezzogiorno, la questione fondamentale riguarda la posizione del sindacato in quanto organizzazione nazionale nei confronti del problema regionale del Sud. Non è mancato chi ha fatto osservare che foia le rivendicazioni sindacali il problema del sottosviluppo del Mezzogiorno è sempre stato incluso con enfasi assai minore di quel che ci si sarebbe potuti attendere da una organizzazione che per definizione è destinata a tutelare gli interessi dei lavoratori. Come deve spiegarsi questo interesse attenuato che i sindacati sembrano portare al problema meridionale? Esso potrebbe essere dovuto al fatto che il problema meridionale viene percepito come problema rilevante per ogni singolo cittadino e avente una rilevanza specifica minore per il lavoratore in quanto tale. D'altro canto, l'interesse m.eno imrnediato mostrato dai sindacati per i problemi meridionali potrebbe anche essere dovuto ad un conflitto di interessi fra lavoratori del Nord e lavoratori del Sud, conflitto nel quale gli interessi dei lavoratori del Nord, più agguerriti, più consi,stenti sotto il profilo numerico ,e meglio organizzati, finirebbero inevitabilmente col prevalere. È indubbio che, negli anni passati, i problemi dei lavoratori siano stati profondamente diversi nelle regioni industrializzate e nel Mezzogior.no. Nel Nord, il problema essenziale del sindacato era di natura rivendicativa, e investiva direttamente ed in misura prevalente la questione ,dei Hve1li salariali. Specie negli anni iniziali del miracolo economico, la pres 1 sione della disoccupazione indeboliva l'azione sindacale e faceva sì che l'aumento -dei sa-lari restasse sempre inferiore all'aumento della produttività; l'obiettivo principale del sindacato era, di conseguenza, un obiettivo salariale, e l'intera azione sindacale veniva rivolta a difendere la posizione del lavoratore nella distribuzione del reddito. Totalmente diverso il problema del lavoratore meridionale. ·Qui il problema primario era quello della disoocupazione strutturale, e deHa necessità di accelerare gli insediamenti industriali al fine di creare nuovi posti di lavoro. Nel Mezzogiorno, la lotta sindacale avrebbe dovuto quindi esplicarsi non sul terreno rivendicativo della conquista salariale, ma sul terreno della politica degli investimenti e delle riforme strutturali. Mia sotto questo profilo, le forze sindacali del Mezzogiorno erano troppo deboli per essere in grado di condurre una lotta autonoma, diffe8 BibliotecaGino Bianco

Una svolta meridionalista per i sindacati renziata, negli obiettivi e nei metodi, dalla lotta condotta dai lavoratori del Nord. Sotto l'apparente unità della lotta sindacale, restava quindi latente una divergenza di finalità; da un lato l'aspirazione a salari sempre più elevati per i lavoratori del Nord, dall'altro l'obiettivo di veder crescere il flusso di investi1nenti produttivi e il tasso di accun1ulazjone, per i lavoratori del Sud. Si può dire che, in misura più o meno evidente, questo conflitto abbia permeato l'azione sindacale fino a tempi recentissimi, sia nei periodi di situazione sindacale debole che in quelli di politica più . vigorosa. Nel corso del secondo dopoguerra 1 la vita sindacale italiana ha avuto due periodi caratterizzati da un'azione rivendicativa particolarmente energica, quello del 1959-61, e, dieci anni più tardi, quello dell'autunno 1969. Prima del 19591 l'azione sindaoale nel mondo dell'industria appare piuttosto debole 1 e l'attività del sindacato si svolge più sul terreno politico -che sul piano strettamente economico. Col 1959, .per la prima volta, raggiunta nelle regioni del Nord una situazione di piena occupazione delle forze di lavo-ro, il sindacato acquista una forza nuova ed è in grado di organizzare con successo i primi scioperi di portata nazionale aventi contenuto esclusivamente rivendicatjvo. In quest'epoca, queHo che dà forza al sindacato è proprio la raggiunta piena occupazione, anzi la scarsità di manodopera, che si n1anifesta in taluni settori sotto forma di slittamenti salariali e di salari di fatto che tendono a supeTare i salari contrattuali. A questo punto, la divergenza di interes,si che divide lavoratori del .Nord e lavoratori del Mezzogiorno tocca probabilmente il suo cuhnine. I lavopatori del Nord si pongono ormai su di un pialilo rivendicativo sim,ile a quello dei lavoratori di altri paesi europei, e concentrano l'attenzione sui miglioramenti salariali accoppiati a riduzioni di orari di lavoro; per i lavoratori del Mezzogiorno, il problema della piena occupazione è ancora ben lonta:no dall'essere soddisfatto. Se la prima ondata di azioni sindacali è stata sostenuta dalla piena occupazione, la seconda, quella emersa dopo un decennio, nell'autunno del 1969, è stata alimentata da fattori totalmente diversi. Nel corso del decennio 60-70, il processo di congestione nelle grandi città industriali del Nord è andato progressivamente aggravandosi. La carenza di abitazioni, accoppiata alla necessità di vivere nei centri urbani causata dall'inadeguatezza dei trasporti pubblici, l'insufficiente ,dis,poni'bilità di servizi scolastici e sanitari, hanno finito con lo svalutare i salari reali in una 1nisura che nessun 1neic9 · BibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani canismo di s.cala mobile poteva compensare. Nelle grandi città industriali, i prezzi delle abitazioni hanno raggiunto livelli tali da assor,bire da un terzo alla metà del saliario di un operaio medio. L'indice dei fitti valevole ai fini della scala mobile riflette una media dei fitti blocoati e non bloccati; ma per il nuovo emigrato, il fitto che conta viene determinato al di fuori di qualsiasi blocco. Blocco dei fitrti e sciala mobile, funzionano a favore dei lavoratori già insediati e sistemati, ma risultano provvedimenti vani nei confronti dei lavoratori di nuova o fresoa immigrazione. È così avvenuto che, nonostante ogni meccanis.mo prot,ettivo, i salari reali dei lavoratori hanno co1ninciato a subire considerevoli declini. Se vogliamo spiegarci da quale fonte i sindacati abbiano tratto la forza e come ,abbiano ottenuto la coesione mostrata nel corso dell'autunno caldo, non dobbiamo dimenticare questi elementi. Come l'ondata rivendicativa del 1959 era stata sostenuta dalla forza contrattuale conseguente alla piena occupazione, così ,l'ondata dell'autunno caldo è stata sostenuta dalla congestione dei centri urbani, dalle riduzioni di sala:Di reali che ne conseguivano, da quella che potremmo chiamare la piena occupazione delle infrastrutture. Una situazione del genere non giunge ovviamente imprevista. Già da molti anni gli esperti di problen1i connessi a:ll'eoonomia del territorio avevano previsto che l'accentrarsi di attività produttrve nelle regioni settentrionali aVirebbe portato prima o poi a fenomeni di congestione tali da rendere antieconomica la stessa concentrazione. Forse non si poteva immaginare che l'addensamento indusitriale nei distretti del .Nord avrebbe prodotto conseguenze così drammatiche, 1na la direzione nella quale il fenomeno era avviato era stata largamente prevista. Il risultato di aues,ta situazione è che anche l'interesse dei la- .... voratori del Nor,d viene ad es-sere sostanzialmente modificato. I sindacati hanno già mostrato di rendersi conto, e dovranno rendersi conto in misura anoo,r più profonda in avvenire, del fatto che una strategia ispirata unicamente a obiettivi salariali finisce con l' essere una strategia sterile, in quanto è assai difficile tutelare stabilmente in termini di beni e servizi goduti dal lavoratore le conquiste realizzate in terimini di sa'lari monetari. Di fronte a mutamenti strutturali imponenti, l'esperienza ha 1nostrato che ben poco possono le clausole di scala mobile per difendere il salario contro l'erosione proveniente ,dal rincaro del costo della vita. Le uniche conquiste stabili sono quelle che i sindacati riescono a ottenere direttamente in termini « reali », e cioè in termini di case per lavoratori, scuole, 10 BibliotecaGino Bianco

Una svolta meridionalista per i sindacati assiistenza sanitaria, trasporti pubblici. Ma questo 'Significa anche che la strategia del sindacato deve mutare profondamente e, abbandonando il terreno immediato del miglioramento salariale, deve muoversi sempre più decisamente verso il terreno della politica degli investimenti. In questa prospettiva, la divergenza di interesiSi fra lavoratori del Nord e del Sud non può ohe uscirne attenuata. La rivendicazione fondamentale del lavoratore del Sud è sempre stata quella di una politica di investimenti tale da accrescere le occasioni di lavoro; se adesso anche i lavoratori del Nord sentiranno il bisogno di centrare la trattativa sulla scelta degli investimenti, dovrebbe risultare a1 ssai più facile ai sindacati condurre un'azione che rifletta simultaneamente gli obiettivi della classe lavoratrice in tutto il territorio nazionale. Una volta stabilito che la forza degli eventi conduce progressivamente il sindacato a far convergere la propria azione sulla discussione deUa politica di investimenti, resta da stabilire se, su questo terreno, i lavoratori delle diverse regioni del paese possano concordare una politica avente un contenuto comune. Qui ritorna il problema del Mezzogiorno e dell'atteggiamento che presumibilmente i sindacati saranno in grado di prendere a questo proposito. Da quanto si è detto in precedenza, sembra scaturire che anche in merito al problema specifico ,del l\tlezzogiorno, i possibili conflitti di interessi all'interno della classe lavoratrice dovrebbero essere assai minori oggi che nel passato. Una politica di concentrazione degli investimenti industriali nelle regioni meridionali non può che soddisfare gli interesisi dei la-Vioratori del Sud, inutile dirlo. Ma una .Politica simile, al giorno d'oggi, risponde anche agli interessi dei lavoratori del No~d, in quanto consente di evitare le conseguenze della congestione, che consistono anzitutto in una erosione inarrestabile del potere d'acquisto dei salari. Nella situazione attuale, un orientamento deciso verso un più cospicuo flusso di investimenti nel Mezzogiorno rappresenta un mezzo per la difesa del salario reale anche e anzitutto per i lavoratori del Nord. Emerge in tal modo con chi1 arezza che il problema dello sviluppo meridionale non può più. essere definito problema sì di interesse generale, ma tale da rimanere estraneo agli interessi speèifici della classe lavoratrice. Esso rapp,resenta invece un problema che investe direttamente gli interessi .del lavoratore, in quanto rappresenta la via ·di uscita da una situazione nella quale diventa sempre più arduo conseguire stabilmente salari reali più elevati. Vi è 11 BibliotecaGino Bianco

Augusto Graziani quindi da attendersi, o- quanto meno da augurarsi, che per l'avvenire i sindacati siano presenti sul fronte ,della politica meridionalistica in misura assai più incisiva di quanto non sia avvenuto per il passato. Un'evoluzione simile nell'atteggiamento sindacale rappresenterebbe una svolta profonda nell'intera prospettiva della politica meridionalistica. Fr,a i tanti svantaggi che harn10 afflitto il Mez:wgiorno, il maggiore è stato quello di non avere alcuna concreta forza ecoL. no1nica e politica che ne sostenesse la ·causa sul piano nazionale. La politica di sviluppo del Mezzogiorno è stata affrontata come politica di soccorso, come passo necessario per assicurare al paese un equilibrio politico, non per seguire l'orientamento di forze economiche OTganizzate. Su questo punto, sarebbe stato inutile attendersi l'apporto delle antiche classi dirigenti del Mezzogiorno, legate per tr:adizione alla proprietà fondiaria e non interessate ad una politica di industrializzazione; altrettanto vano sarebbe stato attendere l'apporto della nuova classe lavoratrice locale, priva ·di adeguata organizzazione proprio come conseguenza delle condizioni di arretratezza. Né le compagini soci,ali emerse negli anni più recenti sembrano offri,re appoggio molto più valido: da un lato, gruppi di teonici e ,di,rigenti industriali, confinati fra le mura aziendali e sostanzialmente assenti non solo dal dibattito politico mia anohe dalla vita amministrativa e cittadina; ·daH'altro, una classe sempre più nutrita di funzionari pubblici, esponenti di partito, appaltatori di opere pubbliche, speculatod edilizi, che gravitano intorno al flustSo di spesa pubblica ed hanno trovato una ragion di vita proprio nella politica di sos,tegno e di non industrializzazione adottata finora. Se aides:so la posizione dei sindaca ti dovesse subire una svolta sul piano nazionale, e il problema -dell'industrializzazione nel Mezzogiorno fosise accolto con priorità fra gli obiettivi della classe lavorat,rice dell'intero paese, questa forza pot 1 rebbe fornire finalmente l'appoggio concreto di cui la politica 1neridionalista ha finora mancato. In ques1 ta prospettiva, è neces,sario sottolineare che, allorché si auspica una più intensa industrializzazione del Mezzogiorno, non si intende sollecitare una politica di investimenti indiscriminati. Sotto questo p~ofilo, l'esperienza del'le regioni ,settentrionali deve essere accuratarnente utilizzata per evitare di ripetere nel Mezzogiorno i medesimi errori che hanno provocato la congestione e la crisi dello sviluppo industriale del Nor,d. Venti anni di investimenti nelle regioni settentrionali, effettuati con il criterio di concentrare gli sforzi nei ·settori immediatamente produttivi, senza prestare la dovuta at12 BibliotecaGino Bianco

Una svolta meridionalista per i sindacati tenzione allo sviluppo parallelo del capitale fisso sociale, hanno creato serie condizioni di crisi nei distretti industrializzati del Nord. È chiaro che nel Mezzogiorno, in vista di un possibile sviluppo industriale nel corso del prossimo decennio, bisognerà evitare il ripetersi ,di errori simili. Per quanto il grado di industrializzazione del Mezzogiorno sia oggi assai più basso rispetto al Nord, non si deve dimenticare che nel Sud i pericoli di congestione sono assai maggiori. Nonostante la politica di sviluppo delle infrastrutture, la dotazione di capitale fisso sociale nel Mezzogiorno è inferiore rispetto al Nord, senza parlare della situazione di molte delle maggiori città che hanno raggiunto fin da adesso situazioni di congestione senza ne1nn1eno essere passate per lo stadio dell'industrializzazione. Una politica di investimenti industriali nel Mezzogiorno dovrà tenere conto in prirna linea di questi problemi e affiancare agli investimenti nei settori direttamente produttivi, un impegno parallelo nel settore dei trasporti urbani e dell'edilizia residenziale, condizioni essenziali per in1pedire il perpetuarsi della speculazione e in definitiva la paralisi della stessa vita economica. Proprio su questi te111i, l'apporto delle forze sindacali va considerato insostituibile. AUGUSTO GRAZIANI 13 BibliotecaGino Bianco

L' industrializzazione carente di Sandro Petriccione La ohi usura di un decennio ,di esperienze di intervento nelle regioni meridionali appare momento adatto per tentare dei consuntivi e trarre delle conclusioni, esaminando quali siano state le soluzioni proposte e le direttive politiche 1adottate ed in qual senso ed in quale misura esse abbiano modificato la situazione preesistente. Il dibattito politico sul Mezzogiorno all'inizio degli anni sessanta era dominato dalla preoccupazione di superare l'impostazione rostowiana della preindustrializzazione su cui si era fondata essenzialmente fino ad allora la politica di intervento straordinario, alla quale si imputava -di non fare decrescere il divario Nord-Sud con sufficiente rapidità 1 • Allo stesso tempo si trattava, di fronte alla violenta opposizione degli ambienti ispirati ,dal capitalismo tradizionale alla espansione dell'IRI e dell'ENI, cui si imputavano iniziative sbagliate e di puro prestigio, in particolare nel Mezzogiorno, ,di riaffermare il ruolo che l'impresa « di Stato » poteva e doveva avere nello sviluppo economico italiano. Questa tesi veniva non a caso oontestata da tutta la ,corrente « liberista », rappresentata dagli economisti allora di maggior prestigio. La convinzione che si fosse giunti ormai ad una situazione di rapida trasformazione deHa 1società italiana, nella quale vi era l'immediata prospettiva che il problema dell'oocupazione, centro delle preoccupazioni della corrente più progressiva dello schieramento politico che avrebbe successivamente costituito il centr.osinistra, potesse essere ormai avviato a definitiva soluzione, spostava l'attenzione sul volume degli investimenti e su iniziative industriali di grande mole, che colpivano particolarmente 1a fantasia degli osservatori italiani e stranieri. Il decennio si chiude invece con gli episodi ,di Avola e di Battipaglia, i quali hanno risvegliato d'altronde solo per qualche tempo l'opinione pubblica dalla quasi generale disattenzione, se non· dallo scetticismo, nei confronti dei problemi più attuali del Mezzogiorno; problemi connessi ancora oggi, anche se in maniera 1 Si veda ad esempio: Il Mezzogiorno di fronte agli anni sessanta, AA.VV., Comunità 1961. 14 BibliotecaGino Bianco

L'industrializzazione carente assai diverisa da quanto avveniva dieci anni fa, allo squilibrio tra disponibilità di forze di lavoro ed occasioni di occupazione nel Sud e nel resto del paese. Un prin10 contributo alla spiegazione del contrasto tra le aspettative ed i deludenti risultati viene fornito da Hytten e Marchiani nel loro saggio su Gela 2, la cui tesi centrale è apertamente enunciata nel titolo: Industrializzazione senza sviluppo. L'analisi delle conseguenze della decisione di investimento dell'ANIC a Gela assume un particolare interesse perché essa, pur in condizioni diverse, può estendersi a quel.le provocate da numerosi impianti petroliferi, petrolchimici (ed in minor n1isura anche a quelli siderurgici) sorti nel Mezzogiorno con larghissimi contributi dello Stato, sia mediante sovvenzioni a fondo perduto, sia con contributi a tasso di particolare favore e oon la predisposizione di infrastrutture (approdi industriali, acquedotti, viabilità) spesso estremamente costosi, ottenuti con estrema rapidità per effetto di direttive e meccanismi che favoriscono le iniziative di grandi dimensioni a discapito di tutte le altre, per le quali le difficoltà frapposte dagli organi istruttori rappresentano di fatto un freno ed un disincentivo. Hytten e Marchiani si preoccupano in linea preliminare di esporre le difficoltà che si frappongono ad una soddisfacente definizione di una politica di sviluppo (anche se fanno altrimenti per il termine di neocapitalismo, del quale peraltro abusano): « ... le 'immagini ' che di volta in voilta vengono offerte della situazione o sono del tutto specifiche al punto di sfiorare il folklorismo o la narrativa, oppure talmente generiche da risultare asettiche e fuori della realtà ... » 3 • Il gap che esiste tra questi due angoli visuali fa sì che alcuni problemi oentrali, come quello ,dello sviluppo sociale indotto dalla politica di concentrazione attorno ai « poli » ( cioè alle principali Aree di Sviluppo Industriale previste dalle leggi sul Mezzogiorno) siano stati scarsamente trattati. Tale sviluppo, secondo i due autori, non si è verificato a Gela: la presenza di un impianto di grandi dimensioni come quello del'ANIC non è condizione di per sé suffi~ ciente al decollo di una zona arretrata, anzi può rendere più gravi e stabili gli squilibri e provocare addirittura fenomeni involutivi. In linea preliminare, per quanto concerne le premesse e 1e 2 EYVIND HYTIEN e MARCO MARCHIONI: Industrializzazione senza sviluppo - Gela: una storia meridionale. Franco Angeli, 1970. 3 H. & M., cit., p. 13. 15 BibliotecaGino Bianco

Sandro Petriccione finalità dell'intervento nel M.ezzogiorno 4 bisogna perciò esaminare quanto le attese miracolistiche suscitate a Gela ed altrove da politici ottusi o senza scrupoli e ,da atteggiamenti troppo disinvolti delle in1prese pubbliche, più preoccupate di difendersi da attacchi di altri cir.colì industriali che di non illudere la popolazione sulla reale portata dell'intervento, abbiano nuociuto e continuino a nuocere al raggiungimento delle finalità della politica meridionalista. Le quali, anche quando non vengono espresse in maniera esplicita dai rappresentanti elettivi, devono tener conto della pressione di aliquote consistenti della popolazione, per le quali si pone l'angoscioso proble1na di una occupazione stabile e di un decente tenore di vita. Era - ed è - ovvio che sotto quest'aspetto l'industria chimica poteva fornire un ben modesto contributo: « ... non occorre ... essere economista per capire che una moderrna industria petrolchimica, altamente automatizzata e quindi a basso assorbimento di manodopera, per giunta appartenente ad un complesso industriale verticalizzato ed autosufficiente non può avere per la sua stes,sa natura degli ·effetti n1oltiplicativi più che marginali sul sistema produttivo della zona in cui viene impiantata » 5 • Tale ragionamento non doveva però essere ovvio per il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno durante gli anni sessanta, o, per lo meno, considerazioni di natura diversa prevalsero: così che si favorirono in ogni modo gli investimenti nel settore chimico, anche attraverso l'applicazione della legge per mezzo di direttive che hanno dato luogo a scandalosi arrembaggi alle sovvenzioni pubbliche erogate dalla Cassia per il Mezzogiorno, con l'ausilio di decisioni dei massimi organi della giustizia amministrativa 6 • Se le motivazioni di carattere aziendale riuscirono a prevalere sull'atteggiamento di riserva, se non di motivata opposizione, degli organi amministrativi deHa Cassa per il Mezzogiorno, nel si4 Il problema degli strumenti e delle :finalità della politica del Mezzogiorno pone una serie di delicate questioni di. capadtà di ind1viduare gli obiettivi e dli congruenza tra questi ultimi e l'ammontare di risorse di natura tecnico-organizzativa in essere o che sì possono predisporre nell'immediato. Cfr. il mio articolo: Mezzogiorno: fini e mezzi, « Nord e Sud», gennaio 1970. s H. & M., cit., p. 38. 6. Si tratta qui del problema dei cosidetti « scorpori » per cui, dato che le sovvenzioni si dovevano limitare ai primi 5 miliardi di investimento per ciascuna industria, con l'aiuto di norme estremamente ambigue elaborate dalla Segreteria Generale del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, si consentì l'artificiale suddivisione degli impianti nelle varie rparti di cui erano formati in modo da garantire l'applicazione della sovvenzione a ciascuna del,le parti scorporate. 16 BibliotecaGino Bianco

L'industrializzazione carente lenzio dei principali parti ti pohtioi di governo e di oppos1z1one, si può immaginare in quale conto potessero essere tenute le esigenze esposte, in maniera spesso rozza e contraddittoria, dagli interessi locali ed in particolare dalle amministrazioni comunali (e dai partiti presenti nei Consigli) e dalle organizzazioni dei lavoratori. Hytten e Marchiani danno un quadro sconfortante della situazione quando illustrano la progressiva emarginazione della collettività, Ja quale non è in grado di esercitare controlli e condizionamenti: « La collettività locale non possiede i canali necessari per esercitare tali controlli in modo diretto e le forze politiche che, in un caso del genere, avrebbero potuto affrontare il problema più opportunamente a livello nazionale, dimostrano tuttora un notevole assenteismo da questa ed altre situazioni simili » 7 • Le forze politiche, incapaci di condizionare, come si è visto, le scelte al livello nazionale, sul piano locale « esprimono indiscriminatamente una serie di richieste e rivendicazioni nei confronti dell'industria di Stato più o meno vigorosamente a seconda dei tempi e delle vertenze, ma senza una chiara distinzione in termini di strategia e tattica politica » 8 • Una situazione involutiva si nota anche per quanto concerne i sindacati che, come i due studiosi osservano, furono estremamente attivi nel guidare le lotte contadine attorno al '50, rnentre successivamente non sono stati oapaci di adeguarsi ad una realtà che andava mutando. Le illusioni sul conto delle industrie « di Stato» vennero fatte proprie dai sindacati, che accreditarono la versione di aziende le quali ,potessero prescindere dalle ,regole imposte dalla struttura del mercato e dalle finalità espansive seguite dai loro gruppi dirigenti. Meno convincenti appaiono le argomentazioni di Hytten e Marchioni quando dalla analisi, spesso acuta e sempre ben documentata, passano sul piano delle proposte concrete. Per dire che occorre elaborare una politica alternativa a quella « che nel fondo il padronato italiano - tramite l'ENI in questo oaso - ha voluto e saputo condurre in Sicilia, come nel resto del Mezzogiorno »9, si dovrebbe dare per acquisito che la polit1ca dell'ENI coincida con quella dei settori più arretrati ,del capitalismo italiano, il che non a1ppare proposizione accettabile neppure per gli osservatori meno benevoli nei confronti dell'Ente pet,rolifero. Si deve comunque riconoscere 7 H. & M., cit., p. 69. s H. & M., .cit., p. 87. 9 H. & M., cit., p. 110. BibliotecaGino Bianco 17

Sandro Petriccione che non infrequentemente la politica dell'ENI è apparsa rispondere più a preoccupazioni di natura meramente aziendale, non diversificandosi in tal modo da quella di altri interessi petroliferi, che non al conseguimento di obiettivi di più ampio respiro, atteggiamento quest'ultimo che però il quadro giuridico e politico entro cui si trovava ad operare l'azienda di Stato difficilmente avrebbe consentito. Che il sindacato abbia ,potuto credere a Gela ed altriove in un « ruolo dirompente ed iniziatore della industria di Stato come motore di progres,so » 10 che cost 1 ituisce « il polo di sviluppo attorno al quale si vanno creando altre picoole e medie industrie capaci di trasformare l'ambiente», mostra quanto le aspettative miracolistiche si possano fare strada senza una approfondita consapevolezza delle reali conseguenze che la ,decisione di costruire industrie « di base» può avere sulla localizzazione attorno ad esse di altre unità produttive di più modeste dimensioni, fornitrici di materie prin1e, di iServizi o utilizzatrici di prodotti, sulla incerta es1 istenza delle quali si conta invece per risolvere i problemi di occupazione e di utilizzazione delle capacità imprenditoriali esistenti. Il mistero staliniano della preminenza dell'industria pesante ha ancora i suoi non raziocinanti iniziati. Se però il discorso sul ruolo dei sindacatii nel Mezzogiorno per fare un passo avanti deve affrontare una tematica più ampia di quella che si limita ai problemi di un singolo complesso produttivo, non sembra che le conclusioni di Hytten e Maggioni aiutino molto a tal riguardo. La tesi che l'intervento centrato sulle aree e sui poli consentirebbe il mantenimento .dello status quo nella n1aggior parte del territorio meridionale 11 , astrae dal fatto che la politica di concentrazione tendeva a creare una serie di squilibri hirsch1naniani, capaci di accelerare i prooes.si di sviluppo in atto; anzi, se una conclusione può trarsi dalle esperienze della concentrazione, è che essa, lungi dal mantenere lo status quo nel restante territorio del Mezzogiorno, ne ha provocato, anche con gli effetti dimostrativi che ha indotto, una troppo rapida trasforma;z;ione, tanto da desertizzarlo nel giro di pochi anni. L'equivoco è quello di credere che l'industria « di Stato », per il sol fatto di essere a partecipazione pubblica, possa e debba raggiungere obiettivi diversi da quelli di un'impresa privata di grandi dimensioni. Le finalità sociali, proprie di una politica economica 18 10 H. & M., cit., p. 120. 11 H. & M., cit., p. 120. BibliotecaGino Bianco

L'industrializzazione carente avveduta, devono essere raggiunte indirizzando con appropriati e specifici incentivi gli operatori, ed in prima - ma non esclusiva - istanza quelli pubblici, al loro conseguimento. « A Gela si è combattuta - e tuttora si può combattere - una battaglia importante ... :È quella sulle vere finalità della industria di stato e del capitalismo di stato. Agli inizi degli anni '60 certe oondizioni politiche potevano far credere nella possibilità che l'industria pubblica avrebbe avuto una funzione antimonopolistica, essenziale per la rinascita del Mezzogiorno e per lo sviluppo democratico ·della società italiana; alla fine degli anni '60 queste illusioni sono state spazzate via dalla realtà » 12 • Ora la funzione antimonopolistica, che pure non si può negare ì'ENI abbia assolto, non coincide neoessariamente con quella di assicurare la « rinascita » del Mezzogiorno: anzi preoccupazioni di cont·rospeculazione monopolistica potevano portare, e di fatto portarono, l'azienda petrolifera di Stato ad accentuare le sue caratteristiche di competitività, entrando in conflitto con altri obiettivi della politica economica italiana ed in partiooJare con quello di assicurare uno sviluppo delle attività 1 produttive nel MezzogiO'mo garantendo certi livelli .di oocupazione. Più meritevole di meditazione appare invece l'argomento avanzato dagli autori circa il rapporto tra « riceventi » e « agenti », cioè tra popolazione locale e « lo Stato o un organo teoricamente da questo control1ato » 13 , ovvero nria « strumenti » (Enti pubblici, ecc.) ed « oggetti » ( cioè le comunità locali) ,della poli tioa di sviluppo. Infatti fin dall'inizio degli anni cinquanta, quando ebbe origine in momenti particolarmente drammatici, la politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno si trovò di fronte ad un dilemma: da una parte assicurare nel modo più efficace l'impiego delle risorse finanziarie disponibili, dall'altra rendere ·possibile l'effettiva responsabilizzazione delle forze locali, il che poteva avvenire solo a spese della rapidità e dell'efficienza dell'intervento. Il compromesso tra queste istanze in contrasto fu la oostante preoccupazione dei meridionalisti più consapevoli. Solo negli anni sessanta, sotto le spinte per una soluzione dei problemi meridionali in tempi brevi, finì col prevalere la tendenza ad essere larghi di aiuti ai grandi complessi industriali di base, molti 12 H. & M., cit., p. 126. Nel caso di Gela essi parlano addirittura de1la « fine deil'illusione per chi credeva nel ruolo di rinnovamento dell'industria di Stato in funr zione anticapitalista e anticolonialista ». 13 H. & M., cit., p. 128-129. 19 Biblioteca·Gino Bianco

Sandro Petriccione dei quali appartenenti alle partecipazioni statali. Leggi e direttive successive hanno accentuato questa tendenza, la quale ha finito per mettere in secondo piano l'obiettivo che poteva soddisfare le aspettative delle popolazioni meridionali e cioè la creazione di un consistente numero di posti di la~oro. Si è inveoe forse inconsapevolmente finito per seguire una politica che ha :provocato occupaz1one in 1nisura limitatissima e non è neppure riuscita ad assorbire le forze di lavoro che si rendevano disponibili per effetto della trasformazione d'eH'ag,ricoltura e della crisi delle piocole industrie a oaratteve artigianale, e che per queste sue conseguenze un commentatore ha argutamente definito « di piena disoccupazione » 14 • « Se una determinata operazione non va bene, bisogna anzitutto vedei:e se l'attrezzo adoperato funziona» 15 • Ma era l'ENI lo strumento appropriato per l' oper.azione prescelta? O non si pretendeva dall'ente petrolifero qualcosa che in partenza esso non poteva dare, se non nelle generose ed ingenue illusioni di poco informati teorizzatori dell'intervento pubblico? Hytten e Marchiani osservano, all'inizio del libro: « non si tratta ... di ricercare le singole ,responsabilità o deficienze né di indicare soluzioni riparatorie, ma di prendere lo spunto da questo caso per rivedere radicalmente ,le :premesse, gli strumenti e le finalità dell'intera politioa di sviluppo del Mezzo~iiorno, sia essa fondata nell'industrializzazione concentrata che in altri tipi di intervento » 16 • È proprio perciò che occorre, ad un quadro accurato e coraggioso quale quello fornito dai due studiosi della situazione di Gela, dove si rilevano i difetti e si mettono in 1 luce le carenze della politica di industrializzazione del Mezzogiorno, far seguire una riflessione attenta suMe « premesse, gli strumenti e le finalità dell'intera politica di sviluppo del Mezzogiorno » e sui rapporti reciproci tra organi dell'intervento straordinario (neppure citati, si deve ritenere non a caso, nello studio) parteoipaz~oni stataili ed autorità politica, anziché tvarre conclusioni che appaiono affrettate e francamente non all'altezza dell'analisi precedente, in modo da far corrispondere alla preci,sione della denuncia idee meno generiche sulle vie da battere nell'avvenire. 20 SANDRO PETRICCIONE 14 LEONE IRACI, Dall'opulenza al benessere, Einaudi, 1970. 1s H. & M., oit., p. 129. 16 H. & M., Clt., p. 16. BibliotecaGino Bianco

Il programmatore deluso di Enzo Vellecco La crisi che si manifestò negli organi della programmazione alrincirca un anno fa e che dette luogo alle dimissioni del segretario generale, costituì certamente un episodio deplor.evole della nostra vita pubblica. Essa ebbe però il merito di rivelare la fragilità delle strutture degli organismi che ipvesiedono aHa politica di piano: una fragilità che deriva anche dalla mancata messa a punto di organi e di funzioni e che ha determinato, talvolta, situazioni di inefficienza. Questa crisi, comunque, ha rappresentato soltanto un incidente al quale è sempre possibile porre rimedio, così com'è possibile perveni 1 re, senza gravi difficoltà, ad una riorganizzazione degli organi centrali della programmazione che ne assicuri, con una 111aggiore coesione, la necessaria funzionalità. Ciò che invece aippare più difficile e, in ogni caso, estremamente impegnativo, è di riuscire a superare quella più vera e vasta crisi che, da qualche tempo, ha investito la politica di progran1mazione e che, se da un lato riguarda il metodo della sua elaborazione e della sua gestione, dall'altro coinvolge la sua stessa credibilità. Se possono essere sufficienti taluni accorgimenti, per risolvere una crisi di carattere organizzativo che riguarda il funzionamento di certi organi, ben diveTsi rimedi richiede la soluzione ,di una crisi tecnica e di impostazione, che implica un riesame di n1etodi e che tende a coin~olgere, inevitabil1nente, aspetti ideologici riguardanti la « filosofi.a » stessa della programmazione. Lo sforzo che una crisi del genere, per essere superata, richiede, non può manifestarsi al di fuori di un discorso sulle passate esperienze e sugli insegnamenti che se ne debbono trarre; un discorso sulle lacune, sulle insufficienze e insomma su tutto quello che è mancato effettivamente alla nostra prima espedenz~ di programmazione. Questo discorso è già cominciato. È difficile intanto negare che sono emersi, in questi ultimi tempi, sintomi importanti che denunciano un atteggia1nento diffuso di perplessità nei confronti della politica di programmazione, da parte ,di quanti hanno seguito con 21 BibliotecaGino Bianco

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