Nord e Sud - anno XV - n. 104 - agosto 1968

.. I Rivista mensile diretta da Francesco Compag.na Maria Ciranna Venturini, Il disordine urbanistico - Francesco Farina, Il "gap,, del Mezzogiorno ·- Antonino de Arcangelis, L'Opera inoperante Girolamo Cotroneo, Università:· attendendo l'autunno - Lanfranco Senn, Sviluppo per "blocchi di investimento ,, · e scritti di Aldo Canonici, Marisa Càssola, Giuseppe Galasso, Vincenzo Guizzi, Ernesto Mazzetti, Graziella Pagliano Ungari, Mario Pendinelli, Pasquale Satalino, Paolo Mario Sipala,. Enzo Vellecco. ANNO XV - NUOVA SERIE - AGOSTO 1968 - N. 104 (165) . EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI iblloteca Gino Bianco

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XV - AGOSTO 1968 - N. 104 (165) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 · Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli BibliotecaGino Bianco

,. SOMMARIO M. Ciranna Venturini Francesco Farina A. de Arcangelis Girolamo Cotroneo Enzo Vellecco Mario Pendinelli Editoriale [ 3] Il disordine urbanistièo [8] Il «gap» del Mezzogiorno [18] L'Opera inoperante [35] Note della Redazione Fascicoli da bruciare - I senatori della gioventù - Cronache napoletane [ 43] Giornale a più voci Università: attendendo l'autunno [52] Una «Finanziaria» alla ribalta [55] La politica delle strutture agrarie [61] Le idee del tempo Giuseppe Galasso L'editore in1pegnato - Il profeta disarmato [65] Lanfranco, Senn Pasquale Satalino Regioni Sviluppo per « blocchi di investimento » [71] Puglia da programmare [87] Documenti G. Pagliano Ungari Il pubblico del libro di cultura [99] Marisa Càssola Aldo Canonici Vincenzo Guizzi Recensioni Un ritratto d'artista [109] Il lavoro e le sue motivazioni [ 111] Gli scompensi del Parlamento europeo [ 116] Lettere al Direttore Paolo l'Aario Sipala Napoleone Colajanni e gli studi sulla mafia [ 121] Geografia Ernesto Mazzetti Regioni larghe, regioni strette [122] Biblioteca Gino Bianco

Editoriale Che cosa vogliono i cecoslovacchi, Dubcek ed i suoi collaboratori, gli intellettuali che hanno firmato per primi il messaggio della « Literarni Listy », i cittadini di Praga che, n1entre noi scriviamo, stanno vivendo ore difficili e solenni? Non certo l'uscita dal Patto di Varsavia e meno che mai una restaurazione del capitalismo. Ma essi non vogliono la restaurazione della censura: vogliono una relativa libertà di stampa, non estesa come quella che è consentita nei nostri paesi occidentali, e tuttavia tale da costituire un sensibile passo avanti rispetto al gretto sistema di censura, vigente quando Novotny deteneva stalinianamente il potere. Ebbene, da Varsavia, la lettera dei « cinque » chiedeva, appunto, il ripristino del sistema di censura. E così i comunisti di Praga non vogliono la disintegrazione del blocco di Varsavia, ma vogliono che i legami di quell'alleanza non siano di in1pedimento alla cosiddetta desatellizzazione e alla liberalizzazione, non comportino un atteggiamento di servilismo nei confronti dello Stato-guida. Ebbene, da Mosca, si risponde con i « non accetteremo mai»; si lasciano indugiare sul territorio cecoslovacco le truppe sovietiche impegnate a suo tempo nelle manovre del Patto di Varsavia; si pretende che comunque truppe sovietiche siano accampate minacciose sui confini occidentali dell'URSS e che i confini occidentali della Cecoslovacchia siano presidiati da truppe dei paesi del blocco di Varsavia. Infine, i cittadini cecoslovacchi non vogliono la deportazione di Novotny, nia vogliono che sia riconosciuto il loro diritto a preferire Dubcek a Novotny. Ebbene, i sovietici premono perché sia rinviato il congresso straordinario del Partito comunista cecoslovacco, fissato per il 9 settembre e che dovrebbe convalidare il « nuovo corso » del partito, il passaggio dall'era di Novotny a quella di Dubcek, la politica di revisionismo; e tramano perché maturino le condizioni per una riscossa di Novotny e dei nostalgici dello stalinismo. È dunque nel paese di Benes e dei Masaryk, sommerso da una lunga notte staliniana, e proprio perché è il paese dei Benes e dei Masaryk, dove non si sono spente, malgrado quella notte, le tradizioni di gloriose .. e sfortunate, lotte per la libertà, che si mettono ora in discussione, davanti a tutto il mondo, i principi onde i regimi comunisti non si configurano come regimi di libertà, ma come sistemi oppressivi della libertà: 3 Bibli·oteca Gino Bianco •

Editoriale tanto più oppressivi quando non sono subentrati ad un regime autoritario di destra, ma ad' un regime di democrazia parlamentare, pluripartitico, come appunto nel caso della Cecoslovacchia. Ma ora, da Praga, sono stati messi in discussione, come mai prima d'or.a, il principio del partito unico ed il principio dello Stato-giLida. Per i comunisti, da quanto è a,vvenuto in Cecoslovacchia e da quanto può ancora accadere in un senso o nell'altro, derivano problemi come forse non si erano mai posti in altre occasioni. Giustamente è stato rilevato da un cremlinologo americario che D1✓tbcek ha niesso in moto il più significativo mutamento dello status quo europeo dal 1948 ai nostri giorni. Il più significativo anche perché le condizioni politiche generali, ed in particolare i rapporti interni del mondo comunista, inducono a ritenere che una risposta repressiva, del genere di quella che fit data dall'URSS ai fatti di Ungheria del 1956, sia, se non del tutto impossibile, certamente tale da sollevare più problemi di quanti non ne risolverebbe; e comunqite tale da comportare un costo politico molto più alto di quello ~apportato dall'URSS, e dal comunismo internazionale, quando i carri armati dell'Armata rossa entrarono a Budapest. Del resto, la politica dei nuovi leaders del comunismo cecoslovacco incide sullo status quo dell'Europa orientale in modo molto più insidioso ed efficace e soprattutto contagioso di qitanto non vi incidesse la rivolta ungherese del 1956; ed è attenta, però, a non forni re ai sovietici alcun alibi che possa giitstificare un loro intervento pesante. In altri termini, con,1,ehanno dovuto fare i conti con le rivendicazioni romene di una maggiore indipendenza nazionale, così i sovietici devono ora fare i conti con le rivendicazioni dei cecoslovacchi, che sono anch'esse rivendicazioni di maggiore ind'i- . pendenza nazionale, ma non caratterizzate, come qitelle romene, da una carica di contestazione nazionalista della politica sovietica; la contestazione cecoslovacca dei rapporti con l'URSS è caratterizzata, infatti, da itna carica liberale, piìt che nazionalista, e perciò rriette in discussione il principio dello Stato-gitida e quello del partito itnico più di quanto non abbiano fatto l'epica rivolta di Budapest e la coraggiosa secessione di Bitcarest. La Romania non è stata scomunicata e neanche punita per aver « importato il gollismo nell'Europa orientale», per essersi rifiittata di condannare l'eresia cinese, per aver disertato le conferenze pan-comzlniste, per aver violato taluni vincoli militari del Patto di Varsavia e talttni vincoli economici del Comecon, per aver votato al'l'ONU in modo diver.sn da come votava l'URSS, per avere stretto rapporti amichevoli con Israele e la Germania occiderztale. L'autononzia diplomatica dei romeni è scomoda per i sovietici, ma, come è stato osservato da Carlo 4 , BibliotecaGino Bianco

Editoriale Casalegno, su «Panorama», « in quel paese che non ha mai conosciuto la den1ocrazia, il partito comunista mantiene il monopolio del potere, il popolo è isolato dal contagio di ideologie occidentali e le riforme scendono d'all'alto, per decisione autoritaria». Gli uomini di Praga, che significativa1nente « L'Express » chiama « i liberali di Praga», mettono in discitssione, invece, non soltanto e non tanto problemi diplomatici e questioni di indirizzo economico, ma anche e soprattutto i problemi della libertà; e si spingono fino a dichiarare che, pur volendo vivere in amicizia con l'Unione Sovietica, non tengono in gran conto « le vacche sacre del marxismo-leninismo così come sono allevate dal Cremlino nelle sue stalle ideologiche ». Sono parole, queste, pubblicate dalla « Literarni Listy », dopo che Dubcek aveva soppresso la censura. E quindi la crisi · cecoslovacca è venuta assumendo di ora in ora il carattere di una crisi che insidia la dottrina ed i metodi del marxismo-leninismo, i rapporti gerarchici all'interno del mondo comunista e in particolare fra URSS e paesi dell'Est europeo, l'equilibrio delle forze fra il blocco di questi paesi, saldato alla Russia, e il resto dell'E~ropa. Ma soprattutto, come ha rilevato « L'Express », è il problema della libertà che i cecoslovacchi, i « liberali » di Praga, hanno « brutalmente posto », non soltanto a livello degli individui e dei partiti, ma anche a livello degli Stati. Ora, se l'URSS ricorresse alla maniera forte, ne risulterebbe demolita la teoria delle vie nazionali al comunismo, la teoria del memoriale di Togliatti sulla quale hanno puntato molti partiti co1nunisti per non essere considerati «stranieri» e « odiosi» nei rispettivi paesi; e se Dubcek ·riuscisse a salvare il « nuovo corso », e le possibilità dei suoi ulteriori svolgimenti, ne risulterebbe non soltanto compromessa, ma confutata nei fatti quella subordinazione alla ragione di Stato dell'Unio- • ne Sovietica che ha sempre caratterizzato la politica dei partiti comunisti fin dai tempi di Lenin. È con1prensibile, quindi, come e perché, alle preoccupazioni di Ulbricht, di impedire la diffusione del morbo « liberale » di Praga e di frenare la « corsa a Bonn » dei paesi già satel .. liti nel blocco orientale e tutti ansiosi di rafforzare i rapporti economici e commerciali con la Germania occidentale, di cogliere le occasioni offerte dalla politica di Brandt, si siano contrapposte le preoccupazioni di Waldeck Rochet e di Longo. Perché proprio i partiti comunisti dell'Occidente, il partito francese ed il partito italiano, pagherebbero il costo maggiore qualora Mosca ricorresse alla maniera forte per liquidare i «liberali» di Praga e per indurre la Cecoslovacchia all'obbedienza di uno Stato satellite, dominato anche nella sua politica interna dal dominatore sovietico. Pare eh.e nel suo colloquio del 15 luglio con Suslov, Waldeck Rochet 5 Bib·otecaGino Bianco

Editoriale abbia detto chiaramente che la teoria delle vie nazionali al comunismo presuppone la non ingereriza di Mosca negli affari interni così della Cecoslovacchia come di ogni altro Stato dell'Est; e che in questo senso la conferenza di Varsavia era stata ztn errore, u,:za condan1ia di Dubcek potrebbe essere un errore anche più grave, un intervento armato contro la Cecoslovacchia costituirebbe certamente un errore fatale. Inoltre Waldeck Rochet avrebbe fatto presente a Suslov che 11naseconda Budapest avrebbe conseguenze politiche di grande portata negativa non soltanto· per i comunisti francesi, già indeboliti da un recente scacco elettorale, ma anche per i comunisti italiani che recentemente hanno colto un successo elettorale proprio grazie ai loro atteggianienti di autonomia, sia pure relativa, nei confronti dell'URSS ed alla parte che sono riusciti ad avere con Togliatti quando è stato avviato il discorso sulle vie nazionali al comunismo. Che credito, infatti, potrebbe più riscuotere un tale discorso, quando, di fronte ad una seconda Budapest, i comunisti francesi ed italiani fossero costretti a solidarizzare ancora una volta con Mosca, o comunque si astenessero dal condannare pubblicamente la risposta repressiva di Mosca ai « liberali » di Praga? E che cosa resterebbe, d'altra parte, della solidarietà intercomunista, quando, per salvare il discorso sulle vie nazionali al comunismo, i comunisti francesi ed italiani si risolvessero a den~nciare pubblicamente un eventuale intervento armato di Mosca contro la Cecoslovacchia e ad esprimere quindi una solidarietà con Praga che oltrepasserebbe i limiti di quella già espressa in questi giorni? I comunisti francesi ed italiani non vogliono evidentemente trovar si fra queste Scilli e quelle Cariddi. Ma in ogni caso la solidarietà I espressa dal PCI nei confronti dei comunisti cecoslovacchi, che poi sono i « liberali » di Prag~, che chiedono quello che chiedono, e subisco110 quello che subiscono, è u11fatto politico molto significativo; e dimostra, appunto, che le posizioni di supina acquiescenza allo Stato-guida, le posizioni tenute dai comunisti italiani, e più ancora dai francesi, in altre circostanze, non possono più essere tenute senza smentire e vanific·are quel discorso sulle vie ·nazionali al comunismo che è ormai andato trop·po avanti perché coloro che l'hanno fatto possano tornare indietro. "'4 qitesto punto, però, si deve anche rilevare che, se i comunisti italiani non danno un valore merame11,te tattico alla solidarietà da loro espressa nei confronti del revisionismo cecoslovacco, essi devono trovare il coraggio ideologico e politico di portare avanti, sia pure nelle più debite forme e nelle più debite sedi, ttn loro discorso sul valore del revisionismo, sfidando così tutti coloro che da sinistra, cinesi e cubani degli angiporti di casa nostra, si dimenano per denunciare ìl 6 BibliotecaGino Bianco

.. I Editoriale revisionis1no - di Giorgio Amendola, per esempio - come degenerazione « borghese » del comunis1no. Il nostro non vuole essere itno dei tanti discorsi provocatori che si fanno oggi nei confronti dei comunisti italiani, profittando della condizione in cui si trovano i comunisti cecoslovacchi. Certo, c'è chi accusa i comunisti italiani di avere concesso ai cecoslovacchi soltanto una solidarietà di ordine tattico e chi incalza i comunisti italiani con la denuncia dei loro residui rapporti di subordinazione al Cremlino; e tutto questo, naturalmente, per inserirsi più efficacemente nella per tanti versi pretestuosa polemica sulla « delimitazione della maggioranza ». Ma non per questo i problemi di cui si diceva, e soprattutto il problema di portare avanti ·coerentemente e non strumentalmente il discorso sul revisionismo così rispetto alla questione del partito unico ed a quella dello Stato-guida come rispetto alle degenerazioni cubane e cinesi della sinistra, non propongono ai comunisti italiani difficili e tuttavia non più eludibili scelte. In altri termini noi riteniamo che i più intelligenti e più « liberali » fra i comunisti italiani si rendano conto che, dopo il discorso sulle vie nazionali, quello sul revisionismo non può più essere eluso con diversioni tattiche e grazie ai successi elettorali; e si rendano conto che questo discorso non può non suscitare profondi contrasti nella misura in cui mette in discussione, da un lato, il principio del partito unico ed il principio dello Stato-guida e, dall'altro lato, l'atteggiamento da assumere nei confronti delle nuove « malattie infantili ». E tuttavia, riteniamC> pure che, per il timore di affrontare questi contrasti, per evitare c.he essi vengano alla luce, per soffocarli, i comunisti italiani, anche i più intelligenti ed i più « liberali », potrebbero da un lato rimanere chiusi nelle vecchie e anacronistiche barriere ideologiche, lasciandosi sopravvanzare dai fatti, e, dall'altro lato, paghi del successo elettorale di maggio, finire in qualche modo a rimorchio dei nuovi settarismi di sinistra che si vanno manifestando con virulenza. A meno che a Praga non accada il peggio; il che, ovviamente, non ci auguriamo. Noi ci auguriamo che i « liberali » di Praga riescano a consolidare i loro successi politici nei confronti dell'URSS e di tutti i comunisti conservatori dell'Est e dell'Ovest; ma i fatti di Praga, quelli avvenuti e quelli che sarebbero potuti avvenire, costituiscono una « lezione delle cose» dalla quale anche i comunisti italiani dovrebbero trarre tutte le conseguenze, sia pure quella di affrontare responsabilmente i contrasti di cui si diceva. 7 . ibliotecaGino Bianco

Il disordine urbanistico di Maria Ciranna Venturini Pronunciata il 9 maggio scorso, ma resa nota a consultazioni elettorali avvenute, la sentenza n. 55 della Corte Costituzionale sulla illegittimità dei numeri 2, 3, 4 dell'art. 7 e ·dell'art. 40 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, è venuta a movimentare l'avvio della legislatura già caratterizzata dal clima di precarietà determinato dalla presentazione alle Camere di un « governo di attesa», a seguito del « disimpegno» socialista. I due avvenimenti, di natura e di di1nensione profondamente diverse, l'uno legato all'importante ma pur sempre settoriale problema urbanistico, l'altro che interessa le p•rospettive di una coalizio 1ne di forze politiche, costretta a subire una battuta di arresto in un momento particolarmente difficile della vita italiana, con molti e delicati problemi aperti, sembrano scaturire dalla medesima radice e partecipare dello stesso disagio che l1a acco1npagnato il dibattito politico e l'azione di governo nella trascorsa legislatura, con le sue lentezze, le sue contraddizioni, le sue inquietudini. La ~entenza della Corte Costituzionale, in particolare, dichiara11do l'illegittimità di alcuni articoli della vecchia legge urbanistica del 1942, con1promette in maniera totale proprio quei rimedi legislativi che, nell'attesa sempre più tiepida di una nuova legislazione urbanistica, si erano innestati nel vecchio tronco della legge fascista tuttora vigente. È infatti sulle modifiche a quest'ultima che si basa la legge-ponte, n. 765, del 6 agosto 1967, presentata dal governo e successivamente approvata, anche sotto la spinta della profonda emozione che nell'opinione pubblica si era diffusa dopo i fatti di Agrigento. Segui alla legge 765 una circolare ministeriale che fissava minimi standards urbanistici per assicurare all'espa11sione delle 11ostre città s·pazi riservati al verde pubblico, ai parcheggi, ai servizi e alle attrezzature scolastiche, alle infrastruttu.re per la vita ricreativa- e culturale, ai servizi sociali. Attribuendo carattere espropriativo, e quindi indennizzabile, ad ogni vincolo posto dal piano regolatore alle aree dei privati, la sentenza della 8 - Bibliote·ca Gino Bianco

Il disordine urbanistico Corte tocca per l'appunto la legge-ponte in alcuni dei suoi aspetti piu innovativi e qualificanti rispetto alla gestione urbanistica del passato (obbligo ai comuni di assicurare l'espansione urbana attraverso piani regolato,ri o piani di fabbricazione e vincoli posti alla edificabilità sulle aree attraverso gli standards urbanistici). Se infatti le amministrazio11i locali dovessero passare all'indennizzo immediato dei vincoli ci troveremmo di fronte ad una spesa pubblica dell'ordine di migliaia di miliardi. Tanto per fare un esempio, un calcolo approssimativo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica valuta tale spesa a circa 600 miliardi di lire per il solo comune di Roma! Al di là di un dibattito sul merito, se sia cioè o·pportuno che i11 ques~i termini e in tale misura debbano gravare sulla collettività gli oneri per il controllo e l'attuazione di una buona pianificazione urbanistica, basta considerare lo stato di indebitamento delle finanze comunali e la vicina scadenza del 1° settembre, come termine ultimo stabilito dalla legge-ponte per l'applicazione di norme transitorie in attesa dell'adozione di piani regolato,ri da parte dei comuni obbligati, per avere un quadro immediato della situazione paralizzante e caotica in cui può venire a trovarsi, a breve scadenza, la realtà urbanistica del nostro paese. La sentenza della Corte Costituzionale sembra perciò svuotare di ogni contenuto i pochi faticosi tentativi che il potere politico ha fatto per affrontare in maniera sia pure episodica e parziale un rinnovamento della legislazione urbanistica. E in parte ciò è vero; ma in realtà la sentenza della Corte non ha fatto che mettere a nudo il carattere contraddittorio di quei tentativi e la loro ambiguità determinata dal generale ritardo con cui nel nostro paese ci si è posti il problema di un adeguamento legislativo e istituzionale ai mutamenti della società. Tutta la vicenda urbanistica italiana degli ultimi 10 anni è da questo punto di vista esemplare. Furono gli anni '50, con la sorprendente ripresa economica che si accompagnò a ingenti spostamenti di popolazione su tutto il territorio nazionale e ad una frenetica e incontrollata attività edilizia nelle aree di espansione u•rbana, a denunciare l'insufficienza degli strumenti urbanistici che avevamo a disposizione per controllare il tumultuoso svilup•po del nostro paese. Incominciarono a muoversi gli Enti e gli Organismi a carattere culturale, e in modo particolare l'Istituto Nazionale di Urbanistica, il quale, nel suo congresso del 1960, approvava un codice urbanistico che scaturiva dalla proposta di una riforma legislativa. L'avvio concreto alla riforma urbanistica, quello cl1e segnava una presa di posizione ufficiale da parte dei politici, si ebbe, dopo il tentativo della commissione Z_accagnini, il 28.3.1962 con l'insediamento della Commissione 9 ibli·oteca Gino Bianco

Maria Ciranna Venturini nominata dal Ministro Sullo per l'elaborazione di un progetto di legge urba11istica. 1 La Commissio,ne lavorò intensamente e per alcuni mesi, co~ducendo un esame piuttosto dettagliato sugli aspetti non solo urbanistici, ma anche istituzionali e legislativi, della riforma. Essa non mancò, fra l'altro, di mettere in evidenza, nella relazione che accompagnava il progetto, i limiti e le contraddizio,ni di cui ormai soffriva la legge urbanistica del 1942 di fronte « alla vertiginosa espansione del fenomeno urbanistico, alle nuove esperienze maturate nel nostro e in altri paesi, al sempre maggiore svil1.1ppoche sono andati assumendo problemi di indirizzo e di coordinamento delle attività sia pubbliche che private». Nelle sue linee generali il progetto elaborato dalla Commissione coincideva con gran parte delle proposte dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, tanto che i punti qualificanti della legge si sarebbero ritrovati nella mozione del IX Convegno dell'Istituto, svoltosi a Cagliari, il 27 ottobre del 1963. Essi erano: esproprio generalizzato dei suoli necessari all'espansione e alla trasformazione degli insediamenti - indennità di esproprio che riduca al minimo il riconoscimento della re11dita fondiaria urbana -· cessione dei suoli, successivamente all'esproprio e all'urbanizzazione, co11 un titolo di godimento tale da impedire la formazione di nuove plusvalenze ( « ciiritto di superficie ») - norme transitorie che co·nsentano l'applicazione del meccanismo di esproprio previsto dalla legge, utilizzando gli strumenti già a disposizione, e la rendano obbligatoria nelle aree metropolitane, nei comprensori intercomunali già formati, nelle aree di sviluppo industriale e turistico. , Il progetto prevedeva inoltre alcune norme finanziarie e tributarie che dovevano mettere i comuni in co11dizione di operare tempestivamente, mentre lo stesso meccanismo proposto per correttivo alla formazione di plus-valori sulle aree rendeva meno gravosa alla collettività l'acquisizione delle aree necessarie. La mozione del convegno di Cagliari giungeva, però, quando ogni concreta prospettiva di attuazione della riforma urbanistica era ormai 1 La Commissione, presieduta dal ministro on. Sullo, aveva come vice presidente il Dr. Guglielmo Roehrssen, presidente di sezione del Consiglio di Stato. Di essa facevano parte i giuristi Benvenuti, Guarino, Giannini e Rubino, gli architetti Astengo, Piccinato e Samonà, gli studiosi di sociologia e geografia economica Ardigò e Compagna, nonché il Presidente delJa VI Sezione del Consiglio Superiore dei LL.PP., · prof. Cesare Valle, il direttore generale dell'urbanistica presso il ministero dei LL.PP ., dr. Guido Spanò, ed il capo dell'ufficio studi e legislazione dei LL.PP ., avv. Michele Savarese. Il segretario e il vice segretario di detta Commissione erano rispettivamente il dr. Aurelio Prestianni e il dr. ing. ivlario D'Erme. 10 BibliotecaGino Bianco .....

·' Il disordine urbanistico compromessa, tanto è vero che essa si presentava come« appello dell'INlJ ai partiti di centro-sinistra per l'applicazione della legge-Sullo ». Erano bastate all'inizio del 1963 le prime indiscrezioni sulla legge, e in partic<)- lare sul « diritto di superficie» (che non era peraltro un punto irrinunciabile della riforma), per scatenare una campagna di stampa di tale violenza da creare nel paese un clima da crociata, un'atmosfera da caccia alle streghe, proprio alla soglia delle consultazioni politiche della primavera del 1963. Una nota uscita sul « Popolo » il 13 aprile di quell'anno affossava definitivamente la legge, separando le responsabilità della Democrazia Cristiana da quelle dell'imprudente ministro dei lavori pubblici; e buttando acqua sul fuoco delle polemiche pre-elettorali 2 • Incominciava da quel momento un lento, ma progressivo arretramento dei partiti e delle forze politiche su posizioni di prudente attesa. Il clima da mo1 bilitazione generale creatosi d11rante il periodo preelettorale, l'azione di terrorismo psicologico che una campagna di stampa aggressiva e spregiudicata era riuscita a instaurare nel paese, la consapevolezza della sconfitta patita da parte di chi aveva sinceramente creduto che si potesse rapidamente varare una riforma sono tutti dati di fatto che spiegano, anche se non completamente, l'esasperante lentezza e contraddittorietà della successiva azione di governo, e del comportamento della classe politica. Si spiegano e si giustificano meno, tuttavia, il minor vigore polemico, l'abbandoo.o di una linea di rivendicazioni concrete e intransigenti, il rifugio in temi astratti, la sempre più fiacca difesa d'ufficio della riforma, da parte degli Istituti di cultt1ra urbanistica, forse paralizzati dal contrasto che la stessa polemica sulla legge aveva suscitato nel loro seno, forse risucchiati essi stessi nell'occhio del ciclone, in una partecipante attesa di qualcosa che doveva accadere, dal momento in cui si varava la 2 « In relazione alle polemiche circa lo schema di legislazione urbanistica, negli ambienti responsabili della Democrazia Cristiana, si fa rilevare che il documento, il quale ha fornito occasione a vari rilievi, è il frutto del lavoro di una com1 missione di studio costituita presso il minister9 dei Lavori Pubblici. Lo schema così formulato è stato inviato direttamente dal ministro competente per l'esame al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, prima di sottoporlo all'approvazione del Consiglio dei ministri. Pertanto, per quanto siano apprezzabili talune disposizioni, è chiaro che nello schema non è in alcun modo impegnata la responsabilità del1a Democrazia Cristiana. Questo partito, come è detto chiaramente nel suo programma, persegue l'obiettivo di dare la casa in proprietà a tutti gli italiani senza limitazione alcuna nella tradizionale configurazione di questo diritto. Anche nella legislazione urbanistica saranno pienamente rispettati per quanto riguarda la DC i principi costituzionali e i diritti dei cittadini. » ( dal « Popolo » del 13 aprile 1963). 11 BibliòtecaGino Bianco

- Maria Cirann,a Ven,turini formula di centro-sinistra, e i socialisti assu1neva110, fra le dirette responsabilità governative, anche quella del ministero dei LL.PP. Non sono mancate, certo, nel corso della IV legislatura, e specialmente negli ultimi due anni, alcune importanti _prese di posizione governative, né provvedimenti particolari di una qualche efficacia in materia urbanistica, fino alla leg•ge-ponte approvata nell'agosto del '67, che rappresenta certamente uno sforzo lodevole per uscire da un'azione di governo episodica e discontinua. Ma è chiaro che, mentre l'azione governativa si estenuava in una esasperante lentezza e nella disperata impresa di conciliare decisioni responsabili con la mediazione di infiniti e contrastantj interessi particolari, le cose, gli affari, cl1e questo particolare metodo di gestione del potere lasciava fuori della porta, non potevano attendere. Le contraddizioni scoppiavano, le soluzioni assunte come pal·liativi « precipitavano» nel senso piu letterale della parola, mettendo in evidenza la discontinuità e la precarietà del nostro assetto legislativo e istituzionale a confronto con i problemi nuovi della società. Scandalizzarsi oggi della sentenza della Corte Costituzionale, organo da più parti e in più_ riprese caldeggiato e invocato• quando si trattava di metter ordine nelle nostre leggi, alla luce del quadro istituzionale che il paese si era dato nell'immediato dopoguerra; dare a questa sentenza il facile appellativo di « reazionari<:1- » solo perché mette in discussione la legittimità di una normativa che anche prima del nove maggio, dalle stesse forze politiche che non hanno ancora provveduto a riformarla, era considerata superata e inadeguata, significa esprimere un giudizio frettoloso, mettendo l'accento sugli effetti della sentenza stessa, che sono indubbiamente preoccupanti, e trascurando la causa, che non è meno grave: il ritardo con cui si provvede a so'stituire una legislazio·ne insufficiente ed invecchiata con nuove leggi organiche, adeguate ai nuovi bisogni della società. La responsabilità di questo ritardo non spetta certo alla Corte Costituzionale, n1a pit1ttosto alla classe politica. La se11tenza stessa della Corte esprime questa esigenza quando precisa che « il diritto dei proprietari non può venire i11teso come dominio assoluto ed illimitato ·sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine ad essere sottoposto, nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare » e che « nel · determinare tale regime il legislatore può persino escludere la proprietà privata di certe categorie di beni, come pure può imporre, sempre per categorie di beni, talune limitazioni in via generale ». La strada da seguire, ora, non è quella delle inutili lamentazioni. La sentenza come tale mette certamente in crisi la gestione urbanistica dell'immediato futuro, ma, per il fatto stesso che non facilita le cose, essa 12 Biblioteca Gino Bianco -

I Il disordine urbanistico contribuisce a forzare i tempi per una soluzione organica del problema; ne determina, in una situazione problematica e aperta, le premesse piu favorevoli; crea, attraverso lo stato di necessità, le condizioni perché la classe politica agisca con quella decisione e con quella fermezza che in altre occasioni sono venute meno. Lo stesso largo interesse che la sentenza ha suscitato nel paese, il rilievo che la stampa ha dato all'argomento, l'ampio dibattito che ne è seguito costituiscono le premesse ad una discussione piu serena. Qualsiasi esame del merito della sentenza porterebbe del resto alle medesime conclusioni, che si debbano evitare palliativi e accomodamenti e che si debba viceversa affrontare organicamente il problema dell'adeguamento legislativo, mettendo ordine in un complesso di norme contraddittorie e antiquate. L'argomento principale sollevato contro la sentenza è, ad esen1.pio, questo: che non è giusto che vengano indennizzati i proprietari dei presunti incrementi di valore delle aree, facendo gravare sulla collettività degli oneri che si configurano come rendite di posizione. L'argomento è ineccepibile, ma è anche vero che soltanto la distinzione fra proprietà e ius aedifìcandi, da un lato, e la determinazione della indifferenza dei proprietari rispetto alla destinazione d'uso delle aree, dall'altro, possono ovviare a questi inconvenienti. In caso contrario, ci troveren1mo, come in realtà spesso ci troviamo, di fronte ad una situazione confusa e contraddittoria, in cui tutto è possibile, nei rapporti fra privati e potere pubblico. È possibile che i proprietari privati ricavino dall'attuale regime indebiti profitti, ma è anche possibile che nei loro confronti l'autorità locale agisca con una arbitrarietà punitiva o fraudole11ta, dato il carattere discrezionale che caratterizza la formulazione dei piani, i poteri di deroga e così via (si ricordi il caso dei suoli dell'INCIS a Napoli). Ci si appella anche all'indebitamento degli enti locali per sottolineare le disastrose conseguenze della sentenza; il che corrisponde ad una situazione di fatto che è andata aggravandosi di anno in anno. Ma non si può ignorare che, anche in questo caso, il mancato adeguamento della legislazione comunale e provinciale è stato determinante, no11 soltanto perché ha privato gli enti locali dj strumenti amministrativi e di governo adatti ad una situazione più movimentata e dinamica, ma anche perché ha assecondato una spensierata amministrazione, con il persistere di controlli formali e anacro·nistici e l'assenza di una revisione sostanziale di competenze e attribuzioni. Ciò che non si è riformato, si è corrotto; non si è data reale autonomia, ma si è per contro favorita l'irresponsabilità degli amministratori. 13 Biblioteca Gino Bianco

Maria Ciranna Venturini Si tratta di nodi, di p·unti critici della nostra organizzazione sociale, che la sentenza ha indirettamente richiamato e che costituiscono altrettanti elementi da con·siderare ai fini di un'azione futura. Nel corso dell'assemblea straordinaria dell'Istituto Nazionale di Urbanistica che si è svolta a Roma il 10 luglio s·corso, sono stati indicati alcuni provvedimenti che potrebbero essere presi dalle pt1bbliche autorità nell'immediato futuro: il rafforzamento e l'accentuazione degli interventi edilizi nell'ambito della legge 167; la esclusione di interventi edificatori al di fuori della stessa legge e di piani particolareggiati; tempestive e sollecite istruzioni agli uffici tecnici erariali; la definizione provvisoria di un -compenso simbolico ai vincoli (ad esempio, l'esenzione fiscale). La stessa mozione finale dell'assemblea dell'Istituto formula alcune proposte interlocutorie. Esse rispecchiano i termini in cui si è tenuto il dibattito e propugnano l'adozio 1 ne, « nella attesa della futura legge urbanistica», di un provvedimento legislativo che si ispiri ai seguenti . . . pnnc1p1: - la proprietà del suolo non comprende il diritto di edificazione; - il diritto di edificare appartiene ai comuni, salvo gli interessi dello Stato e delle regioni e va considerato una facoltà da esercitare in base a concessione ad operatori pubblici e privati; - l'edificazione è regolata unicamente dai piani regolatori; - i comuni hanno facoltà di espropriare tutti i terreni co·mpresi nei piani con un indennizzo compensativo dei valori derivanti dall'opera dell'uomo, esclusi i valori provenienti dall'opera della collettività. La mozione conclude, infine, invitando Comuni, Comitati Regio·nali per la Programmazione Economica, Prefetti, Ministro dei Lavori Pubblici, ognuno per la parte di sua competenza, a proseguire nell'opera di pianificazione, a mantenere le scadenze fissate dalla legge--ponte e a sollecitare gli adempimenti che la stessa prevede per accelerare l'iter dei piani regolatori. Con questo ultimo atto ufficiale dell'INU si chiude, almeno per il momento-, il dibattito riaccesosi due mesi or sono, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, e sarà probabilmente necessario attendere la ripresa dell'attività parlamentare per seguirne gli ulteriori sviluppi. Ma è chiaro che nei prossimi mesi, nonostante il generale rallentam,ento delle attività a causa della parentesi estiva, la somma di interessi e di rivendicazioni, che la sentenza ha certamente messo in movimento, non mancherà di farsi sentire, negli atti dell'ordinaria amministrazione degli enti locali, nei provvedimenti amministrativi che gli organi tutori e i comuni sono tenuti a prendere in adempimento alla legge-ponte, e in particolare dopo 14 ..... Biblioteca Gino Bianco

.. Il disordine itrban,istico il 1° settembre, quando, con la scadenza delle norme transitorie, ogni attività edilizia sarà subordinata alla pianificazione e alla regolazio,ne urbanistica. Le proposte di emergenza possono senza dubbio arginare le pressioni, che non mancheranno, per la ripresa di un'attività caotica e s1 peculativa, come possono anche rappresentare un correttivo all'altro• non meno grave pericolo dell'apertura di una nuova crisi di tutto il settore dell'industria edilizia. Una paralisi del settore sarebbe gravissima anche perché favorirebbe il riformarsi di quel clima da guerra santa, strumentalmente gonfiato cinque anni fa, contro l'unico e ormai indilazionabile projvvedimento da prendere: una decisa riforma della legislazione urbanistica. Che a questa conclusione si dovesse giungere, era abbastanza scontato. È la medesima sentenza della Corte Costituzionale a porsi in questa logica, e, in una intervista all'« Astrolabio », lo stesso Presidente della Corte, prof. Aldo San·dulli, ha espresso 1nolto chiaramente un proprio parere sulla op,portunità di una tempestiva riforma urbanistica 3 • Non ci si può, tuttavia, sottrarre ad un sentimento di amarezza che nasce dal dover constatare che questa stessa conclusione, oggi ripresa in modo concitato e drammatico, sotto la pressione di un infinito numero di scadenze urgenti, apriva la vicenda urbanistica italiana, fino alla crisi del 1963 e al successivo lento declino di una volontà riformatrice, dando ragione a chi in quegli anni metteva in guardia il paese contro ulteriori dilazioni 4 • ; · 3 « L'importante è, però, che sia emanata senza indugi una nuova legge urbanistica integrale e definitiva; che essa tenga presente la Costituzione; che contenga strumenti adeguati a fronteggiare gli abusi, tanto dei privati come dei ,pubblici poteri. E tanto più sarà da apprezzare, in quanto riesca a porre gli oneri dell'urbanizzazione -- e non soltanto di quella primaria - a carico di coloro che utilizzino i suoli urbani a fini edilizi. Gli incrementi di valore di questi hanno la loro radice nelle capacità, nell'operosità, nel civismo dell'intera comunità locale. Sono questi il fondamento primo del progredire e dell'espandersi dei centri abitati. Non è giusto perciò che ne benefici parassitariamente chi non ne ha merito, rimanendo gli oneri dell'espansione a carico della comunità. Queste considerazioni possono e debbono essere poste alla base, oltre che del rinnovamento della finanza locale, anche della moralizzazione della vita delle comunità e dei rapporti dei cittadini con le amministrazioni.» Nella stessa intervista rilasciata all' « Astrolabio », il prof. Sandulli, notava anche, in risposta ad una precisa domanda del giornalista: « Personalmente ritengo che i1l rinnovamento della legislazione urbanistica non potrà non prendere le mosse da una approp,riata definizione e delimitazione - ai sensi del 2° comma dell'art .. 42 della Costituzione - della posizione del proprietario in ordine all'utilizzazione edilizia dei suoli. » 4 Nella prefazione al volume: Lo scandalo urbanistico (Vallecchi 1964), l'ex ministro dei LL.PP ., on. Fiorentino Sullo, osservava:. « occorre fare presto. Ogni giorno che passa la ~ituazione muta. E i rimedi validi ieri diventano inopportuni domani». 15 B.ibli teca Gino Bianco

Maria Ciranna Venturini Si è perso molto te111poprezioso, ed è giusto, oggi, darsi una· ragione di questo grave ritardo, senza sottrarsi ad un severo esa1ne delle responsabilità politiche. Che alcune delle vicende verificatesi nel corso qelle ultime due legislature a proposito della questione urbanistica abbiano dimostrato una certa immaturità del paese nei confronti di questi problemi, una scarsa cono,scenza nei confronti dei termini esatti della riforma, delle conseguenze che essa p,oteva avere nel rapporto fra pubblico e privato, è certamente vero. Ed è anche vero che su questa immaturità e scarsa conoscenza hanno avuto, facile presa i veri, grandi interessi speculativi, per mobilitare contro la riforma gli stessi cittadini che ne avrebbero beneficiato. E soprattutto• vero,, tuttavia, che gli anni trascorsi invano hanno lasciato aperti tutti i problemi non risolti, aggravandoli, nella misura in cui gli alti costi dei suoli urbani, l'incerto e contraddittorio regime giuridico, hanno differito ancora nel tempo la ·soddisfazione di quei bisogni per la vita civile, e di quelle infrastrutture sociali per la scuola, la sanità, il tempo libero, la viabilità, che mancano tuttora nelle nostre città, facendoci detentori di tristi primati in materia di disordine urbanistico. · I piccoli pro-prietari, i lavoratori, il ceto medio, tutte quelle masse che i grandi interessi s,peculativi hanno mobilitato strumentalmente contro la riforma urbanistica sono coloro che l1anno p·agato il prezzo· più alto anche in termini di salute e di progresso civile. Di fronte ad una constatazione di questo genere una classe politica ha il dovere di non abbandonarsi alle facili e consolatorie attenuanti sociologiche. Vi è un limite oltre il quale la delega del potere non an1mette debolezze e tentennamenti; vi è una fu'nzione anticipatrice che una classe dirigente ha il dovere di esercitare. Questo limite passa attraverso una do,manda che ogni rappresentante politico deve porsi di fronte ad un'azione legislativa o di governo: da che parte sta l'interesse generale? Non è facile governare un paese che è passato rapidamente da una condizione di sottosviluppo ad uno stato di relativo benessere, pieno di sperequazioni, di miserie e di ingiustizie sociali. La stessa rapidità dei mutamenti, la coesistenza di u.na legislazione sclerotica e antiquata con un ritmo- rapido e discontinuo di sviluppo, esaltano la forza dei forti ed emarginano e ind·eboliscono i deboli, ingenerano• un particolare spirito di frontiera che si esprime in una esasperata e cieca rincorsa al benessere individuale, in una oltranzistica difesa degli interessi di settore e di categoria, nell'affievolimento di un co•mune sentire sui problemi della società, salvo poi a trovarsi, gli individui stessi, a pagare un prezzo altissimo, -16 BibliotecaGino Bianco ...

Il disordine urbanistico quando le soluzioni ricercate a tutti i costi sul piano individuale rovesciano sulle forme della vita collettiva le loro conseguenze negative. Essere classe dirigente significa avere coscienza di tutto ciò, ma non per agire a rimorchio di questa realtà, bensì per controllarla e correggerla con gli strumenti adeguati, operando scelte rigorose, a volte non facili. Ma non si è mai saputo che governare fosse cosa facile. MARIA CIRANNA VENTURINI • • 17 B-ibliotecaGino Bianco

Il '' gap,, del Mezzogiorno di Francesco Farina C'è una ripresa nell'impegno meridionalistico delle forze politiche della maggioranza di centro-sinistra dopo il rallentamento coinciso con la reoessione economica. Ne è prova il fatto che qu,este forze, ritenendo che la precarietà di un'economia « dualistica» sia stata causa non secondaria del periodo di congiuntura sfavorevole, si sono impegnate a ridar vigore allo sforzo per l'industrializzazione del Mezzogiorno attraverso nuove e più efficaci « strategie », quali dovrebbero rivelarsi i « blocchi d'investimento» da concordare mediante la « contrattazione programmata» 1 • Iniziative, queste, viste in una concezione più matura e consapevole della questione meridionale: considerando, cioè, il Sud non più come un'area depressa che « deve » essere aiutata con una politica assistenziale, ma come facente parte, in un tutt'uno con il Nord, della struttura economica dell'Italia. Una volta p·resa coscienza del fatto che il rafforzamento dell'economia meridionale è nell'interesse dello sviluppo economico ,dell'intero paese, è ora di inquadrare i problemi dell'economia nazionale in chiave unitaria, come problemi ·di tutto il sistema produttivo, non soltanto, delle sue zone più progredite. In questa prospettiva vanno valutate anche le esigenze dell'ammodernamento dell'apparato produttivo esistente e del conferimento alle nuove strutture industriali che verranno realizzate attraverso ulteriori investimenti, di caratteristiche tecnologiche più avanzate, se non addirittura avveniristiche. Si allarga, cioè, il discorso dal piano quantitativo - che, però, lo·gicamente, resta preminente - al piano qualitativo. In questo periodo si parla molto di divario tecnologico tra Europa e Stati Uniti. È stato giustamente osservato come in realtà si tratti di una somma di fattori concomitanti che pongono l'apparato economico degli Stati Uniti a un livello superiore rispetto a quello dei paesi europei. Il « gap » consiste sì, dal punto di vista scientifico, in un potenziale 1 E anche un governo d·attesa, come quello attuale del sen. Leone, ha in programma l'attuazione di provvedimenti di una certa importanza (come la parziale fiscalizzazione degli oneri sociali) allo scopo appunto di agevolare la riuscita di questa nuova politica di intervento nel Mezzogiorno. · 18 Biblioteca Gino Bianco -

Il « gap » del Mezzogiorno di scoperte scientifiche e di applicazioni tecnologiche proprio degli USA e di gran lunga maggiore del potenziale europeo e italiano, ma il problema di questo divario non può essere risolto solta11to con l'aumento delle spese per la ricerca. Si tratta, infatti, di portare tutto il sistema produttivo delle nazioni europee ad uno « standard » qualitativo superiore. E per fare ciò occorre un sistema finanziario in grado di offrire grandi possibilità nel reperimento dei capitali, un'alta preparazione nei quadri nianageriali, una moderna orga11izzazione dell'istruzione. E questo problema esiste per l'Italia ancor più che per la Francia e la Germania poiché il livello tecnologico della nostra organizzazione industriale, nonostante i notevoli progressi di quest'ultimo decennio, resta ancora il più basso nell'ambito dei paesi appartenenti alla CEE. Questa la situazione mentre si è oramai giunti alla completa liberalizzazione degli scambi fra i paesi della Comunità. Ecco quindi che al problema pur pressante del pericolo di assoggettamento all'industria americana si sovrappone l'altro, ancora più immediato, dell'adeguamento del nostro sistema produttivo a quello della Francia, della Germania ed anche della Gran Bretagna, in vista di u11 futuro ingresso di quest'ultima nel Mercato comune. L'ammodernamento tecnologico della nostra industria diventa anche il banco di prova di quel rinnovato impegno meridionalistico a cui il governo ha mostrato recentemente di volere tener fede. Occorre anzitutto evitare che la necessità di far fronte alla conco,rrenza di paesi comunitari 11el libero mercato europeo distolga gl'imprenditori del Nord dal pensare a nuove localizzazioni industriali nel Mezzogiorno, « contrattate » con gli organi statali, riportandoli ad una co,ncezione « efficientistica » della loro politica d'investimenti, in netta antitesi con le scelte meridionalistiche. Ma compito precipuo del governo dovrà essere quello di guardare allo sviluppo globale della struttura industriale dell'Italia, considerando l'attuale apparato produttivo del Mezzogiorno alla stessa stregua dei più solidi e moderni impianti settentrionali, in vista delle iniziative da promuovere per rendere più competitive tecnologicamente le nostre aziende. Solo così, legandone le sorti al progresso industriale del Nord, si potrà sperare che l'industria del Sud segua le imprese settentrionali sulla strada del rinnovamento dei processi produttivi e della ricerca di nuovi prodotti. Le maggiori industrie del Nord considerano già la ricerca un investimento produttivo, anche se in misura ancora ina~ deguata, e si stanno ora predisponendo le prime forme di collaborazione fra imprese, in settori di reciproco interesse. C'è pericolo quindi che nel Sud si resti indietro, forse irreparabilmente, e che, così come il Mezzogiorno è stat0 finora l'area depressa in senso generale del nostro paese, 19 , · B.ibliotecaGino Bianco

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